attualità
Il lungo confine
tra Cina e India
Tensioni sul tetto
del mondo
di Gian Marco Boellisi
Nei primi mesi del 2000 si facevano
spesso previsioni a chi sarebbe
appartenuto il secolo appena iniziato.
Alcuni parlavano di “Secolo Africano”,
altri di “Secolo Asiatico”. Per quanto
dopo 20 anni ci siano stati degli
importanti spostamenti negli equilibri
mondiali, ancora oggi non si è riusciti
a capire chi tra i tanti analisti avesse
ragione.
Certo è che alcune nazioni asiatiche
stanno cercando di pesare sempre più
all’interno dello scacchiere mondiale,
dominato ormai per svariati secoli dalle
grandi potenze occidentali. Cina e India
sono il lampante esempio di quanto
riportato sopra, solo che, avendo
origini, culture, tradizioni e
soprattutto obiettivi diversi, il loro
rapporto è uno dei più complessi e
problematici dell’intero continente.
Basti pensare che nell’ottobre 2019, in
un summit informale tra i due presidenti
Xi Jinping e Narendra Modi, si era
deciso di rendere il 2020 un simbolo
dell’amicizia tra i due paesi, essendo
questo l’anniversario delle relazioni
indo-cinesi. Furono programmati circa 70
eventi ufficiali, nessuno dei quali però
ha avuto luogo. Negli ultimi due mesi
infatti si sono riaccese le forti
storiche tensioni lungo il confine tra i
due paesi, dimostrando l’effettiva
incompatibilità ambientale tra i due
giganti asiatici. È interessante quindi
capire l’origine di questa disputa di
confine e analizzare quali sono i punti
di frizione principali a causa dei quali
il dragone e l’elefante si guardano con
sospetto da tempo immemore.
Partiamo dalle origini. Nel susseguirsi
dei secoli, la Cina ha sempre
considerato il Tibet come una propria
zona esclusiva d’influenza, tant’è che
dalla metà del XVIII secolo la piccola
regione himalayana divenne stato
vassallo del Celeste Impero. Tuttavia,
forte di spinte autonomiste interne e
del supporto armato diretto britannico,
il Tibet dichiarò l’indipendenza dalla
Cina imperiale e divenne ben presto uno
stato cuscinetto protetto indirettamente
dalla Gran Bretagna, la quale possedeva
i territori indiani, e la neonata
Repubblica di Cina.
L’Impero Britannico e il Tibet firmarono
l’Accordo di Simla nel 1913 per
regolamentare i confini con la Cina,
questione a lungo rimandata e mai del
tutto chiarita. Venne così costituita la
Linea MacCartney-MacDonald. In questa
maniera l’India ricevette diversi
vantaggi territoriali a nord-est e a
nord-ovest, ottenendo diverse posizioni
strategiche ed evitando così, secondo i
pareri dell’epoca, una potenziale
discesa russa in Asia Centrale.
Nonostante le proteste ripetute della
Cina, questa si trovava in una
situazione di singolare debolezza, tanto
da non poter neanche immaginare di fare
la voce grossa con la Gran Bretagna.
La musica tuttavia cambiò nel 1949,
quando i nazionalisti vennero sconfitti
ed esiliati a Taiwan mentre i comunisti
di Mao andarono al potere. Forti di un
fervente nazionalismo, le forze della
Repubblica Popolare Cinese invasero il
Tibet e ne ottennero il controllo nel
1950, eliminando così lo stato
cuscinetto residuo dell’era coloniale
britannica e creando un confine diretto
tra India e Cina. La diplomazia indiana
tentò svariate volte di mediare con
Pechino per raggiungere un equilibrio,
ma sempre invano, arrivando nel
1960-1961 a un vero e proprio conflitto
su piccola scala. Oggi quel confine è
ancora là, nella sua enorme lunghezza di
4.000 chilometri.
Per quanto scontri armati sporadici
siano sempre accaduti nella regione, le
recenti tensioni hanno raggiunto livelli
di violenza con precedenti solo nel
conflitto del secolo scorso. Verso la
metà di giugno 2020 entrambi i governi
hanno iniziato a muovere reciproche
accuse di sconfinamento e movimenti di
truppe lungo il confine. In queste
situazioni purtroppo è impossibile
stabilire chi sia stato il primo a
innescare la crisi, pertanto è inutile
muovere ipotesi in questo senso.
