arte
PER UNA RILETTURA DI SIEGFRIED KRACAUER
SUL CINEMA ESPRESSIONISTA
CALIGARI, NOSFERATU, GOLEM, METROPOLIS /
Parte II
di Gianfranco Massetti
Che sull’argomento Kacauer non fosse uno
sprovveduto ce lo rivela il suo giudizio
a proposito di Paul Wegener, produttore
di Der Golem per la regia di
Galeen, lo sceneggiatore di Nosferatu.
Nel parlare di Wegener come di “un mago
perverso capace di ridestare le forze
demoniache della natura umana”, Kracauer
si rivela abbastanza esplicito. Questa
definizione risulta appunto
straordinariamente calzante per chi
avesse avuto qualche dimestichezza con
gli ambienti crowleyani che praticavano
la magia sessuale. Non si tratta,
dunque, di un ciarlatano qualsiasi, ma
di un “mago perverso”.
Curiosamente, a proposito de Lo
studente di Praga, girato da Wegener
nel 1913, un’opera dove il tema della
magia entra prepotentemente in campo,
Kracauer torna però a esprimere soltanto
un giudizio sulla dimensione psicologia
del film che “simboleggia un particolare
tipo di sdoppiamento della personalità”.
Wegener era nato a Praga una città «dove
la realtà – scrive ancora Kracauer – si
confonde ai sogni, e i sogni divengono
spaventose allucinazioni». Non a caso,
Praga è anche la città dove nasce la
leggenda del Golem, portato da Wegener
sullo schermo cinematografico nel 1915.
Dopo la prima guerra mondiale, sia Lo
studente di Praga che Il Golem
furono proposti in una versione
rinnovata. Quest’ultimo fu anche
ampliato e trovò la propria
ambientazione storica all’epoca di
Rodolfo II, il principe Asburgo che
aveva riunito a Praga alchimisti e
astrologi di mezza Europa. Wegener
ripropone questa seconda versione nel
1920, ispirandola direttamente alla
leggenda di rabbi Löw.
La comunità ebraica di Praga è colpita
da un interdetto del principe Rodolfo
che ne ha decretato l’espulsione perché
gli ebrei sono accusati di praticare le
arti magiche e di violare in tal modo la
pace dei sudditi cristiani. Scrutando le
stelle, rabbi Löw è riuscito a presagire
il pericolo che incombe sul suo popolo e
decide di invocare Astaroth, un’antica
divinità che appartiene alla schiera
delle creature demoniache, allo scopo di
riportare in vita il Golem, il gigante
di argilla che dovrà mettere in salvo la
comunità.
Il nobile Floriano si reca nel ghetto
per comunicare il decreto di espulsione.
Ma invaghito della bella Miriam, la
figlia di rabbi Löw, si fa portavoce
dell’ebreo per la richiesta di udienza
presso la corte del principe. Rodolfo
accoglierà il rabbi in occasione della
“festa delle rose” e dietro richiesta di
avere un saggio delle sue arti magiche.
Nel frattempo, grazie a una favorevole
congiunzione planetaria e a un
incantesimo dove entrano in campo libri
di magia e pentacoli, il rabbi è in
grado di rianimare il Golem, che porterà
con sé al ricevimento del principe.
Mentre lui si reca al castello, il
nobile Floriano riesce intanto a
combinare un incontro con Miriam.
A corte, rabbi Löw esibisce la sua
creatura e attraverso un incantesimo,
che allude alla magia del cinema,
proietta su una parete del salone di
ricevimento la storia delle tribolazioni
del suo popolo. Quando però compare la
figura di Assuero, l’ebreo errante, una
risata squarcia la sala, l’incantesimo
si rompe e il soffitto del salone si
trasforma in una pressa che minaccia di
schiacciare gli astanti. Sarà
l’intervento del Golem a scongiurare la
tragedia e a ottenere la gratitudine del
sovrano che ritira il decreto di
espulsione nei confronti degli ebrei.
