attualità
CIAD, L’ASSASINIO DEL PRESIDENTE DÉBY
UN SAHEL SEMPRE MENO STABILE
di Gian Marco Boellisi
Con il passare degli anni e degli
eventi, alcune regioni del mondo anziché
divenire più stabili e tranquille vanno
verso l’esatto opposto. Se ne potrebbero
enumerare purtroppo molte più di quante
si possa immaginare, tuttavia in tempi
recenti l’area del Sahel sembra
essere quella per antonomasia.
Costituita da una fascia molto ampia che
include svariati paesi e culture, il
Sahel risulta essere sempre più cruciale
negli equilibri e nelle dinamiche del
cosiddetto “Mediterraneo Allargato”,
tanto che le cancellerie estere, di
nazioni europee e non, tengono sempre
maggiormente sotto occhio quanto accade
in questa importante area geografica.
Proprio nell’aprile 2021 si è avuto
prova di quanto fragile e precario stia
sempre più diventando l’equilibrio
instauratosi negli anni. Infatti è
notizia recente la morte del presidente
del Ciad Idriss Déby a seguito di
un conflitto a fuoco con alcune forze
ribelli. Oltre a lasciare un vuoto
politico non indifferente
all’interno del proprio paese, la morte
del presidente porta con sé dei
riassestamenti regionali e
internazionali non di poco conto.
È quindi interessante cercare di
comprendere le dinamiche di quanto
accaduto e dedurne le possibili
ripercussioni future, specie
considerando che potrebbero essere molto
più dirette di quanto noi europei siamo
abituati a considerare.
Partiamo prima da una breve introduzione
storica. Da sempre crocevia di
commerci floridi con le culture
presenti sul Mediterraneo, il Ciad
risulta essere uno dei paesi meno
conosciuti dell’area e allo stesso tempo
più ricchi per numero di culture diverse
tra loro. Nello scorrere dei secoli
svariate potenze vi hanno messo gli
occhi sopra per la sua posizione
strategica nel Nord dell’Africa.
Tuttavia fu la Francia a colonizzare il
Ciad nel 1891. L’epoca coloniale
procedette in maniera abbastanza stabile
e nel 1960, a differenza di molte altre
colonie, fu raggiunta l’indipendenza da
Parigi senza alcuno spargimento di
sangue. Tuttavia anche la storia del
Ciad non fu esente da violenze e
tumulti. Infatti sia il conflitto con le
province ribelli del nord a partire dal
1965 sia l’infausto conflitto con la
Libia tra il 1975 e il 1987 portarono il
Ciad sull’orlo del baratro dal punto di
vista economico, sociale e politico.
A seguito di questo periodo di continui
cambi di regime e instabilità a livello
nazionale, entrò in scena il
protagonista della nostra vicenda.
Idriss Déby, generale tra i più fidati
del signore della guerra nonché
ex-presidente del Ciad Hissène Habré,
effettuò un colpo di stato ai
danni di quest’ultimo instaurandosi alla
presidenza del paese. Da qui in poi il
Ciad sarebbe rimasto sotto il suo
controllo per i successivi 31 anni,
interrottisi lo scorso aprile 2021 con
la sua morte.
Per quanto Déby tentò a metà anni ’90 di
aprire il sistema politico nazionale al
multipartitismo, dando così prova alla
comunità internazionale della sua
apertura politica, egli non deviò mai
dall’autoritarismo per esercitare il
proprio potere. Basti pensare che fu
eletto nelle presidenziali del 1996 e
confermato nel 2001, 2006, 2011, 2016 e
2021. Proprio nelle ultime elezioni,
svoltesi in un clima di profonda
divisione sociale e intimidazione verso
le opposizioni, Déby ha ottenuto l’80%
dei consensi.
Il governo di Déby si è basato su una
strategia molto comune in diversi stati
dell’Africa. Infatti egli ha ricorso a
quel mix di nepostismo, richiamo
all’appartenenza clanica e
corruzione usando i proventi delle
risorse idrocarburiche nazionali per
mantenere il potere sui vari gruppi
etnici e potentati locali del Ciad.
