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CINEMA


munich
1972: 8 minuti per due paesi

di Laura Novak

 

Quando uscì nella sale di tutto il mondo il film di Spielberg "Munich", ci volle poco affinché scoppiassero polemiche per l'argomento trattato.... il film era già polemica prima di prendere forma sotto la forza plasmatrice del famoso regista.

 

Era il 1972 e doveva essere l’anno delle Olimpiadi per Monaco. Un riscatto per la Germania e per il suo rinnovato spirito sportivo post guerra e soprattutto post sfilate naziste davanti ad Hitler in quelle Olimpiadi durante il Reich viste riviste nei documenti su pellicola dell’epoca.

E invece.

 

Iniziò tutto all’alba del 5 settembre 1972 ad Olimpiadi già cominciate.

Quello che il mondo ricorda fu un giorno di cronaca ininterrotta di terrore e di sangue.

 

Alle 4:20 del mattino un commando composto da 8 guerriglieri palestinesi, appartenenti ad uno dei gruppi di azione armata per la liberazione della Palestina più in vista in quel periodo, “Settembre nero”, fece irruzione nella palazzina del villaggio olimpico ospitante la squadra olimpica israeliana.

Un’ora dopo alle loro spalle avevano già due cadaveri: quello dell’allenatore di lotta libera, Moshe Weinberg, e quello del campione di sollevamento pesi, Jossef Romano.

 

Passeranno svariate ore in cui le trattative tra il governo di Bonn e i sequestratori saranno lente e difficili. La richiesta dei fedayn palestinesi era chiara: ordinava al governo israeliano di Golda Meir il rilascio di un totale di 243 detenuti palestinesi in custodia preso le carceri d’Israele, in cambio, ovviamente, l’incolumità dei 9 ostaggi innocenti.

E mentre il governo di Bonn voleva in ogni modo trovare la via per il rilascio degli ostaggi, Israele rispose con un secco no ai ricatti terroristici.

Le Olimpiadi furono momentaneamente sospese.

 

Dopo molte ore di attesa, in cui, senza nessuna paura, i terroristi continuarono ad uscire allo scoperto sulle terrazze del piano della palazzina nelle loro mani, e le forze armate stettero, in lontananza, a guardare senza possibilità di intervenire per la paura di possibili ripercussioni sugli ostaggi, iniziarono a scadere gli ultimatum. A quel punto, i rapitori richiesero, entro sera, un pullman,che li avrebbe dovuti condurre, insieme ai rapiti, al più vicino aeroporto, dove, ad attenderli, avrebbero dovuto esserci tre elicotteri con il serbatoio pieno; destinazione Tunisia.

Il governo tedesco accettò.

 

Iniziò il trasferimento, ma all’arrivo in pista di atterraggio qualcosa cambiò. All’improvviso le luci si spensero, e cominciò un inferno lungo 8 minuti. Devono essere stati tremendamente lunghi quegli 8 minuti. Le luci si riaccesero appena il fuoco cessò di esplodere nell’aria. La scoperta fu straziante. Sull’asfalto della pista giacevano 16 cadaveri: un poliziotto, un pilota, cinque dei nove attentatori e purtroppo tutti e nove gli ostaggi. I tre attentatori mancanti trovarono, nonostante l’arresto, avvenuto pochi giorni dopo, la via della fuga durante un dirottamento aereo il 29 ottobre successivo.

 

Il mondo intero era sotto shock. Non solo perché la tragedia era stata consumata in diretta attraverso la cronaca giornalistica, ma anche perché il governo tedesco era agl’occhi di tutti il responsabile morale di quello che era avvenuto. Poteva essere evitato? Probabilmente sì. In seguito alla strage molti errori decisionali della Germania vennero alla luce, come, per esempio, il fatto che nessuno dei fucili dei cecchini sul tetto dell’aeroporto possedesse un mirino ad infrarossi per poter mirare i terroristi nel buio della notte. E allora perché spegnere le luci?

 

Già dalla giornata successiva, le Olimpiadi ripresero il loro corso con l’ormai celeberrimo “The Show Must Go On” pronunciata dal presidente del CIO (Comitato Internazionale Olimpico) dopo la messa celebrativa il 6 settembre.

