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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


contemporanea

OLTRE IL CONFINE

L’INFERNO DELLA GRANDE GUERRA RACCONTATO ATTRAVERSO IL CINEMA

di Carlo Desideri

 

Nel primo capitolo del libro Il Secolo Breve di Eric J. Hobsbawn è possibile ritrovare queste parole: «ci furono momenti nei quali dio o gli dei, che nella credenza degli uomini pii avevano creato il mondo, avrebbero potuto rimpiangere di averlo fatto».

 

Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli stati maggiori di tutti i paesi belligeranti prevedevano una guerra breve, seguendo la convinzione che sarebbero stati a casa per Natale. Tuttavia, da tutti venne commesso l’errore di sottovalutare il ruolo della difesa e sopravvalutare quello dell’attacco. La Guerra assunse presto il carattere di una “guerra di posizione”, si concluse solo nel 1918 e causò un numero spropositato di morti, con pesanti conseguenze anche nell’immediato dopoguerra. Lo stesso Wilson, nel 1917, durante il discorso al congresso sulla dichiarazione di guerra la definì “la più terribile e disastrosa di tute le guerre”.

 

Rispetto alle guerre passate, vi fu un aumento incredibile della potenza di fuoco delle armi utilizzate, consentita dal rapido sviluppo tecnologico degli armamenti. Il principale problema strategico consisteva nel dispiegare questa potenza di fuoco vicino alle linee nemiche, ponendola al riparo delle difese avversarie, per un attacco fulmineo capace di abbattere la resistenza nemica.

 

Nelle battaglie della Grande Guerra l’unico mezzo per difendersi dalla potenza di fuoco nemica erano le trincee. Il fallimento delle grandi offensive del 1914 costrinse milioni di uomini su tutti i fronti a scavare migliaia di chilometri di fossati e gallerie in cui ripararsi. Le linee di trincee di milioni di uomini si fronteggiavano dai fronti opposti, protetti da sacchi di sabbia e costretti a vivere come animali in mezzo ai topi, ai pidocchi e ai parassiti, ad alcune centinaia di metri di distanza, al massimo a un chilometro, nel freddo invernale, spesso privi di pasti caldi con carenza di sonno per la necessità di guardia e, nel mentre, tutto intorno venivano creati dei crateri formati da cannonate lanciate nel tentativo di danneggiare le difese nemiche, che poi, riempiti dalla pioggia, si trasformavano in stagni.

 

Perché la situazione si sbloccasse era necessario attaccare. Gli assalti venivano preparati dall’artiglieria, che cercava di seminare la morte nelle trincee avversarie e di distruggere le postazioni delle mitragliatrici. Dal 1915 i tedeschi iniziarono a utilizzare il gas mortale, sperimentandolo per la prima volta lungo il fronte Occidentale presso la città belga di Ypres e da quell’evento gli eserciti, e spesso anche le popolazioni dei centri vicini, furono dotati di maschere antigas.

 

Piero Purich, in un suo articolo, ci ricorda come la prima guerra mondiale sia stata e rimane uno dei miti fondativi dello stato-nazione, soprattutto nei paesi vincitori. Gli anni tra il 1914 e il 1918 sono stati avvolti da un’aura di sacralità che ancora oggi si può cogliere nei monumenti, nei cimiteri e nelle cerimonie che ricordano la grande guerra. Ernst Junger, nel suo libro Tempeste d’acciaio, racconta come inizialmente i soldati fossero colti da un improvviso entusiasmo verso il “mito” della guerra riportando queste parole: «La guerra ci aveva afferrati come un’ubriacatura. Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue. Non il minimo dubbio che la guerra ci avrebbe offerto grandezza, forza, dignità. Essa ci appariva azione da veri uomini: vivaci combattimenti a colpi di fucile su prati fioriti dove il sangue sarebbe sceso come rugiada. “Non v’è al mondo morte più bella…” cantavamo. Lasciare la monotonia della vita sedentaria e prender parte a quella grande prova. Non chiedevamo altro».