Tutto ciò fino al 20 aprile 2021, dove i
generali dell’esercito hanno rilasciato
un comunicato riguardo alla morte del
presidente Idriss Déby, il tutto a poche
ore dalla pubblicazione dei risultati
elettorali. I fatti sin da subito non
sono risultati molto chiari, sia dal
punto di vista delle tempistiche che
degli avvenimenti.
Infatti per quanto la notizia sia stata
diffusa il 20 aprile, la morte del
presidente risalirebbe a circa una
settimana prima. Il ferimento mortale di
Déby sarebbe avvenuto nella regione di
Kanem, dove il presidente si trovava
insieme alla proprie forze armate per
combattere il FACT, ovvero il
Fronte per l’alternanza e la concordia
del Ciad (Front pour l’Alternance
et la Concorde au Tchad).
Il motivo della presenza di una così
alta carica della nazione sarebbe stato
un incontro tra i vertici ciadiani e i
capi dei ribelli nella località di Mao,
a circa 200 chilometri a nord di N’Djamena.
Il vertice sarebbe poi degenerato in un
conflitto a fuoco tra i due
schieramenti, il quale avrebbe causato
la morte del presidente e anche quella
di alcuni dei suoi generali. Questa
tuttavia è la ricostruzione ufficiale.
Alcuni analisti hanno ipotizzato che il
ferimento del presidente sia avvenuto a
causa di fuoco amico, altri invece hanno
ipotizzato che l’incontro con le forze
ribelli sia stata l’occasione perfetta
per perpetrare un assassinio politico ai
danni del presidente da parte di alcuni
esponenti militari e governativi vicini
a Déby. Visto il contesto in cui il
tutto è avvenuto, è molto difficile che
si avranno mai delle risposte.
Per quanto possa sembrare strano che il
presidente in persona avesse voluto
presenziare a un incontro così
rischioso, ciò non deve sorprendere
affatto per l’ex-presidente Idriss Déby.
Generale di lunga data con un’esperienza
militare in vari conflitti, Déby ha
sempre voluto essere coinvolto insieme
alle proprie truppe sui vari fronti di
impiego. Non è un segreto infatti che il
presidente Déby traesse grande forza e
supporto dall’ala militare del paese.
Nel corso degli anni sono state proprio
le forze armate che hanno impedito
svariati colpi di stato ai danni dello
stesso Déby.
Questa fedeltà tuttavia, come è
facilmente intuibile, non viene
gratuitamente. Oltre a essere
considerato uno tra gli eserciti meglio
retribuito nel continente africano,
l’esercito del Ciad assorbe ogni anno
tra il 30 e il 40% del bilancio statale,
investendolo in addestramento ed
equipaggiamenti moderni. Tutto ciò
nonostante il 42% della popolazione vive
con meno di 2 dollari al giorno e
nonostante la pandemia abbia colpito
ogni settore lavorativo del paese, con
particolare rilevanza per il crollo dei
prezzi del petrolio. Al netto di tutto
ciò, l’esercito del Ciad risulta a oggi
comunque uno degli eserciti più
efficienti e preparati di tutto il Sahel
e probabilmente anche di tutta l’Africa.
Per quanto riguarda il gruppo ribelle
che attualmente sta impegnando le forze
armate di N’Djamena, il FACT fu
fondato nel 2016 da Mahamat Mahdi Ali a
causa di una scissione interna di un
altro movimento ribelle, l’Union des
forces pour la démocratie et le
développement (UFDD). Il gruppo
armato, a maggioranza etnica toubou, si
era insediato in Libia da alcuni anni a
questa parte alleandosi de facto con il
Libyan National Army (Lna)
guidato da Khalifa Haftar. Oltre al FACT
al’interno del conflitto in Ciad gioca
un ruolo di rilievo anche l’Unione delle
Forze di Resistenza (UFR). Questa è
comandata dal nipote di Déby, Timan
Erdimi.
