[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

165 / SETTEMBRE 2021 (CXCVI)


contemporanea

TRA COSMISMO E TRADIZIONE NEL CINEMA DI TARKOVSKIJ

SOLARIS E NOSTALGHIA / PARTE II

di Gianfranco Massetti

 

Per quanto lontano dalle idee eccentriche del cosmismo, Tarkoskij individua curiosamente il borgo medievale di Bagno Vignoni come ambiente scenografico di Nostalghia, penultimo film della sua carriera cinematografica girato nel 1983 in Italia. Alla cura delle acque sulfuree della vasca termale di Bagno Vignoni, era stata destinata dalla madre la giovane Caterina da Siena allo scopo di distoglierla da qualsiasi velleità di diventare una Santa anoressica. È dunque intorno al tema dell’autotrofia della Santa anoressica che ruota la vicenda di un film in cui si parla di ritorno alla vita attraverso la sacralità del rito come atto propiziatorio di rivelazione della divinità declinata secondo il genere femminile.

 

In perfetto sincronismo con l’incidente di Chernobyl, usciva nel 1986, l’ultimo film di Tarkovskij, Sacrificio, dove la dimensione dell’esorcismo e del rito riflettono invece il terrore dell’apocalisse nucleare. Nel miracolo della germogliazione dell’albero-ikebana si riflette la saggezza di un racconto di Lao-tze e, ancora una volta, un principio dei cosmisti, quello del panpsichismo di Konstantin Ciolkovskij, padre della cosmonautica.

 

Nel lungo monologo di Alexander, uno dei protagonisti di Sacrificio, emerge tutta l’assurdità di una conoscenza e di una civiltà fondate sul principio di dominio della natura: «L’uomo si è sempre solo difeso, dagli altri uomini e dalla natura che lo circondava. L’ha addirittura combattuta, conquistandone sempre nuovi pezzi. Continuando a sfigurarla. Il risultato è stata la nostra civiltà, basata sulla forza, il potere, il terrore e la dipendenza. E tutto il nostro cosiddetto progresso tecnico è servito sempre e soltanto a procurarci o nuove comodità o strumenti per il mantenimento del potere. Siamo come selvaggi – usiamo il microscopio al posto del randello. No, no, i selvaggi sono molto più spirituali di noi, mi sono sbagliato! Qualsiasi conquista della scienza la rivolgiamo subito al male. Per quanto riguarda il comfort, poi, c’è stato un uomo intelligente che ha detto che tutto quello che non è indispensabile è peccato. Se è così tutta la nostra civiltà è costruita sul peccato. Siamo arrivati a una tremenda disarmonia, a uno sfasamento, cioè, tra lo sviluppo materiale e quello spirituale. La nostra cultura, meglio, la nostra civiltà è sbagliata, figlio mio. Tu mi dirai che si può studiare il problema e cercare una via d’uscita. Può darsi. Se non fosse così tardi».

 

Alla base di questa cultura della morte, di questa civiltà nichilista, per usare un termine abusato, c’è una concezione errata della vita a partire dal concetto stesso di morte e della sua paura, che Alexander affronta poco prima: «Non c’è nessuna morte. C’è, è vero, la paura della morte, ed è una paura molto meschina, che induce molti a fare quello che gli uomini non dovrebbero fare. Ma immaginati un po’ come tutto cambierebbe se smettessimo di temere la morte. Se superassimo il terrore della morte. Anche se gli scienziati ritengono che si tratti di un terrore ineliminabile. Una specie di difesa. Un po’ come il dolore fisico, che ci avverte del pericolo. Io non lo credo, non sono d’accordo». Ma il tema della morte come origine dei mali della società è ancora un tema fëdoroviano, come fëdoroviana è l’affermazione che non vi è progresso tecnico-scientifico senza un parallelo progresso spirituale e senza una riconciliazione tra scienze tecniche e umanesimo.

 

Nostalghia rappresenta la metafora di un nuovo inizio, della riconciliazione dell’uomo con se stesso, a partire dalla riconciliazione di genere e della riconciliazione della donna con se stessa e con la sua vocazione alla vita, ed è il punto di partenza della riconciliazione dell’Uomo con la natura che può essere attuato solo attraverso la riconciliazione degli opposti con cui ristabilire l’equilibrio dei due principi che governano l’ordine delle cose e dell’universo, lo Yin e lo Yang rappresentati sul kimono di Alexander, nelle scene finali di Sacrificio.

