contemporanea
LA CINA DEI FIGLI UNICI
UNA LEGGE
TRA ECONOMIA E UMANITÀ
di Consuelo Marziali
La legge sul figlio unico venne
introdotta in Cina nel 1979,
al
fine di frenare l’incontrollabile
crescita demografica del Paese.
Essa fu il risultato di decisioni
economiche rivelatesi disastrose, prima
tra tutti quella del “Grande Balzo in
Avanti” (1958-1959).
All’ascesa al potere di Mao Zedong
(1893-1976), la Cina viveva ancora di
un’economia prevalentemente agricola,
molto arretrata rispetto all’Occidente.
Nell’intento di offrire al Paese una
nuova immagine, il leader politico avviò
una serie di campagne volte a promuovere
la ripresa economica della nazione. Tra
queste, il succitato “Grande Balzo in
Avanti” rivestì un ruolo di primaria
importanza. I protagonisti di questo
progetto furono i lavoratori cinesi.
Lanciata ufficialmente nella primavera
del 1958, tale politica rappresentava
apparentemente un’occasione di riscatto
economico e sociale per il popolo
cinese, condannato a millenni di
arretratezza dalla tradizione
confuciana. I residenti delle zone
rurali e delle zone urbane,
indipendentemente da età e censo,
vennero chiamati ad abbandonare i loro
mestieri d’origine, per concentrare le
loro forze nella produzione di ferro e
acciaio.
Questo progetto portò a dei risultati
che, di certo, non erano quelli sperati:
il ferro e l’acciaio ottenuti si
rivelarono inutili e di infima qualità.
Nel frattempo, a causa del quasi totale
abbandono delle campagne, la produzione
di grano,
che
rappresentava il 90% del contenuto
calorico dell’alimentazione cinese,
subì pesanti battute d’arresto: le
condizioni di vita dei cittadini
iniziarono rapidamente a peggiorare e
gli effetti del Grande Balzo in Avanti
si fecero insostenibili in tutto il
Paese.
Il governo si trovò, infatti, ad
affrontare sempre maggiori difficoltà
nel riuscire a nutrire una popolazione
che, nelle città, aumentava di anno in
anno.
L’ascesa al potere di Deng Xiaoping
(1904-1997), anche noto con il nome di
“Piccolo Timoniere”, segnò un decisivo
punto di svolta. Questi lanciò delle
politiche di modernizzazione che
condussero la Cina verso risultati mai
ottenuti in precedenza. Ciononostante, i
problemi che avevano piegato il Paese
sin dall’inizio del XX secolo, tra cui
la pressione demografica, costantemente
in eccesso rispetto alla disponibilità
alimentare cinese, erano ancora lontani
dall’essere risolti.
Pertanto, al fine di disinnescare
l’eccessiva crescita della popolazione,
il governo di Deng Xiaoping pensò a dei
sistemi di politica di controllo delle
nascite. Essi si tradussero nella legge
sul figlio unico, provvedimento lanciato
ufficialmente nel 1979 e tristemente
noto in tutto il mondo. Il governo
centrale stabilì che ogni coppia avesse
diritto a un unico erede e inaugurò così
una delle stagioni umanamente più crude
della storia cinese.
La promulgazione di tale politica
scatenò reazioni intense tra la
popolazione, a causa della violazione
dei diritti umani fondamentali. Con
“violazione dei diritti umani”, non si
fa riferimento solo all’obbligo previsto
dalla summenzionata legge ad avere un
solo erede, ma anche agli aborti forzati
e alle sterilizzazioni indotte che
hanno seguito l’istituzione della legge
sul figlio unico.
Il popolo veniva sollecitato ad avere un
unico figlio tramite incentivi materiali
e finanziari, quali l’incremento
salariale, l’accesso alle scuole
migliori e ai servizi sanitari di
maggior prestigio. Alle coppie con più
di un bambino non solo erano negati
questi privilegi, ma veniva loro imposto
di pagare una tassa, la cui somma
aumentava in modo direttamente
proporzionale al numero totale di figli.
Dalla fine della fase
arcaica-matriarcale della sua storia e
soprattutto con l’avvento della
tradizione confuciana, la Cina ha sempre
dato maggior peso, in termini di
procreazione, ai figli di sesso maschile
rispetto a quelli di sesso femminile;
gli uomini rappresentavano di fatto la
forza motrice della società ed erano
proprio loro a prendersi cura dei propri
genitori durante la vecchiaia, in linea
con un valore morale confuciano da
sempre alla base della società cinese,
quello della pietà filiale.
A causa di queste convinzioni, le
bambine iniziarono a essere sempre più
oggetto di abbandono e infanticidio.
Inoltre, aumentò in maniera piuttosto
significativa l’incidenza del tasso di
aborti nei casi in cui ci si confrontava
con la certezza che al termine di una
gravidanza sarebbe nata una femmina.