Il FACT avrebbe tra le sue fila circa
2.000 miliziani, metà dei quali avrebbe
operato in Libia dal 2016 in poi.
Tuttavia dall’11 aprile 2021 in avanti
la maggior parte di queste forze sono
rientrate in Ciad, vista anche la
facilità di attraversamento dovuta al
confine desertico e desolato tra le due
nazioni. La sorpresa generata negli
attacchi alle forze di sicurezza del
Ciad ha portato in pochi giorni la lotta
alle porte della capitale N’Djamena. Ciò
ha causato tutta la serie di eventi che
ha portato alla morte del presidente
Déby.
Il ritorno delle milizie in patria
tuttavia non è avvenuto con una
tempistica casuale. Infatti proprio
recentemente si è avuta la formazione
del nuovo governo Dbeibah, il quale è
stato frutto di un cessate il fuoco
concordato tra le fazioni belligeranti.
Una delle condizioni cardine perché il
cessate il fuoco fosse in vigore è stata
proprio quella di espellere dalla Libia
tutti i mercenari stranieri. È quindi
possibile che il FACT, indipendentemente
dalle elezioni tenutesi in Ciad, sia
stato spinto a ritornare a casa proprio
dal generale Khalifa Haftar a seguito
dei sopracitati accordi. Ciò
dimostrerebbe il silenzioso assenso al
nuovo governo di Tripoli, essendosi
Haftar liberato di mercenari diventati
politicamente scomodi, e a una possibile
volontà del generale di instaurare un
dialogo costruttivo con la propria
controparte.
A seguito dell’annuncio della morte del
presidente Déby, è stato imposto un
coprifuoco nazionale, è stato istituito
un Consiglio Militare di Transizione (CMT)
e sono state chiuse le frontiere aeree e
terrestri. La nuova giunta militare ha
sciolto il parlamento e il governo,
istituendo una fase di transizione di 18
mesi con a capo un governo
provvisorio. A capo di questo
governo è stato messo il generale
Mahamat Idriss Déby, figlio del
defunto presidente nonché capo della
vecchia guardia presidenziale con
un’esperienza di guerra in Mali.
Alcuni osservatori internazionali hanno
notato che quanto effettuato dalla
giunta militare risulta essere a tutti
gli effetti un colpo di stato. Infatti
la Costituzione prevede l’attribuzione
della carica di presidente all’assemblea
nazionale o in secondo luogo al
vicepresidente e l’organizzazione di
nuove elezioni in un periodo tra i 45 e
i 90 giorni. Vista la prontezza con cui
l’esercito si sia mosso per prendere il
potere, non è da escludersi che quindi
l’uccisione del presidente sia
effettivamente da attribuire ad alcune
alte sfere dell’esercito che hanno
voluto prendere il posto del defunto
presidente con colpo di mano e allo
stesso tempo uscirne puliti agli occhi
della popolazione e della comunità
internazionale.
Questo scenario di caos e incertezza sta
generando non poche preoccupazioni
all’estero, visto soprattutto
l’importante ruolo che il Ciad svolge
nel complesso scacchiere del Sahel.
Infatti da sempre Dèby ha tenuto a
rinsaldare la propria alleanza
strategica con la Francia, sia per
il passato coloniale francofono sia in
un’ottica di più ampio respiro nella
regione. Sfruttando il proprio
efficiente esercito, il Ciad è stato
coinvolto nelle operazioni
anti-terrorismo sponsorizzate
dall’Eliseo nel 2013 nel Nord del Mali e
anche nella lotta a Boko Haram, nel
quale N’Djamena ha subito perdite molto
pesanti.
