[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


attualità

Il lungo confine tra Cina e India

Tensioni sul tetto del mondo

di Gian Marco Boellisi

 

Nei primi mesi del 2000 si facevano spesso previsioni a chi sarebbe appartenuto il secolo appena iniziato. Alcuni parlavano di “Secolo Africano”, altri di “Secolo Asiatico”. Per quanto dopo 20 anni ci siano stati degli importanti spostamenti negli equilibri mondiali, ancora oggi non si è riusciti a capire chi tra i tanti analisti avesse ragione.

 

Certo è che alcune nazioni asiatiche stanno cercando di pesare sempre più all’interno dello scacchiere mondiale, dominato ormai per svariati secoli dalle grandi potenze occidentali. Cina e India sono il lampante esempio di quanto riportato sopra, solo che, avendo origini, culture, tradizioni e soprattutto obiettivi diversi, il loro rapporto è uno dei più complessi e problematici dell’intero continente.

 

Basti pensare che nell’ottobre 2019, in un summit informale tra i due presidenti Xi Jinping e Narendra Modi, si era deciso di rendere il 2020 un simbolo dell’amicizia tra i due paesi, essendo questo l’anniversario delle relazioni indo-cinesi. Furono programmati circa 70 eventi ufficiali, nessuno dei quali però ha avuto luogo. Negli ultimi due mesi infatti si sono riaccese le forti storiche tensioni lungo il confine tra i due paesi, dimostrando l’effettiva incompatibilità ambientale tra i due giganti asiatici. È interessante quindi capire l’origine di questa disputa di confine e analizzare quali sono i punti di frizione principali a causa dei quali il dragone e l’elefante si guardano con sospetto da tempo immemore.

 

Partiamo dalle origini. Nel susseguirsi dei secoli, la Cina ha sempre considerato il Tibet come una propria zona esclusiva d’influenza, tant’è che dalla metà del XVIII secolo la piccola regione himalayana divenne stato vassallo del Celeste Impero. Tuttavia, forte di spinte autonomiste interne e del supporto armato diretto britannico, il Tibet dichiarò l’indipendenza dalla Cina imperiale e divenne ben presto uno stato cuscinetto protetto indirettamente dalla Gran Bretagna, la quale possedeva i territori indiani, e la neonata Repubblica di Cina.

 

L’Impero Britannico e il Tibet firmarono l’Accordo di Simla nel 1913 per regolamentare i confini con la Cina, questione a lungo rimandata e mai del tutto chiarita. Venne così costituita la Linea MacCartney-MacDonald. In questa maniera l’India ricevette diversi vantaggi territoriali a nord-est e a nord-ovest, ottenendo diverse posizioni strategiche ed evitando così, secondo i pareri dell’epoca, una potenziale discesa russa in Asia Centrale. Nonostante le proteste ripetute della Cina, questa si trovava in una situazione di singolare debolezza, tanto da non poter neanche immaginare di fare la voce grossa con la Gran Bretagna.

 

La musica tuttavia cambiò nel 1949, quando i nazionalisti vennero sconfitti ed esiliati a Taiwan mentre i comunisti di Mao andarono al potere. Forti di un fervente nazionalismo, le forze della Repubblica Popolare Cinese invasero il Tibet e ne ottennero il controllo nel 1950, eliminando così lo stato cuscinetto residuo dell’era coloniale britannica e creando un confine diretto tra India e Cina. La diplomazia indiana tentò svariate volte di mediare con Pechino per raggiungere un equilibrio, ma sempre invano, arrivando nel 1960-1961 a un vero e proprio conflitto su piccola scala. Oggi quel confine è ancora là, nella sua enorme lunghezza di 4.000 chilometri.

 

Per quanto scontri armati sporadici siano sempre accaduti nella regione, le recenti tensioni hanno raggiunto livelli di violenza con precedenti solo nel conflitto del secolo scorso. Verso la metà di giugno 2020 entrambi i governi hanno iniziato a muovere reciproche accuse di sconfinamento e movimenti di truppe lungo il confine. In queste situazioni purtroppo è impossibile stabilire chi sia stato il primo a innescare la crisi, pertanto è inutile muovere ipotesi in questo senso.

