N. 129 - Settembre 2018
(CLX)
STORIE DI CICLISMO E DEL GIRO D'ITALIA
PARTE
V -
Fiorenzo
Magni,
il
terzo
uomO
di
Riccardo
Filippo
Mancini
Inserirsi
nella
lotta
fra
le
due
leggende
Coppi
e
Bartali
(dei
quali
non
tratteremo
in
maniera
specifica
per
due
motivi:
non
basterebbe
un
articolo
ciascuno
e
sono
personaggi
già
assai
noti,
che
non
hanno
bisogno
di
presentazioni)
non
è
certo
stata
impresa
da
poco.
Ci
riuscì
all’epoca
Fiorenzo
Magni,
nativo
di
Vaiano,
comune
non
autonomo
nei
pressi
di
Prato.
Fiorenzo
nacque
nel
1920,
e
lasciò
la
scuola
da
piccolo
per
aiutare
il
padre,
titolare
di
una
piccola
impresa
di
trasporti.
Alla
morte
del
genitore
nel
1937
a
causa
di
un
incidente
stradale,
si
ritrovò
a
dover
prendere
le
redini
della
famiglia,
impegnandosi
ancora
di
più
nell’attività
lavorativa.
Aveva
già
iniziato
ad
andare
in
bicicletta,
nel
1936,
e
proprio
nel
’37
erano
arrivati
i
primi
successi
nella
categoria
allievi.
Non
era
certo
facile
per
lui
conciliare
gli
impegni
di
“capofamiglia”
con
l’attività
sportiva,
nella
quale
già
dimostrava
di
avere
talento.
Ma
il
toscano
era
un
tipo
coriaceo
e
dalla
ferrea
volontà,
e
non
gettò
la
spugna.
Passò
tra
i
dilettanti
nel
1938
ottenendo
buoni
risultati
e
venendo
convocato
per
il
Mondiale
del
1940
dalla
nazionale
italiana,
corsa
poi
annullata
a
causa
della
guerra.
Il
passaggio
nel
mondo
del
professionismo
avvenne
nel
1941
nelle
fila
della
Bianchi.
Fece
in
tempo
a
vincere
qualche
corsa,
tra
cui
il
Giro
del
Piemonte
nel
1942,
nonostante
la
guerra
che
chiamò
il
giovane
Magni
alle
armi:
prima
artigliere
a
Firenze,
poi
a
Roma
e
ancora
nel
capoluogo
toscano.
Dopo
l’armistizio
del
1943
venne
chiamato
a
servire
nella
neonata
Repubblica
Sociale
Italiana,
alla
quale
aderì.
E in
quegli
anni
avvenne
il
fatto
che
ne
segnò
la
vita,
in
qualche
modo
anche
sportiva.
Il
ciclista
fu
infatti
accusato
di
aver
partecipato
ad
una
strage
in
uno
scontro
a
fuoco
con
un
gruppo
di
partigiani
vicino
a
Vaiano
nel
gennaio
del
1944,
la
cosiddetta
“strage
di
Valibona”.
La
cronaca
dice
che
in
quell’episodio
un
gruppo
di
fascisti
fu
attaccato
e
circondato
da
un
gruppo
di
partigiani,
e
nello
scontro
che
ne
seguì
tre
antifascisti
persero
la
vita,
altri
furono
fatti
prigionieri.
Lo
scontro
è
rimasto
conosciuto
e
importante
non
solo
perché
coinvolse
Magni,
ma
perché
fu
in
assoluto
uno
dei
primi
conflitti
armati
tra
fascisti
e
antifascisti
in
Toscana,
l’inizio
dello
scontro
spesso
fratricida
che
porterà
poi
l’Italia
alla
Liberazione.
Una
volta
finita
la
guerra
Magni
venne
processato
nel
1947,
l’accusa
chiese
per
lui
30
anni
di
reclusione.
Contestualmente
il
ciclista
toscano
era
stato
sospeso
dalla
federazione
e
non
poteva
comunque
tornare
alle
corse.
Aveva
anche
lasciato
la
sua
Vaiano
per
sempre,
capendo
che
non
avrebbe
più
potuti
farvi
ritorno.
Il
dibattimento
processuale
si
concluse
con
l’assoluzione
di
Magni
il
27
febbraio
di
quello
stesso
anno:
le
prove
a
suo
carico
non
erano
abbastanza
(e
nel
1946
c’era
anche
stata
l’”amnistia
Togliatti”,
che
aveva
contribuito
a
far
cadere
alcuni
capi
di
accusa).
Non
fu
condannato
dunque,
ma
l’etichetta
di
fascista
e
assassino
gli
rimasero
comunque
appiccate
addosso
per
tutta
la
vita.
Nel
1948
il
sindaco
comunista
di
Prato
si
congratulò
col
concittadino
Magni
per
le
sue
imprese
al
Giro
d’Italia:
fu
costretto
a
dimettersi
per
il
trambusto
creato
dalle
sue
parole.
Ancora
oggi,
nelle
zone
dove
è
nato,
il
suo
nome
non
viene
ricordato,
quasi
fosse
stato
cancellato
dalla
Storia.
