contemporanea
TRA COSMISMO E TRADIZIONE NEL CINEMA DI
TARKOVSKIJ
SOLARIS E NOSTALGHIA / PARTE I
di Gianfranco Massetti
Andrej Tarkovskij ha mostrato, nella sua
autobiografia artistica, Scolpire il
tempo, come lo strumento
cinematografico, che nella nostra epoca
tecnologica si presta a comprendere
meglio la realtà, possa assumere un
carattere conoscitivo. Per mezzo del
cinema, scriveva il regista sovietico, «bisogna
porre i problemi più complessi del mondo
moderno, al livello di quei grandi
problemi che nel corso dei secoli sono
stati l’oggetto della letteratura, della
musica, della pittura».
Tarkovskij ha dichiarato a proposito di
Solaris che l’argomento
fantascientifico era stato ciò che lo
aveva interessato di meno, poiché finiva
per costituire una distrazione rispetto
al tema principale. Ma se la
fantascienza è solo un pretesto, quale è
l’argomento preponderante del film?
Lo apprendiamo dal dialogo tra il
protagonista, Kris Kelvin, e suo padre.
Preoccupato per la sorte di Kris a bordo
della stazione spaziale di Solaris, non
riesce a capire le ragioni di una
missione disperata, in cui non ci
saranno possibilità di successo. Ma Kris
risponde che non si tratta del solo
problema di Solaris, lo scopo della
missione è invece quello dei «limiti da
dare alla conoscenza umana».
Commenta l’anziano genitore: «la
conoscenza è morale, ci riteniamo
onnipotenti, ma a volte siamo incapaci
di distinguere ciò che è morale da ciò
che non lo è». Kris sostiene però
che è l’uomo a rendere la conoscenza
morale o meno.
Antico quanto l’uomo stesso, quello
della conoscenza è il problema del
peccato originale, che è anche, da una
prospettiva diversa, ma tutto sommato
analoga, quello dell’immortalità di
Faust, e cioè, in entrambe i casi, il
problema dell’orgoglio umano di volersi
rendere simili a Dio, attingendo ai
frutti dell’albero della conoscenza del
bene e del male. «Dal momento stesso
in cui Eva mangiò il pomo dell’albero
della conoscenza» – scrive
Tarkovskij –, «l’umanità fu
condannata a una ricerca senza fine
della verità. Prima di tutto, come è
noto, Adamo ed Eva si accorsero che
erano nudi e ne provarono vergogna. Ne
provarono vergogna perché compresero e
cominciarono il proprio cammino dalla
gioia di conoscersi l’un l’altro. Ciò fu
l’inizio di ciò che non ha fine […].
Accadde così che l’uomo, questo
“coronamento della natura” comparve
sulla terra allo scopo di conoscere
perché propriamente egli vi comparisse o
vi fosse inviato. E per mezzo dell’uomo
il Creatore conosce se stesso. Questo
cammino viene chiamato usualmente
evoluzione; un cammino che viene
accompagnato dal tormentoso processo di
autoconoscenza».
Non è difficile scorgere in questa
concezione una teoria della conoscenza
che riecheggia il motivo gnostico di un
percorso verso l’illuminazione e la
reintegrazione della divinità, che in
questo caso coinvolge non la singola
personalità individuale, ma l’umanità
intera. Si tratta di un programma che
assume come modello, invece del
materialismo storico, la cultura
magico-alchemica, di cui troviamo
traccia, nella Russia comunista,
addirittura in un campo strategico come
quello della cinematografia, attraverso
il cenacolo rosacrociano messo in piedi
niente meno che da Sergej Eizenstejn.
Nel caso di Tarkovskij, il filo rosso
che va da questa cultura agli esiti del
pensiero cosmista che ne discende, con
diverse implicazioni nel caso di
Solaris e di altre opere del
regista, passa attraverso il
tradizionalismo religioso di Pavel
Florenskij, che emerge negli scritti
cinematografici di Tarkovskij come
figura carismatica. Nonostante il
rifiuto della teurgia prometeica del
cosmismo, il regista sovietico
stabilisce con esso un confronto a
partire dalle comuni affinità culturali,
come si può vedere nelle ultime due
opere cinematografiche, ma in modo
particolare in Nostalghia.
