[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

193 / GENNAIO 2024 (CCXXIV)


contemporanea

Storia dell’economia moderna cinese
Le ragioni del successo

di Enrico Targa

Siamo soliti definire il successo dell’economia cinese come un miracolo senza precedenti ma in realtà il successo che ha portato il paese ad accrescere il proprio PIL a doppia cifra per un trentennio senza interruzioni risale ai tempi moderni quando la Cina era una potenza di prim’ordine e un asset fondamentale per quella che lo storico francese Fernand Braudel definì l’economia mondo.

Nel 1794 durante il dominio della dinastia Quing la popolazione dell’allora impero celeste (l’imperatore cinese era considerato di origine divina) ammontava a 313.000.000 di abitanti (il 30,20% popolazione mondiale) nello stesso periodo l’Europa era abitata da 180.000.000 di individui. Durante l’età moderna la Cina importa pochissimo se non nulla, è autosufficiente ed esporta molti prodotti soprattutto dai primi anni del ‘700 e i contatti commerciali con l’Europa, di una certa importanza a parte gli scambi che avvenivano attraverso la via della seta, si intensificarono con l’istituzione della prima dogana marittima europea nel 1685 mentre le autorizzazioni concesse alle corporazioni mercantili di commerciare con gli europei arriva solo nel 1760. Gli europei avevano bisogno, per soddisfare la domanda del proprio mercato interno, delle seguenti merci cinesi: seta, carta, porcellana, thè, medicinali.

Gli europei non scambiano le merci cinesi con altri prodotti ma pagano in argento e oro: si stima che a inizio ‘700 circa 1/3 dell’argento estratto dall’America finisca in Cina. Nel corso dell’Ottocento però questo primato politico commerciale (ai cinesi dobbiamo la 4 grandi scoperte: la bussola, la polvere da sparo, la carta e la stampa) venne meno e iniziò il Secolo dell’umiliazione 1839-1949 caratterizzato dalle due guerre dell’oppio, la spartizione della Cina tra le grandi potenze, fine impero cinese (1912) e la nascita della Repubblica cinese guidata da Sun Yat Sen periodo giunto al termine con la guerra civile e la vittoria del partito comunista cinese guidato da Mao Zedong entrato trionfalmente a Pechino il 1° ottobre 1949.

La Cina rimane una realtà contadina anche a seguito del, fallimentare, balzo in avanti (1958-1962) e l’unico risultato concreto sul piano politico e internazionale fu il successo dell’esplosione della prima bomba atomica nel 1962 soprattutto grazie alla tecnologia fornita dai sovietici. La svolta o riscatto per l’economia cinese avvenne negli anni ‘70: finita la rivoluzione culturale con la morte di Mao, “grande timoniere”, nel 1976 venne nominato Presidente della Repubblica Popolare Cinese Deng Xiaoping “capo architetto” che pone agli arresti gli ex collaboratori di Mao (la Banda dei Quattro) e denuncia gli errori commessi da Mao: preservato come il padre della Patria ma si ammisero i primi errori (lo stesso Deng fu a suo tempo perseguitato da Mao) diede il via al rilancio economico attraverso le quattro modernizzazioni dei settori chiave: agricoltura, scienza e tecnologia, industria e difesa nazionale. Per farlo bisognava mettere da parte i dogmi marxisti leninisti introducendo, parzialmente, elementi dell’economia capitalista.

Nel 1982 Xiaoping propone la linea politica del Socialismo con caratteristiche cinesi: un socialismo che è un sistema misto aperto al mercato le cui caratteristiche sono le seguenti: vendita e compravendita libera delle merci, accumulazione dei capitali, si apre alla libera iniziativa privata in alcuni settori. Il tutto sotto l’egida del PCC che deve diventare ancora di più la guida delle politiche economiche. Nascono nuovi classi sociali di proprietari ora accolti nel partito che oramai accoglie tutta la Cina e non solo gli operai; in poche parole il capitalista non è più un nemico del popolo ma fa parte del popolo stesso. Una politica simile venne attuata durante l’URSS con la Nep, ma il processo di cambiamento cinese fu più radicale: riammise forme di scambio e di libero mercato in parallelo al dirigismo comunista. Non dimentichiamoci che il fine ultimo rimane sempre la creazione di una società comunista e il capitalismo viene sfruttato solo ed esclusivamente per creare una società industrializzata: ora la Cina arretrata si trova nella fase del “socialismo” come teorizzato da Marx.