Sulla
vicenda
che
ha
segnato
la
vita
del
grande
corridore
non
si
era
mai
fatta
veramente
luce
fino
a
qualche
anno
fa,
quando
uno
storico,
John
Foot,
si è
preso
la
briga
di
dare
uno
sguardo
ai
documenti
processuali
della
vicenda,
scoprendo
cose
molto
interessanti.
Ci
sono
alcuni
documenti
in
cui
si
dice
che
a
Monza
nel
1945
Magni
aiutò
la
Resistenza.
Questo
non
vuol
dire
che
non
fosse
stato
fisicamente
presente
alla
strage
di
Valibona
o
che
non
vi
abbia
partecipato;
vuol
dire
che
se
questi
documenti
possono
essere
considerati
autentici
almeno
una
parte
della
storia
politica
– se
così
vogliamo
definirla
– di
Fiorenzo
Magni
andrebbe
riscritta
o
modificata.
Non
sapremo
probabilmente
mai
come
andarono
le
cose,
anche
perché
l’ex
ciclista,
scomparso
nel
2012,
non
ha
mai
voluto
parlare
dell’argomento,
in
nessuna
occasione.
Dal
1947
Magni
potè
tornare
alle
corse,
anche
se
dovette
subire
più
volte
gli
insulti
e lo
scherno
di
alcuni
spettatori.
Il
toscano
non
si
scompose
mai
troppo,
e si
costruì
una
carriera
di
altissimo
livello.
Partecipò
proprio
nel
’47
al
suo
primo
Giro
d’Italia
concludendolo
al
settimo
posto
e
vincendo
la
Tre
Valli
Varesine.
Nel
1948
arrivò
il
primo
grande
trionfo
in
carriera:
Magni
si
aggiudicò
il
Giro
d’Italia,
seppur
con
qualche
polemica.
Sulle
dolomiti
infatti
Coppi
attaccò
e
riuscì
a
staccare
Bartali,
ma
non
Magni;
la
Bianchi,
squadra
di
Coppi,
accusò
Magni
aver
beneficiato
di
alcune
spinte
in
salita
e il
corridore
toscano
fu
penalizzato
di
due
minuti.
La
Bianchi
giudicò
la
pena
troppo
leggera
e
decise
di
ritirarsi
in
blocco
dalla
corsa,
lasciando
campo
libero
a
Magni
che
andò
a
vincere
con
il
minor
distacco
di
sempre
nella
storia
della
corsa
rosa:
11
secondi
su
Enzo
Cecchi.
All’arrivo
al
Vigorelli,
Magni
fu
sonoramente
fischiato
dal
pubblico
presente:
ma
aveva
trionfato.
Sempre
in
quella
grande
annata
aveva
provato
per
la
prima
volta
le
classiche
del
Nord,
partecipando
alla
Parigi-Roubaix
(arrivando
quinto)
e al
Giro
delle
Fiandre,
quella
che
diventerà
la
“sua”
gara,
dove
si
ritirò.
Nel
1949
tornò
al
Fiandre
e
vinse,
cogliendo
un
trionfo
meritato
e
preparato
fin
nei
minimi
dettagli
nei
mesi
precedenti.
La
corsa
belga
regalerà
a
Magni
le
imprese
più
belle
della
carriera:
la
vinse
anche
nel
1950
e
1951,
unico
(ancora
oggi)
in
grado
di
inanellare
tre
trionfi
consecutivi.
Questi
successi
gli
valsero
il
soprannome
di “leone
delle
Fiandre”.
Vinse
poi
il
Giro
del
1951,
con
uno
spettacolare
quanto
folle
attacco
in
discesa
nella
terzultima
tappa,
specialità
di
cui
era
maestro,
staccando
la
maglia
rosa
del
momento,
ossia
il
belga
Van
Steenbergen.
Sempre
nel
1951
sfiorò
la
vittoria
del
Mondiale,
disputatosi
a
Varese,
giungendo
in
seconda
posizione,
battuto
allo
sprint
dallo
svizzero
Kübler
(che
nelle
due
edizioni
precedenti
aveva
vinto
un
argento
e un
bronzo).
Tra
il
1949
e il
1953
partecipò
anche
al
Tour
de
France,
arrivando
al
massimo
in
sesta
posizione,
ma
vincendo
in
totale
ben
7
tappe
della
prestigiosa
corsa
francese.
Nel
1952
fu
secondo
nel
Giro
letteralmente
dominato
da
Coppi,
che
giunse
a
Milano
con
ben
9’18”
sul
leone
delle
Fiandre.
Nel
1953
vinse
tre
tappe
nella
corsa
rosa
(delle
sue
6
totali
in
carriera),
ma
giunse
lontanissimo
dal
vincitore,
ancora
una
volta
Coppi,
posizionandosi
in
ottava
posizione.