In Tarkovskij, i temi della conoscenza
come ricerca senza fine della verità
e come peccato originale sono già
presenti, accanto agli indispensabili
tributi verso l’ideologia sovietica, nel
suo primo lungometraggio per il
conseguimento del diploma di regista. Si
tratta de Il violino e il rullo
compressore. All’operaio che chiede
al piccolo protagonista quanti anni deve
dedicare allo studio del suo strumento,
questi risponde che dovrà studiare tutta
la vita. Al tema del peccato originale,
invece, si allude nella scena dove
l’aspirante musicista fa dono della sua
mela alla compagna di studi che attende
con lui a lezione.
Secondo Tarkovskij esiste un’epoca
dell’umanità in cui lo smisurato
orgoglio dell’uomo e la sua sete di
conoscenza lo hanno allontanato da Dio,
dalla Natura e dalla sua stessa vita.
Quand’è che l’uomo si è perduto, ha
smarrito il significato della propria
esistenza e insieme ad esso il vero lume
della ragione? In quale epoca è potuto
accadere ciò?
Quest’epoca è, secondo il regista, il
Rinascimento, quando i saperi hanno
cominciato ad andare ciascuno per conto
proprio, svincolandosi dalla tradizione
umanistica. Si tratta di un ragionamento
che Tarkovskij riceve, più o meno
consapevolmente, dall’influenza
esercitata dal pensiero di Nicolaj
Fëdorof e che giunge come un fiume
carsico ai cosmisti del secolo
successivo.
A partire dalla critica di questi ultimi
nei confronti della scienza moderna,
Tarkovskij condivide con il cosmismo
l’idea che un progresso tecnologico fine
a se stesso, non accompagnato da un
conseguente progresso morale nel campo
delle arti e del governo, può soltanto
condurre verso l’apocalisse. L’argomento
sarà però sviluppato ampiamente nelle
opere che concludono la sua carriera:
Nostalghia e Sacrficio.
La sceneggiatura di Solaris
costituisce un riadattamento del romanzo
dello scrittore polacco Stanislaw Lem,
autore verso la fine degli anni Sessanta
del Novecento di un racconto che poneva
dei grossi interrogativi nel campo della
gnoseologia. Nel tema dominante del
film, sembra però plausibile anche una
dialettica nei confronti dell’immortalismo
cosmista. L’obiezione di Tarkovskij a
questa idea è che un’indagine
scientifica svincolata dalla conoscenza
dell’uomo e dai legami con la natura e
il divino non può che scivolare in una
sorta di psicologismo che trascina uomo
e natura negli abissi della dissoluzione
psichica. Maggiormente presente in
Nostalghia, questo tema fa la sua
comparsa in Solaris.
Lo psicologo Kris Kelvin viene
incaricato di indagare sugli strani
fenomeni che si verificano a bordo della
stazione orbitale intorno a Solaris.
Egli trascorre la sua ultima giornata
terrestre nella casa di campagna del
padre e, prima della partenza,
improvvisa davanti ad essa un piccolo
falò di vecchi ricordi: appunti, riviste
e carte che risalgono al periodo dei
suoi studi universitari. Tra questi c’è
anche la fotografia della moglie morta,
che Kelvin porterà invece con sé nel suo
viaggio.
Giunto nell’orbita di Solaris, Kris
raggiunge la stazione spaziale, che
sembra deserta. Una palla da gioco, che
rotola ai suoi piedi, rivela tuttavia la
presenza del dottor Snaut. Questi
informa Kelvin del fatto che dei tre
abitanti della stazione orbitante,
Gibarjan, Sartorius e lui, il primo, che
era anche il capo della missione, si è
tolto la vita dopo che strani fenomeni
hanno cominciato a manifestarsi. Una
volta sistemato il bagaglio, Kelvin
raggiunge l’alloggio di Gibarjan. Qui
rintraccia una videoregistrazione che
quest’ultimo aveva realizzato per lui,
poco prima di uccidersi.
Gibarjan avverte in questo modo l’amico
psicologo che se anch’egli sperimenterà
gli strani fenomeni che si sono
manifestati all’equipaggio della base
spaziale, non deve assolutamente pensare
di essere pazzo. La causa di quei
fenomeni è da rintracciare nel magma di
Solaris, una sorta di materializzazione
dell’inconscio freudiano, che lui era
perfettamente d’accordo nel sottoporre a
bombardamento radioattivo.
