N. 69 - Settembre 2013
(C)
COMMENTARIOLUM PETITIONIS
Un Cicerone moderno
di Silvia Mangano
Per
i
più
è un
personaggio
sconosciuto,
per
alcuni
studiosi
è
un’invenzione
tardoantica,
per
altri
Quinto
Tullio
Cicerone
è
una
realtà
che
con
le
sue
opere
aleggia
nel
presente
della
politica
mondiale.
A
lui
si
deve
la
stesura
del
Commentariolum
petitionis
o
Manuale
di
campagna
elettorale.
Ci
troviamo
nel
63
a.C.
e il
candidato
al
consolato
Marco
Tullio
Cicerone
riceve
una
lettera
dal
fratello
Quinto,
nella
quale
vengono
sviscerati
tutti
i
contenuti
di
un’ottima
campagna
elettorale.
Scrive
al
riguardo
il
noto
politico
italiano
Giulio
Andreotti:
“Quinto
s’industria
di
studiare
e
mettere
in
atto
ogni
iniziativa
utile
a
rovesciare
la
sfavorevole
situazione
di
partenza,
suggerendo
al
candidato
tutta
una
serie
di
comportamenti
a
suo
giudizio
idonei
a
garantirgli
la
simpatia
e il
consenso
degli
elettori.
[...]
Il
contesto,
com’è
ovvio,
è
profondamente
diverso
da
quello
di
oggi.
[...]
Ma
le
tecniche
di
conquista
del
consenso
appaiono
per
molti
aspetti
sorprendentemente
simili
a
quelle
anche
oggi
praticate
per
guadagnarsi
la
fiducia
e la
simpatia
del
corpo
elettorale”.
Già
all’inizio
dell’epistola
Quinto
sottolinea
l’importanza
dell’arte
di
cui
suo
fratello
Marco
è il
massimo
detentore:
la
retorica.
“L’eloquenza
è
stata
sempre
tenuta
in
grandissimo
conto;
non
si
può
giudicare
indegno
del
consolato
chi
è
ritenuto
degno
patrono
di
uomini
consolari.
Perciò,
considerato
che
muovi
da
questa
gloria
e,
tutto
quello
che
sei,
tu
lo
devi
all’eloquenza,
presentati
a
parlare
con
una
preparazione
tale,
come
se
in
ogni
causa
si
debba
esprimere
un
giudizio
complessivo
sul
tuo
talento”.
Uno
degli
impegni
più
grandi,
poi,
è
concentrarsi
sull’intero
elettorato.
Dei
singoli
elettori
bisognerà
conoscerne
il
nome
– la
politica
antica
è
anche
soprannominata
dagli
studiosi
“democrazia
del
face
to
face”
–,
sarà
necessario
frequentarli,
fargli
promesse:
“Gli
uomini
infatti
non
desiderano
soltanto
ricever
promesse,
soprattutto
quando
si
rivolgono
a un
candidato;
vogliono
anche
che
siano
promesse
generose
e
formulate
in
termini
onorevoli”.
Ma
non
è
consigliabile
rifiutare
una
richiesta,
in
questo
caso
–
dice
Quinto
a
Marco
-
“ciò
che
non
puoi
fare,
rifiutalo
in
modo
cortese,
o
addirittura
non
rifiutarlo;
la
prima
è
comunque
la
caratteristica
di
un
uomo
onesto,
la
seconda
di
un
buon
candidato”.
L’importante
è
sempre
e
comunque
il
modo
di
porsi,
l’atteggiamento,
l’ars
oratoria;
infatti
Quinto
prosegue:
“ho
sentito
uno
narrare,
a
proposito
di
certi
oratori
ai
quali
voleva
affidare
la
sua
causa,
che
il
discorso
di
chi
gli
aveva
rifiutato
il
patrocinio
gli
era
riuscito
più
gradevole
del
discorso
di
chi
se
l’era
assunto:
a
tal
punto
gli
uomini
si
lasciano
attrarre
più
dall’atteggiamento
e
dai
discorsi
che
dalla
realtà
dello
stesso
beneficio”.
