N. 124 - Aprile 2018
(CLV)
Il Pantheon cinese ha un nuovo membro: Xi Jinping
Il risveglio del dragone asiatico
di Gian Marco Boellisi
Lo
scorso
marzo
2018
l’Assemblea
del
Popolo
Cinese
ha
votato:
con
2.958
sì,
2
no,
3
schede
bianche
e
una
nulla
è
stato
approvata
una
modifica
alla
Costituzione
che
permetterà
all’attuale
presidente
Xi
Jinping
di
mantenere
la
propria
carica
ben
oltre
il
limite
dei
due
mandati
finora
vigente.
L’emendamento
era
stato
proposto
circa
un
mese
fa
dal
Partito
Comunista
ed è
stato
approvato
con
un
plebiscito
quasi
senza
precedenti
nella
storia
cinese.
Se
il
presidente
Xi
voleva
fugare
i
dubbi
su
chi
fosse
in
comando
sul
suolo
cinese
o
sull’entità
del
sostegno
del
suo
Partito,
con
questa
votazione
ci è
sicuramente
riuscito.
È
stata
una
dimostrazione
di
forza,
nella
sua
forma
più
pura.
Il
voto
non
solo
ha
aperto
la
strada
a Xi
a
quello
che
potrebbe
essere
potenzialmente
un
mandato
infinito,
ma
ha
anche
riassestato
gli
equilibri
interni
cinesi,
mettendo
in
guardia
coloro
che
ancora
sono
così
stupidi
o
ingenui
nell’andare
contro
il
presidente
in
carica.
Xi
Jinping
non
è
mai
stato
uno
fra
i
molti
all’interno
del
Partito.
Figlio
di
Xi
Zhongxun,
leader
rivoluzionario
e
vice
primo
ministro
sotto
Mao
Zedong,
egli
cercò
sin
dai
primordi
di
farsi
valere
all’interno
del
panorama
politico
cinese.
Affrontando
negli
anni
Settanta
la
caduta
in
disgrazia
del
padre
dovuta
alle
purghe
di
Mao, Xi
fu
mandato
a
lavorare
nelle
campagne
e,
quando
il
clima
si
placò
finalmente
in
Cina,
riuscì
a
spostarsi
nelle
province
del
Fujian
e
Zhejiang,
dove
iniziò
la
sua
vera
scalata
al
potere.
Si
colloca
qui
infatti
l’origine
della
ragnatela
di
contatti
e
amicizie
nel
mondo
degli
affari
e
del
Politburo
che
porteranno
Xi
alla
più
alta
carica
dello
stato.
Nel
2013
viene
eletto
Presidente,
avviando
sin
dai
primi
giorni
un’aspra
campagna
contro
la
corruzione
dilagante
nel
paese,
adottando
anche
in
più
occasioni
misure
tra
le
più
drastiche.
Non
pochi
avversari
politici
infatti
sono
finiti
nella
tenaglia
delle
autorità
in
questo
periodo.
L’emendamento
approvato
recentemente
alla
Costituzione
oltre
ad
avere
un
significato
politico
ne
ha
anche
uno
fortemente
storico.
Erano
infatti
ormai
40
anni
che
vigeva
il
vincolo
dei
due
mandati,
legge
introdotta
successivamente
alla
dipartita
di
Mao
proprio
per
evitare
esperienze
politiche
similari.
Tuttavia
l’emendamento
non
giunge
inaspettato.
È da
anni
ormai
che
Xi
accentra
sempre
maggiormente
i
poteri
nella
propria
figura,
sempre
in
virtù
di
quel
percorso
di
riforme
che
ha
promesso
al
popolo
cinese
e
che
di
fatto
è
riuscito
a
dare
in 5
anni
di
lavori.
Tale
è la
considerazione
nei
confronti
del
proprio
presidente
che
si è
arrivato
a
chiamarlo
“Zio
Xi”,
una
sorte
di
padre,
di
protettore
di
tutto
il
popolo
cinese.
Solo
ai
tempi
di
Mao
e
forse
di
Deng
Xiaoping
si
può
annoverare
un
tale
culto
della
persona.
Il
cosiddetto
“pensiero
di
Xi
Jinping”,
ovvero
l’insieme
delle
politiche
di
Xi
sia
sul
fronte
interno
che
su
quello
internazionale,
è
divenuto
talmente
importante
che
nello
scorso
congresso
del
Partito
tenutosi
ad
ottobre
si è
deciso
di
inserirlo
nella
Costituzione.
L’obiettivo
principale
sarebbe
quello
di
portare
entro
il
2035
la
Cina
al
livello
degli
Stati
Uniti.
