Storia dell’economia moderna
cinese
Le ragioni del successo
di Enrico Targa
Siamo soliti definire il successo
dell’economia cinese come un
miracolo senza precedenti ma in
realtà il successo che ha portato il
paese ad accrescere il proprio PIL a
doppia cifra per un trentennio senza
interruzioni risale ai tempi moderni
quando la Cina era una potenza di
prim’ordine e un asset fondamentale
per quella che lo storico francese
Fernand Braudel definì l’economia
mondo.
Nel 1794 durante il dominio della
dinastia Quing la popolazione
dell’allora impero celeste
(l’imperatore cinese era considerato
di origine divina) ammontava a
313.000.000 di abitanti (il 30,20%
popolazione mondiale) nello stesso
periodo l’Europa era abitata da
180.000.000 di individui. Durante
l’età moderna la Cina importa
pochissimo se non nulla, è
autosufficiente ed esporta molti
prodotti soprattutto dai primi anni
del ‘700 e i contatti commerciali
con l’Europa, di una certa
importanza a parte gli scambi che
avvenivano attraverso la via della
seta, si intensificarono con
l’istituzione della prima dogana
marittima europea nel 1685 mentre le
autorizzazioni concesse alle
corporazioni mercantili di
commerciare con gli europei arriva
solo nel 1760. Gli europei avevano
bisogno, per soddisfare la domanda
del proprio mercato interno, delle
seguenti merci cinesi: seta, carta,
porcellana, thè, medicinali.
Gli europei non scambiano le merci
cinesi con altri prodotti ma pagano
in argento e oro: si stima che a
inizio ‘700 circa 1/3 dell’argento
estratto dall’America finisca in
Cina. Nel corso dell’Ottocento però
questo primato politico commerciale
(ai cinesi dobbiamo la 4 grandi
scoperte: la bussola, la polvere da
sparo, la carta e la stampa) venne
meno e iniziò il Secolo
dell’umiliazione 1839-1949
caratterizzato dalle due guerre
dell’oppio, la spartizione della
Cina tra le grandi potenze, fine
impero cinese (1912) e la nascita
della Repubblica cinese guidata da
Sun Yat Sen periodo giunto al
termine con la guerra civile e la
vittoria del partito comunista
cinese guidato da Mao Zedong entrato
trionfalmente a Pechino il 1°
ottobre 1949.
La Cina rimane una realtà contadina
anche a seguito del, fallimentare,
balzo in avanti (1958-1962) e
l’unico risultato concreto sul piano
politico e internazionale fu il
successo dell’esplosione della prima
bomba atomica nel 1962 soprattutto
grazie alla tecnologia fornita dai
sovietici. La svolta o riscatto per
l’economia cinese avvenne negli anni
‘70: finita la rivoluzione culturale
con la morte di Mao, “grande
timoniere”, nel 1976 venne nominato
Presidente della Repubblica Popolare
Cinese Deng Xiaoping “capo
architetto” che pone agli arresti
gli ex collaboratori di Mao (la
Banda dei Quattro) e denuncia gli
errori commessi da Mao: preservato
come il padre della Patria ma si
ammisero i primi errori (lo stesso
Deng fu a suo tempo perseguitato da
Mao) diede il via al rilancio
economico attraverso le quattro
modernizzazioni dei settori chiave:
agricoltura, scienza e tecnologia,
industria e difesa nazionale. Per
farlo bisognava mettere da parte i
dogmi marxisti leninisti
introducendo, parzialmente, elementi
dell’economia capitalista.
Nel 1982 Xiaoping propone la linea
politica del Socialismo con
caratteristiche cinesi: un
socialismo che è un sistema misto
aperto al mercato le cui
caratteristiche sono le seguenti:
vendita e compravendita libera delle
merci, accumulazione dei capitali,
si apre alla libera iniziativa
privata in alcuni settori. Il tutto
sotto l’egida del PCC che deve
diventare ancora di più la guida
delle politiche economiche. Nascono
nuovi classi sociali di proprietari
ora accolti nel partito che oramai
accoglie tutta la Cina e non solo
gli operai; in poche parole il
capitalista non è più un nemico del
popolo ma fa parte del popolo
stesso. Una politica simile venne
attuata durante l’URSS con la Nep,
ma il processo di cambiamento cinese
fu più radicale: riammise forme di
scambio e di libero mercato in
parallelo al dirigismo comunista.
