N. 61 - Gennaio 2013
(XCII)
IL MISTERO DELLE PIANURE ATTORNO AL VOLGA
Il popolo Mari raccontato, tra fiaba e folklore,
Dal regista Aleksej Fedorčenko
di Leila Tavi
In concorso alla VII
edizione
del
Festival
Internazionale
del
Film
di
Roma
abbiamo
potuto
apprezzare
lo
splendido
film
a
episodi
del
regista
russo
Aleksej
Fedorčenko
sull’antico
popolo
Mari,
una
delle
etnie
rurali
della
Federazione
Russa.
Un popolo d’origine ugro-finnica,
i
cui
antenati
erano
guerrieri
e
cacciatori
che
popolavano
le
foreste
intorno
agli
Urali
già
tra
il
5.000
e il
3.000
a.
C.;
l’impronta
d’etnia
rurale
è
rimasta
intatta
fino
ai
nostri
giorni
principalmente
per
la
sudditanza
della
gente
mari
alla
Bulgaria
del
Volga
e al
Khanato
dell’Orda
d’Oro
nel
XIII
e
XIV
sec.
Tra il XV e il XVI sec.
i
Mari
si
divisero
in
tre
gruppi
sub-etnici:
i
Mari
delle
pianure,
quelli
della
montagna
e i
Mari
orientali,
o
degli
Urali.
In seguito alla conquista
di
Kazan
da
parte
di
Ivan
il
Terribile
nel
1552
anche
i
territori
abitati
dai
Mari
entrarono
a
far
parte
dello
Zarato
russo
e
l’etnia
trovò
rifugio
sugli
Urali
per
sottrarsi
alla
cristianizzazione
coatta.
Una parte della popolazione
abbandonò
però
presto
le
zone
montuose
in
cerca
di
altri
luoghi
da
colonizzare,
anche
a
causa
del
terreno
acquitrinoso
poco
fertile
e
della
mancanza
di
strade
e
civilizzazione
nelle
foreste
degli
Urali.
I Mari rimasero sotto
l’egida
russa
prima
e
sovietica
poi
fino
all’istituzione
il
22
dicembre
1990
della
Repubblica
indipendente
del
Mari
El
della
Federazione
Russa.
Possiamo consideralo un
popolo
semisconosciuto
in
Occidente;
un’etnia
che
ancora
oggi
conserva
tradizioni
e
credenze
ancestrali
legate
ai
fenomeni
naturali
e al
succedersi
delle
stagioni.
Abbiamo già presentato
ai
lettori
di
InStoria
il
regista
Aleksej
Fedorčenko
in
occasione
della
proiezione
del
poetico
Silent
Souls
al
Festival
di
Venezia
nel
2010,
in
onore
dei
Merja,
un’altra
antica
etnia
ugro-finnica
della
Russia
centro-occidentale,
stanziata
nell’area
dove,
nel
corso
dei
secoli,
si
sono
sviluppate
le
città
di
Rostov,
Kostroma,
Jaroslavl
e
Vladimir.
Il nuovo film, Spose
celestiali
dei
Mari
di
pianura
(in
russo
Nebesnye
ženy
lugovykh
Mari;
in
inglese
Celestial
wives
of
the
Meadow
Mari),
è
stato
girato
invece
nei
villaggi
abitati
dai
Mari
delle
pianure
che
si
trovano
nei
dintorni
di
Ekaterinburg,
città
d’adozione
di
Fedorčenko
e
capoluogo
dell’Oblast’
di
Sverdlovsk,
a
est
degli
Urali.
Il regista russo considera
il
suo
nuovo
lavoro,
composto
di
ventidue
episodi-novelle
in
cui
le
donne
sono
assolute
protagoniste,
una
sorta
di
Decamerone
in
cui
la
femminilità
s’intreccia
con
le
divinità
pagane,
che
rappresentano
la
personificazione
di
fenomeni
naturali.
Ogni episodio è una fiaba
per
atmosfera,
colori,
suoni.
La
musicalità
della
lingua
mari,
preferita
al
russo
dal
regista,
non
è
elemento
di
disturbo,
amplifica
al
contrario
l’alone
surreale
di
una
società
tagliata
fuori
dalla
logica
dei
consumi
e
della
dipendenza
tecnologica.
La troupe prima d’iniziare
le
riprese
ha
incontrato
un’autorità
religiosa
chiamata
Kharti
(in
finlandese
tietäjät),
il
supremo
sacerdote
o
saggio
del
villaggio,
che
trascorre
le
sue
giornate
in
preghiera
nei
boschi
sacri
che
circondano
la
capitale
del
Mari
El,
Yoškar-Ola,
invocando
le
forze
benefiche
del
sole,
degli
alberi,
dell’erba
e
delle
rondini.
La lingua e le tradizioni
mari
sono
a
rischio
di
estinzione,
ma
nelle
campagne
ancora
oggi
si
tramandano
tradizioni
antichissime
e
ogni
albero
ha
un’anima,
ogni
manifestazione
della
natura
ha
pari
dignità
di
un
essere
umano.
Le civilizzazioni rurali
mantengono
vivi
miti
e
divinità
pagani,
dando
luogo
a
una
particolare
forma
di
egocentrismo
assoluto,
che
era
in
contrasto,
ai
tempi
dell’Unione
Sovietica,
con
i
principi
del
collettivismo.
Molte
delle
pratiche
animistiche
dei
Mari
furono
perciò
proibite
nell’URSS.
Solo a seguito della
nomina
di
Michail
Gorbačëv a segretario
del
PCUS
nel
1985,
che
permise
una
maggiore
apertura
culturale
da
parte
del
regime
alle
tradizioni
folkloristiche
delle
etnie
stanziate
sul
territorio
sovietico,
i
Mari
hanno
potuto
celebrare
di
nuovo
alcune
loro
festività
come
Uarnya
(la
festa
della
primavera),
Kugeche
(l’equivalente
della
Pasqua
cristiano-ortodossa),
Semyk
(la
Pentecoste
ortodossa),
Kuso
(la
festa
estiva
per
la
luna
nuova
e
festività
più
importante,
anche
detta
Surem,
perché
rappresenta
la
cacciata
delle
forze
e
degli
spiriti
maligni,
surem
muzho),
Uginde
(la
festa
del
raccolto),
Shyzhe
(la
festa
sacrificale
per
l’arrivo
dell’autunno),
Shorykiol
(il
Natale
e
prima
festività
dell’anno).
I festeggiamenti per
celebrare
tali
riti
sono
molto
suggestivi
e
scenografici;
Fedorčenko
ha
voluto
documentarne
alcuni
nel
suo
film,
creando
una
indimenticabile
aurea
magica
e
proiettando
lo
spettatore
in
una
dimensione
fiabesca.
A chiosa dell’articolo
riportiamo
un
commento
del
regista:
“È
un
caleidoscopio
di
personaggi
femminili,
di
stagioni,
di
età
delle
donne.
Ogni
novella-capitolo
ha
il
suo
genere,
dalla
commedia
al
melodramma,
dal
thriller
al
poliziesco.
C’è
mistero,
c’è
sensualità.
Questo
film
è
una
specie
di
ornamento
luminoso
di
un
villaggio
mari,
magico
e
contemporaneo”.