 

In pochi giorni la situazione sarebbe degenerata celermente, con un conteggio di 20 soldati indiani e 43 cinesi morti negli scontri avvenuti per lo più a mani nude. Avvertendo l’estrema gravità della situazione, gli ufficiali di entrambe le parti si sono incontrati immediatamente per cercare di soffocare la situazione prima che fosse troppo tardi. Nonostante questo, entrambe le nazioni hanno continuato ad ammassare truppe lungo il confine, sia per una questione di deterrenza sia per cercare di sfruttare eventuali debolezze del nemico nel caso in cui si fosse presentata un’opportunità.

 

Dopo 2 settimane di apnea per tutte le cancellerie del mondo, il 30 giugno 2020 si è giunti a un accordo comune, con l’inizio della smobilitazione delle truppe cinesi per i primi di luglio. Secondo Reuters, le forze cinesi si sarebbero ritirate anche da altre aree contese con l’India sempre a seguito degli accordi del 30 giugno, tra cui la regione di Gogra e la valle di Galwan.

 

All’origine degli scontri è molto probabile che ci sia il recente potenziamento delle strade lungo la LAC, ovvero la Line of Actual Control, una linea virtuale equivalente a quella occidentale che divide l’Himalaya a Est. Questa fu stabilita dopo la breve guerra del 1962 persa dagli indiani, i quali contestarono immediatamente dopo l’occupazione da parte cinese dell’area dell’Aksai Chin, ovvero 40mila chilometri quadrati di territorio facente parte del Kashmir attualmente integrato nella contea di Hotan all’interno della regione autonoma dello Xinjiang. La strada in questione sarebbe la Darbuk-Shyok-Daulat-Beg-Oldie, lunga 255 km e diretta verso la valle di Galwan. Pechino è molto probabile che veda tale infrastruttura come una minaccia ai propri interessi nella regione, essendo la strada molto vicina all’Aksai Chin.

 

Nonostante la fine prematura delle tensioni e il bilancio di vittime limitato, ciò non toglie la gravità della situazione. Infatti è la prima volta dopo il conflitto del 1960 che dei soldati vengono uccisi sulle montagne dell’Himalaya ed è la prima volta che si utilizzano armi da fuoco tra le due parti dal 1975. L’ultima volta che si giunse a un braccio di ferro tra le due potenze fu nel 2018 a causa di tensioni nel Sikkim, una regione di confine a Est. Anche in questo caso il casus belli fu una strada ma questa volta costruita dai cinesi sull’altopiano di Doklam. Il tutto durò due mesi senza fare vittime e con una vittoria tattica indiana.

 

Per quanto queste continue tensioni sembrino essere meramente territoriali, in verità vi è molto di più. Cina e India sono in competizione sotto quasi tutti i punti di vista, con svariati punti di frizione che potenzialmente potrebbero portare ancora maggiore squilibrio nell’intera regione. Il cuore della questione infatti è la politica di proiezione di potenza nel Mar Cinese Meridionale e nell’Oceano Indiano portata avanti negli ultimi anni da parte di Pechino.

 

Il dragone cinese sta infatti cercando di imporsi sempre più come un egemone regionale, sperando un giorno di strappare il podio di egemone globale dagli Stati Uniti, e per fare ciò ha bisogno del controllo dei mari vicini e delle relative rotte di commercio. Allargando sempre maggiormente il concetto territoriale della propria sfera d’influenza, la Cina sta andando inevitabilmente a toccare zone d’interesse storicamente appartenenti ad altre nazioni, tra cui ovviamente l’India. Non avendo quest’ultima alcuna ambizione globale, ma meramente regionale, è più che naturale quindi il senso di accerchiamento provato da Nuova Delhi a fronte del forte espansionismo politico, economico e militare di Pechino nella regione.