Non dimentichiamoci che il fine
ultimo rimane sempre la creazione di
una società comunista e il
capitalismo viene sfruttato solo ed
esclusivamente per creare una
società industrializzata: ora la
Cina arretrata si trova nella fase
del “socialismo” come teorizzato da
Marx.
I successi furono immediati: nel
settore agricolo i contadini furono
stimolati a produrre di più e
vendendo i prodotti in eccesso
disponevano di un reddito che gli
consentiva di acquistare beni
industriali generando uno sviluppo
ulteriore; lo sviluppo
dell’industria leggera della
tecnologia e degli elettrodomestici
che avevano bisogno di meno k e I
per l’avviamento ponendo le basi per
lo sviluppo delle prime industrie
orientatealla componentistica: es.
Huawei e Lenovo. Si realizzò un
grande spostamento della popolazione
dalle campagne alle città lungo la
costa orientale: attualmente produce
i 2/3 dell’export cinese. Il 90%
della popolazione cinese vive nella
cosiddetta Cina gialla a fronte del
10% presente nella Cina blu.
Tuttavia, un’ampia percentuale di
industrie è rimasta di proprietà
statale. Dal 1970 al 1990 furono
create alcune "Zone Economiche
Speciali", inclusa Shenzhen, che in
seguito divenne nota come "Silicon
Valley of China” (prima degli anni
‘90 il settore trainante era quello
tessile).
Dagli anni ‘70 fino al 1990 l’export
industriale riguardava i settori dei
giocattoli e tessile solo inseguito
grazie all’acquisizione di nuove
conoscenze (apertura del mercato
interno alle imprese estere che
importavano know how) si assiste a
un vero e proprio boom
dell’industria elettronica; per
quanto riguarda la tecnologia
Xiaoping apre all’ingresso in Cina
di tecnici occidentali formando le
prime join venture sfruttando quelli
che l’economista Alexander
Gerschenkron definisce i “vantaggi
dell’arretratezza”. Per garantire il
nuovo corso dell’economia cinese
senza però abbandonare i principi
socialisti viene regolamentato il
settore immobiliare inoltre verso la
fine degli anni ‘80 lo Stato è alla
ricerca di metodi per
commercializzare l’uso della terra e
raccogliere fondi (soprattutto le
autorità locali): il governo avviò
la vendita dei contratti di
locazione a lungo termine chiamati
“diritti di uso del suolo” (LUR).
Per l’uso commerciale hanno una
durata pari a 40 anni, per uso
abitativo 70 anni mentre per tutti
gli altri usi 50 anni. Gli
acquirenti pagano una tantum e una
volta finito il periodo di uso il
terreno torna in mano allo Stato.
Ancora non è chiaro quale tipo di
sistema immobiliare lo Stato a scopo
residenziale voglia adottare (il
caso delle 600 case di Wenzhou si è
risolto con lo status, alla
scadenza, di occupanti per i
locatari i cui diritti d’uso erano
scaduti).
Altro nodo cruciale da affrontare fu
quello di garantire lavoro e cibo
per tutti dopo i fallimenti in
questo settore della politica
maoista ed è per questo che nel 1979
venne introdotta la politica del
figlio unico; sebbene riuscì a
contenere la crescita demografica e
a limitare la domanda di beni
alimentari l’adozione di una
politica così radicale causò una
riduzione della forza lavoro e un
invecchiamento della popolazione
cinese attualmente l’unica al mondo
ad avere più maschi che femmine. Nel
2013 la politica del figlio unico fu
abolita e a partire dal 2021 le
famiglie cinesi potranno avere un
massimo di tre figli e nel 2015 per
garantire i benefici pensionistici
fu varata la riforma pensionistica
che mira a risolvere il problema
sollevato dalla politica della
denatalità del passato. Sul versante
dei contributi prevede la
partecipazione padronale e dei
lavoratorie innalza leggermente (1
mese per ogni anno di contributi)
l’età pensionabile che nonostante
ciò resta tra le più basse al mondo:
60 anni per gli uomini, 55 per le
impiegate e 50 per le donne che
lavorano nelle fabbriche.