E’ quello il momento in cui l’opinione pubblica accese i riflettori sulla situazione in Palestina e sul movimento responsabile della strage: Settembre Nero.

 

Settembre Nero era un’organizzazione clandestina di lotta armata palestinese fondatasi nel 1970 quando l’esercito giordano di re Hussein massacrò centinaia di profughi palestinesi cacciati dalla Giordania.

Il suo obiettivo iniziale, per il quale era nato, era proprio quello di colpire esclusivamente gli obiettivi sensibili giordani. Nel 1971 i suoi combattenti compirono la loro prima azione sanguinaria uccidendo, in Egitto, il primo ministro giordano, braccio destro del sovrano.

 

Più tardi gli orizzonti di azioni si ampliarono velocemente. Il suo unico obiettivo divenne quello di colpire a fondo tutti i nemici dei palestinesi in tutto il mondo, non solo nel Medio Oriente.

Prima della loro più grande azione militare nelle Olimpiadi di Monaco, avevano fatto già parlare di sé per due dirottamenti di aerei e due attentati dinamitardi in Italia; uno all’oleodotto di Trieste e uno su un aereo delle linee aeree israeliane all’aeroporto di Fiumicino.

 

Ci sono ovviamente delle questioni che non sono mai state risolte negli anni: il governo di Arafat sapeva, ha finanziato durante gli anni il gruppo terrorista?

 

Di certo si sa quello che i responsabili, sopravvissuti all’agguato tedesco del 1972, dichiarono in seguito. Abu Ayad e Abu Daud, membri di Al Fatah, si dichiararono i cervelli dell’operazione alle Olimpiadi nonché i fautori materiali; azione studiata appositamente per essere clamorosa e rappresentativa della situazione palestinese. Dichiararono anche di come il partito di Al Fatah e lo stesso Arafat sapessero e approvassero la spedizione e di come, l’allora ministro di Arafat, Abu Mazen, oggi perno fondamentale per la fragile pace ottenuta in Medio Oriente, fosse in realtà uno dei mandanti dell’operazione. Operazione che, sempre secondo i  suoi protagonisti, non era previsto finisse nel sangue.

 

E’ chiaro, quindi, di come sia il clima attuale in Israele, dovuto alla precarietà della vita del leader Sharon, legata esclusivamente al funzionamento di macchinari medici, che l’atmosfera tesa della Palestina, prossima alle urne in cui si deciderà la sorte del governo Abu Mazen e di Al Fatah contro gli integralisti di Hamas, possano creare aspettative, ma soprattutto polemiche, intorno al film di Spielberg.

 

In realtà, nel film, non vengono descritti i momenti del rapimento degli ostaggi, che viene soltanto rivissuto attraverso flashback in bianco e nero durante l’intera pellicola, ma vengono raccontati i giorni successivi, quelli dell’operazione soprannominata “Ira di Dio”. E’ nei giorni immediatamente seguenti alla strage di Monaco che il gruppo “Avner”, unità fondamentale nell’agenzia dei servizi segreti israeliana, fa scattare la vendetta. Ad uno ad uno, attraverso l’Europa, furono uccise tutte le teste più importanti delle maggiori organizzazioni terroristiche palestinesi, coloro, insomma, che venivano considerati i capi saldi del terrorismo palestinese in giro per il mondo.

 

E’ dal reclutamento degli agenti del Mossad che prende il via la trama del nuovo Spielberg, ripercorrendo le cacce all’uomo, gli omicidi mirati e, dal punto di vista del regista, lo strazio e la pietas dei vendicatori e delle vittime. Ed è alle parole del regista che mi rifaccio, per non aver avuto ancora ovviamente la possibilità di vedere il film. Secondo lui il film, raccontando un evento di cronaca vera, analizza il tema della vendetta, e di come, nell’uomo che uccide per essa, possa convivere il desiderio di ottenerla, con il dubbio che questo non sia giusto, che in realtà la vendetta non possa appartenere agli uomini, ma solo a Dio. Secondo lui non esistono, nella “sua” storia, vinti e vincitori, ma rimangono solo i sentimenti dei singoli, sia da una parte che dall’altra. E forse, credo, che ciò che rimane sia proprio questo, non solo nella “sua” storia, ma in tutta questa orrenda pagina vera della storia contemporanea.

 

 

 

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