A PROPOSITO DI CIVIL WAR
UN CONFLITTO TUTTO A STELLE E
STRISCE
di Gian Marco Boellisi
Diventato sin dal primo trailer uno
dei film più attesi del 2024,
Civil war di Alex Garland è
risultato essere una sorpresa dal
primo all’ultimo minuto. Ambientato
in un’ipotetica seconda guerra
civile americana scoppiata ai giorni
nostri, il film mostra tutta la
brutalità della guerra da un punto
di vista abbastanza
anticonvenzionale secondo i canoni
moderni; quello di un conflitto sul
suolo della prima potenza mondiale.
Al di là della trama e
dell’ambientazione, Civil War riesce
a tenere attaccati allo schermo gli
spettatori con la sua fotografia
studiata, le sue musiche (o
l’assenza delle stesse)
perfettamente incastrate e la sua
enorme carica emotiva, la quale
porta naturalmente al fruitore della
pellicola una sana repulsione verso
ogni forma di conflitto. È quindi
interessante fare una breve analisi
del film dal punto di vista dei
significati di cui si fa portatore e
come esso si incastri perfettamente
all’interno dello scenario politico
statunitense.
La prima nota su Civil War, e forse
la più importante, è il fatto che
dal film non scaturisca alcuna
previsione del futuro. Non viene
dato quasi alcuno spazio alla
politica pre-conflitto, passando
così oltre quello che poteva essere
un complesso scenario fantapolitico
ricalcante la realtà odierna. Si
parla infatti di una generica
alleanza tra Texas e California
ribellatasi contro il governo
centrale. Si menzionano anche altre
fazioni e possibili alleanze tra gli
stati americani senza però andare
oltre qualche parola. Non si fa
quindi nessun riferimento a fatti o
persone realmente esistenti, come a
voler ambientare il film in un
universo parallelo.
Il film è un lungometraggio fatto di
emozioni, tutte narranti
quell’enorme atrocità creata dal
genere umano chiamata guerra. Si
focalizza principalmente su ciò che
vivono i protagonisti, ovvero
quattro reporter della Reuters, i
quali a un certo punto di vista
risultano assuefatti dalle atrocità
che vivono quotidianamente. Ed è
proprio qui che Civil War porta a
far stringere lo stomaco allo
spettatore. In un contesto in cui la
violenza e la morte sono all’ordine
del minuto, il pubblico viene
portato ad aborrire come innaturali
le immagini che si trova davanti.
Tanto è lo sgomento che si prova in
alcuni minuti in particolare che il
film potrebbe essere ambientato in
qualsiasi teatro di conflitto
recente, tanto è la guerra
portatrice di sofferenza universale.
Dal punto di vista delle emozioni,
il film è chiaramente indirizzato
principalmente al pubblico
statunitense. Proprio per gli
americani ciò che viene narrato in
Civil War vorrebbe suonare come un
grande avvertimento, un monito, per
creare un anticorpo per una malattia
che ancora non si è manifestata a
pieno. Il film demolisce in toto il
mito americano, il tutto in punta di
fioretto, esaltando in alcune scene
in particolare le enormi
contraddizioni di un paese al limite
di una crisi isterica collettiva e
mostrando a cosa questa crisi possa
portare in caso esploda. È infatti
innegabile quanto le tensioni
interne agli Stati Uniti siano
deflagrate negli ultimi anni,
culminate con l’assalto a Capitol
Hill da parte dei sostenitori di
Donald Trump nel gennaio 2021. Ed è
proprio l’enorme tensione tra i
diversi strati della popolazione
statunitense a portare con sé il
pericolo di ulteriori episodi di
violenza similari, specie se una
fetta di elettorato si sentirà
tradita alle prossime elezioni.
Ovvio, ciò non vuol dire che
scoppierà domani una guerra civile
negli Stati Uniti. Tuttavia, come la
storia ci insegna, non serve
necessariamente un conflitto interno
per portare una nazione sull’orlo
del collasso.
La pellicola ha una struttura
abbastanza lineare, senza grandi
colpi di scena o sconvolgimenti di
trama particolari. La percezione che
Civil War dà molto spesso è quella
di un documentario on the road, per
poi ritornare repentinamente al film
di guerra. Il punto di vista della
narrazione è quello dei giornalisti
della Reuters, i quali assistono
inermi a un conflitto fratricida che
esalta in ogni singola inquadratura
le mille contraddizioni della
società americana.
Tuttavia, proprio perché il punto di
vista è quello dei cronisti, non vi
è alcuna critica sociale o
sistemica, solo una giornalistica e
analitica narrazione. Da lodare la
scelta artistica del regista di
interrompere in alcuni momenti le
scene, e spesso questo accade
durante le scene di combattimento o
in generale quelle più tese, con gli
scatti fotografici dei reporter in
camera analogica, come a voler darci
una descrizione del conflitto anche
dal punto di vista di fotografie che
potrebbero essere benissimo scattate
dai migliori esponenti dell’Agenzia
Magnum.
Proprio la fotografia risulta essere
uno dei cuori pulsanti dell’intera
opera, con alcune inquadrature e
riprese che oltre a cogliere le
contraddizioni del momento vogliono
evidenziare l’umano che cerca di
sopravvivere, ma non sempre ci
riesce, in un conflitto come quello
descritto. Menzione d’onore anche
per le musiche scelte, e in generale
per il sonoro. Infatti molto curata
la scelta artistica dell’ “assenza
di musica” in alcune particolari
scene, come a voler concentrare lo
spettatore sui dialoghi o sul
silenzio assordante della crudeltà a
cui si assiste sullo schermo.
Civil War risulta essere a conti
fatti un film molto coraggioso.
Proprio nella neutralità della sua
narrazione alberga la sottile
critica che si fa al sistema da cui
il conflitto scaturisce. La
pellicola lancia le sue provocazioni
senza mezzi termini e senza paura di
sfidare il main stream del
politicamente corretto, tanto in
auge nella nostra epoca. Anzi,
invita lo spettatore a riflettere su
cosa sia davvero la guerra, specie
per una società (quella occidentale)
abituata a vivere la guerra come
mera cronaca al telegiornale della
sera o tramite un videogioco. Non è
un caso infatti che il film sia
uscito a sei mesi dalla
presidenziali americane, avvertite
sia dai cittadini statunitensi sia
dal resto del mondo come un punto di
svolta nella storia globale recente.
In conclusione, Civil War è un film
inaspettatamente coraggioso, crudo
nel suo realismo ed estremamente
sagace nella sua critica e
descrizione della società americana.
Scevro da qualunque attacco
politico, il regista decide di
menzionare unicamente un potenziale
terzo mandato di un presidente tra
le cause scatenanti di un conflitto,
come a voler accennare che uno
scenario simile forse non sia così
remoto nel prossimo futuro.
Il film sembra essere fatto apposta
per colpire le emozioni del popolo
americano, in modo da far loro
riflettere in quale società vivano
oggi e soprattutto in quale società
vogliono vivere domani. Riprendendo
una delle scene più cariche
emotivamente dell’intero film, vi è
un momento in cui un soldato chiede
ai reporter protagonisti «Che tipo
di americano sei?». Ecco, forse
questa domanda più di tutte è quella
a cui i cittadini statunitensi che
andranno a vedere il film dovranno
dare una risposta se vorranno che le
enormi contraddizioni insite alla
società americane non sfocino in
un’altra Capitol Hill, o peggio.