Ovviamente anche Le banche svolsero
un ruolo di volano fondamentale per
lo sviluppo economico: una catena di
banche pubbliche cioè controllate
dallo Stato, una volta raccolti i
soldi dei risparmiatori potevano
erogare prestiti all’industria. I
profitti bancari però non vennero
ripartiti a beneficio dei
risparmiatori (ad esempio abbassando
il tasso d’interesse sui mutui o a
incentivare la spesa sociale) ma
furono ulteriormente investiti nel
settore industriale. Le piazze
finanziarie (dove ha sede la borsa)
sono tre: Shenzhen, Shangai e Hong
Kong. Sebbene tutte e tre le piazze
finanziarie svolgano un ruolo
importante nell’economia cinese,
attualmente è la Borsa di Hong Kong
la più grande del paese: in questa
piazza vengono negoziate le azioni
H, emesse da società cinesida molti
anni vengono quotate direttamente a
Hong Kong in dollari di Hong Kong
(va detto che il cumulo delle
capitalizzazioni delle borse di
Shanghai e Shenzhen supera quello di
Hong Kong).
Il ruolo della banca centrale è
affidato alla Banca Popolare Cinese
(Bank of China). La storia della
Banca Popolare Cinese è unica nel
panorama delle banche centrali;
venne fondata nel 1948 poco prima
della creazione della Repubblica
Popolare Cinese e a seguito della
vittoria delle forze comuniste
inglobò le banche commerciali
nazionalizzate. Tra il 1949 e il
1978 la Banca Popolare Cinese gestì
sia i compiti tipici di una banca
centrale sia le operazioni
finanziarie solitamente gestite da
un istituto bancario commerciale.
Nel 1980, grazie alle riforme
economiche, dalla banca centrale
furono create quattro banche
commerciali di proprietà statale (la
Banca Popolare Cinese conservò i
poteri tradizionali di una banca
centrale); nel 1995 tali poteri
vennero modellati sull’esempio della
Federal Reserve degli USA grazie a
una specifica legislazione: la legge
della Banca Popolare Cinese. Un
ulteriore processo di
ristrutturazione della banca nel
1998 comportò l’eliminazione delle
filiali locali e provinciali con lo
scopo di evitare l’influenza
esercitata dai dirigenti locali
sulla politica generale della banca
centrale. Il governatore della Banca
Popolare Cinese è nominato dal
Congresso nazionale del popolo.
L’attuale governatore è Yi Gang, in
carica da marzo 2018.
Lo sviluppo economico si accompagna
con un forte aumento della
produttività del lavoro cioè i
lavoratori cinesi lavorano di meno o
uguale ma producono di più:
stimolati dai bonus di produttività.
La politica estera almeno fino alla
recente guerra dei dazi con gli Usa
guidati da Donald Trump continua ad
allargare il fronte degli accordi
tra la Cina e i paesi occidentali
risolvendo senza alcun conflitto con
la Gran Bretagna e il Portogallo la
questione di Hong Kong (1997) e
Macao (1999) mentre i rapporti con
l’Urss rimangono freddi fino alla
sua caduta (caratterizzati dai
scontri confinari lungo l’Amur e l’Ussuri
e l’appoggio sovietico dai ai
vietnamiti durante la
scontrosino-vietnamita del 1979 e
l’appoggio incondizionato di Pechino
, in funzione antivietnamita alla
Cambogia di Pol Pot).
Le diffidenze tra l’Urss e la
Repubblica popolare cinese si
manifestarono durante la guerra
civile cinese quando Stalin in un
primo momento appoggiò le forze di
Chiang Kai-sheke rimase restio ad
abbandonare, fino al viaggio di Mao
a Mosca avvenuto il 16 dicembre
1950, ad abbandonare la Mongolia
interna, lo Sinkiange Port Arthur in
Manciuria (oggi Lüshunkou). Apice
del nuovo corso socialista impresso
da Xiaoping fu l’approvazione della
Costituzione del 1982 chericonosce
per la prima volta le imprese
individuali, verràpoi modificata il
14 marzo 2004per includere garanzie
in materia di proprietà privata ("la
proprietà privata dei cittadini
ottenuta legalmente non deve essere
violata") e diritti umani ("lo Stato
rispetta e protegge i diritti
umani"). Il governo afferma che
questo rappresentava un progresso
per la democrazia cinese ed era un
segno da parte del Partito Comunista
verso la necessità di adattarsi alla
fiorente economia cinese e di una
classe media in crescita desiderosa
di tutelare la proprietà privata. Il
leader cinese Hu Jintao affermò che
"questi emendamenti alla
costituzione cinese sono di grande
importanza per lo sviluppo della
Cina [. . . ] Faremo seri sforzi per
metterli in pratica".