 

Gorciakov è uno scrittore russo che è venuto a documentarsi in Italia sulla figura di un suo compatriota, Maksim Sazontovic Berezovskij, un musicista vissuto tra la prima e la seconda metà del settecento. Nel suo viaggio lo accompagna Eugenia, una giovane donna che gli fa da traduttrice.

 

Berezovskij era stato un musicista molto precoce, che nonostante la condizione servile venne inviato in Italia dal principe Potëmkin per seguire i corsi dell’Accademia musicale di Bologna. In Italia, Berezovskij divenne ben presto famoso per le sue numerose composizioni, ma Potëmkin nel 1774 gli ordinò di rientrare in patria per fondarvi un conservatorio. Riprese dunque a vivere in Russia, dove si sarebbe innamorato di una giovane attrice, come lui di condizioni servili. Berezovskij divenne in breve tempo un alcolizzato e nel 1777 si tolse la vita, poiché il padrone della ragazza, essendo geloso di lui, l’avrebbe violentata e fatta deportare in Siberia.

 

Sulle tracce del soggiorno toscano di Berezovskij, lo scrittore russo si ferma nei pressi della cattedrale di Monterchi, dove si custodisce la Madonna del Parto di Piero della Francesca. All’interno della cattedrale, Eugenia assiste così a una cerimonia. Si tratta di un rito mariano di propiziazione della maternità. Reduce da alcune delusioni sentimentali, Eugenia è alla ricerca di un senso, di un significato esistenziale, di qualcosa o qualcuno in cui sentirsi realizzata sia come donna che come persona. Ma Eugenia, da donna emancipata quale è, della maternità ha semplicemente paura.

 

Rimasto fuori ad attendere la sua guida, Gorciakov, che aveva manifestato in un primo tempo il desiderio di vedere la Madonna del Parto, non ce la fa a entrare nella cattedrale: è stanco, stanco di ammirare le bellezze dell’Italia. Esattamente agli antipodi dell’Idiota di Dostoevskij è probabilmente consapevole che nessuna bellezza salverà il mondo. Vorrebbe rivedere invece sua moglie, i suoi figli, la sua terra, lontano dalla quale prova un’immensa “Nostalghia”, come dicono nella pronuncia del loro italiano i russi. È probabilmente la nostalgia della sua madre terra che lo ha spinto quindi a visitare il luogo dove si custodisce l’icona con la Madonna del Parto di Piero della Francesca. Nella sala d’attesa di una vecchia pensione, a Bagno Vignoni, presso le terme dove veniva a curarsi Caterina da Siena, Eugenia e Gorciakov discutono intorno alla difficoltà dei popoli di comprendersi. Eugenia sta leggendo una traduzione delle poesie di Arsenij Tarkovskij, ma Gorciakov, che le consiglia di buttare il libro nella pattumiera, sostiene l’idea che l’arte e la poesia non sono traducibili e che gli italiani non capiscono affatto la Russia, ma che neanche i russi conoscono davvero l’Italia e la sua cultura. Ricevute le chiavi delle rispettive stanze, Gorciakov ed Eugenia si appartano.

 

Dopo una breve perlustrazione del suo appartamento, lo scrittore si corica e si addormenta profondamente. Quindi, alle immagini della veglia gli si sovrappongono quelle oniriche della Madonna del Parto. L’immagine di una donna incinta, sdraiata sopra un letto, che richiama la rappresentazione della Koimesis, la “Dormitio Virginis” bizantina, alla quale il cristianesimo occidentale ha finito per sostituire la colpevole immagine dell’Assunzione di Maria. Il giorno dopo, Eugenia e Gorciakov, nei pressi della vasca che porta il nome di Caterina da Siena, faranno la conoscenza di Domenico, un vecchio dall’aspetto malandato, che un tempo viveva con la sua famiglia a Bagno Vignoni.