Nel successivo incontro con Sartorius,
Kelvin capisce che, oltre a loro tre,
qualcun altro è presente sulla stazione
orbitale. Ritornato alla
videoregistrazione di Gibarjan, apprende
che le misteriose presenze che si
aggirano attorno sono la
materializzazione dei fantasmi che
abitano nella coscienza dei ricercatori
di Solaris. Così, subito dopo, appare
davanti a Kelvin una giovane donna, che
è la sosia di sua moglie Chari, morta
suicida dieci anni prima. Kelvin cerca
di sbarazzarsi di quel fantasma e invita
la donna a salire su una navicella
spaziale che manderà in orbita.
Incoraggiato dal comportamento di
Kelvin, finalmente Snaut potrà
spiegargli la natura degli strani
fenomeni che si presentano a bordo della
stazione spaziale. I “replicanti” sono
comparsi come ospiti un mese prima del
suo arrivo, quando i tre scienziati
hanno cominciato a bombardare la
superficie dell’oceano pensante di
Solaris. Più tardi, Kelvin vedrà
ricomparire nella sua stanza il fantasma
di Chari, e un po’ alla volta se ne
innamora. Sartorius lo avverte che
quella non è Chari, è soltanto una
“replica”, un corpo che, anziché essere
composto di atomi, è costituito da
neutrini, cioè di antimateria
stabilizzata dal campo magnetico di
Solaris. Feritasi gravemente contro una
porta metallica, Chari vede le sue
ferite rimarginarsi all’istante. L’acido
con cui Kelvin brucia un campione del
suo sangue non produce effetti duraturi,
perché il sangue della replicante si
rigenera.
Ecco perciò i tre scienziati a confronto
col problema dell’immortalità di Faust.
Per far cessare le apparizioni, Snaut e
Sartorius hanno avuto un’idea. Queste
apparizioni vengono estratte dall’oceano
di Solaris quando i tre scienziati si
addormentano. La soluzione sarebbe
quella di trasmettere all’oceano delle
radiazioni con l’encefalogramma di
Kelvin, durante il suo stato di veglia.
È l’ultimo tentativo che possono fare,
prima di ricorrere al bombardamento di
Solaris con le radiazioni dell’“annichilatore”
messo a punto da Sartorius, una macchina
che sarebbe in grado di distruggere i
neutrini dell’ oceano magmatico.
Sartorius, Snaut e Kelvin rappresentano
tre diversi atteggiamenti scientifici.
Per Sartorius la verità scientifica
costituisce un valore assoluto, un
“imperativo categorico” indipendente
dall’uomo stesso. Diversa è invece la
posizione di Snaut che riconosce la
necessità dell’indagine scientifica
soltanto in relazione ai doveri che la
scienza ha verso l’uomo. Distante da
entrambi, Kelvin si chiede: «Ma
perché andiamo a frugare nell’universo
quando non sappiamo niente di noi
stessi?» Il suo atteggiamento
nei confronti della scienza è critico e
anticipa, con la profonda sfiducia nei
confronti dell’uomo e della sua capacità
di migliorarsi, il pessimismo dello
scienziato e dello scrittore
protagonisti di Stalker.
Di fronte all’assurdo suicidio di
Gibarjan, la spiegazione di Sartorius è
quella del timore di aprirsi alla
conoscenza. Invece, Kelvin sostiene che
Gibarjan si è soltanto ucciso per la
vergogna. Il sentimento che salverà la
specie umana dalla propria
autodistruzione. Una sostanziale
parafrasi della nota espressione dell’Idiota
di Dostoevskij, secondo il quale a
salvare il mondo sarà la bellezza. Per
amore di Kelvin, anche la replicante
tenterà il suicidio, ingerendo
dell’ossigeno liquido. Ma poco dopo
riprende conoscenza. Quando
l’encefalogramma di Kelvin viene inviato
all’oceano di Solaris, questi cade in
uno stato di deliquio e sogna di
incontrare sua madre.
Risvegliatosi, apprende infine che Chari
ha deciso di sottoporsi all’annichilatore
di Sartorius e che tutti i replicanti
sono spariti. Intanto, nell’oceano di
Solaris hanno fatto la propria comparsa
alcune isole. Kelvin è di nuovo sulla
terra, vede la casa di suo padre e vi si
avvicina. Dalla finestra, scorge la
figura dell’anziano genitore e sulla
soglia di casa si inginocchia davanti a
lui. Dal lungo campo della cinepresa che
si allontana man mano, ci accorgiamo che
questa scena avviene all’interno di
un’isola dell’oceano di Solaris.
