[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

196 / APRILE 2024 (CCXXVII)


moderna

A PROPOSITO DI CIVIL WAR
UN CONFLITTO TUTTO A STELLE E STRISCE

di Gian Marco Boellisi

 

Diventato sin dal primo trailer uno dei film più attesi del 2024, Civil war di Alex Garland è risultato essere una sorpresa dal primo all’ultimo minuto. Ambientato in un’ipotetica seconda guerra civile americana scoppiata ai giorni nostri, il film mostra tutta la brutalità della guerra da un punto di vista abbastanza anticonvenzionale secondo i canoni moderni; quello di un conflitto sul suolo della prima potenza mondiale.
 
Al di là della trama e dell’ambientazione, Civil War riesce a tenere attaccati allo schermo gli spettatori con la sua fotografia studiata, le sue musiche (o l’assenza delle stesse) perfettamente incastrate e la sua enorme carica emotiva, la quale porta naturalmente al fruitore della pellicola una sana repulsione verso ogni forma di conflitto. È quindi interessante fare una breve analisi del film dal punto di vista dei significati di cui si fa portatore e come esso si incastri perfettamente all’interno dello scenario politico statunitense.
 
La prima nota su Civil War, e forse la più importante, è il fatto che dal film non scaturisca alcuna previsione del futuro. Non viene dato quasi alcuno spazio alla politica pre-conflitto, passando così oltre quello che poteva essere un complesso scenario fantapolitico ricalcante la realtà odierna. Si parla infatti di una generica alleanza tra Texas e California ribellatasi contro il governo centrale. Si menzionano anche altre fazioni e possibili alleanze tra gli stati americani senza però andare oltre qualche parola. Non si fa quindi nessun riferimento a fatti o persone realmente esistenti, come a voler ambientare il film in un universo parallelo.
 
Il film è un lungometraggio fatto di emozioni, tutte narranti quell’enorme atrocità creata dal genere umano chiamata guerra. Si focalizza principalmente su ciò che vivono i protagonisti, ovvero quattro reporter della Reuters, i quali a un certo punto di vista risultano assuefatti dalle atrocità che vivono quotidianamente. Ed è proprio qui che Civil War porta a far stringere lo stomaco allo spettatore. In un contesto in cui la violenza e la morte sono all’ordine del minuto, il pubblico viene portato ad aborrire come innaturali le immagini che si trova davanti. Tanto è lo sgomento che si prova in alcuni minuti in particolare che il film potrebbe essere ambientato in qualsiasi teatro di conflitto recente, tanto è la guerra portatrice di sofferenza universale.
 
Dal punto di vista delle emozioni, il film è chiaramente indirizzato principalmente al pubblico statunitense. Proprio per gli americani ciò che viene narrato in Civil War vorrebbe suonare come un grande avvertimento, un monito, per creare un anticorpo per una malattia che ancora non si è manifestata a pieno. Il film demolisce in toto il mito americano, il tutto in punta di fioretto, esaltando in alcune scene in particolare le enormi contraddizioni di un paese al limite di una crisi isterica collettiva e mostrando a cosa questa crisi possa portare in caso esploda. È infatti innegabile quanto le tensioni interne agli Stati Uniti siano deflagrate negli ultimi anni, culminate con l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump nel gennaio 2021. Ed è proprio l’enorme tensione tra i diversi strati della popolazione statunitense a portare con sé il pericolo di ulteriori episodi di violenza similari, specie se una fetta di elettorato si sentirà tradita alle prossime elezioni. Ovvio, ciò non vuol dire che scoppierà domani una guerra civile negli Stati Uniti. Tuttavia, come la storia ci insegna, non serve necessariamente un conflitto interno per portare una nazione sull’orlo del collasso.
 
La pellicola ha una struttura abbastanza lineare, senza grandi colpi di scena o sconvolgimenti di trama particolari. La percezione che Civil War dà molto spesso è quella di un documentario on the road, per poi ritornare repentinamente al film di guerra. Il punto di vista della narrazione è quello dei giornalisti della Reuters, i quali assistono inermi a un conflitto fratricida che esalta in ogni singola inquadratura le mille contraddizioni della società americana.
 
Tuttavia, proprio perché il punto di vista è quello dei cronisti, non vi è alcuna critica sociale o sistemica, solo una giornalistica e analitica narrazione. Da lodare la scelta artistica del regista di interrompere in alcuni momenti le scene, e spesso questo accade durante le scene di combattimento o in generale quelle più tese, con gli scatti fotografici dei reporter in camera analogica, come a voler darci una descrizione del conflitto anche dal punto di vista di fotografie che potrebbero essere benissimo scattate dai migliori esponenti dell’Agenzia Magnum.
 
Proprio la fotografia risulta essere uno dei cuori pulsanti dell’intera opera, con alcune inquadrature e riprese che oltre a cogliere le contraddizioni del momento vogliono evidenziare l’umano che cerca di sopravvivere, ma non sempre ci riesce, in un conflitto come quello descritto. Menzione d’onore anche per le musiche scelte, e in generale per il sonoro. Infatti molto curata la scelta artistica dell’ “assenza di musica” in alcune particolari scene, come a voler concentrare lo spettatore sui dialoghi o sul silenzio assordante della crudeltà a cui si assiste sullo schermo.
 
Civil War risulta essere a conti fatti un film molto coraggioso. Proprio nella neutralità della sua narrazione alberga la sottile critica che si fa al sistema da cui il conflitto scaturisce. La pellicola lancia le sue provocazioni senza mezzi termini e senza paura di sfidare il main stream del politicamente corretto, tanto in auge nella nostra epoca. Anzi, invita lo spettatore a riflettere su cosa sia davvero la guerra, specie per una società (quella occidentale) abituata a vivere la guerra come mera cronaca al telegiornale della sera o tramite un videogioco. Non è un caso infatti che il film sia uscito a sei mesi dalla presidenziali americane, avvertite sia dai cittadini statunitensi sia dal resto del mondo come un punto di svolta nella storia globale recente.
 
In conclusione, Civil War è un film inaspettatamente coraggioso, crudo nel suo realismo ed estremamente sagace nella sua critica e descrizione della società americana. Scevro da qualunque attacco politico, il regista decide di menzionare unicamente un potenziale terzo mandato di un presidente tra le cause scatenanti di un conflitto, come a voler accennare che uno scenario simile forse non sia così remoto nel prossimo futuro.
 
Il film sembra essere fatto apposta per colpire le emozioni del popolo americano, in modo da far loro riflettere in quale società vivano oggi e soprattutto in quale società vogliono vivere domani. Riprendendo una delle scene più cariche emotivamente dell’intero film, vi è un momento in cui un soldato chiede ai reporter protagonisti «Che tipo di americano sei?». Ecco, forse questa domanda più di tutte è quella a cui i cittadini statunitensi che andranno a vedere il film dovranno dare una risposta se vorranno che le enormi contraddizioni insite alla società americane non sfocino in un’altra Capitol Hill, o peggio.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]