 

Nell’ambito proprio di questa espansione cinese, risultano di grande interesse strategico numerose infrastrutture situate nei punti di frizione territoriali tra Cina e India, i quali sono necessari alla prima per realizzare il proprio progetto faraonico della Nuova Via della Seta e vitali alla seconda per raggiungere un’integrità territoriale compiuta e gestire il forte spirito nazionalista su cui le ultime amministrazioni fanno leva in tempo di elezioni.

 

Tra queste regioni vi è il China-Pakistan Economic Corridor (Cpec), fascia di territorio necessaria per facilitare il collegamento tra Cina e Pakistan con l’ausilio di porti, strade, ferrovie. La sensibilità di questa regione è data dal fatto che attraversa proprio il Kashmir oltre che l Belucistan e lo Xinjiang. Proprio questo è uno dei motivi per cui Pechino ha protestato animosamente quanto il Kashmir indiano ha subito una variazione di status giuridico e Nuova Delhi ha paventato la possibilità di annettere il Kashmir pakistano, minacciando così di entrare in guerra contro il Pakistan, alleato chiave di Pechino nella regione.

 

Nell’ottica di contenere l’espansione economica e politica cinese, Nuova Delhi sta cercando di sabotare in tutti i modi i collegamenti e i potenziamenti infrastrutturali al porto di Gwadar, porto pakistano cuore della strategia marittima cinese della Nuova Via della Seta. Questo infatti, oltre a essere un hub di snodo sia marittimo sia terrestre per le merci da/verso l’Europa, risulta essere anche un importante centro di collegamento con il Golfo Persico e il Mare Arabico. È importante ricordare infatti che la Cina non risulta in alcun modo indipendente dal punto di vista energetico e che senza le petroliere di greggio proveniente dalla penisola arabica, Pechino vedrebbe la propria economia fermarsi nel giro di poche settimane.

 

Un ultimo punto di frizione in ambito internazionale è l’arcipelago delle Maldive. Anch’esso ritenuto uno snodo fondamentale per le rotte commerciali cinesi dirette verso l’Africa, il piccolo gruppo di isole è stato oggetto negli anni scorsi di un’aspra contesa politica tra candidati presidenziali filo-cinesi e filo-indiani. Pechino dal 2014 ha investito decine di milioni di dollari in infrastrutture nella regione, cercando di accattivare la popolazione locale verso un’amministrazione China-friendly. Tuttavia nell’ultima tornata elettorale ha prevalso il candidato filo-indiano, rimandando le strategie di contenimento indiano del dragone cinese.

 

In conclusione, gli scontri dell’ultimo mese dimostrano come, sebbene periodicamente riemerga la volontà di collaborare tra le due nazioni, India e Cina siano due realtà politiche molto distanti tra loro e con una visione del proprio futuro e dell’Asia molto diverso. Per quanto simili scontri destino sempre preoccupazione in tutte le Cancellerie del mondo, è estremamente improbabile che nel prossimo futuro si possa giungere a un conflitto su larga scala.

 

In primis perché nessuna delle due amministrazioni è intenzionata a impelagarsi in un conflitto che potrebbe durare potenzialmente anni (è lecito ricordare che entrambe le nazioni sono delle potenze nucleari) e in secundis perché Cina e India sono ancora pienamente dentro la tempesta Covid-19, la quale per la particolare densità urbanistica di entrambe le nazioni sarà ancora molto difficile da domare per svariato tempo.

 

Nonostante ciò, l’India rappresenta una grande incognita e allo stesso tempo una spina nel fianco per Pechino, essendo quest’ultima intenzionata oggi più che mai a diventare una delle poche potenze a reggere i fili del mondo. La Cina dovrà quindi trovare un equilibrio stabile e duraturo con il proprio vicino se vuole procedere senza intoppi verso il grande confronto sino-statunitense che sicuramente caratterizzerà buona parte del nostro secolo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]