N. 126 - Giugno 2018
(CLVII)
STORIE DI CICLISMO E DEL GIRO D'ITALIA
PARTE
II -
Il
primo
“Campionissimo”
italiano,
Costante
Girardengo
di Riccardo
Filippo
Mancini
“Vai Girardengo, vai grande campione
nessuno
ti
segue
su
quello
stradone
Vai
Girardengo,
non
si
vede
più
Sante
è
dietro
a
quella
curva,
è
sempre
più
distante”
Il
ritornello
della
celebre
canzone
cantata
da
Francesco
De
Gregori
(ma
scritta
dal
fratello
Luigi
Grechi,
che
porta
il
cognome
della
madre)
e
intitolata
Il
bandito
e il
campione,
racconta
il
controverso
legame
del
grande
ciclista
ligure
Costante
Girardengo,
il
primo
vero
campione
italiano
e il
bandito
Sante
Pollastri.
Quest’ultimo
fu
un
anarchico
e
criminale
degli
anni
Venti,
autore
di
numerose
rapine
e
omicidi,
soprattutto
di
Carabinieri
e
forze
dell’ordine;
sembra
che
il
suo
odio
per
lo
Stato
sia
figlio
proprio
di
un
torto
subito
da
un
uomo
in
divisa
(si
narra
di
un
pestaggio
ai
suoi
danni
o
addirittura
dello
stupro
della
sorella).
Divenne
celebre
per
i
suoi
colpi
e
perché,
secondo
le
leggende
popolari
sviluppatesi
intorno
alla
sua
figura,
fu
una
sorta
di
Robin
Hood
moderno,
prodigandosi
soprattutto
per
aiutare
altri
anarchici
che
erano
in
latitanza.
Tra
realtà
e
vulgata
popolare
c’è
qualche
certezza:
nato
nella
stessa
cittadina
di
Girardengo,
Novi
Ligure,
si
frequentò
col
ciclista
in
gioventù
condividendone
la
passione
per
la
bicicletta,
ma
non
il
talento:
il
primo
usava
la
bici
per
vincere
le
gare,
l’altro
per
fuggire
dalla
polizia
dopo
un
colpo.
Iniziò
a
compiere
piccoli
furti
sin
da
giovanissimo
per
aiutare
la
famiglia
che
viveva
in
condizioni
di
estrema
indigenza
e
non
si
fermò
più.
Fu
arrestato
a
Parigi,
dove
era
fuggito
e
aveva
proseguito
le
sue
attività
di
fuorilegge,
nell’agosto
del
1927,
quando
era
considerato
un
nemico
pubblico
di
primo
piano,
una
sorta
di
John
Dillinger
italiano.
Alla
sua
cattura
contribuì
anche
il
commissario
Guillame,
figura
che
ispirerà
Simenon
per
il
personaggio
di
Maigret.
Forse
a
tradire
l’anarchico
italiano
fu
proprio
Girardengo,
che
lo
incontrò
circa
due
anni
prima
in
occasione
della
Sei
Giorni
su
pista
proprio
nella
capitale
francese
(quando
tutti
lo
credevano,
per
errore,
morto)
e
testimoniò
in
seguito
al
processo
contro
Pollastri;
ma
non
ci
sono
prove
certe
in
merito
a
questa
ipotesi
di
tradimento,
anche
se
l’incontro
al
velodromo
parigino
avvenne
senza
alcun
dubbio,
alla
presenza
anche
di
Biagio
Cavanna,
massaggiatore
del
“Gira”
ed
ex
allenatore
di
Pollastri,
ricordato
nel
mondo
del
ciclismo
soprattutto
per
aver
scoperto
Fausto
Coppi.
Il
criminale
venne
condannato
all’ergastolo
e
liberato
nel
1959
dopo
la
grazia
ricevuta
dal
Presidente
della
Repubblica
Gronchi.
Abbiamo
parlato
del
bandito,
ma
non
del
ciclista:
Costante
Girardengo
fu
un
atleta
formidabile
sia
su
strada
che
su
pista.
