N. 31 - Luglio 2010
(LXII)
cinema stumentalizzato
LA PROPAGANDA FASCISTA
di Rosa Ventrella
Il
fascismo
è
stato
una
grande
mobilitazione
di
forze
materiali
e
morali,
che
si è
posto
come
scopo,
almeno
nell’apparenza,
assicurare
la
grandezza
del
popolo
italiano.
Per
riuscire
in
questo
la
forza
politica
di
Mussolini
aveva
la
necessità
viscerale
di
plasmare
per
prima
cosa
le
menti
del
popolo
italiano,
perché
questo
arrivasse
a
identificarsi
con
l’ideologia
stessa
del
regime.
Fino
a
quando
il
fascismo
non
ha
preso
il
potere,
non
aveva
neanche
la
necessità
di
esprimere
un
qualsiasi
programma
politico;
poteva
permettersi
il
lusso
di
rappresentare
le
forze
più
diverse
e
poliedriche
del
Paese,
stigmatizzando
il
malcontento
e
facendo
di
esso
un
punto
di
forza
e
unione.
Nel
momento
in
cui,
però,
assume
le
redini
del
governo,
questa
forza
multiforme,
questa
congerie
di
elementi
diversi
e
contradditori,
ha
bisogno
di
trovare
una
nuova
via
per
esprimere
se
stessa,
una
via
quanto
meno
unitaria.
La
conquista
della
massa
è lo
scopo
primario
di
qualsiasi
forma
di
religione
politica,
come
il
fascismo
aspirava
ad
essere.
Il
fatto
di
aver
acquisito
l’appoggio
di
operai
e
contadini,
quegli
stessi
minacciati
pochi
anni
prima
dagli
squadroni
fascisti,
crea
un
serio
problema
di
gestione,
perché
fa
convivere
il
fascismo
con
un
movimento
rivoluzionario,
contraddistinto
da
una
straordinaria
superiorità
numerica,
che
minaccia
di
sconvolgere
nuovamente
la
supremazia
fascista.
Per
controllare
una
moltitudine
così
pericolosa
il
fascismo
ha
dovuto
reinventare
vecchi
simboli
e
rapporti
di
forza,
che
portassero
una
massa
imbelle
a
riconoscersi
in
un
leader
e in
un
vero
e
proprio
movimento
delle
coscienze.
Mussolini
non
è
più
solo
il
capo,
egli
è il
Duce,
una
parola
che,
per
primo,
Filippo
Corridoni
aveva
pronunciato
dal
fronte.
È
così
tanto
al
di
sopra
del
partito
stesso
che
molti
distinguono
Mussolini
e
fascismo;
diffidano
del
fascismo
ma
hanno
fiducia
in
lui.
Il
passo
successivo
sarà
portare
la
massa
verso
un
processo
di
identificazione
con
il
modello
propugnato
dal
regime.
La
tecnica
moderna,
soprattutto
la
radio
e il
cinema,
pongono
nelle
mani
dello
Stato
efficaci
strumenti
di
persuasione
delle
masse
popolari.
Il
fascismo
trasforma
tutti
i
mezzi
dell’organizzazione
e
delle
dimostrazioni
di
massa
che
i
partiti
avevano
creato
sul
terreno
della
democrazia,
soprattutto
l’organizzazione
dei
fanciulli
e
dei
giovani,
la
valorizzazione
politica
dello
sport,
le
grandi
parate
di
massa,
da
mezzi
di
lotta,
delle
masse
popolari,
in
mezzi
per
il
loro
assoggettamento.
Nel
1922
Mussolini
afferma
di
ritenere
il
cinema
“l’arma
più
forte
dello
Stato”,
avendo
intuito
quanto
fosse
un
potente
strumento
di
persuasione.
Nel
1923
nasce
l’Unione
Cinematografica
Educativa
(LUCE),
per
la
produzione
di
documentari
e,
soprattutto
di
cinegiornali.