 

L’entusiasmo descritto da Junger è lo stesso che si può ritrovare anche nel personaggio di Ungaretti, ma come loro molti altri soldati furono inebriati dall’ideologia della difesa della patria, dell’onore e della gloria che avrebbe portato la vittoria; tuttavia, gli stati d’animo non tardarono a cambiare. Il sacrificio di vite umane fu immenso e il senso di appartenenza alla comunità particolare dei combattenti, che si sentivano fortemente traditi e abbandonati del ceto politico e dagli alti comandi militari, da cui si sentivano considerati come carne da macello, diffuse nelle trincee un crescente spirito di rivolta, che spesso si rivolgeva contro gli ufficiali, quando questi applicavano in maniera insensata la disciplina. Il senso di appartenenza non si provava più verso la patria, sempre più percepita come lontana, ingrata e iniqua, ma dal senso di comunità con il battaglione, con il quale si rischiava ogni giorno la vita, con gli uomini che vivevano e morivano nella stessa trincea e anche con quegli ufficiali che conservavano con la truppa un legame profondo.

 

Molte unità vennero decimate dai loro ufficiali perché si erano rifiutate di esporsi al fuoco, e gruppi di soldati che spararono agli ufficiali responsabili di eccessi repressivi. Avvenivano episodi di fraternizzazione con il nemico, di autolesionismo e di automutilazione per sfuggire alla vita di trincea, insubordinazioni collettive, il numero di coloro che disertavano consegnandosi al nemico come prigionieri aumentava. Erano modi per porre individualmente fine alla guerra, in reazione a una carneficina di cui nessuno capiva più il senso né la legittimità.

 

Molti registi hanno voluto riportare le situazioni descritte precedentemente sul grande schermo, portando queste problematiche agli occhi della cultura di massa e spesso molte di queste produzioni sono ispirate a racconti o addirittura a romanzi di autori che sono stati testimoni di tali eventi.

 

Nel 1930, ad esempio, esce il film All’Ovest niente di Nuovo (All Quiet on the Western Front), del regista Lewis Milestone, tratto dal romanzo Niente di nuovo sul fronte Occidentale (Im Westen nichts Neue) dell’autore tedesco Erich Maria Remarque. Sia nel film che nel libro viene analizzato e rappresentato il fenomeno di indottrinamento e incitamento alla guerra, che sprona i giovani a imbarcarsi in quella che credono essere un’avventura giusta e gloriosa, ma che si rivela essere poi in realtà semplicemente una strada verso le tragedie della guerra, portando a un’inevitabile disillusione. Del film ne è stato poi fatto anche un rifacimento nel 1979, con un titolo omonimo, dal regista Delbert Mann.

 

Il regista Stanley Kubrick ha voluto rappresentare le ambientazioni e le problematiche storiche sopra riportate in una delle sue opere cinematografiche: Paths of Glory. Il film, basato sul romanzo omonimo dello scrittore Humphrey Cobb, è uscito nelle sale americane nel 1957, mentre in quelle italiane nel Gennaio del 1958, intitolato Orizzonti di Gloria. La storia è ambientata nel 1916, sul fronte francese, e vede le truppe dell’Intesa prepararsi per un attacco offensivo alla base nemica tedesca soprannominata “il formicaio”. Tramite questo pretesto si possono osservare varie reazioni in relazione all’ordine dell’attacco.

 

Uno dei personaggi principali è il generale Mireau, che desidera prendere il comando delle truppe di trincea che dovrebbero mettere in atto l’offensiva, con la consapevolezza che, in caso di successo, avrebbe potuto ottenere una promozione nell’esercito. In una delle prime scene viene rappresentata la sua visita alla trincea, durante la quale, assieme al suo attendente, il maggiore Saint-Aubain, con lo scopo di incitare le truppe. Durante la sua visita, il generale incontra un soldato in piena crisi di shock che colpisce duramente, rimproverandolo e dichiarandolo un codardo. Non tutti i personaggi presentatici sono favorevoli all’attacco e uno di questi è rappresentato dal colonnello Dax, interpretato da Kirk Douglas, il quale espone il suo scetticismo sulla riuscita dell’operazione e la sua preoccupazione per le conseguenze, tentando di convincere il generale ad annullare l’offensiva. L’attacco porterà infatti a un totale massacro. La prima ondata, guidata proprio da Dax, fallisce e subisce pesanti perdite, tanto da indurre gli uomini della seconda a rifiutarsi di attaccare e Mireau come forma di punizione ordina ad alcuni soldati di sparargli, ma il comandante di artiglieria si rifiuta di eseguire l’ordine. Alla fine Mireau decide di far giustiziare 100 uomini per tradimento e diserzione, viene però convinto in seguito di ridurre il numero a 3, tra i quali vi è anche un ufficiale ritenuto scomodo dai superiori che vedono nella condanna un’occasione per eliminarlo.