 

Caterina Benincasa era stata una delle numerose sante anoressiche che hanno costellato la storia del cristianesimo occidentale tra la fine del medioevo e l’età moderna. La sua vocazione sarebbe nata in seguito alla morte della sorella per parto. Domenico, che gli abitanti di Bagno Vignoni considerano un povero demente, si rivolge a Eugenia dicendole di non scordare la rivelazione che Dio ha voluto fare a Santa Caterina: «Tu sei colei che non è. Io sono colui che è».

 

Domenico è reduce dal manicomio criminale. Si era barricato in casa con la famiglia in attesa della fine del mondo. Ma la fine del mondo non era mai arrivata e un giorno, invece, erano arrivati i carabinieri. Gorciakov vuole assolutamente parlare con Domenico, andare a casa sua, vederlo, dice di capire il suo comportamento, il suo stato d’animo. Domenico non è un pazzo, voleva soltanto proteggere la sua famiglia, perché è un uomo religioso, un uomo che ha fede. Solo un russo può essere in grado di capire queste cose. Con Eugenia, lo scrittore si reca allora a trovare Domenico. Lei però se ne torna subito alla pensione di Bagno Vignoni, dimostrando ostilità nei confronti di Gorciakov, poiché continua a dar retta a un povero malato di mente.

 

Le scalcinate, iridescenti pareti dell’abitazione di Domenico sono libere citazioni pittoriche. Rappresentano la dissoluzione psichica dell’Io alla quale sono giunte le avanguardie artistiche del novecento. Domenico non è pazzo, ma abita semplicemente la pazzia della civiltà moderna. In procinto di allontanarsi dalla casa del vecchio, Gorciakov riceve una richiesta di aiuto. Lui, Domenico, non può farlo, perché la gente lo ritiene pazzo. Ogni volta che tenta di immergersi nella vasca di Santa Caterina pensano che stia cercando di affogarsi. Ma è importante. Si tratta di una sorta di esorcismo. Bisogna attraversare la vasca con una candela accesa. Toccare le due sponde della vasca, cercando di impedire che la candela venga a spegnersi.

 

Tornato alla pensione, a Bagno Vignoni, Gorciakov vi ritrova Eugenia che, umiliata e delusa per il suo comportamento, gli fa una scenata. Eugenia vorrebbe essere capita, amata, apprezzata, ma gli uomini, da lei, vogliono una sola cosa. Anche Gorciakov, che sembrava tanto diverso dagli altri, forse, vuole soltanto questo. Ma lo scrittore rimane attonito e completamente sorpreso dalle parole di Eugenia. Lui non vuole proprio niente. Eugenia si è sbagliata, perché Gorciakov non pensava a nessuna storia, a nessuna avventura. È lei che se l’è messo in testa. È lei che si è innamorata di Gorciakov.

 

A Bagno Vignoni la stagione termale è finita e lo scrittore deve recarsi all’aeroporto per tornare a casa. Improvvisamente, da Roma, lo chiama per telefono Eugenia. Lo vuole salutare. Lei adesso si è sistemata. Ha finalmente trovato un uomo; una persona visibilmente gretta, ma che a suo dire si occupa invece di problemi spirituali. Ha chiamato Gorciakov perché Domenico è da qualche giorno a Roma, dov’è riuscito a improvvisare un comizio con dei suoi amici. L’ha pregata di ricordargli la sua promessa.

 

Allora, Gorciakov ritorna alla piscina di Santa Caterina, che alcuni operai delle terme stanno ripulendo. Accende la candela che Domenico gli aveva dato e cerca di attraversare la vasca da sponda a sponda. Ma una corrente d’aria, ogni volta, spegne la fiamma. Intanto, Domenico è quasi al termine del suo comizio nella piazza del Campidoglio. Dalla statua equestre di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, grida con un megafono alcune frasi che citiamo ricavandole dal racconto cinematografico di Tarkovskij: «Perché l’umanità possa avanzare, e non rimanere sospesa sull’orlo del baratro, dobbiamo camminare mano nella mano, i cosiddetti sani con i cosiddetti pazzi. Ehi! Sani! Che cosa significa la vostra salute?! Dovete rassegnarvi, finalmente, a dire a voi stessi: Dobbiamo vivere con loro, mangiare con loro, bere con loro, dormire con loro. A cosa vi serve la libertà se non avete nemmeno il coraggio di guardare negli occhi la verità: con la vostra cosiddetta salute avete portato il mondo sulla soglia della catastrofe. L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi! Io parlo chiaramente, senza ascoltare nessuno, perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete tornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Che cosa vale questo mondo, che cosa vale la sua giustizia, quando un povero malato di mente, come ci chiamate, vi dice: vergognatevi! Fino a che siete in tempo: vergognatevi!».