Nel ghetto, un servo di rabbi Löw scopre
il nobile Floriano nella camera di
Miriam. Pazzo di gelosia, gli
sguinzaglia addosso il Golem la cui
furia devastatrice si placherà soltanto
davanti a un bambino. Questi toglie la
stella pentacolare con la scritta
Aemet dal corpo del Golem, che
crolla quindi inanimato con grande
sollievo di tutti gli ebrei.
Di origine romantica, la leggenda della
statua di argilla assume come
protagonista la figura storica di rabbi
Löw, influente capo della comunità
ebraica di Praga ai tempi di Rodolfo II.
Nel 1592, il rabbi viene ricevuto in
udienza dal sovrano per discutere dei
problemi della comunità. Intorno a
questo episodio, alcuni ricameranno
tuttavia la storia di un Rodolfo II,
protettore di alchimisti e astrologi,
che si dimostrerebbe interessato anche
ai segreti della cabala. La leggenda
trasforma il rabbi in una specie di
Faust, versato nelle arti magiche.
Si racconta che per salvare il suo
popolo dall’interdetto del principe,
rabbi Löw ferma con un incantesimo la
carrozza di quest’ultimo mentre
attraversa ponte Carlo. Le pietre e il
fango che la gente scaglia contro il
rabbino si trasformano inaspettatamente
in fiori e Rodolfo invita l’ebreo alla
reggia di Hradčany. Alla presenza dei
cortigiani, il rabbino evocherà lo
spirito del patriarca Abramo, di Isacco,
Giacobbe e dei suoi dodici figli. Ma
quando la figura clownesca di uno di
questi fa prorompere tutta la sala in
una sola risata, l’apparizione svanisce
e il soffitto della reggia comincia a
precipitare sui presenti. A scongiurare
il disastro, saranno in questo caso le
formule cabalistiche recitate da rabbi
Löw.
Più tardi la figura del leggendario
rabbino si fonde con quella del Golem,
della cui fabbricazione viene accennato
in un commento di Eleasar di Worms al
Sefer Jezira. Per animare il Golem,
questi insegna che bisogna incidergli
sulla fronte la parola Emet,
Verità. Per distruggerlo, basta
cancellare la lettera “E”, ottenendo in
questo modo la parola Met, che
equivale a Morte.
Tra il XVII e il XVIII secolo, la
leggenda attecchisce e si sviluppa negli
ambienti delle comunità ebraiche
polacche, ma è pubblicata per la prima
volta intorno alla metà dell’Ottocento.
Rievocata da Wegener all’indomani della
prima guerra mondiale, la leggenda del
Golem perde tuttavia i connotati della
novella gotica per conservare soltanto
delle cupe ombre che facevano eco alla
pubblicazione dei Savi Anziani di Sion
di qualche anno prima. Wegener nella
versione del Golem uscita all’indomani
della prima guerra mondiale descrive
appunto gli ebrei come maghi pericolosi
che sono all’origine della discordia dei
cristiani e intrattengono rapporti con
forze oscure e spiriti demoniaci.
Da un altro punto di vista, il Golem è
anche una prefigurazione del pericolo
costituito dalla tecnologia che può
sfuggire al controllo dell’uomo,
prestandosi a osservazioni sul nesso
dialettico tra spirito di magia e
scienza moderna, da cui il regime
nazista è stato profondamente
caratterizzato; un rapporto
apparentemente conflittuale e non privo
di contraddizioni, che gioverà
affrontare più proficuamente prendendo
in considerazione Metropolis di
Fritz Lang.
Racconta Kracauer che il concepimento di
questo film sarebbe avvenuto durante un
viaggio in America del regista, quando
“vide New York per la prima volta, una
New York notturna, scintillante di
miriadi di luci”. La sua idea era di
illustrare con Metropolis il
conflitto fra tecnologia moderna e
occultismo, ma l’esito sarà
contraddittorio e sostanzialmente
ambiguo.