Per la Francia il Ciad risultava essere
uno degli ultimi alleati stabili della
regione e a cui poteva fare affidamento,
soprattutto a seguito delle cosiddette
Primavere Arabe e di tutto il caos che
ne è seguito negli ultimi 10 anni. Basti
pensare che il presidente Macron nel
febbraio 2021 pronunciò le seguenti
parole riguardo al Ciad: «La tenuta
del Ciad è essenziale: se cedesse la
diga ciadiana, dopo la Libia, tutta la
regione sarebbe sommersa dal terrorismo».
A riprova di quanto detto sopra, il
quartier generale dell’Operazione
Barkhane, principale operazione a
direzione francese nel Sahel contro il
terrorismo, è proprio a N’Djamena. A
seguito della caduta di Déby, le
speranze di un minore impegno militare
francese nella regione e di una graduale
delega alle forze di sicurezza locali
delle attività militari sono
completamente svanite nel breve-medio
termine.
Per la Francia infatti la partita che si
sta giocando ora in Ciad non riguarda
solo il futuro dello storico alleato, e
neanche quella del Sahel, ma dell’intero
Nord-Africa. Parigi infatti è ben a
conoscenza del fatto che i ribelli del
FACT sarebbero sostenuti da Turchia e
Qatar, entrambe nazioni che stanno dando
parecchio da fare all’agenda estera
francese. Basti pensare alla Libia, al
Mali e anche all’Egitto, tutti scenari
che sentono sempre più l’influenza
politica e militare di Ankara.
In particolare la Libia, dove i francesi
hanno grandissimi interessi, risulta
essere collegata geograficamente al Ciad
dal proprio confine meridionale. Qualora
questi dovesse cadere in mani
avversarie, la Turchia avrebbe un
ulteriore punto di pressione verso le
forze del generale Haftar, storico
alleato di Parigi, oltre al controllo
totale delle rotte migratorie verso
l’Europa (quella meridionale attraverso
l’Africa e quella orientale attraverso i
Balcani).
In passato l’importanza del Ciad dal
punto di vista strategico ha fatto
chiudere non uno, ma tutti e due gli
occhi alla comunità internazionale, e in
particolar modo a quella europea, sulla
questione dei diritti umani, della
corruzione e della soppressione delle
libertà basilari. Questo per far sì che
i traffici illegali passanti attraverso
il Sahel, quali droga dal Sud America,
migranti e armi, non trovassero terreno
facile in Ciad così come le formazioni
terroristiche di qualsiasi genere.
Qualora quest’ultima diga crollasse a
causa degli sconvolgimenti recenti, gli
effetti su tutto il Nord Africa prima e
sull’Europa poi sarebbero incalcolabili.
E questo tutte le cancellerie europee lo
sanno benissimo.
In conclusione, ciò che è avvenuto in
Ciad recentemente potrebbe apparire come
uno dei tanti dittatori morti per una
guerra civile o per un colpo di stato
messo in atto dall’ennesima giunta
militare. Per quanto le questioni del
Ciad possano sembrare attualmente sotto
controllo dalla nuova giunta militare,
non è possibile prevedere come reagirà
la popolazione a quest’ennesimo cambio
di direzione.
Infatti le prolungate sofferenze dovute
alla povertà, acuite dalla pandemia,
potrebbero far esplodere un malessere
sociale che i militari non avevano
previsto. Dall’altro lato vi è la
posizione internazionale del Ciad, ora
quanto mai indebolita dalla morte del
presidente Déby e apparentemente senza
un filo conduttore a farle da guida. Gli
occhi di tutta la comunità
internazionale sono puntati su N’Djamena,
e in particolar modo quelli francesi.
È molto difficile che Parigi abbandoni
così facilmente il proprio storico
alleato, tuttavia non è neanche detto
che l’Eliseo vorrà e soprattutto potrà
accollarsi i costi di ulteriori
inasprimenti delle operazioni
all’interno dell’Africa Sub-Sahariana.
Vista da molti come la prima tessera di
un domino di porzioni mai viste prima,
ciò che succederà in Ciad nei prossimi
mesi potrebbe veramente scrivere la
storia di tutta l’Europa e del
Mediterraneo allargato dei prossimi 20
anni. |