I successi furono immediati: nel settore agricolo i contadini furono stimolati a produrre di più e vendendo i prodotti in eccesso disponevano di un reddito che gli consentiva di acquistare beni industriali generando uno sviluppo ulteriore; lo sviluppo dell’industria leggera della tecnologia e degli elettrodomestici che avevano bisogno di meno k e I per l’avviamento ponendo le basi per lo sviluppo delle prime industrie orientatealla componentistica: es. Huawei e Lenovo. Si realizzò un grande spostamento della popolazione dalle campagne alle città lungo la costa orientale: attualmente produce i 2/3 dell’export cinese. Il 90% della popolazione cinese vive nella cosiddetta Cina gialla a fronte del 10% presente nella Cina blu. Tuttavia, un’ampia percentuale di industrie è rimasta di proprietà statale. Dal 1970 al 1990 furono create alcune "Zone Economiche Speciali", inclusa Shenzhen, che in seguito divenne nota come "Silicon Valley of China” (prima degli anni ‘90 il settore trainante era quello tessile).

Dagli anni ‘70 fino al 1990 l’export industriale riguardava i settori dei giocattoli e tessile solo inseguito grazie all’acquisizione di nuove conoscenze (apertura del mercato interno alle imprese estere che importavano know how) si assiste a un vero e proprio boom dell’industria elettronica; per quanto riguarda la tecnologia Xiaoping apre all’ingresso in Cina di tecnici occidentali formando le prime join venture sfruttando quelli che l’economista Alexander Gerschenkron definisce i “vantaggi dell’arretratezza”. Per garantire il nuovo corso dell’economia cinese senza però abbandonare i principi socialisti viene regolamentato il settore immobiliare inoltre verso la fine degli anni ‘80 lo Stato è alla ricerca di metodi per commercializzare l’uso della terra e raccogliere fondi (soprattutto le autorità locali): il governo avviò la vendita dei contratti di locazione a lungo termine chiamati “diritti di uso del suolo” (LUR). Per l’uso commerciale hanno una durata pari a 40 anni, per uso abitativo 70 anni mentre per tutti gli altri usi 50 anni. Gli acquirenti pagano una tantum e una volta finito il periodo di uso il terreno torna in mano allo Stato. Ancora non è chiaro quale tipo di sistema immobiliare lo Stato a scopo residenziale voglia adottare (il caso delle 600 case di Wenzhou si è risolto con lo status, alla scadenza, di occupanti per i locatari i cui diritti d’uso erano scaduti).

Altro nodo cruciale da affrontare fu quello di garantire lavoro e cibo per tutti dopo i fallimenti in questo settore della politica maoista ed è per questo che nel 1979 venne introdotta la politica del figlio unico; sebbene riuscì a contenere la crescita demografica e a limitare la domanda di beni alimentari l’adozione di una politica così radicale causò una riduzione della forza lavoro e un invecchiamento della popolazione cinese attualmente l’unica al mondo ad avere più maschi che femmine. Nel 2013 la politica del figlio unico fu abolita e a partire dal 2021 le famiglie cinesi potranno avere un massimo di tre figli e nel 2015 per garantire i benefici pensionistici fu varata la riforma pensionistica che mira a risolvere il problema sollevato dalla politica della denatalità del passato. Sul versante dei contributi prevede la partecipazione padronale e dei lavoratorie innalza leggermente (1 mese per ogni anno di contributi) l’età pensionabile che nonostante ciò resta tra le più basse al mondo: 60 anni per gli uomini, 55 per le impiegate e 50 per le donne che lavorano nelle fabbriche.
Ovviamente anche Le banche svolsero un ruolo di volano fondamentale per lo sviluppo economico: una catena di banche pubbliche cioè controllate dallo Stato, una volta raccolti i soldi dei risparmiatori potevano erogare prestiti all’industria. I profitti bancari però non vennero ripartiti a beneficio dei risparmiatori (ad esempio abbassando il tasso d’interesse sui mutui o a incentivare la spesa sociale) ma furono ulteriormente investiti nel settore industriale. Le piazze finanziarie (dove ha sede la borsa) sono tre: Shenzhen, Shangai e Hong Kong. Sebbene tutte e tre le piazze finanziarie svolgano un ruolo importante nell’economia cinese, attualmente è la Borsa di Hong Kong la più grande del paese: in questa piazza vengono negoziate le azioni H, emesse da società cinesida molti anni vengono quotate direttamente a Hong Kong in dollari di Hong Kong (va detto che il cumulo delle capitalizzazioni delle borse di Shanghai e Shenzhen supera quello di Hong Kong).