La storia di Metropolis è
ambientata in una megalopoli del futuro,
dell’anno 2026. La città si divide in
due differenti livelli: una città di
enormi raccordi stradali e di
grattacieli che s’innalzano verso il
cielo, e una città sotterranea,
costruita al di sotto della superficie
terrestre, dove le macchine producono
l’energia sufficiente al funzionamento
di Metropolis. Nella prima città vivono
gli appartenenti alle classi agiate di
manager, industriali e impiegati. Nella
seconda, una popolazione di schiavi, gli
operai addetti al lavoro manuale.
Prima ancora dell’alba, che gli operai
non potranno vedere, dopo dieci
estenuanti ore di lavoro, si effettua il
cambio di turno alle macchine, che
svolgono la loro attività a ciclo
continuo. Mentre gli operai lavorano per
fornire energia alla città, i membri
delle classi alte si dedicano alle
attività sportive e ai divertimenti,
come il giovane Freder, figlio del
magnate che governa Metropolis. La sua
spensieratezza termina il giorno in cui
fa la conoscenza con Maria, una ragazza
che si trova a sconfinare nella città
superiore e viene cacciata dai
guardiani.
Freder ignaro dell’esistenza della città
sotterranea si precipita
all’inseguimento di Maria e scopre le
macchine e la sofferenza dei lavoratori
del sottosuolo. Le macchine si
trasfigurano nella sua immaginazione in
una enorme statua del Moloch, verso il
cui braciere vengono avviati per il
sacrificio gli operai di Metropolis,
come gli schiavi dell’antichità.
Sconvolto da tutto ciò, Freder corre a
incontrare suo padre alla nuova “Torre
di Babele”. Ancora stordito, irrompe
nell’ufficio di Fredersen e gli descrive
tutti gli orrori a cui ha assistito.
Freder dice a suo padre che Metropolis è
splendida e che lui rappresenta il
cervello della città, ma le mani che
l’hanno costruita sono quelle del popolo
che vive nelle profondità della terra e
che un giorno potrebbe ribellarsi alla
schiavitù.
Arriva intanto la notizia di
un’esplosione alla sala macchine, dove
sui corpi dei lavoratori coinvolti
nell’incidente sono state rinvenute
delle mappe con misteriosi geroglifici.
Fredersen per capire di cosa si tratta
si rivolge a Rotwang, uno strano
scienziato occultista. Tra Fredersen e
Rotwang esiste un antico rapporto. Hel,
la moglie di Rotwang, era stata l’amante
di Fredersen ed era morta dando alla
luce Freder. Ma Rotwang non si era mai
rassegnato alla sua perdita. Viveva
ancora nella sua devozione e nel rancore
verso Fredersen.
I misteriosi geroglifici rinvenuti sui
corpi dei lavoratori sono la traccia per
raggiungere le antiche catacombe della
città sotterranea, dove Maria svolge la
funzione di guida spirituale degli
operai. Freder è riuscito a raggiungerla
e assiste al suo ultimo sermone sulla
Torre di Babele: i dominatori di quella
città si dimostrarono incuranti dei loro
schiavi, esattamente come i dirigenti di
Metropolis si dimostrano oggi incuranti
nei confronti degli operai, per salvare
allora Metropolis è necessario che il
cuore possa parlare affinché si trovi un
mediatore tra le due città, tra coloro
che comandano e coloro che obbediscono.
Al sermone hanno assistito anche Rotwang
e Fredersen, che sono giunti alle
catacombe grazie alle scritture in
possesso di quest’ultimo. Lo scienziato
riceverà un incarico da Fredersen,
quello di creare il clone robotico di
Maria, dopo averla sequestrata,
diffondendo attraverso di esso la
discordia tra gli operai, che in questo
modo potranno essere tenuti meglio sotto
controllo. È a questo punto che Rotwang
decide di prendersi invece la rivincita
nei confronti di Fredersen. Egli
utilizza il robot per incitare gli
operai alla rivolta, provocando in
questo modo l’inondazione della città
sotterranea.
