N. 102 - Giugno 2016
(CXXXIII)
cittadinanza
e
partecipazione
politica
nella
polis
greca
lo
status
di
cittadino
di
Laura
Sugamele
La
Grecia
antica
si
caratterizzava
per
la
centralità
dell’esperienza
politica
che
ruotava
attorno
alla
polis,
la
prima
forma
di
governo
nella
storia.
Secondo
la
storiografia
moderna
il
processo
di
formazione
della
polis
risale
al
cosiddetto
medioevo
ellenico,
caratterizzato
dall’invasione
dei
Dori
e
dal
declino
della
civiltà
micenea,
segnando
così
l’inizio
di
un
decadimento
culturale
ed
economico.
Dal
IX
secolo
avvennero
invece
notevoli
miglioramenti
nell’agricoltura,
nello
stile
di
vita
e un
certo
incremento
demografico.
In
seguito,
tra
il
IX e
l’VIII
secolo,
si
formarono
delle
piccole
entità
statali
dove
il
potere
era
nelle
mani
dell’aristocrazia
terriera.
Inizialmente,
il
potere
era
nelle
mani
di
un
re,
il
basileus,
il
quale
aveva
un
ruolo
fondamentale
nell’aggregazione
comunitaria.
Prima
di
prendere
una
decisione
il
basileus
consultava
il
consiglio,
o
boulé,
i
cui
membri
(i
ghérontes),
erano
i
capi
delle
più
importanti
famiglie
nobiliari.
Il
basileus
convocava,
inoltre,
l’assemblea,
o
agorà,
il
cui
parere
era
necessario
ai
fini
dell’accertamento
dell’opinione
pubblica
in
merito
a
una
data
questione.
In
questa
fase
si
osserva
un
graduale
abbandono
della
struttura
del
villaggio,
situazione
diffusa
in
aree
diverse
della
Grecia
tra
l’VIII
e il
VII
secolo
a.C.,
che
sembra
trovare
conferma
nella
visione
aristotelica
dell’evoluzione
e
passaggio
dalla
casa
privata
al
villaggio
e
poi
alla
città.
La
realtà
cittadina
iniziò
a
organizzarsi
in
unità
più
piccole,
i
villaggi
e,
in
seguito,
in
circoscrizioni
territoriali,
detti
demoi.
Nel
centro
urbano,
fulcro
della
vita
politica
e
religiosa,
vi
erano
le
principali
strutture
del
potere
cittadino:
il
pritaneo,
sede
del
focolare
sacro
della
città
e
della
magistratura;
l’agorà,
centro
della
vita
economica,
commerciale
e
politica;
il
bouleuterion
sede
del
consiglio
e l’ekklesiasterion,
sede
dell’assemblea.
In
questo
contesto
di
cambiamenti
si
inserisce,
per
l’appunto,
la
polis,
che
sorge
sia
come
modello
di
rilevanza
statale,
sia
come
aspetto
che
ha
contraddistinto
la
storia
e la
filosofia
greca.
La
polis
si
distingueva
strutturalmente
in
due
aspetti:
da
una
parte
la
città
in
senso
politico-istituzionale
e
dall’altra
la
città
intesa
come
società,
elementi
che
coesistevano
in
uno
stretto
legame
anche
con
il
territorio.
La
polis
era
intersecata,
sostanzialmente,
tra
due
componenti:
il
territorio,
elemento
principale
per
le
dispute
territoriali,
e la
popolazione,
a
sua
volta
chiamata
a
partecipare
alla
gestione
politica
cittadina.
A
tale
riguardo,
per
accedere
ai
diritti
di
cittadino,
il
soggetto
doveva
necessariamente
essere
inserito
in
delle
specifiche
unità
in
cui
si
articolava
la
cittadinanza:
le
fratrie,
gruppi
di
famiglie
aristocratiche
legate
da
vincoli
di
alleanza
e da
interessi
politici
comuni
e
che
costituivano
la
struttura
portante
della
società
greca.
Pertanto,
la
polis
poggiava
su
due
elementi:
articolazione/raggruppamento
delle
famiglie
in
un
organismo
istituzionale,
e
aggregazione/integrazione
in
vista
di
una
dimensione
politica
comune.
Il
vivere
nella
polis
aveva,
quindi,
una
valenza
qualificante
e
identitaria,
interiorizzata
anche
con
la
partecipazione
comune
ai
riti
religiosi
e
alle
cerimonie
cittadine.
È
Aristotele
che
nel
primo
libro
della
Politica
individua
la
polis
come
la
realizzazione
più
importante
nella
vita
del
cittadino.
La
famiglia
(òikos)
era
l’asse
portante
dell’intera
organizzazione
sociale
greca.
Infatti,
ogni
polis
era
formata
da
un
insieme
di
famiglie,
a
loro
volta
organizzate
in
tre
tipologie
differenziate
di
rapporti
intra-familiari:
quello
tra
padrone
e
schiavo,
quello
tra
padre
e
figlio
e
quello
tra
marito
e
moglie,
sui
quali
il
capofamiglia
esercitava
potere
e
controllo.
