N. 18 - Novembre 2006
IL CIAD
PAESE BURATTINO
Le influenze,
nascoste e non, sulla politica del Ciad
di Laura
Novak
Sono passati quarantasei
anni da quando il Ciad riuscì ad ottenere
l’indipendenza dopo mezzo secolo e oltre di
colonizzazione francese.
Ma il Ciad in realtà
l’indipendenza e l’autonomia nel panorama
socio-politico mondiale non sa nemmeno cosa siano.
Dopo che l’11 agosto
1960 venne dichiarato stato indipendente e Francois
Tombalbaye, un avvocato ciadiano di etnia sara
(cristiana/animista), divenne capo del governo, solo
nel 1965 le truppe francesi lasciarono il paese.
Durante questi cinque anni la forte influenza che
Parigi continuava ad avere sulle decisione del governo
era evidente; non solo l’amministrazione pubblica, ma
il controllo della sicurezza e la difesa pubblica
erano sotto tutela francese.
In poco tempo malumori
crebbero tra la popolazione del paese, soprattutto di
religione mussulmana, in virtù innanzitutto della
completa emarginazione di intere etnie dalla vita
politica e sociale del paese.
I conflitti armati
iniziarono a sconvolgere il paese dopo il 1968, quando
due fronti ormai ben delineati cominciarono le
ostilità: da una parte il governo di Tombalbaye di
matrice occidentale (francese) e dall’altra i vari
movimenti guerriglieri del nord del paese, zona quasi
completamente di religione mussulmana, come il Fronte
di Liberazione Nazionale (Frolinat), sostenuti dalla
Libia del colonnello Gheddafi.
E’ da qui che la partita
a scacchi, che da tempo mantiene in un limbo doloroso
e sanguinario lo stato del Ciad, ebbe inizio.
La parti in conflitto
negli anni conobbero spostamenti di fronte improvviso,
momenti di alta tensione e momenti, piuttosto brevi,
di distensione, ma soprattutto cambiamenti repentini
di governo, dopo omicidi eccellenti, come quello di
Tombalbaye nel 1975; omicidio avvenuto a seguito di un
colpo di stato militare organizzato da un generale
ciadiano di scuola d’addestramento francese.
E, mentre il quadro
politico continuava a mutare aggravando notevolmente
la situazione di uno stato sull’orlo della bancarotta,
i giocatori rimanevano gli stessi.
La Libia, confinante a
nord con il Ciad, da sempre ha cercato di entrare
clandestinamente nella rete della gestione politica
del paese, considerato fragile e quindi sfruttabile.
La Francia dal canto suo
non ha mai accettato l’indipendenza decisionale
dell’ex colonia, soprattutto durante gli anni ’90 in
cui una novità cambia radicalmente la situazione del
paese.
E’ questo il periodo
che, a mio avviso, rappresenta la svolta e su cui
intendo concentrare la mia analisi.
Nel 1997 a capo del
governo ciadiano c’era ancora lui, Idriss Deby, ex
luogotenente di Hissene Habre, e figura predominante
della politica del paese da quasi 10 anni.
Hissene Habre ottenne il
governo temporaneo subito dopo il rovesciamento e
l’uccisione di Tombalbaye. Da subito però il suo
potere entrò in contrasto con quello di Guokouni
Oueddei, uomo politico di secondaria importanza fino a
quel momento, che però, con l’appoggio e i
finanziamenti generosi di Gheddafi, riuscì a creare in
poco tempo un esercito, parallelo a quello regolare,
forte e strutturato, e a sconfiggere Deby.
Due cambiamenti di
posizione ad opera del colonnello Gheddafi però
sconvolsero a questo punto di nuovo la situazione.
Se in un primo tempo,
come abbiamo accennato, il suo sostegno alla causa di
Oueddei e ai movimenti clandestini mussulmani per la
liberazione dalla stretta occidentale del Ciad era
stato decisivo per il raggiungimento di successi
militari e politici importanti, il suo successivo
abbandono, sotto forti pressioni diplomatiche europee,
della causa di Oueddei creò la possibilità per Habrè
di ritrovare la strada per il potere. Dopo aver
emarginato Oueddei dalla vita politica e militare del
paese, Habrè represse in ogni parte del paese le
accese ribellioni scaturite dal suo ritorno al
governo. Un governo mai stato eletto, mai investito,
mai voluto.
Le forze ribelli
iniziarono quindi una guerra aperta contro il governo
Habrè.
Uno degl’ex luogotenenti
di Habrè, Idriss Deby, divenne l’asso su cui puntare,
la figura politica della svolta. La Libia, dopo quasi
otto anni di opportunistico e superficiale
disinteressamento alla questione Ciad, rientrò nei
giochi a fianco di Deby.
Il 1° dicembre del 1990,
con la sua prima operazione militare apertamente di
parte, la Libia lanciò una forte offensiva contro le
truppe di Habrè, sconfiggendolo.
Il 4 dicembre Deby venne
eletto alla presidenza dal comitato centrale della sua
organizzazione o partito politico, Il Movimento
patriottico di salvezza, che divenne l’unico partito
legale in Ciad.
Cambio di giocatore, ma
posta in gioco e tattiche identiche.