Il sangue della replicante che si
rigenera non può che ricordarci gli
esperimenti scientifici di Alexander
Bogdanov, brillante medico, tra i
fondatori del partito bolscevico e
scrittore di fantascienza, che
attraverso la pratica delle trasfusioni
ematiche cercava il modo per
ringiovanire le cellule, in direzione
degli studi biocosmisti del botanico e
naturalista Vasilij Kuprevich, che
presumeva di giungere alla rigenerazione
dell’organismo umano. Osservazione
analoga si potrebbe fare anche a
proposito della capacità del magma di
Solaris di interagire con la mente
umana, che ci rammenta la singolare
teoria storiometrica di Alexander
Chizhevskij sugli influssi delle macchie
solari nel corso degli eventi storici
dell’ uomo. Questi aspetti possono
tuttavia appartenere tanto al film di
Tarkovskij quanto al romanzo di Lem, che
rispetto alle possibili influenze
cosmiste sono comunque difficili da
disgiungere.
La prima versione italiana del film
consisteva di 105 minuti di proiezione,
a fronte dei 195 dell’originale e dei
165 minuti autorizzati dalla censura
sovietica. In Italia è stata quindi
sacrificata circa metà della pellicola,
mentre la versione integrale è stata
resa disponibile a partire dal 2001.
Tema centrale di Solaris è, come
abbiamo detto, il problema della
conoscenza e dei limiti entro i quali
può essere lecita. Dei tre modi di
concepire la ricerca scientifica da
parte dei protagonisti, Kelvin
rappresenta quello che si è smarrito nel
momento in cui il pensiero scientifico
si è orgogliosamente emancipato dai
principi della mimesi artistica. È
attraverso questa che gli esseri umani
possono cogliere appunto il divino,
avviandosi verso il percorso della
trascendenza, come accade con la
prospettiva rovesciata nel programma
figurativo dei pittori di icone.
Di fronte a una ricerca scientifica
divenuta invece autoreferenziale, in
quanto proclama la propria autonomia
rispetto alla natura e all’uomo stesso,
Tarkovskij rivendica il valore dell’arte
non come simbolo, ma come strumento di
conoscenza della verità, o addirittura
come archetipo stesso di questa. «Per
mezzo dell’arte» – scrive Tarkovskij
– «’uomo si appropria della realtà
attraverso un’esperienza soggettiva.
Nella scienza la conoscenza umana del
mondo procede lungo i gradini di una
scala senza fine, venendo
successivamente rimpiazzata da sempre
nuove conoscenze su di esso che sovente
si confutano a vicenda, in nome di
verità oggettive particolari. La
scoperta artistica, invece, nasce ogni
volta come un’immagine nuova e
irripetibile del mondo, come un
geroglifico della verità assoluta. Essa
si presenta come una rivelazione, come
un desiderio appassionato e improvviso
di afferrare intuitivamente tutte in una
volta le leggi del mondo – la sua
bellezza e il suo orrore, la sua umanità
e la sua ferocia, la sua infinità e la
sua limitatezza. L’artista le esprime
creando l’immagine artistica che è uno
strumento sui generis per cogliere
l’assoluto. Per mezzo dell’immagine si
mantiene la percezione dell’infinito
dove esso viene espresso attraverso le
limitazioni: lo spirituale attraverso il
materiale, lo sconfinato grazie ai
confini».
L’arte e la scienza, dunque,
costituiscono «un mezzo per appropriarsi
del mondo, uno strumento per conoscerlo,
sul cammino del movimento dell’uomo
verso la cosiddetta verità assoluta».
Ma «la somiglianza tra queste due forme
di incarnazione dello spirito creativo
dell’uomo» ha termine nel punto in cui
«l’arte non è scoperta, ma creazione».
Così, la verità nell’«attività
positivistica, pragmatica, rimane a noi
celata», per rivelarsi invece nell’arte,
in quanto «simbolo universale».
Anche così le cose non sono, però, del
tutto semplici. «È erronea» –
dice Tarkovskij – «la via per la
quale si è avviata l’arte contemporanea,
rinunciando alla ricerca del significato
della vita in nome dell’affermazione del
valore autonomo della persona. La
cosiddetta creazione comincia ad
apparire una sorta di eccentrica
occupazione a cui attendono personalità
sospette che affermano il valore
intrinseco di qualsiasi atto
personalizzato. Ma nella creazione la
personalità non si afferma, bensì è al
servizio di un’altra idea generale e di
ordine superiore. L’artista è sempre un
servitore che si sforza per così dire di
sdebitarsi per il dono che gli è stato
concesso come una grazia».