Il ruolo della banca centrale è affidato alla Banca Popolare Cinese (Bank of China). La storia della Banca Popolare Cinese è unica nel panorama delle banche centrali; venne fondata nel 1948 poco prima della creazione della Repubblica Popolare Cinese e a seguito della vittoria delle forze comuniste inglobò le banche commerciali nazionalizzate. Tra il 1949 e il 1978 la Banca Popolare Cinese gestì sia i compiti tipici di una banca centrale sia le operazioni finanziarie solitamente gestite da un istituto bancario commerciale. Nel 1980, grazie alle riforme economiche, dalla banca centrale furono create quattro banche commerciali di proprietà statale (la Banca Popolare Cinese conservò i poteri tradizionali di una banca centrale); nel 1995 tali poteri vennero modellati sull’esempio della Federal Reserve degli USA grazie a una specifica legislazione: la legge della Banca Popolare Cinese. Un ulteriore processo di ristrutturazione della banca nel 1998 comportò l’eliminazione delle filiali locali e provinciali con lo scopo di evitare l’influenza esercitata dai dirigenti locali sulla politica generale della banca centrale. Il governatore della Banca Popolare Cinese è nominato dal Congresso nazionale del popolo. L’attuale governatore è Yi Gang, in carica da marzo 2018.

Lo sviluppo economico si accompagna con un forte aumento della produttività del lavoro cioè i lavoratori cinesi lavorano di meno o uguale ma producono di più: stimolati dai bonus di produttività. La politica estera almeno fino alla recente guerra dei dazi con gli Usa guidati da Donald Trump continua ad allargare il fronte degli accordi tra la Cina e i paesi occidentali risolvendo senza alcun conflitto con la Gran Bretagna e il Portogallo la questione di Hong Kong (1997) e Macao (1999) mentre i rapporti con l’Urss rimangono freddi fino alla sua caduta (caratterizzati dai scontri confinari lungo l’Amur e l’Ussuri e l’appoggio sovietico dai ai vietnamiti durante la scontrosino-vietnamita del 1979 e l’appoggio incondizionato di Pechino , in funzione antivietnamita alla Cambogia di Pol Pot).

Le diffidenze tra l’Urss e la Repubblica popolare cinese si manifestarono durante la guerra civile cinese quando Stalin in un primo momento appoggiò le forze di Chiang Kai-sheke rimase restio ad abbandonare, fino al viaggio di Mao a Mosca avvenuto il 16 dicembre 1950, ad abbandonare la Mongolia interna, lo Sinkiange Port Arthur in Manciuria (oggi Lüshunkou). Apice del nuovo corso socialista impresso da Xiaoping fu l’approvazione della Costituzione del 1982 chericonosce per la prima volta le imprese individuali, verràpoi modificata il 14 marzo 2004per includere garanzie in materia di proprietà privata ("la proprietà privata dei cittadini ottenuta legalmente non deve essere violata") e diritti umani ("lo Stato rispetta e protegge i diritti umani"). Il governo afferma che questo rappresentava un progresso per la democrazia cinese ed era un segno da parte del Partito Comunista verso la necessità di adattarsi alla fiorente economia cinese e di una classe media in crescita desiderosa di tutelare la proprietà privata. Il leader cinese Hu Jintao affermò che "questi emendamenti alla costituzione cinese sono di grande importanza per lo sviluppo della Cina [. . . ] Faremo seri sforzi per metterli in pratica".