Nonostante la repressione dei piazza
Tienanmen (1989) le riforme
economiche continuarono con i
successori di Deng Xiaoping Tra il
2001 e il 2004, il numero di imprese
statali diminuì del 48%. Nello
stesso periodo, i leader Jiang Zemin
e Zhu Rongjiridussero le tariffe, le
barriere e regolamenti commerciali;
riformarono il sistema
bancario;smantellarono gran parte
del sistema di assistenza sociale di
epoca maoista;ridussero l’inflazione
e portarono a compimento il processo
che vide la Cina accedere
all’Organizzazione Mondiale del
Commercio nel 2001. Nel 2005, per la
prima volta, la produzione del
settore privato superava il 50% del
Pil.
Questo lungo cammino di transizione
da economia comunista a economia di
mercato (seppur, bisogna ricordare
al lettore, ancora molto imperfetta)
è raccontato bene dal Premio Nobel
per l’economia Ronald Coase nel suo
libro intitolato “Come la Cina è
diventata capitalista”. A oggi le
imprese private riguardano 15. 000.
000 di lavoratorima lo Stato nel
2003 con la Commissione per la
Supervisione e l’Amministrazione
delle Attività Statali ha creato dei
grandi conglomerati di industrie e
aziende pubbliche (circa 90) che
godono di un quasi illimitato
accesso al credito e riguardano i
settori ritenuti strategici dal PCC
cometelecomunicazioni, energetico,
elettrico, traposto aereo.
Nel 2016 le imprese pubbliche hanno
beneficiato dell’86% dei prestiti
anche a danno della produttività
molto più alta nei settori
controllati o a
partecipazioneprivatama occorre
sottolineare che l’intervento
pubblico nell’economia garantisce
l’assorbimento della manodopera in
eccesso (oltre a consentire il
controllo dei settori strategicie
rendere possibile le operazioni
funzionali in queste industrie ad
alta intensità di capitali permette
la riduzione della disoccupazione e
garantisce i benefici
pensionistici). Inoltre è vigente il
piano di politica economica e
industriale meglio noto come Piano
Quinquennale.
Nel 1999 venne inaugurata la
politica del Going Global
caratterizzata dalla volontà del PCC
di aumentarela competitività
attraverso progetti di esplorazione
delle risorse naturali,
l’esportazione di tecnologia,
manufatti e manodopera, investimenti
in ricerca e sviluppo pari a 3% del
PIL per ora la Cina contribuisce
solo per il 2% all’immissione dei
nuovi brevetti per quale motivo?
Il governo ha preferito investire
più risorse nello sviluppo che non
nella ricerca per avviare lo
sviluppo economico basato
sull’esportazione di high tech a
basso valore aggiunto. La Cina ha
importato la quasi totalità
dell’high tech dagli (parti ottiche
e chip) Usa e dal Giappone che al
tempo stesso dipendono dalla Cina
non solo per allocare i propri
brevetti ma soprattutto dalle terre
rare ricche di minerali fondamentali
per la fabbricazione delle turbine,
schermi e cellulari).
Il piano prevede fusioni e
acquisizioni delle imprese pubbliche
e favorire una partnership
pubblico-privato dalla quale
attingere il know how necessario per
migliorare l’efficienza e la
produttività; obiettivo
raggiungibile anche grazie agli
investimenti diretti esteri (IDE).
Da segnalare che i primi paesi
investitori sono Taiwan e Hong Kong;
la Germania è molto presente nel
settore chimico con la Basf e nel
settore automobilistico con la
Volkswagen. La strategia mira a
trasformare la Cina in un hub
tecnologico orientato verso
l’innovazione
tecnologica;attualmente sebbene la
Cina abbia un Pil pro capite simile
al Messico (la classe media cinese è
formata da 800 milioni di persone
con un reddito massimo di 17. 500
dollari annuo mentre i poveri
ammontano a circa 20 milioni) a
confronto dei paesi con un Pil pro
capite simile esporta prodotti ad
alta qualità e importa prodotti
intermedi (es. microchip necessario
per la produzione dei computer).