Questi
ultimi
hanno
un
ruolo
fondamentale
nella
diffusione
capillare
dell’ideologia
fascista
sin
nei
paesi
più
sparuti
d’Italia.
Le
imprese
eroiche
del
regime
e
della
nazione
attraversano
confini
prima
inesplorati
arrivando
alle
orecchie
e al
cuore
degli
italiani.
Anche
il
cinema
diventa
un
modo
per
rendere
note
le
azioni
salvifiche
compiute
dal
regime,
per
aumentare
lo
splendore
e le
glorie
italiche.
Nel
1929
esce
il
primo
grande
film
fascista
“Sole”,
del
regista
Alessandro
Blasetti.
È il
periodo
delle
grandi
opere
di
bonifica
dell’Agro
Pontino,
che
sono
le
vere
protagoniste
della
pellicola,
arricchita
di
illuminanti
fotografie
delle
paludi
bonificate.
È il
trionfo
dell’uomo
fascista
che
domina
le
asperità
della
natura.
Evidentemente,
però,
il
pubblico
cerca
emozioni
diverse,
perché
il
film
viene
molto
apprezzato
dalla
critica
ma
ignorato
dalla
folla.
Tra
gli
obiettivi
principali,
però,
della
cinematografia
fascista
rimane
comunque
l’esaltazione
dell’anima
rurale
dell’Italia.
Il
fascismo,
d’altronde,
impostosi
con
la
forza,
come
strumento
pilotato
dai
grandi
proprietari
e
borghesi,
era
diventato,
sempre
più
il
punto
di
riferimento
delle
larghe
masse
popolari.
Tanti
braccianti,
un
tempo
minacciati
dalle
camicie
nere,
si
erano
imbevuti
di
sentimenti
fascisti,
forgiati
dall’immagine
di
un’Italia
che
aveva
rivalutato
la
sua
anima
rurale,
riscoperto
il
senso
della
famiglia
e
l’idea
di
una
nazione.
Si
diceva
che
il
regime
avesse
“ruralizzato”
il
Paese,
nonostante,
di
fatto,
i
contadini
diretti
fossero
diminuiti
di
centinaia
di
migliaia,
nel
decennio
dal
1921
al
1931
e
fosse
aumentato,
di
egual
misura,
quello
dei
mezzadri
e
proprietari.
La
propaganda,
però,
presentava
un’immagine
manipolata
di
quello
che
accadeva
realmente
nel
paese.
A
questo
filone
propagandistico
sono
ispirati
film
come
“Forzano”,
“Selvaggio”,
“Strapaese”,
produzioni
nelle
quali
il
buon
contadino
esce
trionfante,
per
la
sua
operosità
e
semplicità,
mentre
si
tratteggia
in
modo
negativo
la
figura
dei
grandi
proprietari
terrieri.
La
conquista
del
popolo
è
iniziata
e
passa
anche
attraverso
il
confronto
tra
la
sana
e
buona
vita
contadina
e la
soffocante
vita
di
città.
Nonostante
tutto,
però,
il
regime,
motivato
a
sostenere
lo
sviluppo
della
cinematografia
italiana,
non
serra
entro
ranghi
troppo
stretti
le
produzioni,
ma,
al
contrario,
si
piega
a
incoraggiare
anche
tematiche
d’evasione,
che
maggiormente
rispondano
alle
richieste
del
pubblico.
Il
personaggio
di
spicco
dell’industria
cinematografica
degli
anni
Venti
è
l’industriale
Stefano
Pittaluga,
il
cui
marchio
Pittaluga
Cines,
produce
la
maggior
parte
dei
film
che
escono
nelle
sale.
Dopo
la
sua
morte
la
Cines
passa
sotto
la
direzione
di
Emilio
Cecchi,
meritevole
di
aver
prodotto
film
di
indiscusso
valore,
con
registi
come
Blasetti,
Camerini,
Bragaglia.
Nel
1933
viene
acquistata
da
Carlo
Roncoroni.