 

Infine, un amico di Domenico aziona un impianto stereofonico che trasmette la registrazione della Quinta sinfonia di Beethoven. Sulle note dell’Inno alla Gioia, che invitano nel loro furore dionisiaco alla fratellanza, Domenico si cosparge di benzina e si dà fuoco. Intanto, a Bagno Vignoni, dopo l’ennesimo tentativo, Gorciakov riesce a portare a termine il suo compito. Toccata la sponda opposta della vasca di Santa Caterina, viene però colpito da infarto e muore. Nostalghia si chiude con le immagini della campagna russa, che sfuma progressivamente tra le mura decrepite dell’antica cattedrale di San Galgano, la cui costruzione non fu mai ultimata.

 

Frutto di una coproduzione italo-sovietica dei primi anni ottanta, il film di Tarkovskij viene ultimato durante la primavera del 1983. L’Inno alla Gioia, su le cui note avviene il suicidio di Domenico, era invece, nella sceneggiatura, il Tannhäuser di Wagner. Tarkovskij scriveva nel suo diario (Martirologio) l’8 febbraio del 1983: «Tutta la musica occidentale è, in fin dei conti, puro empito drammatico: “Io voglio, pretendo, desidero, chiedo, soffro”. Quella orientale invece (Cina, Giappone, India): “Io non voglio niente, io sono niente” – una dissoluzione completa in Dio, nella Natura. L’oriente: frammenti superstiti di antiche culture, autenticamente civili, contrapposte all’Occidente, centro dell’errata, tragica civiltà tecnologica. Ribelle contro Dio, avida, cervellotica, pragmatica. Proprio perché la Russia si trova tra l’Oriente e l’Occidente, in essa si percepisce un’essenza diversa da quella dell’Occidente, che è peritura e sbagliata».

 

Non distante dalla cattedrale di San Galgano, la spada nella roccia del santo guerriero identifica una fede incrollabile e la necessità di rettificare le proprie scelte. L’arte medievale europea era secondo Fëdorov un esempio metodologico di come arrivare a un’unica visione del mondo a vantaggio di quello che era il progetto di salvezza dell’uomo. Ciò che serviva per il progetto dell’opera fëdoroviana non era una regressione al medioevo, ma un ritorno allo spirito di quell’epoca, ovvero a quella energia e quella concezione unitaria delle conoscenze che doveva portare a una visione del mondo adatta alla nuova epoca. Qualcosa di queste idee troviamo ancora in Tarkovskij.

 

Una sintesi complessiva nella concezione di Tarkovskij sulla conoscenza può essere probabilmente individuata nella visita di Gorciakov alla casa di Domenico. Le cifre della scritta a carboncino sull’intonaco della parete 1+1= 1 alludono in modo neppure troppo ermetico a una dimensione della conoscenza di tipo olistico. Una concezione secondo cui una goccia di olio più un’altra goccia, come fa dire il regista a Domenico, non fanno due gocce, ma una sola goccia più grande.

 

È un’esortazione a superare la dualità e cercare l’Uno in tutte le cose. Ritornare al punto dove l’umanità si è persa «imboccando la via sbagliata». Trovare una sintesi tra immanenza e spiritualità; quella sintesi che Tarkovskij ci mostra nell’alchimia poetica dei suoi film.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Tarkovskij, Racconti cinematografici, Milano 1994.

A. Tarkovskij, Scolpire il tempo, Milano 1988.

A. Tarkovskij, Diari, martirologio , Firenze 2002.

A. Frezzato, Tarkovskij, Firenze 1977.

T. Masoni e P. Vecchi, Andrei Tarkovskij, Firenze 1997.

M. Gardner, L’universo ambidestro. Nel mondo degli specchi, delle asimmetrie, delle inversioni, Bologna 1984.

P. Florenskij, La prospettiva rovesciata, Milano 2020.

G.M. Young, I cosmisti russi, Roma 2017.

R. Bell, La santa anoressia, Milano 1992.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]