N. 127 - Luglio 2018
(CLVIII)
STORIE DI CICLISMO E DEL GIRO D'ITALIA
PARTE iii -
binda, la prima star
di Riccardo
Filippo
Mancini
Non
era
forte,
nemmeno
fortissimo,
era
di
più:
un
Campione
con
la
“C”
maiuscola,
un
corridore
in
grado
di
abbinare
la
potenza
di
uno
sprinter
e le
doti
da
finisseur
alla
grande
abilità
come
scalatore.
Un
mix
letale
che
nella
storia
del
ciclismo
è
appartenuto
a
pochi
(Merckx
su
tutti),
e
chi
permise
ad
Alfredo
Binda
di
vincere
sia
le
gare
di
un
giorno
che
ben
cinque
giri
d’italia.
Un
curriculum
davvero
strepitoso.
Binda
nacque
a
Cittiglio,
nel
varesotto,
l’11
agosto
del
1902,
decimo
di
quattordici
figli.
Dopo
la
prima
guerra
mondiale
si
trasferì
a
Nizza
presso
uno
zio
materno
per
lavorare
come
stuccatore,
e fu
in
terra
francese
che
scoppiò
l’amore
per
le
due
ruote
(e
anche
per
la
musica,
in
particolare
per
la
tromba;
da
qui
il
soprannome
Trombettiere).
Iniziò
a
dedicarsi
con
costanza
alla
bicicletta
nel
1923,
abbandonando
il
lavoro
presso
lo
zio.
Il
talento
di
Binda
era
cristallino
ed
esplose
subito,
alla
prima
occasione
buona
per
farsi
notare:
il 4
marzo
1923
si
correva
la
Nizza-Mont
Chauve,
corsa
dura
con
arrivo
in
quota,
all’epoca
una
gara
importante
considerata
una
“classica”.
Ai
nastri
di
partenza
c’erano
tanti
ciclisti
già
affermati
tra
cui
italiani
del
calibro
di
Girardengo
e
Tano
Belloni.
Ma a
spuntarla
sulla
linea
del
traguardo
fu
il
giovane
e
praticamente
sconosciuto
Alfredo
Binda,
una
matricola
del
ciclismo.
Presto
si
capì
che
era
solo
l’inizio
di
una
lunga
cavalcata,
e
non
la
classica
rondine
che
non
fa
primavera.
Già
in
quel
1923
il
Trombettiere
si
aggiudicò
varie
corse
in
terra
francese,
come
il
Gran
Premio
di
Tolone
e la
Marsiglia-Nizza.
A
fine
1924
poteva
vantare
nel
suo
palmares
la
bellezza
di
30
corse
vinte,
e
aveva
solamente
22
anni.
In
Italia
si
accorsero
di
lui:
alla
fine
dell’anno
firmò
un
contratto
con
la
Legnano;
pare
che
il
giovane
Binda
sia
stato
segnalato
alla
squadra
italiana
da
Costante
Girardengo,
che
aveva
avuto
modo
di
correre
contro
di
lui
in
Francia
e lo
aveva
visto
vincere.
Nel
1925
Binda
partecipò
al
suo
primo
Giro
d’Italia,
in
una
edizione
particolare:
non
era
previsto
nessun
tipo
di
aiuto
tra
i
concorrenti,
ognuno
doveva
correre
individualmente;
inoltre
non
era
prevista
la
classifica
a
squadre.
Un
inizio
che
sarebbe
stato
difficile
per
un
corridore
poco
esordiente
al
Giro,
ma
Binda
non
era
uno
qualunque.
Vinse
al
primo
tentativo
la
corsa
Rosa,
lasciandosi
alle
spalle
Girardengo
e
Brunero.
Alla
fine
della
stagione
si
aggiudicò
anche
il
Giro
di
Lombardia,
impreziosendo
un
anno
già
fantastico
sportivamente.
Nel
1926
una
caduta
nella
prima
tappa
del
Giro,
dove
perse
circa
quaranta
minuti,
gli
impedì
di
trovare
il
bis
nella
corsa
rosa.
Grazie
a un
prodigioso
recupero
Binda
salì
comunque
sul
podio,
occupando
la
seconda
posizione
della
classifica
generale
all’arrivo
dietro
a
Brunero.