A
partire
da
questo
momento
l’attenzione
si
sposta
maggiormente
su
film
commerciali
capaci
di
attrarre
il
grande
pubblico.
Si
vanno
affermando
case
produttrici
come
Lux,
Titanus,
ERA,
e lo
Stato
continua
nell’impegno
di
sostenere
il
cinema
italiano
perché
acquisti
fama
nel
mondo,
soprattutto
dopo
l’inaugurazione,
nel
1932,
da
parte
di
Mussolini,
della
prima
Mostra
del
Cinema
di
Venezia.
Il
passaggio
da
un
cinema
di
propaganda
a un
genere
commerciale
è
particolarmente
caldeggiato
da
Luigi
Freddi,
che
è
alla
guida
della
Direzione
generale
per
la
Cinematografia.
Egli,
infatti,
è
convinto,
pur
provenendo
dalle
file
del
partito,
che
il
cinema
possa
costituire
un
importante
momento
di
evasione
per
il
popolo
italiano,
non
trattando
necessariamente
temi
strettamente
correlati
all’ideologia
fascista
e
senza
entrarvi
tuttavia
in
collisione.
Nasce
il
Cinemobile,
che
proietta
i
film
in
tutte
le
piazze,
visto
che
non
era
possibile
costruire
sale
cinematografiche
in
ogni
città.
Freddi
guarda
molto
ai
modelli
del
cinema
americano.
Inizia
così
l’epoca
dei
film
sentimentali,
degli
attori
che
conquistano
il
cuore
del
pubblico.
Nel
1935
Freddi
realizza,
alla
periferia
di
Roma
“Cinecittà”e,
da
questo
momento
in
poi,
quello
offerto
dal
regime
sarà
più
un
sostegno
che
un
imbavagliamento.
Il
controllo
si
limita
a
una
questione
di
rigore
morale:
l’importante
è
che
le
produzioni
cinematografiche
non
entrino
in
conflitto
con
gli
ideali
del
regime
e
non
si
facciano
promotori
di
comportamenti
immorali.
Oltre
che
il
filone
sentimentale,
in
questi
anni
si
vanno
affermando
anche
i
film
comici:
attori
come
Petrolini,
Vittorio
De
Sica,
Totò,
nelle
commedie
popolane
che
precedono
il
neorealismo
del
dopoguerra.
Un
discorso
a
parte
va
fatto
per
il
filone
cinematografico
che,
a
partire
dal
1935,
guarda
all’elogio
delle
conquiste
coloniali
italiane
in
Africa.
L’impresa
fascista
viene
esaltata
come
l’opera
civilizzatrice
del
popolo
italico
nei
confronti
dei
selvaggi
etiopi,
che
grazie
a
noi,
ricevono
benessere
e
progresso.
Basti
pensare
a
film
come
“Il
cammino
degli
eroi”
di
Corrado
D’Errico
o
“Sentinelle
di
bronzo”
di
Romolo
Marcellini.
Sempre
ispirata
alla
propaganda
rimane
poi
l’informazione
che
viene
proiettata
in
tutti
i
cinematografi
prima
di
ogni
spettacolo
e
alla
quale
viene
lasciato
il
compito
indispensabile
di
fare
bella
mostra
dei
fasti
del
regime.
I
cinegiornali,
poi,
con
l’avvento
del
sonoro,
dopo
il
1931,
possono
contare
su
un’arma
di
enfatizzazione
in
più,
data
dall’uso
della
voce
e
della
musica,
tanto
che
le
immagini
passano
in
secondo
piano,
sostituite
dall’enfasi
della
narrazione
delle
gesta
eroiche
compiute
dal
regime.
Insieme
alla
radio,
giorno
dopo
giorno,
questi
potenti
strumenti
di
persuasione
delle
masse,
plasmano
le
menti
del
popolo
italiano,
costringendolo
alla
vista
di
un’immagine
deformata
della
realtà,
che
ne
edulcora
i
misfatti
e
che
conduce
una
nazione
inconsapevole
verso
il
disastro
del
secondo
conflitto
mondiale.