In pochi giorni la situazione sarebbe
degenerata celermente, con un conteggio
di 20 soldati indiani e 43 cinesi morti
negli scontri avvenuti per lo più a mani
nude. Avvertendo l’estrema gravità della
situazione, gli ufficiali di entrambe le
parti si sono incontrati immediatamente
per cercare di soffocare la situazione
prima che fosse troppo tardi. Nonostante
questo, entrambe le nazioni hanno
continuato ad ammassare truppe lungo il
confine, sia per una questione di
deterrenza sia per cercare di sfruttare
eventuali debolezze del nemico nel caso
in cui si fosse presentata
un’opportunità.
Dopo 2 settimane di apnea per tutte le
cancellerie del mondo, il 30 giugno 2020
si è giunti a un accordo comune, con
l’inizio della smobilitazione delle
truppe cinesi per i primi di luglio.
Secondo Reuters, le forze cinesi si
sarebbero ritirate anche da altre aree
contese con l’India sempre a seguito
degli accordi del 30 giugno, tra cui la
regione di Gogra e la valle di Galwan.
All’origine degli scontri è molto
probabile che ci sia il recente
potenziamento delle strade lungo la LAC,
ovvero la Line of Actual Control,
una linea virtuale equivalente a quella
occidentale che divide l’Himalaya a Est.
Questa fu stabilita dopo la breve guerra
del 1962 persa dagli indiani, i quali
contestarono immediatamente dopo
l’occupazione da parte cinese dell’area
dell’Aksai Chin, ovvero 40mila
chilometri quadrati di territorio
facente parte del Kashmir attualmente
integrato nella contea di Hotan
all’interno della regione autonoma dello
Xinjiang. La strada in questione sarebbe
la Darbuk-Shyok-Daulat-Beg-Oldie, lunga
255 km e diretta verso la valle di
Galwan. Pechino è molto probabile che
veda tale infrastruttura come una
minaccia ai propri interessi nella
regione, essendo la strada molto vicina
all’Aksai Chin.
Nonostante la fine prematura delle
tensioni e il bilancio di vittime
limitato, ciò non toglie la gravità
della situazione. Infatti è la prima
volta dopo il conflitto del 1960 che dei
soldati vengono uccisi sulle montagne
dell’Himalaya ed è la prima volta che si
utilizzano armi da fuoco tra le due
parti dal 1975. L’ultima volta che si
giunse a un braccio di ferro tra le due
potenze fu nel 2018 a causa di tensioni
nel Sikkim, una regione di confine a
Est. Anche in questo caso il casus
belli fu una strada ma questa volta
costruita dai cinesi sull’altopiano di
Doklam. Il tutto durò due mesi senza
fare vittime e con una vittoria tattica
indiana.
Per quanto queste continue tensioni
sembrino essere meramente territoriali,
in verità vi è molto di più. Cina e
India sono in competizione sotto quasi
tutti i punti di vista, con svariati
punti di frizione che potenzialmente
potrebbero portare ancora maggiore
squilibrio nell’intera regione. Il cuore
della questione infatti è la politica di
proiezione di potenza nel Mar Cinese
Meridionale e nell’Oceano Indiano
portata avanti negli ultimi anni da
parte di Pechino.
Il dragone cinese sta infatti cercando
di imporsi sempre più come un egemone
regionale, sperando un giorno di
strappare il podio di egemone globale
dagli Stati Uniti, e per fare ciò ha
bisogno del controllo dei mari vicini e
delle relative rotte di commercio.
Allargando sempre maggiormente il
concetto territoriale della propria
sfera d’influenza, la Cina sta andando
inevitabilmente a toccare zone
d’interesse storicamente appartenenti ad
altre nazioni, tra cui ovviamente
l’India. Non avendo quest’ultima alcuna
ambizione globale, ma meramente
regionale, è più che naturale quindi il
senso di accerchiamento provato da Nuova
Delhi a fronte del forte espansionismo
politico, economico e militare di
Pechino nella regione.