A Metropolis manca la luce e i
lavoratori si rendono conto del
disastro, catturano la falsa Maria e nel
tentativo di bruciarla scoprono che si
tratta di un robot. Freder invece
ritrova la vera Maria e ingaggia un
duello con Rotwang, che finisce per
soccombere. Nella scena finale,
Fredersen, sollecitato dal figlio,
stringe la mano al capo degli operai,
consacrando secondo le parole di
Kracauer un’"alleanza simbolica tra
capitale e lavoro»:
«Sembra a tutta prima che Freder abbia
convertito il padre» scrive Kracauer «in
realtà è l’industriale che ha giocato il
figlio. La sua concessione non è che una
mossa politica che, oltre a impedire
agli operai di vincere la loro
battaglia, gli permette di rafforzare il
suo dominio su di loro. Lo stratagemma
dell’automa si è rivelato una stoltezza
in quanto poggiava su una conoscenza
insufficiente della mentalità delle
masse; cedendo a Freder l’industriale
raggiunge un intimo contatto con gli
operai ed è così in grado di influenzare
la loro mentalità. Egli permette al
cuore di parlare […] ma a un cuore
accessibile alle sue insinuazioni».
È in virtù del trionfo di questo
“totalitarismo assoluto” che andrebbe
dunque collocata la proposta di affidare
all’ebreo Fritz Lang la realizzazione
dei film Nazionalsocialisti. Come il
regista ebbe in seguito a dichiarare,
Goebbels, dopo l’avvento di Hitler al
potere, lo fece appunto convocare e gli
disse che tale decisione risaliva alla
stessa volontà del Fürer, il quale
diversi anni prima aveva visto
Metropolis insieme al suo futuro
Ministro per la Propaganda. Se Hitler
era disposto a ignorare le origini
ebraiche del regista, è lecito pensare
che a spingerlo a questa scelta ci
potessero essere dei motivi molto più
importanti di quelli che presume
Kracauer, il quale, a proposito di
Metropolis, parla tuttavia «di
contenuti sotterranei, che, come merce
di contrabbando, hanno attraversato le
frontiere della coscienza senza subire
ispezioni».
Che gli operai di Metropolis richiamino
gli schiavi dell’Antico Egitto,
piuttosto che i proletari di Marx ed
Engels, è un fatto abbastanza evidente.
Interessanti sono, inoltre, i
riferimenti alla torre di Babele,
menzionata nella Genesi biblica, dopo il
diluvio universale, che pone fine
all’epoca dei Giganti, descritti nel
libro di Enoch come stirpe generata
dagli angeli ribelli e dalle figlie
degli uomini (vi allude Il cielo
sopra Berlino di Wim Wenders).
L’uccisione dell’ultimo di essi da parte
di Davide avrebbe segnato l’avvento del
regno ebraico di Israele. L’esistenza
delle due città e la necessità di
stipulare un patto tra loro, l’alluvione
che minaccia di distruggere Metropolis,
simbolo di una civiltà altamente
evoluta, e lo spirito di magia che
aleggia intorno alla figura dello
scienziato/stregone sono elementi
indiziari molto importanti, se
affrontati alla luce delle credenze
esoteriche dei nazisti.
Poco prima dell’apparizione di
Metropolis, l’anno in cui Hitler
pubblica il Mein Kampf, in Europa
fa la sua comparsa anche il libro di
Ferdinando Ossendowski, Bestie uomini
e dei. L’ex ufficiale zarista vi
narrava le avventure del suo viaggio
attraverso la Siberia e la Mongolia per
sfuggire alla cattura dei bolscevichi.
Egli riferisce di strani personaggi
incontrati lungo il cammino a cui fa
risalire l’affermazione dell’esistenza
di una città sotterranea, che partecipa
dei cosiddetti “misteri cosmici” e che
sarebbe governata dal “re del mondo”.
Prima di Ossendowski, l’idea della città
sotterranea e del suo misterioso
governatore era stata messa a conoscenza
del vasto pubblico occidentale
attraverso La mission de l’Inde,
opera postuma dell’esoterista francese
Saint-Yves d’Alveydre, pubblicata nel
1910. Ma i riferimenti alla città
sotterranea erano già contenuti nel
libro Les fils de Dieu
dell’orientalista Louis Jacolliot. Il
racconto di Ossendowski su questa città
arriva dunque in ordine di tempo per
ultimo e a differenza di Saint Yves e
Jacolliot, che usano il nome di Agarttha,
egli la chiamerà Agharti (secondo la
pronuncia mongola), mettendola in
relazione con un’altra misteriosa città
sotterranea, quella di Schamballah.