Siamo
soliti
ricordare
Coppi
come
il
“Campionissimo”,
ma
in
realtà
il
primo
a
fregiarsi
di
questo
soprannome
fu
proprio
Girardengo.
Nacque
nel
1983
e
acquistò
la
sua
prima
bici
già
da
ragazzo
per
andare
a
lavorare.
Già
nel
1908
divenne
noto
nella
sua
città
natale:
raccolse
la
sfida
di
Dorando
Pietri,
il
maratoneta
vincitore
morale
della
prova
Olimpica
di
quell’anno.
Il
corridore
mise
in
palio
due
lire
per
chi
lo
avesse
battuto
in
una
sfida
tra
uomo
e
bici:
un
giro
di
corsa
contro
due
e
mezzo
di
piazza.
Esito
che
oggi
sarebbe
scontato,
ma
non
allora,
visto
il
peso
enorme
dei
mezzi
a
pedali.
Il
ragazzo
stupì
tutti
e
vinse,
mettendo
in
mostra
tutte
le
sue
capacità.
Cominciò
a
gareggiare
nel
1912,
quando
aveva
19
anni.
Talento
cristallino,
ci
mise
davvero
poco
a
mettersi
in
mostra,
conquistando
già
l’anno
successivo
il
suo
primo
titolo
italiano
su
strada
per
professionisti,
che
gli
costò
però
45
giorni
di
carcere:
era
infatti
uscito
senza
permesso
dalla
caserma
di
Verona
dove
stava
svolgendo
il
servizio
militare.
Vinse
anche
una
tappa
al
Giro
d’Italia,
dove
si
classificò
al
sesto
posto
nella
generale.
Era
chiamato
piccolo
omin
perché
minuto
e
basso
di
statura,
ma
in
bicicletta
era
un
concentrato
di
forza
e
potenza:
grandissimo
passista
e
velocista,
si
difendeva
bene
anche
in
salita.
Di
lui
parlò
anche
Ganna,
primo
vincitore
del
Giro
nel
1909,
definendolo
un
corridore
spettacolare,
il
più
forte
mai
visto
fino
a
quel
momento.
E
aveva
ragione.
Nel
1914
vinse
ancora
un
campionato
tricolore,
poi
nel
1915
si
impose
nella
Milano-Sanremo,
ma
venne
squalificato
per
un
piccolissimo
taglio
di
percorso,
nonostante
fosse
giunto
al
traguardo
con
alcuni
minuti
di
vantaggio
sul
secondo
classificato.
Nel
pieno
della
sua
esplosione
arrivò
l’entrata
in
guerra
dell’Italia
che
ovviamente
fermò
qualsiasi
tipo
di
competizione
sportiva,
costringendolo
a
uno
stop
forzato.
Nel
1917
torna
a
correre
la
Milano-Sanremo
e
arriva
secondo;
vincerà
la
classica
di
primavera
l’anno
seguente,
il
primo
di
ben
6
successi
(più
quello
tolto
del
1915),
record
superato
solamente
da
Eddie
Merckx
con
7
trionfi.
Nelle
classiche
monumento
vanta
anche
tre
vittorie
nel
Lombardia
(1919,
1921,
1922).
Nel
1919
contrasse
la
famigerata
spagnola,
influenza
che
aveva
mietuto
tantissime
vittime
in
quegli
anni
in
tutta
Europa.
Guarì
e
pochi
mesi
dopò
vinse
il
suo
primo
Giro
d’Italia,
conquistando
addirittura
7
tappe
su
10,
e
infliggendo
quasi
52
minuti
di
distacco
al
secondo
classificato
Gaetano
Belloni
(uno
dei
primi
passati
alla
storia
come
“eterni
secondi”
dello
sport,
nonostante
in
carriera
abbia
vinto
varie
classiche
e un
Giro
nel
1920)
in
quell’occasione
fu
definito,
a
ragione,
Campionissimo.