L’antica preferenza per i figli maschi
ha creato uno squilibrio di genere
gravemente alimentato dal ricorso
all’aborto selettivo, facilitato in
qualche maniera dall’avvento delle
tecnologie a ultrasuoni, che
permettevano di riconoscere il sesso di
un nascituro già intorno alle venti
settimane di gestazione, in una fase,
quindi, in cui era ancora possibile
effettuare un’interruzione di
gravidanza.
L’infanticidio femminile non era una
pratica approvata dalle autorità
governative; esso era piuttosto un
fenomeno complesso, determinato dai
fattori culturali precedentemente citati
e da altri di natura economica. La
pratica dell’infanticidio era comunque
diffusa, soprattutto nelle aree rurali,
laddove la tradizione confuciana era
maggiormente radicata, e rappresentava
una forma di violenza che si estendeva
addirittura alle donne incinte di
nasciture. Queste future mamme erano
spesso al centro di discriminazioni,
colpevolizzate talvolta dagli stessi
mariti di non essere state in grado di
concepire un figlio maschio.
In tutta la Cina, con qualche eccezione
riservata alle minoranze etniche e alle
zone rurali, la nascita del secondo
figlio era punita con severissime
sanzioni. La più comune di esse era il
pagamento di una multa
straordinariamente salata, che in genere
coincideva con l’equivalente di un anno
di lavoro di una comune famiglia cinese,
ma nei casi più estremi, la somma da
pagare poteva corrispondere al doppio
dello stipendio annuo.
Nel caso in cui una famiglia non avesse
avuto il denaro necessario per colmare
il debito, autorità inviate dalla
commissione per il controllo delle
nascite avrebbero confiscato parte dei
beni domestici, fino al raggiungimento
di un valore equivalente a quello
indicato dalla multa. Le punizioni più
estreme però erano, se possibile,
peggiori.
Nel caso in cui lo Stato avesse scoperto
l’esistenza di un bambino nato fuori
dalla pianificazione delle nascite o una
gravidanza non permessa, avrebbe potuto
disporre il licenziamento lavorativo
immediato di entrambi i coniugi, il loro
arresto, l’aborto forzato a qualsiasi
stadio della gestazione o, addirittura,
la sterilizzazione di almeno uno dei due
componenti della coppia. Quest’ultima
soluzione era la preferita dalle
autorità cinesi, in quanto rappresentava
la prova schiacciante e definitiva della
non fertilità dei coniugi; inoltre, era
una pratica irreversibile,
contrariamente a molti altri strumenti
anticoncezionali dalla durata
temporanea, che potevano essere evitati
o rimossi in qualsiasi momento.
Molte sono anche le testimonianze di
donne costrette a interrompere la
gravidanza quando il parto era ormai
alle porte. L’aborto forzato era
praticato con un’iniezione di lattato di
etacridina nello spazio extra amniotico,
a seguito della quale il feto veniva
estratto dall’utero materno e
solitamente poggiato in un cesto accanto
al letto della mamma, poiché doveva
fungere da monito per coloro che
avessero osato disobbedire alla politica
di pianificazione delle nascite.
La legge sul figlio ha impedito, dal
1979, la nascita di circa 400 milioni di
bambini.
Interrompendo il “flusso” delle nascite,
però, ha anche determinato un enorme gap
generazionale, tanto che nel 2030, più
di un quarto della popolazione cinese
avrà probabilmente superato i 60 anni. È
probabile, pertanto, che nell’immediato
futuro si verificherà una grave mancanza
di lavoratori.
Il costante invecchiamento della
popolazione ha così spinto demografi,
economisti e leader politici cinesi a
fare un passo indietro, a remare nella
direzione opposta e dichiarare
l’apertura universale al secondo figlio
nel 2016, nel tentativo di risollevare
il tasso di natalità del Paese. Questo
provvedimento non ha però realizzato le
speranze del governo, che dal 2017 ha
tentato ulteriormente di incentivare la
procreazione tramite un baby bonus,
un “pacchetto” che comprende un supporto
economico e la garanzia di accesso a
privilegi scolastici e sanitari. Anche
questo stimolo non è stato però
sufficiente per risollevare il tasso di
natalità del Paese.
Il governo, attualmente impegnato a
fronteggiare il problema opposto
rispetto a quello per cui la legge sul
figlio unico era stata introdotta, ha
ora a che fare con una società diversa
da quella del 1980, una società che pare
assumere una forma sempre più simile a
quella occidentale, almeno in termini di
famiglia. I ritmi di vita frenetici a
cui i giovani sono sottoposti, la loro
concentrazione sullo studio e
l’ossessione di fare carriera per
ottenere un impiego dignitoso ha ormai
distolto l’attenzione dei giovani dalla
famiglia.
Ad oggi, infatti, a tutte le coppie
cinesi è concessa la possibilità di
avere due bambini. Sebbene la
popolazione tocchi un miliardo e
quattrocento milioni di persone, però,
il tasso di natalità del Paese è ai
minimi storici, motivo per cui il
governo centrale sta considerando l’idea
di abbandonare totalmente la
pianificazione delle nascite in vigore
dal 1979.
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