Negli anni che lo hanno
visto al governo, tentativi di celare una forte
tendenza alla non democrazia hanno condotto il governo
a emanare decreti per la liberalizzazione di un
sistema politico mono-partito dai connotati
paramilitari piuttosto che politici, per arrivare ad
un abbozzo di sistema multipartitico costituzionale
(1992 e 1996 per la nuova Costituzione) ed infine
giungere ad un governo legittimato da elezioni
popolari legislative popolari (gennaio-febbraio 1997).
E’ in quest’anno, il
1997, che la situazione, a mio avviso, assume nuovi
caratteri.
Il Ciad è da sempre un
paese povero, ma povero nel senso estremamente e
mortificatamente letterale. Le forti siccità degli
anni ’70 e ’80 hanno annientato l’unica delle risorse
stabili del paese, l’agricoltura e la pastorizia. La
desertificazione, che sta avvenendo a velocità
sostenuta nel paese, sta aggravando quel processo di
prosciugamento delle poche risorse idriche presenti,
tra cui il lago Ciad. L’ambiente è quindi al collasso.
Il bracconaggio clandestino di elefanti è ormai una
delle risorse principali per la popolazione.
L’economia del paese è
inesistente; oltre all’esportazione verso i paesi
occidentali, soprattutto la Francia, di cotone, i
prodotti locali dell’agricoltura sono a malapena
sufficienti per il fabbisogno interno.
Nel 2004 il PIL del Ciad
fu uno dei più bassi al mondo.
Le condizioni sanitarie
e sociali in cui versa ormai la popolazione ciadiana
sono vergognose. Il tasso di mortalità infantile è nel
2006 di 91 bambini morti ogni 1000 nati, nonostante la
crescita demografica incontrollabile sia in costante
aumento. Come incontrollabile è ormai la diffusione
del virus dell’HIV. L’aspettativa di vita media per un
adulto è ferma a 47 anni e il tasso di
alfabetizzazione minimale è di solo la metà della
popolazione, ovviamente quella popolazione censita.
A questa situazione
sociale sull’orlo del baratro non poteva certo portare
miglioramenti l’inizio dello sfruttamento dell’oro
della nostra epoca, l’oro nero.
Con i nuovi giacimenti
petroliferi, scoperti durante gli anni ’90, e con la
meccanizzazione del sistema di estrazione, i contrasti
tra le parti in lotta si riaccesero più violente che
mai.
I guerriglieri del
Movimento per la democrazia e la giustizia in Ciad (MDJT)
del nord del paese insieme alla Libia ricominciarono,
questa volta alla luce del sole, le offensive rimaste
per un po’ di tempo sotterranee.
Ma è nel 2003, con la
costruzione del nuovo oleodotto nella zona petrolifera
di Doba, che porta direttamente il petrolio da quest’ultima
regione del Ciad al Camerun, completamente
sovvenzionata dalla Banca Mondiale, che la situazione
precipitò.
Il progetto è stato
contestato non solo per il suo grandissimo impatto
ecologico, in un ambiente già in pericolo nei suoi
delicati equilibri naturali, ma anche perché i suoi
proventi sarebbero dovuti essere investiti
esclusivamente in progetti all’avanguardia per
miglioramenti dei sistemi sanitari e sociali del
paese.
È del gennaio di quest’anno
la notizia che il governo Deby, rieletto nel 2002 da
una nuova elezione popolare tacciata di contraffazione
e di insufficienza di oppositori di rilevanza come
possibile alternativa politica, ha, con un aggiramento
delle convenzioni, deviato parte dei proventi ottenuti
dal petrolio a spese non “espressamente”sociali. La
reazione del Fondo monetario Internazionale è stata
istantanea, sospensione degli aiuti.
Dopo un tentativo
sventato di colpo di stato nel marzo del 2006 il Ciad
oggi vive nuovi momenti di crisi.
L’ondata di profughi e
rifugiati politici provenienti dal Darfur, ha
inasprito i rapporti deteriorati tra il Ciad e il
Sudan a lui confinante. Le accuse che da anni ormai si
rivolgono a vicenda sono di grande rilevanza.
Da una parte il Ciad
accusa il Sudan di appoggiare i guerriglieri
mussulmani ciadiani, attivi da anni, con
approvvigionamenti di armi clandestine, mentre il
Sudan accusa lo stato di Deby non solo di dare rifugio
a infedeli e traditori, ma anche di occupare con
truppe militari un territorio non suo, ovvero quella
striscia di confine tra loro e il Sudan, che da anni è
devastato da una guerra civile interminabile.
Dichiarato ormai nel
2006 lo stato di belligeranza tra i due stati, da mesi
si aspetta impotenti, ma soprattutto ignari di gran
parte della reale situazione della zona per il
completo disinteresse del mass-media, l’esplosione del
conflitto in tutta la sua veemenza.
E durante quest’attesa
lenta e angosciante in questo stato “burattino”, i cui
fili da sempre sono gestiti da mani esperte di
burattinai intercambiabili, le vittime accertate ormai
sono 50.000.
Ma, nonostante tutto
questo, sembra, in ogni caso, che il gioco delle parti
guidato dai interessi privati continui. A farne le
spese sempre le stesse vittime.
Riferimenti
bibliografici:
www.larepubblica.it
www.warnews.it
www.missionaridafrica.org
www.peacereporter.net
www.miaeconomia.it
www.ciad..it
www.encarta.msn.com
www.wikipedia.it |