Nell’ambito proprio di questa espansione
cinese, risultano di grande interesse
strategico numerose infrastrutture
situate nei punti di frizione
territoriali tra Cina e India, i quali
sono necessari alla prima per realizzare
il proprio progetto faraonico della
Nuova Via della Seta e vitali alla
seconda per raggiungere un’integrità
territoriale compiuta e gestire il forte
spirito nazionalista su cui le ultime
amministrazioni fanno leva in tempo di
elezioni.
Tra queste regioni vi è il
China-Pakistan Economic Corridor (Cpec),
fascia di territorio necessaria per
facilitare il collegamento tra Cina e
Pakistan con l’ausilio di porti, strade,
ferrovie. La sensibilità di questa
regione è data dal fatto che attraversa
proprio il Kashmir oltre che l
Belucistan e lo Xinjiang. Proprio questo
è uno dei motivi per cui Pechino ha
protestato animosamente quanto il
Kashmir indiano ha subito una variazione
di status giuridico e Nuova Delhi ha
paventato la possibilità di annettere il
Kashmir pakistano, minacciando così di
entrare in guerra contro il Pakistan,
alleato chiave di Pechino nella regione.
Nell’ottica di contenere l’espansione
economica e politica cinese, Nuova Delhi
sta cercando di sabotare in tutti i modi
i collegamenti e i potenziamenti
infrastrutturali al porto di Gwadar,
porto pakistano cuore della strategia
marittima cinese della Nuova Via della
Seta. Questo infatti, oltre a essere un
hub di snodo sia marittimo sia
terrestre per le merci da/verso
l’Europa, risulta essere anche un
importante centro di collegamento con il
Golfo Persico e il Mare Arabico. È
importante ricordare infatti che la Cina
non risulta in alcun modo indipendente
dal punto di vista energetico e che
senza le petroliere di greggio
proveniente dalla penisola arabica,
Pechino vedrebbe la propria economia
fermarsi nel giro di poche settimane.
Un ultimo punto di frizione in ambito
internazionale è l’arcipelago delle
Maldive. Anch’esso ritenuto uno snodo
fondamentale per le rotte commerciali
cinesi dirette verso l’Africa, il
piccolo gruppo di isole è stato oggetto
negli anni scorsi di un’aspra contesa
politica tra candidati presidenziali
filo-cinesi e filo-indiani. Pechino dal
2014 ha investito decine di milioni di
dollari in infrastrutture nella regione,
cercando di accattivare la popolazione
locale verso un’amministrazione
China-friendly. Tuttavia nell’ultima
tornata elettorale ha prevalso il
candidato filo-indiano, rimandando le
strategie di contenimento indiano del
dragone cinese.
In conclusione, gli scontri dell’ultimo
mese dimostrano come, sebbene
periodicamente riemerga la volontà di
collaborare tra le due nazioni, India e
Cina siano due realtà politiche molto
distanti tra loro e con una visione del
proprio futuro e dell’Asia molto
diverso. Per quanto simili scontri
destino sempre preoccupazione in tutte
le Cancellerie del mondo, è estremamente
improbabile che nel prossimo futuro si
possa giungere a un conflitto su larga
scala.
In primis
perché nessuna delle due amministrazioni
è intenzionata a impelagarsi in un
conflitto che potrebbe durare
potenzialmente anni (è lecito ricordare
che entrambe le nazioni sono delle
potenze nucleari) e in secundis
perché Cina e India sono ancora
pienamente dentro la tempesta Covid-19,
la quale per la particolare densità
urbanistica di entrambe le nazioni sarà
ancora molto difficile da domare per
svariato tempo.
Nonostante ciò, l’India rappresenta una
grande incognita e allo stesso tempo una
spina nel fianco per Pechino, essendo
quest’ultima intenzionata oggi più che
mai a diventare una delle poche potenze
a reggere i fili del mondo. La Cina
dovrà quindi trovare un equilibrio
stabile e duraturo con il proprio vicino
se vuole procedere senza intoppi verso
il grande confronto sino-statunitense
che sicuramente caratterizzerà buona
parte del nostro secolo. |