Non di minore importanza è la
questione ambientale il cui
obiettivo è raggiungibile attraverso
la riduzione della dipendenza dal
carbone (garantisce il 60%
dell’approvvigionamento energetico)
mirando alla sostenibilità (rispetto
del k naturale) della crescita
economica (green finance ovvero un
mercato azionario che consente agli
investitori di scegliere tra una
varietà di industrie e settori che
contribuiscono al successo
dell’obiettivo a lungo termine di
una società verde in Cina).
Con la fine dei 30 gloriosi anni,
nel 2013 inizia l’era di Xi Jinping:
Xi menziona per la prima volta il
Pensiero sul socialismo con
caratteristiche cinesi per una nuova
era nel discorso di apertura tenuto
durante il XIX Congresso nazionale
del PCC nell’ottobre 2017. Lo stesso
Xi descrive il pensiero come parte
dell’ampio quadro creato intorno al
socialismo con caratteristiche
cinesi, coniato da Deng Xiaoping,
che pone la Cina nella "fase
primaria del socialismo". Nella
documentazione ufficiale del partito
e nelle dichiarazioni dei colleghi
di Xi, si afferma che il pensiero
sia una continuazione del
marxismo-leninismo, del Maoismo,
della teoria di Deng Xiaoping, della
teoria delle tre rappresentanze e
della prospettiva scientifica dello
sviluppo come parte di una serie di
ideologie guida che incarnano il
"marxismo adattato alle condizioni
cinesi" e le considerazioni
contemporanee.
Il XIX Congresso confermò il
pensiero di Xi Jinping come guida
ideologica politica e militare del
PCC, ricevendo un sostegno unanime
da parte di ogni delegato con una
votazione per alzata di mano. Alla
sua sessione conclusiva il 24
ottobre, il XIX Congresso del
Partito approvò l’incorporazione del
Pensiero di Xi Jinping nella
Costituzione del Partito Comunista
Cinese. Negli incontri di che si
sono tenuti quest’anno a Davos in
gennaio Xiha lasciato intendere come
i paesi Brics stanno guidando la
de-dollarizzazione nel commercio
internazionale rappresentando il 41%
della popolazione mondiale, il 24%
del pil e il 16% del commercio
globale.
Intorno ai paesi Brics si è formata
una costellazione di 29 Stati, molti
dei quali colpiti da sanzioni
economiche degli Usa e dei loro
alleati. Sanzioni che, a conti
fatti, si sono rivelate dannose per
le economie occidentali e ridotto
l’incidenza del dollaro nel
commercio mondiale. Per contro
«Pechino e Mosca hanno creato una
rete di pagamenti interbancari
transfrontalieri simile a Swift,
aumentato i loro acquisti in oro per
dare alle loro valute maggiore
stabilità, e hanno firmato accordi
per scambiare valute nazionali in
diversi accordi regionali e
bilaterali».
Il distacco progressivo della Cina
dal dollaro è centrale in quanto nel
passato, la Cina deteneva 3 trilioni
di dollari del debito degli Stati
Uniti. Nell’ottobre 2022 il totale è
sceso sotto la soglia di un trilione
di dollari. Così la Cina si è
liberata lentamente del debito degli
Stati Uniti. Così ha convertito i
bond Usa in investimenti nel Terzo
mondo, potenziando l’iniziativa
strategica nota come Belt and Road
Initiative.
La recente visita di Xi Jinping in
Arabia Saudita è un passo verso un
sistema alternativo di pagamento del
petrolio. La visita è stata
un’offensiva diplomatica ed è stata
salutata come evento fondamentale
per il rafforzamento dei legami
sino-arabi. La mossa mira
chiaramente a smantellare il sistema
del petrodollaro, che negli ultimi
50 anni ha sostenuto il dollaro Usa
come valuta chiave per l’acquisto
del petrolio. Il sistema del prezzo
del petrolio in dollari è ciò che ha
riscattato l’uscita degli Stati
Uniti dal gold standard nel 1971.
Essendo il petrolio una fonte di
energia da cui dipende la vita
economica e una merce strategica che
rappresenta il 20% del commercio
globale, avere dollari è un
prerequisito per la sopravvivenza di
un’economia, mentre il prezzo del
petrolio in dollari mantiene alta la
domanda di dollari. Più gli Usa
stampano dollari per soddisfare la
domanda del commercio globale, più
possono trarre beneficio dal
signoraggio del dollaro e dalla
capacità di acquistare beni reali
all’estero con il credito da loro
stessi emesso. Nessun altro impero
nella storia ha goduto di un tale
privilegio.