Continuò
a
vincere
il
campionato
italiano
ininterrottamente
fino
al
1925,
per
un
totale
di 9
volte
consecutive
(e
magari
avrebbero
potuto
essere
di
più,
considerato
la
pausa
bellica
che
impedì
l’organizzazione
della
corsa
tra
1915
e
1918).
Nella
corsa
rosa
riuscì
a
imporsi
anche
in
un’altra
occasione,
sempre
nel
1923.
Anche
quella
volta
il
dominio
fu
assoluto
in
termini
di
vittorie
di
tappa,
addirittura
8 su
10;
il
secondo
piazzato
Giovanni
Brunero
arrivò
invece
a
soli
38”
da
Girardengo,
uno
dei
distacchi
minimi
nella
storia
del
Giro.
Avrebbe
potuto
sicuramente
vincere
altre
edizioni
del
Giro,
ma
nelle
13
partecipazioni
fu
costretto
al
ritiro
per
ben
10
volte,
vincendo
comunque
in
totale
ben
28
tappe.
Non
amava
il
Tour
de
France,
al
quale
partecipò
solamente
nel
1914
ritirandosi
alla
quinta
tappa,
e in
ogni
caso
all’epoca
non
era
così
scontato
come
oggi
che
un
corridore
partecipasse
a
corse
anche
all’estero.
Nel
1923,
quando
Girardengo
era
già
una
leggenda
vivente
delle
due
ruote,
l’ideatore
della
Grand
Boucle,
Henri
Desgrange,
lo
sfidò
dicendo
che
per
essere
il
più
grande
Girardengo
avrebbe
dovuto
vincere
fuori
dall’Italia.
Il
campione
accettò
la
sfida
e
con
una
lettera
alla
Gazzetta
si
disse
pronto
a
gareggiare
contro
chiunque
anche
in
campo
neutro.
Nel
Natale
del
1923
andò
in
scena
la
gara
tra
Girardengo
e
Henri
Pélissier,
il
francese
più
forte
di
quegli
anni
al
Velodromo
di
Parigi.
Superfluo
dire
chi
vinse.
Dal
1926
la
sua
carriera
iniziò
la
fase
calante,
sia
per
l’età
che
avanzava
sia,
soprattutto,
per
l’arrivo
di
un
altro
formidabile
corridore
che
segnò
quegli
anni
di
ciclismo:
Alfredo
Binda.
Proprio
quest’ultimo
battè
Girardengo
nella
prima
edizione
assoluta
dei
campionati
del
mondo
su
strada
del
1927
corsi
nel
circuito
del
Nürburgring
in
Germania.
Il
podio,
tutto
italiano,
fu
completato
da
Domenico
Piemontesi.
Il
piccolo
omin
si
riscattò
l’anno
seguente
vincendo
l’ultima
delle
sue
sei
Milano-Sanremo,
ma
da
lì
in
poi
si
dovette
arrendere
alla
superiorità
del
più
giovane
avversario.
La
loro
rivalità
anticipò
di
qualche
anno
la
più
famosa
del
ciclismo
italiano,
quella
da
Coppi
a
Bartali.
Girardengo
continuò
comunque
a
correre
fino
al
1936,
quando
appese
la
bici
al
chiodo
dopo
una
caduta
al
Giro,
alla
veneranda
età
di
43
anni.
In
carriera
vinse
in
totale
106
corse
su
strada
e
965
su
pista.
Rimase
nel
campo
del
ciclismo,
dando
il
suo
nome
ad
un
marchio
di
biciclette
che
esiste
ancora
oggi,
e fu
allenatore,
tra
gli
altri,
sia
di
Coppi
che
di
Bartali
(guidando
il
toscano
alla
conquista
del
Tour
de
France
del
1938).
Proseguì
l’attività
di
allenatore
fino
al
1958.
Si
spense
il 9
febbraio
del
1978
a
Cassano
Spinola,
un
anno
prima
del
suo
“amico”
bandito
Sante
Pollastri.
Resta
ancora
oggi
un
nome
epico
nella
storia
del
ciclismo,
non
solo
italiano.