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N. 131 - Novembre 2018 (CLXII)

STORIE DI CICLISMO E DEL GIRO D'ITALIA

PARTE VII - Il leone del Mugello, gastone nencini

di Riccardo Filippo Mancini

 

Oggi non viene forse ricordato abbastanza, probabilmente poiché vissuto in un'epoca di campionissimi il cui mito ha offuscato quello di altri ciclisti. Ciò non toglie, però, che anche lui, Gastone Nencini, sia stato un grande corridore, sia in patria sia sulle strade oltreconfine.

 

Nato a Barberino di Mugello il 1° marzo del 1930, si avvicinò già da ragazzo alle due ruote, coltivando sia l’attività su strada che quella in pista. Già negli anni giovanili mostra una gran dose di forza e coraggio, un atteggiamento sempre aggressivo nell’interpretazione della corsa, che spesso coglie impreparati gli avversari. Avrebbe potuto cogliere il suo primo successo di rilievo nel 1953, al Mondiale per dilettanti disputatosi a Zurigo: dopo una gara condotta per buoni tratti in testa venne raggiunto e battuto da un altro azzurro, Filippi. Da quell’anno iniziò anche l’attività da professionista.
 
 Nencini era un passista scalatore di livello, ma anche un grandissimo discesista: dote che nella sua carriera si rivelerà importante.
 Corse il suo primo Giro d’Italia nel 1954, concludendo la corsa rosa in sedicesima posizione.
 L’anno seguente gli occhi erano puntati quasi tutti su di lui: considerato da molti l’erede di Bartali, il giovane Gastone si presentò ai nastri di partenza come uno dei protagonisti annunciati. C’era Coppi, c’era Magni (anche se erano vicini il primo ai 36 e il secondo ai 35 anni), c’era Koblet: un parterre di livello.
 La corsa si rivelò incerta fin dalle prime battute. Magni si portò in testa nella prima metà del giro, cedendo la maglia rosa del primato a Monti e poi al francese Géminiani. Ma nella tappa di Cervia, una crono individuale, Nencini (che aveva anche vinto due tappe) sfila il primato a Magni. Il Giro però non è finito, mancano ancora le Dolomiti, che come altre volte possono fare la differenza e decidere l’esito finale della corsa.
 
 Alla partenza della terz’ultima tappa il leone del Mugello aveva un vantaggio di 1’29” su Magni e di 1’42” su Coppi. La tappa scorse via senza troppi sussulti, Nencini controllò senza troppi problemi e il Giro a quel punto sembrò deciso, quando mancava una sola tappa di montagna prima dell’arrivo a Milano. Ma il destino era in agguato, pronto a sparigliare le carte, ancora una volta.
 

Era il 4 giugno, si partiva da Trento per arrivare a San Pellegrino terme. La difficoltà di giornata è rappresentata da un’ascesa, quella del San Eusebio, ma nel menù di quella tappa non sembrano esserci altri grandi ostacoli. Un’insidia era rappresentata da alcuni tratti di strada dissestata, dal fondo ghiaioso e sterrato: puntualmente si rivelerà decisiva. Iniziano le forature e i problemi, anche la maglia rosa Nencini cade ma riparte prontamente. Magni non vuole arrendersi e attacca insieme a Coppi, ma il leone del Mugello è lì, tiene duro e non molla. Fino quando non fora ed è costretto a fermarsi. Nel ciclismo di allora l’imprevisto dell’avversario era il momento giusto per attaccarlo: il concetto di fair play non esisteva, anzi. La corsa, come la vita, era durissima e senza alcuna pietà. Il duo dei vecchi campioni macina secondi su secondi di vantaggio, dietro Nencini si ritrova solo: il gruppo sta dalla parte dei suoi rivali, Gastone non può farcela. Coppi vinse la tappa, sua ultima vittoria al Giro, Magni si prese la maglia rosa e il trionfo il giorno dopo a Milano (il suo terzo Giro: a tutt’oggi il più anziano vincitore della corsa). Il giovane corridore toscano arrivò a San Pellegrino con 5 minuti e 37 secondi di ritardo, conquistando comunque la terza piazza nella classifica generale. La gente lo acclama e i giornali lo celebrano: resterà il vincitore morale di quell’edizione, quella dell’ultima grande recita del Campionissimo e del leone delle Fiandre.
 
 Ma la storia di Nencini al Giro non finì certo quell’anno: nell’edizione del 1957 le cose andarono diversamente. Era il Giro segnato dalla grande rivalità tra il belga Charly Gaul (già vincitore l’anno precedente) e i francesi Bobet e Géminiani. Per i colori azzurri Nencini era l’uomo di punta (Coppi era fermo per una frattura al femore). Quell’edizione è legata a un episodio particolare: durante la diciottesima tappa con arrivo sul Bondone, Charly Gaul, leader della corsa, si fermò a urinare (cosa per altro normalissima). Fin qui nulla di strano se non fosse per l’attacco prontamente portato da Bobet e dai suoi, con il supporto di Nencini e di Baldini. La corsa si infiammò di colpo: il ritmo del gruppetto di testa fu infernale, Gaul non fu capace di organizzare un inseguimento efficace e alla fine crollò sulla “sua” montagna (il Bondone fu il simbolo del suo successo l’anno precedente). La tappa la vinse Poblet, Nencini vestì la rosa con soli 19” su Bobet. Gaul arrivò al traguardo con circa 10 minuti di ritardo dal vincitore.
 Ma la storia non finì così: il giorno dopo Bobet attaccò Nencini in discesa, dopo che questi aveva forato due volte; destino ancora beffardo per il leone del Mugello, che sembrava dover rivivere l’amara delusione di due anni prima. Trovò però un alleato inaspettato: Charly Gaul lo attese e lo aiutò a rientrare sui primi, perché se il Giro non poteva vincerlo lui, di certo non doveva vincerlo Bobet. Nencini trionfò a Milano conquistando per la prima e unica volta la corsa rosa.
 
 Sfiorò la vittoria del Giro anche nel 1960, lottando fino alla fine contro Jacques Anquetil. Nencini corse in maniera splendida, attaccando ogni volta che ne ebbe occasione. La cronometro da Milano a Lecco permise al campione francese di guadagnare oltre 4 minuti sul corridore toscano, che il leone del Mugello cercò di recuperare nella successiva tappa, dove si affrontava il Gavia e la discesa del Bormio. Nencini con uno spettacolare attacco si scrollò di dosso Anquetil, ma non riuscì a colmare il divario per intero: 28 secondi lo separarono alla fine dal secondo trionfo al Giro. Quell’edizione fu la prima vinta da un transalpino.
 
 Quell’estate però Nencini si tolse una grandiosa soddisfazione: vinse infatti il Tour de France, sfiorando dunque la doppietta Giro-Tour. Fu il quarto italiano a vincere la Grande Boucle, dopo Bottecchia, Bartali e Coppi. Fu il suo unico podio nella corsa a tappe francese.
 
 Nencini vinse in totale 24 corse, poche rispetto alla sua forza e al suo talento. Si ritirò nel 1965, intraprendendo poi la carriera di allenatore e direttore sportivo (della Springoil e della Max Mayer).
 Un brutto male lo portò via quando aveva solamente 49 anni, il 1° febbraio del 1980.
 
 Lo scorso 1° ottobre il Comune di Firenze ha deciso di assegnarli il Fiorino d’oro alla memoria (è solo la seconda volta nella storia, il primo fu conferito al politologo Sartori). Un giusto omaggio per un grande corridore, andato via troppo presto.



 

 

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