Nonostante la repressione dei piazza Tienanmen (1989) le riforme economiche continuarono con i successori di Deng Xiaoping Tra il 2001 e il 2004, il numero di imprese statali diminuì del 48%. Nello stesso periodo, i leader Jiang Zemin e Zhu Rongjiridussero le tariffe, le barriere e regolamenti commerciali; riformarono il sistema bancario;smantellarono gran parte del sistema di assistenza sociale di epoca maoista;ridussero l’inflazione e portarono a compimento il processo che vide la Cina accedere all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001. Nel 2005, per la prima volta, la produzione del settore privato superava il 50% del Pil.

Questo lungo cammino di transizione da economia comunista a economia di mercato (seppur, bisogna ricordare al lettore, ancora molto imperfetta) è raccontato bene dal Premio Nobel per l’economia Ronald Coase nel suo libro intitolato “Come la Cina è diventata capitalista”. A oggi le imprese private riguardano 15. 000. 000 di lavoratorima lo Stato nel 2003 con la Commissione per la Supervisione e l’Amministrazione delle Attività Statali ha creato dei grandi conglomerati di industrie e aziende pubbliche (circa 90) che godono di un quasi illimitato accesso al credito e riguardano i settori ritenuti strategici dal PCC cometelecomunicazioni, energetico, elettrico, traposto aereo.

Nel 2016 le imprese pubbliche hanno beneficiato dell’86% dei prestiti anche a danno della produttività molto più alta nei settori controllati o a partecipazioneprivatama occorre sottolineare che l’intervento pubblico nell’economia garantisce l’assorbimento della manodopera in eccesso (oltre a consentire il controllo dei settori strategicie rendere possibile le operazioni funzionali in queste industrie ad alta intensità di capitali permette la riduzione della disoccupazione e garantisce i benefici pensionistici). Inoltre è vigente il piano di politica economica e industriale meglio noto come Piano Quinquennale.

Nel 1999 venne inaugurata la politica del Going Global caratterizzata dalla volontà del PCC di aumentarela competitività attraverso progetti di esplorazione delle risorse naturali, l’esportazione di tecnologia, manufatti e manodopera, investimenti in ricerca e sviluppo pari a 3% del PIL per ora la Cina contribuisce solo per il 2% all’immissione dei nuovi brevetti per quale motivo?

Il governo ha preferito investire più risorse nello sviluppo che non nella ricerca per avviare lo sviluppo economico basato sull’esportazione di high tech a basso valore aggiunto. La Cina ha importato la quasi totalità dell’high tech dagli (parti ottiche e chip) Usa e dal Giappone che al tempo stesso dipendono dalla Cina non solo per allocare i propri brevetti ma soprattutto dalle terre rare ricche di minerali fondamentali per la fabbricazione delle turbine, schermi e cellulari).

Il piano prevede fusioni e acquisizioni delle imprese pubbliche e favorire una partnership pubblico-privato dalla quale attingere il know how necessario per migliorare l’efficienza e la produttività; obiettivo raggiungibile anche grazie agli investimenti diretti esteri (IDE). Da segnalare che i primi paesi investitori sono Taiwan e Hong Kong; la Germania è molto presente nel settore chimico con la Basf e nel settore automobilistico con la Volkswagen. La strategia mira a trasformare la Cina in un hub tecnologico orientato verso l’innovazione tecnologica;attualmente sebbene la Cina abbia un Pil pro capite simile al Messico (la classe media cinese è formata da 800 milioni di persone con un reddito massimo di 17. 500 dollari annuo mentre i poveri ammontano a circa 20 milioni) a confronto dei paesi con un Pil pro capite simile esporta prodotti ad alta qualità e importa prodotti intermedi (es. microchip necessario per la produzione dei computer).