Entrambe sarebbero comunque il residuo
di una civiltà altamente evoluta e
scomparsa a seguito di una catastrofe
come quella di Atlantide.
Per un’altra via, il mito di Schamballah
e quello di Agharti avrebbe finito per
entrare a far parte del corpo di
credenze esoteriche del nazismo,
attraverso la figura di Karl Haushoffer.
Nato nel 1869, questi sarebbe stato
iniziato in Giappone a una società
esoterica buddista. Dopo la prima guerra
mondiale, Haushoffer si dedica agli
studi di geopolitica e diventa uno dei
principali ispiratori di Thule, una
società più o meno esoterica, il cui
nome rimanda al mito germanico di
un’isola scomparsa nell’estremo nord del
continente europeo.
Haushoffer, che avrebbe assiduamente
frequentato Hitler durante la sua
detenzione dopo il tentato putsch di
Monaco, sarebbe altresì colui che ispira
il programma di egemonia
politico-militare della Germania,
illustrato nel Mein Kampf. Sempre
Haushoffer sarebbe infine colui che
sceglierà la croce uncinata come emblema
del partito nazista, in sintonia con
l’idea, derivata dalla Società
Teosofica, secondo cui la razza ariana
avrebbe avuto la propria origine in
Tibet, dove è nato il simbolo della
svastica.
In particolare, sembra che gli aderenti
al gruppo Thule credessero alla
derivazione della razza ariana dai
giganti antidiluviani che abitarono le
terre divenute il deserto del Gobi in
seguito a una catastrofe non meglio
precisata. La culla dell’antica civiltà
ariana si sarebbe dunque estesa dal
Turkhestan al Pamir e dal Gobi al Tibet
al comando dei detentori di un’evoluta
civiltà scomparsa. Nelle cavità della
terra, sotto la catena montuosa
himalayana, i loro discendenti si
sarebbero scissi in due ordini
iniziatici: la via della mano destra
e la via della mano sinistra,
rispettivamente identificabili in
Agharti, la città del bene, e
Schamballah, la città della potenza, i
cui maghi comandano gli elementi della
natura e le masse umane.
Teorie pseudo scientifiche come quella
di Bender della terra cava, o come
quella di Horbiger del ghiaccio eterno
contribuirono infine ad avvallare le
ipotesi intorno all’esistenza delle
civiltà dei continenti scomparsi, sulle
cui credenze si allungava l’ombra della
Società Teosofica, coll’idea della
mutazione della razza umana e di strani
patti che dovevano essere stipulati con
i Signori usciti dalla terra, i quali
avrebbero determinato il destino da
dominatori o da schiavi all’interno
delle nuove città che sarebbero sorte.
Queste idee prendono forma già prima
della nascita del nazismo, con la
berlinese “Loggia Luminosa”, denominata
anche “Società del Vril”. Fulcro
essenziale del pensiero di questa Loggia
erano le concezioni espresse in un
romanzo dal titolo La razza che ci
soppianterà dell’inglese Bulwer
Lytton, un membro del gruppo di
dignitari massoni che nel 1867, alla
guida di Wentworth Little, avevano
costituito la sedicente società
rosacrociana inglese, da cui nel 1887 si
sarebbe staccata la “Golden Dawn”.
L’idea sostenuta dai nazisti di produrre
una mutazione genetica a vantaggio della
razza ariana discende dal punto di vista
filologico da tali premesse. La logica
dei campi di sterminio risiederà
nell’assunto di schiavizzare coloro che
avrebbero conservato la memoria genetica
degli atlantidi, sopra i quali la
civiltà di Thule doveva nuovamente
trionfare. Anche se Metropolis non aveva
niente a che spartire con queste idee,
Fritz Lang era riuscito a cogliere ciò
che di esse vi era nell’aria e avrebbe
potuto a buon titolo essere riciclato
come regista di regime.
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