L’Adorazione dei Magi
di Leonardo è un quadro che il
portalettere di Sacrificio,
l’ultimo film di Tarkovskij, trova
«terribilmente sinistro», preferendo
peraltro alla pittura di Leonardo quella
di Piero della Francesca. La prospettiva
geometrica presente nei pittori italiani
del Rinascimento è il tragico preludio
del razionalismo occidentale, che
Leonardo trasferisce nello schizzo delle
scale dell’Adorazione dei Magi,
fissando una erronea epifania del divino
e la “deviazione” della cultura moderna,
ovvero della cultura occidentale,
all’origine della quale troviamo proprio
la vocazione scientifica di Leonardo,
che pone la prospettiva come misura
puramente umana della natura, svincolata
da un superiore principio spirituale.
Congeniali alle concezioni artistiche
del regista sono invece pittori come
Hieronymus Bosch o Bruegel il Vecchio,
due pittori che esprimono in modo
diverso gli ultimi sospiri del medioevo
nordico. È a partire dalla predilezione
per Bruegel che si spiegano le citazioni
di Solaris, dove sfilano l’uno
dopo l’altro La torre di Babele,
Il paesaggio con la caduta di Icaro,
La mietitura, Il trionfo della
morte, Cacciatori nella neve:
tutte opere a loro modo significative;
soprattutto l’ultima, che trova
riscontro nell’analogia con il bambino
che accende un fuoco nella neve (come
Kelvin davanti alla casa del padre) del
filmato mostrato alla replicante.
La stessa scena della levitazione di
Kelvin e Chari sembra così richiamare,
più che Chagall, “il peccato della
lussuria” della coppia adamitica
presente ne Il giardino delle delizie
di Bosch, e potrebbe alludere al
carattere autoreferenziale della ricerca
scientifica (la scienza per la scienza),
in contrapposizione a una conoscenza
olistica tesa a restituire la
comunicazione tra microcosmo e
macrocosmo.
Per Tarkovskij, la citazione di
Cacciatori nella neve racchiude, in
particolare, una pluralità di
significati. In un paesaggio
completamente avvolto dalla neve, dei
cacciatori si aggirano in cerca della
preda. Relegata a margine, sulla
sinistra del quadro, è una scena di
contadini che attizzano il fuoco,
all’esterno della locanda con l’insegna
di Sant’Eustachio e la scritta “Al
cervo”. L’insegna allude alla leggenda
della conversione del protomartire, che
sarebbe avvenuta in seguito alla visione
di una croce fiammeggiante tra le corna
di questo animale. Per Tarkovskij,
Cacciatori nella neve è anzitutto un
simbolo di ricerca spirituale: la caccia
e il fuoco dei contadini,
rispettivamente. Ma collegato a esso vi
è, inoltre, il tema del ritorno alla
natura e alla vita, presente nel simbolo
di rigenerazione dell’albero della vita:
la croce veduta da Sant’Eustacchio e le
corna del cervo che alludono, a causa
del loro periodico rinnovarsi, al ciclo
delle stagioni e al ritorno della vita
dopo la desolazione del clima invernale.
Quelli di Solaris sono nel mondo
occidentale gli anni della crisi del
petrolio e dell’austerity con cui matura
nello stesso mondo capitalista il
pessimismo del Rapporto sui limiti
della crescita, consegnato dal Club
di Roma nel 1972 a beneficio dei governi
di tutti gli Stati del mondo. Quello
dell’esaurimento delle risorse della
biosfera è però un problema che in
Russia era stato preso in considerazione
già un secolo prima, quando Fëdorov
aveva ritenuto che il destino degli
esseri umani, se avessero mantenuto lo
stile di vita della modernità, sarebbe
stato quello di estinguersi in una
biosfera degradata, oppure di passare a
uno stadio autotrofo della propria
esistenza, attraverso un salto evolutivo
che li avrebbe trasformati in esseri
spirituali.
Si tratta di una concezione con elementi
di contiguità rispetto all’evoluzionismo
teosofico, pur fortemente contrastato da
Fëdorov, che ha finito per ispirare la
riflessione scientifica di Vladimir
Vernadskij, il quale ipotizza una reale
transizione da un’umanità eterotrofa a
una autotrofa, nel momento in cui potrà
essere scoperta la sintesi diretta del
cibo, senza bisogno della sostanza
organica.
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