Non di minore importanza è la questione ambientale il cui obiettivo è raggiungibile attraverso la riduzione della dipendenza dal carbone (garantisce il 60% dell’approvvigionamento energetico) mirando alla sostenibilità (rispetto del k naturale) della crescita economica (green finance ovvero un mercato azionario che consente agli investitori di scegliere tra una varietà di industrie e settori che contribuiscono al successo dell’obiettivo a lungo termine di una società verde in Cina).

Con la fine dei 30 gloriosi anni, nel 2013 inizia l’era di Xi Jinping: Xi menziona per la prima volta il Pensiero sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era nel discorso di apertura tenuto durante il XIX Congresso nazionale del PCC nell’ottobre 2017. Lo stesso Xi descrive il pensiero come parte dell’ampio quadro creato intorno al socialismo con caratteristiche cinesi, coniato da Deng Xiaoping, che pone la Cina nella "fase primaria del socialismo". Nella documentazione ufficiale del partito e nelle dichiarazioni dei colleghi di Xi, si afferma che il pensiero sia una continuazione del marxismo-leninismo, del Maoismo, della teoria di Deng Xiaoping, della teoria delle tre rappresentanze e della prospettiva scientifica dello sviluppo come parte di una serie di ideologie guida che incarnano il "marxismo adattato alle condizioni cinesi" e le considerazioni contemporanee.

Il XIX Congresso confermò il pensiero di Xi Jinping come guida ideologica politica e militare del PCC, ricevendo un sostegno unanime da parte di ogni delegato con una votazione per alzata di mano. Alla sua sessione conclusiva il 24 ottobre, il XIX Congresso del Partito approvò l’incorporazione del Pensiero di Xi Jinping nella Costituzione del Partito Comunista Cinese. Negli incontri di che si sono tenuti quest’anno a Davos in gennaio Xiha lasciato intendere come i paesi Brics stanno guidando la de-dollarizzazione nel commercio internazionale rappresentando il 41% della popolazione mondiale, il 24% del pil e il 16% del commercio globale.

Intorno ai paesi Brics si è formata una costellazione di 29 Stati, molti dei quali colpiti da sanzioni economiche degli Usa e dei loro alleati. Sanzioni che, a conti fatti, si sono rivelate dannose per le economie occidentali e ridotto l’incidenza del dollaro nel commercio mondiale. Per contro «Pechino e Mosca hanno creato una rete di pagamenti interbancari transfrontalieri simile a Swift, aumentato i loro acquisti in oro per dare alle loro valute maggiore stabilità, e hanno firmato accordi per scambiare valute nazionali in diversi accordi regionali e bilaterali».

Il distacco progressivo della Cina dal dollaro è centrale in quanto nel passato, la Cina deteneva 3 trilioni di dollari del debito degli Stati Uniti. Nell’ottobre 2022 il totale è sceso sotto la soglia di un trilione di dollari. Così la Cina si è liberata lentamente del debito degli Stati Uniti. Così ha convertito i bond Usa in investimenti nel Terzo mondo, potenziando l’iniziativa strategica nota come Belt and Road Initiative.

La recente visita di Xi Jinping in Arabia Saudita è un passo verso un sistema alternativo di pagamento del petrolio. La visita è stata un’offensiva diplomatica ed è stata salutata come evento fondamentale per il rafforzamento dei legami sino-arabi. La mossa mira chiaramente a smantellare il sistema del petrodollaro, che negli ultimi 50 anni ha sostenuto il dollaro Usa come valuta chiave per l’acquisto del petrolio. Il sistema del prezzo del petrolio in dollari è ciò che ha riscattato l’uscita degli Stati Uniti dal gold standard nel 1971. Essendo il petrolio una fonte di energia da cui dipende la vita economica e una merce strategica che rappresenta il 20% del commercio globale, avere dollari è un prerequisito per la sopravvivenza di un’economia, mentre il prezzo del petrolio in dollari mantiene alta la domanda di dollari. Più gli Usa stampano dollari per soddisfare la domanda del commercio globale, più possono trarre beneficio dal signoraggio del dollaro e dalla capacità di acquistare beni reali all’estero con il credito da loro stessi emesso. Nessun altro impero nella storia ha goduto di un tale privilegio.