Altro
passo
importante
durante
la
campagna
elettorale
è
quello
di
assicurarsi
il
sostegno
di
coloro
che
sono
in
grado
di
controllare
e
orientare
il
voto
delle
masse:
“occupati
dell’intera
città,
di
tutti
i
collegi,
dei
distretti,
dei
quartieri;
se
ti
saprai
procurare
l’amicizia
dei
loro
principali
rappresentanti,
grazie
ad
essi
potrai
conquistarti
agevolmente
la
massa”.
Fondamentale
è,
inoltre,
l’appoggio
degli
amici;
dove
per
amicitia
si
intende
qualsiasi
dimostrazione
di
consenso,
anche
proveniente
da
persone
che,
fuori
dalla
sfera
politica,
sarebbero
poco
affidabili.
Fondamentale
in
questo
senso
è il
ruolo
che
gioca
la
gratia,
cioè
l’obbligo
di
gratitudine
verso
il
candidato,
che
dovrebbe
spingere
i
beneficati
ad
appoggiare
e ad
aiutare
l’elezione
al
consolato
del
candidato
(“procura
di
tenerli
a te
legati
ricordando,
pregando,
facendo
capire
in
ogni
modo
a
quanti
ti
debbono
riconoscenza
che
non
avranno
alcun’altra
occasione
di
provartela”
e
ancora
“da
benefici
di
minimo
valore
gli
uomini
sono
spinti
a
ritenere
che
esistano
motivi
sufficienti
per
favorire
un
candidato”).
Quinto
ci
tiene
a
sottolineare
che
“tu
puoi
in
piena
onestà
–
ciò
che
non
ti
sarebbe
consentito
nel
resto
della
vita
–
ammettere
alla
tua
amicizia
tutti
quelli
che
vuoi,
mentre
se
in
altre
circostanze
cercassi
di
farteli
amici,
parresti
agire
dissennatamente;
se
invece
non
lo
facessi
con
molti,
e
scrupolosamente,
in
una
campagna
elettorale,
non
sembreresti
affatto
un
candidato”.
Ciò
che
sembra
anche
molto
attuale,
è la
tattica
con
cui
va
condotta
la
campagna
contro
gli
avversari,
tutto
ruota
intorno
alle
denigrazione:
“procura
che,
se
in
qualche
modo
è
possibile,
sorga
anche
nei
confronti
dei
tuoi
avversari
un
sospetto,
appropriato
al
loro
comportamento,
o di
colpa
o di
lussuria
o di
sperpero”.
Saltano
subito
all’occhio
riferimenti
a
fatti
e
politici
d’oggi,
che
riempiono
interi
servizi
su
giornali
e tv
–
l’eterno
ritorno
dell’uguale
commenterebbe
malinconicamente
Nietzsche.
Ma
non
è
finita
(!),
Quinto
sente
il
bisogno
di
ribadire
a
Marco
Tullio
un
altro
espediente
molto
utile
per
combattere
gli
avversari
politici:
“suscitare
negli
avversari
il
timore
grandissimo
di
un
processo
e
dei
rischi
che
esso
comporta”.
Incredibile
ma
vero,
il
cerchio
si
chiude.
Nel
63
a.C.,
quando
ancora
Cesare
progettava
la
sua
ascesa,
le
tecniche
politiche,
i
problemi,
gli
espedienti,
erano
quantitativamente
diversi,
ma
qualitativamente
identici
a
ciò
che
la
politica
(credendosi
evoluta
e
perfezionata)
avrebbe
offerto
ben
ventuno
secoli
dopo.
Andreotti,
commentando
il
testo,
forse
con
un
sorriso
appena
accennato
sul
volto,
cita
l’Ecclesiaste
con
il
suo
nihil
novi
sub
sole
Romae!
In
tutta
la
sua
franchezza,
il
Commentariolum
petitionis
offre
molti
spunti
di
riflessione
sul
passato
e
sul
presente,
sulla
politica
del
tempo
e su
quella
contemporanea
e
sulle
modalità
di
svolgimento
di
un’organizzata
e
spregiudicata
campagna
elettorale.