Quando la Cina acquista petrolio e
lo paga con lo yuan, aprendo la
strada ad altri paesi perché paghino
in valuta nazionale, riduce la
capacità Usa di emettere credito
globale, ovvero la sua rendita
imperiale. E la sponda dell’Arabia
Saudita, sommata a quella di Russia,
India e Iran, segna una svolta
geostrategica di portata storica,
che, oltre a indebolire il dollaro e
gli Usa, mira a cambiare i rapporti
di potere nel mondo intero. Una
sfida che tocca anche noi,
impossibile da ignorare.
Due anni prima al Forum on
China-Africa Cooperation 2021
nonostante le richieste di molti
ministri degli esteri africani di un
intervento più forte e deciso del
governo di Pechino nella lotto al
fondamentalismo islamico
difficilmente la Cina accetterà in
questo momento un ruolo militare
diretto nell’area; questo invito
rimane però un indicatore importante
delle potenzialità della presenza
cinese nel continente africano,
anche se Pechino ha concentrato la
sua attenzione su altri temi. Nel
suo intervento in videoconferenza,
Xi Jinping ha infatti annunciato un
forte supporto alla campagna di
vaccinazione nel continente
africano; sarà inviato personale
specializzato e soprattutto verranno
messe a disposizione un miliardo di
dosi di vaccino, 600 milioni delle
quali saranno donate, mentre le
restanti 400 milioni saranno
coprodotte in partnership. La Cina
contribuirà anche allo sviluppo
dell’agricoltura, con percorsi di
formazione, l’invio di 500 agronomi
e alcuni progetti speciali; infine,
Pechino istituirà una linea di
credito da 10 miliardi di dollari e
solleciterà gli investimenti delle
imprese nazionali per altri 10
miliardi.
Le cifre sono importanti anche se
rappresentano un relativo
ridimensionamento rispetto agli
investimenti annunciati nei vertici
del 2015 a Johannesburg e nel 2018 a
Pechino, che raggiungevano i 60
miliardi di dollari. In mezzo ci
sono stati una pandemia e una
recessione economica globale e nelle
condizioni date anche questo Forum
rafforzerà il legame fra Pechino e
il continente africano, cosa che
preoccupa non poco gli Stati Uniti.
Un ulteriore stanziamento è previsto
per la marina, circa 220 miliardi di
dollari: la via marittima della
nuova via della seta necessita di
una marina forte che dia sufficienti
garanzie di protezione ai traffici
commerciali lungo lo stretto di
Malacca. Gli orizzonti cinesi sono
sempre più vasti, abbracciando tutta
la costa orientale dell’Africa sino
al Mediterraneo. La Cina ha bisogno
di una grande Marina che dia vigore
e credibilità alla sua politica
estera e fiducia al crescente numero
di nazioni amiche in cerca di
alleati alternativi agli USA alla
Russia o alla Francia (strategia
A2/AD).
Altro perno della politica estera di
Xi resta il G20 e il Partenariato
Economico Globale Regionale (RCEP);
con l’India il RCEP includerebbe
potenzialmente più di tre miliardi
di persone o il 45% della
popolazione mondiale (2,8 miliardi
di persone) e un PIL combinato di
circa 21,3 trilioni di dollari, pari
a circa il 40% del commercio
mondiale.
La decisione dell’India di non
aderire al RCEP ha ridotto
significativamente la dimensione
potenziale dell’organizzazione. I
membri del RCEP costituiscono quasi
un terzo della popolazione mondiale
e rappresentano il 29% del prodotto
interno lordo globale. Il nuovo
blocco commerciale libero sarà più
grande rispetto sia all’Accordo
Stati Uniti-Messico-Canada e
l’Unione europea. Nuova Delhi aveva
deciso di auto-escludersi
dall’accordo poiché temeva che, con
l’abolizione di gran parte delle
tariffe doganali, il mercato indiano
sarebbe stato invaso da prodotti a
basso costo stranieri, di fatto
andando a colpire i piccoli e medi
imprenditori che solo nel 2019
contavano più di 63 milioni tra
attività rurali e urbane.