 

Nel 1959, in Italia esce invece La Grande Guerra di Mario Monicelli, film ambientato nel 1916, che vede i soldati dell’esercito italiano tentare di organizzare una dura controffensiva contro gli austriaci, in seguito alla disfatta di Caporetto. I protagonisti sono Alberto Sordi e Vittorio Gassman, i quali interpretano due personaggi all’apparenza negativi, che tentano di trovare ogni escamotage per sopravvivere alla guerra, nella speranza che possa giungere presto al termine e che si ritrovano a essere verso il finale prigionieri degli austriaci e in possesso di importanti informazioni sul contrattacco italiano. Inizialmente intenzionati a vendere le proprie informazioni in cambio della propria vita, decidono alla fine di non divulgarle una volta che l’orgoglio nazionale prende il sopravvento, accettando la fucilazione da parte del nemico e permettendo ai soldati italiani di riuscire nell’attacco. Nonostante questo i due non verranno ritenuti degli eroi dagli ufficiali italiani, i quali non sono a conoscenza dei fatti avvenuti e nutrono invece una bassa stima nei confronti dei protagonisti; saranno invece catalogati come codardi, dando per scontato che siano scappati alla prima occasione, nonostante alla fine si dimostrino essere i veri eroi della situazione e abbiano sacrificato le proprie vite per la riuscita dell’operazione.

 

Nel 1970 esce Uomini Contro un film che riprende tematiche in parte a quelle viste in Orizzonti di Gloria. Il film è diretto del regista Francesco Rosi ed è ambientato sull’altopiano di Asiago. Anche in questo caso vengono rappresentate le conseguenze disastrose legate a scelte sbagliate da parte degli ufficiali che portano a un’inutile perdita di vite umane.

 

Un ultimo film da prendere in considerazione – nonostante vi sarebbero numerosi altri esempi da riportare – è il recente 1917, uscito nelle sale nel 2019 sotto la regia di Sam Mendes. Il film ha una narrazione piuttosto semplice, che vede i due protagonisti William Schofield e Tom Blake compiere una missione che prevede l’attraversamento della terra di nessuno per raggiungere il fronte alleato in un giorno, con lo scopo di consegnare un messaggio contenente l’ordine di annullamento dell’attacco che deve essere lanciato. Attraverso questo espediente vengono mostrati gli elementi più caratterizzanti della Grande Guerra: soldati in crisi psicologiche, feriti mutilati, la desolazione lasciata sul campo di battaglia in seguito agli scontri e le dure condizioni di vita all’interno della trincea, realizzata in modo molto crudo e realistico.

 

I film citati sono solo alcuni dei tanti che trattano questo argomento. Molti sono i registi che hanno voluto, e che vogliono tuttora, riportare su schermo le tragedie legate alla Grande Guerra, ma all’interno di queste narrazioni e di questi racconti un elemento sembra accomunare quasi tutti: la tragicità della guerra. Non è la vittoria, né la gloria, né la sopravvivenza a emergere come elemento dominante all’interno di queste narrazioni; non sembrano esserci stati dei veri vincitori, né in realtà dei veri e propri nemici, da entrambi i fronti le sofferenze e le emozioni provate erano pressoché le stesse.

 

Il vero nemico, almeno da quanto emerge dalle narrazioni prese in considerazione, è la Guerra stessa e così continua ancora oggi a essere rappresentata, assieme alla follia e agli errori che l’hanno caratterizzata.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Prosperi A., Zagrebelsky G., Viola P., Battini M., Storia e identità. Il Novecento e oggi, Mondadori, Milano 2012.

Ernst J., Nelle Tempeste d’acciaio, Guanda, Milano 2020.

Hobsbawn E.J., Il Secolo Breve 1914-1991, Mondadori, Milano 2018.

Mazzini R. (a cura di), I Più Celebri Discorsi della Storia. Dall’antichità alle soglie della seconda Guerra Mondiale, Barbera Editore, Siena 2013.

Purich P., L’Italia e la Grande Guerra senza la retorica nazionalista, 3 Novembre 2018, Internazionale.it. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]