Bissò
comunque
la
vittoria
al
Lombardia
e si
aggiudicò
per
la
prima
volta
in
carriera
il
Campionato
Italiano,
fermando
la
serie
di
successi
consecutivi
di
Girardengo
che
durava
dal
1913
(con
lo
stop
tra
il
1915
e il
1919
a
causa
della
guerra).
Le
successive
edizioni
del
Giro
d’Italia
furono
praticamente
senza
storia;
la
superiorità
mostrata
dal
corridore
lombardo
era
netta.
La
corsa
ebbe
dunque
un
solo
padrone
nel
1927,
1928
e
1929.
Nell’edizione
del
1927
Binda
stabilì
un
record
ancora
imbattuto:
vinse
12
tappe
su
15,
trionfando
su
ogni
terreno
possibile.
Nello
stesso
anno
conquistò
la
prima
edizione
assoluta
dei
Campionati
del
Mondo
su
strada,
svoltasi
sul
circuito
del
Nurburgring
in
Germania,
battendo
Girardengo.
A
fine
anno
fece
anche
il
tris
al
Lombardia,
corsa
che
vincerà
una
quarta
volta
nel
1931.
Vinceva
tanto
il
Trombettiere,
era
il
più
forte.
Aveva
una
pedalata
rotonda,
in
bicicletta
era
bello
da
vedere
perché
sembrava
quasi
che
non
soffrisse
la
fatica;
era
come
se
per
lui
pedalare
sulle
impervie
strade
italiane
di
quegli
anni
fosse
facile,
tanta
era
la
classe
che
aveva.
Ma
chi
vince
troppo
a
volte
stufa,
e il
pubblico
non
si
innamorò
mai
fino
in
fondo
di
Binda,
perché
alla
gente
piaceva
vedere
la
sofferenza
sul
volto
dei
ciclisti,
il
loro
giungere
sfiniti
al
traguardo:
e il
trombettiere
a
volte
appariva
quasi
riposato.
All’arrivo
del
Giro
del
1929
al
Velodromo
Sempione
(in
quegli
anni
epilogo
tradizionale
della
corsa),
Binda
venne
sonoramente
fischiato.
Tanto
vinceva
sempre
lui,
che
gusto
c’era
oramai
a
vedere
le
corse?
Un
pensiero
che
sotto
sotto
si
faceva
strada
anche
tra
gli
avversari,
consapevoli
di
dover
lottare
per
un
piazzamento
e
nulla
più.
Ecco,
i
fischi
di
quel
9
giugno
del
1929
furono
l’inizio
di
un
episodio
che
è
rimasto
nella
storia.
La
preoccupazione
degli
organizzatori
del
Giro
era
divenuta
concreta:
un
uomo
così
forte
che
monopolizzava
la
corsa
danneggiava
lo
spettacolo
e
rischiava
di
far
calare
l’interesse
sulla
competizione,
che
era
senza
dubbio
già
importante,
ma
non
ancora
consolidata
del
tutto.
Si
arrivò
dunque
ad
una
scelta
drastica:
si
propose
alla
Legnano
e a
Binda
di
non
correre
il
Giro
nel
1930.
Colombo,
il
patron
della
corsa
rosa,
intavolò
una
trattativa
col
numero
uno
della
Legnano,
Bozzi.
Al
campione
vennero
proposte
22.550
lire,
ossia
l’equivalente
del
premio
finale
più
la
vittoria
di
qualche
tappa.
Alla
Legnano
sarebbe
stato
riconosciuto
un
indennizzo.
L’accordo
alla
fine
si
trovò
e
Binda
rimase
a
guardare.
Per
la
cronaca
il
Giro
del
1930
fu
vinto
dal
giovane
Marchisio,
ma
non
se
lo
ricorda
quasi
nessuno.
Il
campione
quell’anno
decise
di
andare
al
Tour
de
France,
per
la
prima
ed
ultima
volta.
Vinse
due
tappe
pirenaiche,
ma
un
guasto
meccanico
e
dei
forti
dissidi
con
la
federazione
italiana
di
ciclismo,
rea
di
non
avergli
ancora
versato
i
soldi
per
la
forzata
rinuncia
al
Giro,
lo
spinsero
a
lasciare
la
corsa
francese,
quando
si
trovava
comunque
tra
i
primi
in
piena
lotta
per
la
vittoria
finale.
