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N. 118 - Ottobre 2017 (CXLVIII)

TRA MISTERO E VERITà
LA CIVETTA NELL’IMMAGINARIO MEDIEVALE

di Letizia Dello Mastro

 

Nel Medioevo gli animali sono onnipresenti, in qualunque ambito lo storico si addentri non può non incontrarli: nel mondo occidentale sembra che nessun’altra epoca l’abbia tanto pensato, rappresentato e raccontato. L’animale è quindi termine privilegiato di tutte le metafore, l’oggetto per eccellenza “pensato simbolicamente”; in particolare, le raffigurazioni degli animali nel corso dell’età di mezzo richiamano il tema della salvezza e il suo opposto.

 

Emblema di questa ambiguità è sicuramente la civetta saggia, buona e fortunata, ma anche portatrice di notizie ferali e portavoce di eventi nefasti. Questa duplice funzione deriva quasi certamente dal mondo antico: infatti, se nella cultura latina l’epiteto più frequente era feralis, nel mondo greco, come simbolo di Atena, era espressione di grazia lunare, chiaroveggenza e sapienza. Il Medioevo conserva e struttura questo doppio significato anche se l’arte cristiana valorizza il suo aspetto positivo poiché l’animale ha la capacità di volare al di sopra di ogni cosa esprimendo la sua vicinanza alla santità cristiana: la civetta rappresenta così il percorso iniziatico dell’uomo sulla strada della chiara verità e del bene.

 

A Digione su uno dei contrafforti della facciata laterale della chiesa di Nôtre-Dame è scolpita in rilievo una civetta simbolo della città: chiunque la tocchi con la mano sinistra (corrispondente al cuore) vedrà realizzato il suo destino. Diversamente, una leggenda altomedievale spagnola racconta che la civetta abbia vegliato sul corpo di Gesù crocifisso e da quel momento il suo destino è stato quello di evitare la luce del giorno piangendo le sofferenze del Redentore; da allora non emise più suoni soavi bensì versi perturbanti e cacofonici. In numerosi dipinti rinascimentali la civetta è raffigurata come simbolo di luce e di riscatto dell’Umanità dal peccato oppure come guida delle anime dei defunti verso il Regno dell’oltretomba per il giudizio finale.

 

In queste opere si consolida il duplice significato ad essa attribuito: da un lato quello positivo di luce, saggezza e verità, dall’altro quello negativo, nefasto e che presagisce un destino luttuoso. Il messaggio salvifico e cristiano dell’animale è individuabile nelle parole di Cristo che con il Salmista afferma: «Sono divenuto come la civetta fra le rovine, come l’uccello sul tetto».

 

Questa valenza cristologica si mantiene fino al Rinascimento: nel dipinto Adorazione ai magi di Ludovico Mazzolino un piccolo paggio, emblema della condizione dell’uomo in perenne conflitto tra bene e male, porta sul braccio una civetta, simbolo in questo contesto di sapienza divina; ai piedi del giovane fanciullo gioca una scimmia, la quale ricorda il vizio e la sensualità irrazionale, in quanto il diavolo “scimmiotta” l’Uomo-icona (Gesù).

 

La tradizione nordica, invece, predilige l’aspetto negativo dell’animale: in un disegno precedente e preparatorio all’Inferno musicale di Bosch, si osserva la figura dell’Uomo-albero, il cui corpo ha la forma di un uovo rotto e contiene al suo interno una bisca; al di sopra dell’uovo (simbolo della creazione nella perfezione naturale) è poggiato un albero che ospita appollaiata una civetta vegliante, il paesaggio spoglio, desolato e deserto è associato al volto malinconico dell’Uomo-albero.

 

Il Trittico del Giardino delle Delizie di Bosch è ricco di simboli cristiani, esoterici, allegorie profane, riferimenti biblici, nell’insieme vuole essere un ammonimento contro i pericoli della tentazione; infatti, l’opera è popolata da figure di donne e uomini nudi rappresentati in atteggiamenti sensuali, amorosi, ma anche in platonica contemplazione; nella tavola Il Concerto, il bene e il male si confondono e un vago senso del peccato sembra insinuarsi in ogni oggetto, in ogni soggetto, in ogni segno e in ogni animale: donne danzanti tengono in mano delle ciliegie, emblema del vizio della lussuria, la loro testa è occultata da un bocciolo gigante presieduto da un gufo vegliante, il quale esprime la potenza diabolica, la magia e la stregoneria.

 

Se la civetta è portatrice di un messaggio divino e salvifico, nella tradizione biblica ed ebraica il gufo è un animale impuro, presagio di desolazione e abbandono, immagine di cattivo auspicio, simboleggia la notte fredda e la morte.

 

Nella mitologia greca è espressione di Atropo, una delle tre Parche, responsabile della durata della vita degli uomini. Contrariamente alla civetta, il gufo è emblema di ignoranza, cecità e rappresenta la permanenza del male nel mondo degli uomini.

 

Nella perduta opera greca Ornithologia, Ovidio, fa una descrizione precisa dei gufi « i quali volano di notte e cercano i bambini senza balia, li rubano dalle loro culle e ne fanno strazio. Si dice che col rostro strappino i visceri ai lattanti e empiano il gozzo di sangue succhiato» (Fasti, VI, 131). Pertanto sono considerati uccelli-vampiri notturni: Ascalafo fu trasformato in gufo da Demetra per aver accusato la figlia Persefone di aver rotto il giuramento del digiuno.

 

Il British Museum di Londra ospita La regina della notte, una lastra d’argilla cotta di fattura paleobabilonese, risalente al II millennio a.C, che raffigura probabilmente la dea alata Ereshkigal, sovrana dell’aldilà, tra una coppia di leoni e due gufi, presagio di cattiva sorte. A tutt’oggi, nell’immaginario comune, civetta e gufo vengono confusi, per cui numerose superstizioni ad essi legate assumono una connotazione negativa nonostante la civetta sia portavoce di saggezza e verità. Secondo un'antica credenza, ricordata anche dal proverbio emiliano, La nota dla Pasqueta e scor e' ciù e la zveta (La notte della Pasquetta parlano il chiù e la civetta), in questa notte magica, gli animali acquistano la parola e hanno il potere di maledire gli umani che osano origliare i loro discorsi. In alcuni luoghi, specialmente montani, per tenere lontano il malocchio si usava inchiodare questo rapace notturno sulla porta di casa; nella Francia medievale un’usanza simile faceva del corpo martoriato della civetta un amuleto contro il malaugurio.

 

Nel De natura animalium, Claudio Eliano, riferisce di come questo rapace sia simile alle donne dedite ad incantesimi e stregonerie: infatti, la “civetteria” è una forma di vanità che si traduce in comportamento amoroso o amorevole, tendenzialmente sensuale, di contenuto futile e superficiale delle donne maliziose. Nell’Odissea si narra di come l’animale sia caro a Calipso, la quale cercò di attrarre a sé il naufrago Ulisse. Boccaccio descrive il suono della civetta come una lusinga alla quale non si può resistere; per Poliziano, il “civettare, è l arte di sedurre gli uomini mediante moine e il fatto che tale atteggiamento abbia un riferimento alla civetta è dato dalla presunta furbizia di coloro che cercano tramite malie di ottenere favori.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Lorenzo Lorenzi, Con gli occhi della verità, in <<Medioevo Plus>>, Rivista mensile, Edizione My Way Media S.r.l, Anno XVI, n°8, (187), 2012, pp. 52-60.

Franco Cardini, La civetta, www.francocardini.net

Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, vol.2, Rizzoli, Milano, 1986.



 

 

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