Quando la Cina acquista petrolio e lo paga con lo yuan, aprendo la strada ad altri paesi perché paghino in valuta nazionale, riduce la capacità Usa di emettere credito globale, ovvero la sua rendita imperiale. E la sponda dell’Arabia Saudita, sommata a quella di Russia, India e Iran, segna una svolta geostrategica di portata storica, che, oltre a indebolire il dollaro e gli Usa, mira a cambiare i rapporti di potere nel mondo intero. Una sfida che tocca anche noi, impossibile da ignorare.

Due anni prima al Forum on China-Africa Cooperation 2021 nonostante le richieste di molti ministri degli esteri africani di un intervento più forte e deciso del governo di Pechino nella lotto al fondamentalismo islamico difficilmente la Cina accetterà in questo momento un ruolo militare diretto nell’area; questo invito rimane però un indicatore importante delle potenzialità della presenza cinese nel continente africano, anche se Pechino ha concentrato la sua attenzione su altri temi. Nel suo intervento in videoconferenza, Xi Jinping ha infatti annunciato un forte supporto alla campagna di vaccinazione nel continente africano; sarà inviato personale specializzato e soprattutto verranno messe a disposizione un miliardo di dosi di vaccino, 600 milioni delle quali saranno donate, mentre le restanti 400 milioni saranno coprodotte in partnership. La Cina contribuirà anche allo sviluppo dell’agricoltura, con percorsi di formazione, l’invio di 500 agronomi e alcuni progetti speciali; infine, Pechino istituirà una linea di credito da 10 miliardi di dollari e solleciterà gli investimenti delle imprese nazionali per altri 10 miliardi.

Le cifre sono importanti anche se rappresentano un relativo ridimensionamento rispetto agli investimenti annunciati nei vertici del 2015 a Johannesburg e nel 2018 a Pechino, che raggiungevano i 60 miliardi di dollari. In mezzo ci sono stati una pandemia e una recessione economica globale e nelle condizioni date anche questo Forum rafforzerà il legame fra Pechino e il continente africano, cosa che preoccupa non poco gli Stati Uniti. Un ulteriore stanziamento è previsto per la marina, circa 220 miliardi di dollari: la via marittima della nuova via della seta necessita di una marina forte che dia sufficienti garanzie di protezione ai traffici commerciali lungo lo stretto di Malacca. Gli orizzonti cinesi sono sempre più vasti, abbracciando tutta la costa orientale dell’Africa sino al Mediterraneo. La Cina ha bisogno di una grande Marina che dia vigore e credibilità alla sua politica estera e fiducia al crescente numero di nazioni amiche in cerca di alleati alternativi agli USA alla Russia o alla Francia (strategia A2/AD).

Altro perno della politica estera di Xi resta il G20 e il Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP); con l’India il RCEP includerebbe potenzialmente più di tre miliardi di persone o il 45% della popolazione mondiale (2,8 miliardi di persone) e un PIL combinato di circa 21,3 trilioni di dollari, pari a circa il 40% del commercio mondiale.

La decisione dell’India di non aderire al RCEP ha ridotto significativamente la dimensione potenziale dell’organizzazione. I membri del RCEP costituiscono quasi un terzo della popolazione mondiale e rappresentano il 29% del prodotto interno lordo globale. Il nuovo blocco commerciale libero sarà più grande rispetto sia all’Accordo Stati Uniti-Messico-Canada e l’Unione europea. Nuova Delhi aveva deciso di auto-escludersi dall’accordo poiché temeva che, con l’abolizione di gran parte delle tariffe doganali, il mercato indiano sarebbe stato invaso da prodotti a basso costo stranieri, di fatto andando a colpire i piccoli e medi imprenditori che solo nel 2019 contavano più di 63 milioni tra attività rurali e urbane.