Giunse
poi
in
sesta
piazza
nel
1954,
l’ultimo
giro
corso
da
Bartali
e il
primo
con
una
doppietta
straniera:
vinse
Clerici
grazie
a
una
delle
fughe-bidone
più
famose
della
storia,
davanti
al
suo
connazionale
e
capitano
Hugo
Koblet.
Nel
1955
Fiorenzo
Magni
aveva
ben
35
anni,
età
considerevole
per
un
ciclista.
Si
presentò
al
Giro
d’Italia
in
buonissime
condizioni,
dopo
aver
partecipato
alla
Vuelta
a
España
vincendo
tre
tappe,
consapevole
che
forse
sarebbe
stata
l’ultima
occasione
di
trionfare.
In
corsa
c’era
anche
Coppi,
ma
Magni
partì
meglio,
conquistando
la
seconda
tappa
e
indossando
la
maglia
rosa
fino
alla
nona
frazione.
La
svolta
della
corsa
arrivò
nel
giorno
della
cronometro
individuale
da
Pineta
di
Cervia
a
Ravenna:
vinse
Fornara
e ad
indossare
la
maglia
di
leader
fu
Gastone
Nencini,
alla
sua
seconda
partecipazione
al
Giro.
Nencini
guidò
la
corsa
fino
alla
penultima
tappa,
quando
Coppi
e
Magni
si
allearono
per
attaccarlo:
il
leader
della
corsa
forò
prima
del
San
Pellegrino
e
gli
avversari
non
ebbero
pietà.
Coppi
vinse
la
tappa
(sua
ultima
affermazione
nella
corsa
rosa),
Magni
vestì
la
maglia
di
leader.
A
Milano
trionfò
Il
corridore
toscano
con
soli
13”
su
Coppi:
dopo
gli
11”
rifilati
a
Enzo
Cecchi
nella
vittoria
del
suo
primo
Giro
nel
1948,
quello
con
cui
sconfisse
Coppi
è
ancora
adesso
il
secondo
minor
distacco
di
sempre.
Fiorenzo
Magni
vinse
a 35
anni,
altro
record:
è ad
oggi
il
più
anziano
vincitore
del
Giro
d’Italia.
Nel
1956
lottò
ancora
per
la
vittoria
del
Giro,
arrivando
secondo
dietro
a
Charly
Gaul.
In
quella
sua
ultima
recita
sulle
strade
della
corsa
rosa,
Magni
fece
qualcosa
che
è
rimasto
epico:
rottosi
la
clavicola
nella
discesa
verso
Volterra
gli
venne
detto
si
ritirarsi;
lui
non
si
arrese,
e
corse
legando
una
camera
d’aria
al
manubrio,
tenendola
coi
denti
per
non
sforzare
il
braccio.
Era
la
quindicesima
frazione:
Magni
strinse
i
denti
e
giunse
al
traguardo
finale
di
Milano
con
3’27”
di
distacco
dal
vincitore.
Nel
corso
della
sua
carriera
vestì
anche
per
tre
volte
la
maglia
tricolore
di
Campione
italiano
(1951,
1953,
1954),
e
salì
sul
podio
di
tutte
le
classiche
monumento
(Milano-Sanremo,
Parigi-Roubaix,
Giro
di
Lombardia).
Vinse
in
tutto
oltre
70
corse,
vestendo
per
24
giorni
la
maglia
rosa
e
per
9
giorni
la
maglia
gialla.
Ritiratosi
dalle
corse
decise
di
restare
nel
mondo
del
ciclismo.
Fu
Commissario
tecnico
della
Nazionale
dal
1963
al
1966,
poi
presidente
dell'Associazione
Corridori
ed
infine
presidente
della
Lega
del
Professionismo.
Ancora
oggi
il
suo
nome
divide,
per
la
mancata
chiarezza
intorno
all’episodio
della
strage
di
Valibona.
Non
è
stato
mai
troppo
amato
in
vita,
soprattutto
dai
suoi
concittadini,
dalla
gente
di
Prato.
Non
gli
è
mai
stata
perdonata
la
sua
militanza
fascista:
e
poco
importa
che
si
sarebbe
potuto
indagare,
scoprire,
svelare
la
verità
in
merito
al
suo
aiuto
alla
Resistenza.
Lo
stesso
Magni
non
ha
mai
voluto
farlo,
fino
all’ultimo.
Chiamato
in
causa
più
volte
per
parlare
del
suo
passato,
diceva
che:
“Quello
che
conta
nella
vita
è la
nostra
coscienza,
il
resto
non
ha
importanza”.
Evidentemente
lui
si
sentiva
pulito:
non
basta
ad
accertare
la
verità
storica
di
ciò
che
ha
fato
in
vita,
ma
il
suo
lascito
è
questo.
Se
ne è
andato
nel
2012,
alla
veneranda
età
di
92
anni.
Resta
oggi,
almeno
tra
gli
amanti
del
ciclismo,
il
ricordo
di
un
grandissimo
interprete
delle
due
ruote,
uno
che
seppe
ritagliarsi
la
sua
fetta
di
gloria
nell’epoca
del
dominio
di
Coppi
e
Bartali:
Fiorenzo
Magni,
il
terzo
uomo.