Si
rifece
andando
a
vincere
per
la
seconda
volta
il
Campionato
del
Mondo
di
Liegi,
davanti
al
belga
Ronsee.
Nel
1931
tornò
al
Giro:
lui
e
Learco
Guerra,
rivale
del
momento,
erano
i
favoriti
alla
vittoria
finale,
ma
entrambi
furono
costretti
al
ritiro
durante
la
corsa.
In
quell’anno
fu
ufficialmente
introdotto
il
simbolo
che
ancora
oggi
identifica
la
corsa:
la
maglia
rosa.
Il
primo
corridore
di
sempre
a
indossarla
fu
Learco
Guerra,
che
la
conquistò
al
termine
della
prima
tappa
di
quel
Giro,
con
arrivo
nella
sua
Mantova
il
10
maggio.
Nel
1932
non
disputò
un
grande
Giro
d’Italia,
caratterizzato
dopo
anni
dalla
presenza
di
alcuni
grandi
corridori
stranieri
come
Magne,
vincitore
del
Tour
l’anno
precedente.
Andò
però
a
conquistare
il
terzo
alloro
iridato
trionfando
nel
mondiale
di
Roma,
primo
Campionato
del
Mondo
di
ciclismo
ospitato
sulle
strade
italiane.
Nel
1933
colse
la
sua
ultima
affermazione
al
Giro
d’Italia,
vincendo
un’edizione
ricca
di
novità:
nel
percorso
fu
inserita
per
la
prima
volta
la
cronometro
individuale
e
furono
assegnati
dei
punti
speciali
per
i
passaggi
in
salita,
il
Gran
Premio
della
Montagna,
riservato
al
miglior
scalatore
(quella
che
è
oggi
la
maglia
azzurra
del
Giro).
Binda
portò
a
casa
oltre
alla
maglia
rosa
anche
il
premio
come
miglior
grimpeur.
Anche
il
montepremi
quell’anno
fu
enorme
rispetto
alle
edizioni
precedenti:
il
campione
portò
infatti
a
casa
la
cifra,
per
l’epoca
elevata,
di
296.000
lire.
Binda
partecipò
ad
altri
due
giri
d’Italia
senza
però
incidere.
La
sua
carriera
volgeva
al
termine,
anche
se
il
nativo
di
Cittiglio
rimase
competitivo
non
riuscì
più
ad
ottenere
successi
importanti.
Si
ritiro
nel
1936,
all’età
di
34
anni,
dopo
una
brutta
caduta
durante
la
Milano-Sanremo
(che
comunque
vinse
per
due
volte
in
carriera,
nel
1929
e
nel
1931)
che
gli
causò
la
frattura
del
femore.
Continuò
ad
essere
una
figura
chiave
del
ciclismo,
diventando
commissario
tecnico
della
Nazionale
italiana,
e
fulcro
alla
base
dell'accordo
tra
Bartali
e
Coppi
tra
la
fine
degli
anni
'40
e
gli
anni
'50.
Un
corridore
eccelso
che
in
carriera
vanta
90
successi
di
tappa,
di
cui
ben
41
al
Giro
d’Italia,
record
infranto
da
Mario
Cipollini
nel
2002.
Vinse
5
Giri,
come
Mercx
e
Coppi,
record
tutt’ora
imbattuto.
Vanta
qualche
successo
anche
in
pista,
disciplina
che
comunque
non
curò
mai
quanto
la
strada.
Ha
cambiato
il
ciclismo
perché
è
stato
il
primo
a
valicarne
veramente
i
confini
diventando
più
di
un
corridore,
raggiungendo
lo
status
di
“star”,
prima
ancora
di
Coppi.
Si è
spento
nel
suo
paese
natale
il
19
agosto
del
1986.
Un
giorno
chiesero
ad
Eberardo
Pavesi,
ex
ciclista
e
poi
dirigente
sportivo
per
una
vita
nelle
due
ruote,
considerato
una
sorta
di
guru
della
bicicletta,
chi
fosse
il
più
grande
tra
Coppi
e
Merckx.
Eravamo
agli
inizi
degli
anni’70,
e
Pavesi
rispose
con
un
sorriso:
“Il
migliore,
per
me,
era
Binda”.