Grazie
a
questo
emendamento,
che
permetterà
a Xi
di
rimanere
alle
redini
del
potere
fino
a
quella
data,
e a
certe
leggi
di
recente
stampo,
tra
le
quali
l’eliminazione
della
contraddittoria
legge
sul
secondo
figlio
che
permetterà
nell’arco
di
vent’anni
un
aumento
esponenziale
della
popolazione
e
quindi
della
forza
lavoro,
non
è
molto
difficile
che
la
Cina
riesca
nel
suo
intento.
Tutto
ciò
verrebbe
fatto
agendo
su
tre
livelli.
Il
primo
è
quello
della
Nazione,
inteso
come
affermazione
degli
interessi
cinesi
in
tutto
il
globo
sia
a
livello
militare
sia
a
livello
commerciale.
Va
menzionato
infatti
l’ambizioso
progetto
della
Nuova
Via
della
Seta,
un
piano
faraonico
che
permetterebbe
di
collegare
direttamente
la
Cina
all’Europa
passando
per
tutta
l’Eurasia.
Il
secondo
livello
sarebbe
quello
del
Partito,
essendo
Xi
consapevole
che
il
paese
risulta
più
forte
quando
alla
sua
guida
vi è
un
Partito
unito
e
coeso,
più
o
meno
volontariamente,
a
sostegno
delle
politiche
presidenziali.
Il
terzo
livello
è
quello
della
figura
del
presidente
stesso,
il
quale
deve
essere
una
figura
tanto
forte
e
salda
da
condurre
lo
Stato
verso
quegli
obiettivi
ambiziosi
che
sa
di
poter
raggiungere.
In
altre
parole,
il
terzo
livello
è Xi
Jinping.
All’atto
pratico
però
le
sfide
che
si
presenteranno
saranno
molteplici
e le
soluzioni
dovranno
essere
altrettanto
poliedriche.
Nei
piani
di
Xi
la
prima
cosa
da
attuare
è
una
riorganizzazione
generale
dei
ministeri,
in
modo
che
essi
non
interferiscano
uno
con
l’altro
e
che
vi
sia
una
maggiore
linearità
nella
catena
di
comando.
Un
altro
grande
obiettivo
è il
contenimento
e il
potenziale
ridimensionamento
della
bolla
finanziaria
di
debito
pubblico,
ma
soprattutto
privato,
che
incombe
sull’economia
cinese
come
l’ascia
del
boia.
Ricordiamo
tutti
le
speculazioni
che
fecero
oscillare
i
mercati
asiatici
nel
2015.
Anche
se
furono
solo
un
maldestro
tentativo
degli
oppositori
alle
politiche
anticorruttive
di
Xi
di
ostacolare
il
processo
di
riforma,
il
pericolo
rimane
ancora
oggi.
Infine
vi è
la
lotta
di
cui
Xi è
stato
sempre
promotore,
ovvero
la
lotta
contro
la
corruzione.
I
piani
ora
infatti
sono
non
solo
di
stringere
ancora
di
più
la
morsa
sui
funzionari
politici,
ma
anche
di
estendere
i
controlli
a
tutti
i
funzionari
statali:
insegnanti,
medici,
amministratori
locali,
nessuno
verrà
escluso.
Si
legge
qui
più
che
mai
la
volontà
di
Xi
di
mantenere
le
promesse
fatte
al
paese
in
quel
non
troppo
lontano
2013.
In
conclusione,
la
Cina
sta
affrontando
una
fase
della
propria
politica
interamente
nuova,
con
un
solo
uomo
potenzialmente
al
comando
del
paese
per
un
tempo
indefinito.
Tuttavia
ciò
porta
anche
a
dei
paragoni
non
del
tutto
privi
di
significato.
Numerose
testate
internazionali
infatti
stanno
sempre
più
puntando
ad
accostare
la
figura
di
Xi a
quella
di
Mao,
essendo
entrambi
considerati
ormai
padri
della
Cina,
sebbene
in
momenti
storici
completamente
diversi.
Ciò
non
deve
trarre
in
inganno
però,
poiché
per
quanto
le
politiche
di
Xi
possano
effettivamente
portare
ad
un
benessere
maggiore
per
la
Cina
è lo
stesso
popolo
cinese
a
rimetterci.
L’emendamento
appena
approvato
difatti
riduce
di
gran
lunga
le
già
fievoli
libertà
nel
paese,
portando
i
cinesi
a
essere
nelle
mani
di
chiunque
si
ritrovi
a
capo
del
partito
e
lasciandoli
senza
alcuna
voce
in
merito.
Xi
dovrà
quindi
continuare
nel
suo
percorso
di
riforma
senza
mai
fermarsi
se
non
vorrà
perdere
il
consenso
del
popolo
cinese,
ovvero
ciò
che
ha
reso
e
renderà
sempre
la
Cina
grande.