La
moglie,
ad
esempio,
mancava
dell’autorevolezza
che
invece
era
considerata
una
caratteristica
dell’uomo,
il
cittadino
greco
per
eccellenza;
sui
figli
l’autorità
paterna
durava
sin
quando
essi
non
diventavano
adulti
ed
erano
riconosciuti
come
cittadini;
gli
schiavi,
che
rispetto
al
padrone
erano
in
una
posizione
di
subordinazione
economica
e
giuridica,
erano
considerati
una
proprietà
similmente
agli
altri
beni
della
casa.
Proprio
la
presenza
dello
schiavo
indicava
l’òikos
come
cellula
economica,
oltre
che
centro
della
stabilità
sociale.
Il
capofamiglia
assumeva
un
ruolo
sociale
privilegiato,
in
quanto
titolare
del
requisito
di
cittadinanza
che
era
fondamentale
per
partecipare
alla
vita
della
polis.
Ad
Atene
il
requisito
di
cittadinanza
era
dimostrabile
sia
con
la
nascita
da
entrambi
i
genitori
ateniesi,
sia
attraverso
un
iter
procedurale
che
prevedeva
che
il
controllo
iniziale
avvenisse
all’interno
della
famiglia.
Il
capofamiglia
doveva,
infatti,
confermare
pubblicamente
l’identità
del
figlio
e
solo
a
questo
punto
il
ragazzo
diveniva
titolare
del
diritto
di
cittadinanza.
L’appartenenza
alla
fratria
si
rivelava,
inoltre,
molto
importante,
in
quanto
i
suoi
membri
legati
tra
loro
da
vincoli
parentali
avevano
un
ruolo
specifico:
attribuire
ulteriore
verificabilità
alla
dichiarazione
del
padre
rendendo
effettiva
la
sua
veridicità.
In
seguito
al
superamento
di
questo
esame
il
giovane
poteva
essere
accolto
nella
classe
degli
efebi,
status
sociale
che
sanciva
l’uscita
dall’infanzia
e
l’accesso
all’età
adulta
e
che
rappresentava
la
condizione
iniziale
per
l’integrazione
militare
e
politica
del
giovane
ateniese.
Con
lo
status
di
cittadino
il
giovane
godeva
di
privilegi
economici,
ma
aveva
anche
l’obbligo
di
assumersi
alcuni
doveri
come
il
servizio
militare
e
l’attività
politica.
Il
cittadino
che
viveva
nella
polis,
infatti,
non
poteva
in
alcun
modo
rimanere
inattivo.
Per
questo
motivo
le
caratteristiche
che
qualificavano
il
cittadino
ideale
erano
due:
l’autonomia
e la
libertà.
Da
una
parte
l’autonomia
indicava
l’essere
autonomo
del
cittadino
di
fronte
alla
legge
dello
stato;
dall’altra
parte
la
libertà
implicava
che
il
soggetto
fosse
libero
da
eventuali
condizionamenti.
L’immagine
del
cittadino
era,
quindi,
connessa
a
questi
due
aspetti
che
identificavano
la
sua
posizione,
come
colui
che
grazie
all’identità
di
cittadino
diventava
parte
della
stessa
esperienza
politica.
Rimanevano,
invece,
esclusi
dal
godimento
dei
diritti
di
cittadinanza,
oltre
che
gli
schiavi,
gli
stranieri
residenti
liberi
e le
donne,
queste
ultime
lontane
da
qualsiasi
forma
di
partecipazione
cittadina,
anche
se
figlie
di
cittadini
ateniesi.
Nella
società
greca
la
donna
veniva
considerata
solamente
in
funzione
della
riproduzione
e
della
continuità
dell’òikos.
Il
ruolo
della
donna
si
definiva
così
nel
matrimonio,
passaggio
in
cui
ella
veniva
riconosciuta
socialmente
come
moglie.
Il
padre
cedeva
la
figlia
mediante
un
accordo
con
la
famiglia
dello
sposo,
il
cui
scopo
era
realizzare
l’unione
di
potere
tra
due
famiglie
e la
procreazione
di
figli
legittimi.
Il
ruolo
essenzialmente
passivo
della
donna
la
riconduceva
riduttivamente
a
mero
strumento
per
la
trasmissione
della
cittadinanza.
La
sposa
veniva
ceduta
dal
padre
allo
sposo
che,
a
questo
punto,
poteva
organizzare
la
cerimonia
nuziale,
al
cui
termine
la
sposa
diventava
parte
integrante
della
famiglia
del
marito.
La
procedura
matrimoniale
era,
quindi,
il
mezzo
principale
con
il
quale
si
attestava
la
cittadinanza
e si
identificava
il
cittadino.
In
questa
prospettiva
il
matrimonio
risultava
centrale,
in
quanto
legittimava
l’appartenenza
allo
stato,
oltre
che
essere
garanzia
della
cittadinanza
e
della
sopravvivenza
della
struttura
sociale
stessa.
Riferimenti
bibliografici:
Corsaro
M.,
Gallo
L.,
Storia
greca,
Le
Monnier,
Firenze
2014.
Bearzot
C.,
La
polis
greca,
Il
Mulino,
Bologna
2009.
Poma
G.,
Le
istituzioni
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della
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in
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Il
Mulino
Bologna
2003.