Tuttavia, l’assenza dell’India non rischia solo di avere un effetto negativo sull’economia nazionale e sulle relazioni con la Cina, ma rappresenta anche un fattore di rischio per i Paesi che partecipano al RCEP poiché fa sì che venga meno un contraltare di peso all’ingombrante economia del Dragone. Una decisione, quella di Delhi, che in ogni caso renderà più complessi i target di crescita economica nel medio e lungo termine e più ardua l’acquisizione della tecnologia necessaria per sostenere lo sviluppo economico del Paese, rendendo probabilmente obbligato un rafforzamento dei rapporti con Washington e Bruxelles. Ma anche qui si vedrà.

Il presidente Xi Jinping ha ospitato il 18 e 19 maggio 2023 il primo vertice con i leader di 5 ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan), regione storicamente sotto l’influenza russa e sotto pressione dopo l’invasione di Mosca ai danni dell’Ucraina. I collegamenti ferroviari tra Cina ed Europa attraversano la regione e sono vitali per la Belt and Road Initiative (BRI), la nuova Via della Seta, il piano infrastrutturale di Xi. Nel 2022, l’export cinese verso l’Asia centrale è salito del 60% annuo a 1,4 miliardi di dollari, secondo i dati del ministero del Commercio cinese di marzo. L’influenza crescente del Dragone nell’area non è priva di diffidenza, a partire da Kirghizistan e Kazakistan, anche per la repressione di Pechino nello Xinjiang a danno di uiguri e minoranze musulmane. A settembre 2022, a conferma del crescente interesse cinese per l’Asia centrale, Xi ha compiuto il suo primo viaggio all’estero in Kazakistan dopo tre anni di isolamento anti-Covid.

Il nuovo corso muscolare della Cina di Xi Jinping che a mio modo divedere rappresenta una continuazione della politica di Deng Xiaoping preoccupa mezzo mondo, ma non le imprese tedesche. Il viaggio a Pechino del cancelliere Scholz a novembre (il suo primo), con 12 campioni dell’industria, è stato programmatico. Preceduto da aspre polemiche per l’ok di Berlino all’ingresso del colosso cinese Cosco al 25% nel terminal dei container del porto di Amburgo. La stessa Cosco già azionista di maggioranza dei porti di Zeebrugge in Belgio, del Pireo in Grecia e di Valencia in Spagna e che possiede quote minoritarie in quelli di Rotterdam, Anversa, Bilbao e Vado Ligure. La Cina, insomma, si è portata avanti sulla logistica nel cuore dell’Europa. Ora arriva la notizia di un maxi investimento da un miliardo di dollari in Cina da parte del primo fornitore mondiale di componenti auto, Robert Bosch. Sarà realizzato un sito nella città di Suzhou (provincia di Jiangsu), a 70 km da Shanghai, dove Bosch – che già impiega 55mila dipendenti in Cina – svilupperà, sottoporrà a test e produrrà componenti per i veicoli elettrici e la guida automatizzata, principalmente per le case cinesi, come ha spiegato la stessa Bosch.

I produttori cinesi di auto elettriche, che hanno già conquistato un quinto delle nuove immatricolazioni in Cina (vuol dire circa 4 milioni) nel 2022, sono gli stessi che puntano a invadere il mercato europeo. Si pensi a brand come BYD, Great Wall, Geely, Nio, Xpeng e la MG, ex marchio britannico dal 2006 di proprietà dei cinesi di Saic Motor (controllata dallo Stato). La grande industria tedesca, quindi, nonostante il rischio di un radicale cambiamento di condizioni per gli stranieri che producono in Cina, continua a scommettere sul Dragone.


Riferimenti bibliografici:

Alessia Amighini, L’economia cinese nel XXI secolo, Il Mulino, Bologna 2021;
Ignazio Musu, La Cina contemporanea: economia e società di fronte alle nuove sfide, Il Mulino, Bologna 2011;
Alberto Bagnai e Christian A. Mongeau Ospina, La crescita della Cina: scenari e implicazioni per gli altri poli dell’economia globale, Franco Angeli, Milano 2010;
Osservatorio Asia, Cina: la conoscenza è un fattore di successo, prefazione di Enrico Letta, Il Mulino, Bologna 2007.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]