N. 24 - Maggio 2007
LA
CIRCOLAZIONE NELL'URBE IMPERIALE
Un
disciplinato caos per una grande città
di Tiziana Bagnato
Un’animazione intensa,
un’articolata confusione, una forte
partecipazione. Dalle tabernae con i
loro banchi in mostra sulle strade, ai
barbieri che rasavano i loro clienti in mezzo
alla strada, ai venditori ambulanti di
Trastevere che girovagavano tentando di
barattare i loro pacchetti di zolfanelli con
oggetti di vetro, ai maestri che facevano
lezione all’aperto, ai capannelli intorno agli
incantatori di vipere: durante il giorno,
nelle vie dell’Urbe imperiale sfilavano i
personaggi più vari così come echeggiavano
rumori di ogni sorta.
E quando il sole calava,
lasciando la città nel buio più pesto, non
portava via con sé anche i rumori molesti,
che, invece, continuavano a risuonare
scandendo il sonno dei romani. Alla base di
quella che oggi potrebbe sembrare un’anomala
situazione, c’è una legge di Cesare, il quale
aveva stabilito che il trasporto delle merci
con le bestie da soma dovesse avvenire solo la
notte.
Una decisione legata al fatto
che i vici, le strade ordinarie, le
nostre vie, erano alquanto ristrette, e,
quindi, poco adatte a lasciar passare carretti
e convogli durante il giorno, quando le strade
erano piene di gente e banchetti.
Da questa corretta
considerazione, seguì l’imperativo per cui
“dal levar del sole fino al primo crepuscolo
non erano tollerati carri in movimento dentro
l’Urbe”.
I carri che l’alba sorprendeva
nell’Urbe, dovevano fermarsi e stazionare
vuoti. Questa rigida legislazione aveva però
delle eccezioni temporanee concesse ai carri
delle Vestali, del rex sacrorum, dei
Flamini, nei giorni delle cerimonie solenni;
ai carri indispensabili alla processione della
vittoria, nei giorni di trionfo, e ai carri
richiesti dalla celebrazione dei giochi
pubblici.
Un’eccezione valida, invece,
tutti i giorni dell’anno riguardava i carri
degli appaltatori che dovevano costruire in
città.
Al di fuori di questi casi,
circolavano solo pedoni, cavalieri e padroni
di lettighe e portantini. E i funerali, di
qualsiasi tenore fossero, prevedevano che il
defunto fosse trasportato su una semplice
barella, portata a braccia dai vespillones.
Le regole dettate da Cesare,
verranno poi estese. Claudio, ad esempio, le
estenderà dall’Urbe ai municipi italici, Marco
Aurelio a tutte le città dell’Impero, senza
eccezioni per i loro statuti municipali.
Ne seguiva una Roma mai
completamente addormentata, sempre vigile e
animata, pur quando nelle sue strade senza
illuminazione, sembravano circolare solo
ombre, oscure figure che con il loro lavoro
notturno provvedevano alle necessità della
città, e di chi, stanco de l lavoro diurno
vissuto spesso in quelle stesse strade, faceva
riposare il corpo stanco.
E questa sorta di condanna a
non dover mai dare riposo all’orecchio, viene
così descritta dall’attento testimone della
quotidianità romana Giovenale: “Qual mai
casa d’affitto consente il sonno? …il via vai
dei carri per le voltate delle anguste vie e
lo schiamazzo delle mandre ferme anche a un
druso toglierebbero il sonno, anche alle
foche”.
Riferimenti bibliografici:
Jerome Carcopino,
La vita quotidiana a Roma, Laterza, 1982, Bari |