Tuttavia, l’assenza dell’India non
rischia solo di avere un effetto
negativo sull’economia nazionale e
sulle relazioni con la Cina, ma
rappresenta anche un fattore di
rischio per i Paesi che partecipano
al RCEP poiché fa sì che venga meno
un contraltare di peso
all’ingombrante economia del
Dragone. Una decisione, quella di
Delhi, che in ogni caso renderà più
complessi i target di crescita
economica nel medio e lungo termine
e più ardua l’acquisizione della
tecnologia necessaria per sostenere
lo sviluppo economico del Paese,
rendendo probabilmente obbligato un
rafforzamento dei rapporti con
Washington e Bruxelles. Ma anche qui
si vedrà.
Il presidente Xi Jinping ha ospitato
il 18 e 19 maggio 2023 il primo
vertice con i leader di 5 ex
repubbliche sovietiche dell’Asia
centrale (Kazakistan, Kirghizistan,
Tagikistan, Uzbekistan e
Turkmenistan), regione storicamente
sotto l’influenza russa e sotto
pressione dopo l’invasione di Mosca
ai danni dell’Ucraina. I
collegamenti ferroviari tra Cina ed
Europa attraversano la regione e
sono vitali per la Belt and Road
Initiative (BRI), la nuova Via della
Seta, il piano infrastrutturale di
Xi. Nel 2022, l’export cinese verso
l’Asia centrale è salito del 60%
annuo a 1,4 miliardi di dollari,
secondo i dati del ministero del
Commercio cinese di marzo.
L’influenza crescente del Dragone
nell’area non è priva di diffidenza,
a partire da Kirghizistan e
Kazakistan, anche per la repressione
di Pechino nello Xinjiang a danno di
uiguri e minoranze musulmane. A
settembre 2022, a conferma del
crescente interesse cinese per
l’Asia centrale, Xi ha compiuto il
suo primo viaggio all’estero in
Kazakistan dopo tre anni di
isolamento anti-Covid.
Il nuovo corso muscolare della Cina
di Xi Jinping che a mio modo
divedere rappresenta una
continuazione della politica di Deng
Xiaoping preoccupa mezzo mondo, ma
non le imprese tedesche. Il viaggio
a Pechino del cancelliere Scholz a
novembre (il suo primo), con 12
campioni dell’industria, è stato
programmatico. Preceduto da aspre
polemiche per l’ok di Berlino
all’ingresso del colosso cinese
Cosco al 25% nel terminal dei
container del porto di Amburgo. La
stessa Cosco già azionista di
maggioranza dei porti di Zeebrugge
in Belgio, del Pireo in Grecia e di
Valencia in Spagna e che possiede
quote minoritarie in quelli di
Rotterdam, Anversa, Bilbao e Vado
Ligure. La Cina, insomma, si è
portata avanti sulla logistica nel
cuore dell’Europa. Ora arriva la
notizia di un maxi investimento da
un miliardo di dollari in Cina da
parte del primo fornitore mondiale
di componenti auto, Robert Bosch.
Sarà realizzato un sito nella città
di Suzhou (provincia di Jiangsu), a
70 km da Shanghai, dove Bosch – che
già impiega 55mila dipendenti in
Cina – svilupperà, sottoporrà a test
e produrrà componenti per i veicoli
elettrici e la guida automatizzata,
principalmente per le case cinesi,
come ha spiegato la stessa Bosch.
I produttori cinesi di auto
elettriche, che hanno già
conquistato un quinto delle nuove
immatricolazioni in Cina (vuol dire
circa 4 milioni) nel 2022, sono gli
stessi che puntano a invadere il
mercato europeo. Si pensi a brand
come BYD, Great Wall, Geely, Nio,
Xpeng e la MG, ex marchio britannico
dal 2006 di proprietà dei cinesi di
Saic Motor (controllata dallo
Stato). La grande industria tedesca,
quindi, nonostante il rischio di un
radicale cambiamento di condizioni
per gli stranieri che producono in
Cina, continua a scommettere sul
Dragone.
Riferimenti bibliografici:
Alessia Amighini, L’economia
cinese nel XXI secolo, Il
Mulino, Bologna 2021;
Ignazio Musu, La Cina
contemporanea: economia e società di
fronte alle nuove sfide, Il
Mulino, Bologna 2011;
Alberto Bagnai e Christian A.
Mongeau Ospina, La crescita della
Cina: scenari e implicazioni per gli
altri poli dell’economia globale,
Franco Angeli, Milano 2010;
Osservatorio Asia, Cina: la
conoscenza è un fattore di successo,
prefazione di Enrico Letta, Il
Mulino, Bologna 2007.