N. 28 - Aprile 2010
(LIX)
UNA CHIOCCIA E 13 PULCINI
Racconto di un’estate agreste
di Giulia Gabriele
Mi
scuso
fin
d’ora
per
i
termini
‘tecnici’
che
sarò
costretta
a
usare
per
raccontare
questa
mia
estate
campagnola
di
tanti
anni
fa.
Si
sa,
i
bambini
tendono
a
essere
curiosi
e
precisi...
e io
non
vorrei
certo
offendere
la
parte
di
bimba
che
ancora
m’appartiene.
-
Zia,
zia…
mi
prendi
un
pulcino?
–
chiedevo
io,
cinguettando
emozionata
perché
circondata
da
13,
bellissimi
e
coloratissimi
pulcini.
Così
lei,
senza
nemmeno
proferir
parola,
ne
raccoglieva
uno
tra
le
mani
e lo
passava
tra
le
mie.
E
lui,
questo
batuffolo
piumoso,
se
ne
stava
lì,
calmo
nelle
mie
manine
messe
‘a
conca’
per
farlo
star
comodo,
anche
lui
cinguettando
con
i
suoi
dolci
pio-pio.
Poi,
quando
il
chiò-chiò
della
sua
mamma,
una
bellissima
chioccia
rossiccia,
mi
destava
da
alcune
importantissime
riflessioni,
subito
lo
rimettevo
a
terra,
insieme
ai
suoi
fratellini
e
alle
sue
sorelline.
All’inizio
un
po’
disorientato,
ritrovava
presto
la
strada
per
le
grandi
ali
della
mamma.
A
quattro
anni,
sgambettando
appresso
a
mia
zia
Domenica,
mi
sembrava
di
compiere
un
lavoro
importantissimo.
Appena
lei
usciva
per
rimettere
chioccia
e
pulcini
nella
stalla,
io
le
ero
già
dietro
e
zampettando
tra
un’erba
che
mi
pareva
altissima,
iniziavo
la
conta
di
quei
simpatici
piumini.
Li
riconoscevo
tutti,
nonostante
alcuni
fossero
dello
stesso
colore,
e mi
stupisce
anzi
il
fatto
che
non
avessi
pensato
a
dargli
dei
nomi.
Spesso
ne
mancava
uno
(di
solito,
nemmeno
a
farlo
apposta,
l’unico
nero)
e
così
io e
mia
zia
tendevamo
l’orecchio
in
attesa
del
suo
pio-pio
di
richiesta
di
soccorso.
Fulminea
mi
lanciavo
alla
ricerca
del
disperso
al
primo
sommesso
accenno
di
richiamo
e a
volte
riuscivo
persino
a
prenderlo
io
tra
le
mani
e a
portarlo
in
salvo
dalla
sua
mamma
in
trepidante
attesa.
Compiuto
l’atto
eroico
e
inorgoglita
dal
solito
e
sincero
“Brava!”
di
mia
zia,
me
ne
andavo
impettita
verso
casa
per
raccontare
alla
mia
di
mamma
(molto
chioccia,
a
dirla
tutta)
di
quale
gesto
mi
fossi
fregiata
poco
prima.
Adesso
che
non
è
rimasto
più
nulla
di
quel
tempo,
né i
miei
quattro
anni,
né
quegli
animaletti
piumati
e
pennuti
e
nemmeno
mia
zia,
addormentatasi
quest’anno
nell’autunno
della
sua
terra,
mettendo
da
parte
per
un
attimo
il
dolce
ricordo
di
quei
pulcini,
della
strana
sensazione
di
consapevolezza
che
quella
vita,
pur
tenendola
comoda
tra
le
mani,
non
mi
apparteneva,
ripenso
alla
loro
mamma:
la
chioccia.
E
così,
chiedendo
curiosa,
capisco
finalmente
il
motivo
per
cui
quella
gallina,
a
differenza
delle
altre,
mi
stesse
(e
mi
sta)
così
simpatica:
perché,
per
come
la
vedo
io,
sceglie
di
essere
mamma.
Premessa:
in
generale
galline,
polli,
galli,
tacchini,
struzzi
e
simili
mi
hanno
sempre
trasmesso
un
certo
timore
(soprattutto
i
tacchini)
eppure
non
avevo
alcuna
paura
a
stare
accanto
a
quella
chioccia
e
non
era
una
mia
suggestione,
ho
capito
prendendo
appunti
sul
suo
comportamento,
che
me
la
ricordi
più
‘pennuta’.
Quando
arriva
la
primavera,
in
campagna,
si
sente
un
coccodè
(o
anche
più
di
uno)
diverso:
è il
chiò-chiò
della
chioccia.
Tutte
le
galline
fanno
le
uova,
che,
se
c’è
un
gallo
nei
paraggi,
molto
probabilmente
vengono
fecondate
ma
non
tutte
le
galline
sono
pronte
ad
affrontare
20
giorni
di
cova.
Questa
mamma-gallina
è
appunto
la
chioccia,
che
cambia
voce,
si
‘abbiocca’
in
disparte
nell’aia
e…
‘arruffa’
le
penne.
Se
il
contadino
se
ne
accorge,
le
prepara
il
nido
(possibilmente
lontano
dalle
altre
galline
in
modo
che
possa
starsene
tranquilla)
ricolmo
di
paglia
dove
vi
pone
circa
15
uova
fecondate
(pare
che
guardandole
in
controluce
si
veda
una
certa
‘gallatura’,
ma
stanza
buia
e
torcia
alla
mano,
non
sono
riuscita
a
capire
cosa
vedessero,
esattamente)
che
lei,
instancabile,
riscalderà
finché
un
bel
giorno
tutta
la
stalla
non
risuonerà
di
pio-pio.
Da
quel
momento
in
poi
accudirà
i
suoi
piccoli,
insegnando
loro
quale
erbetta
picchiettare
e
magari,
alle
pulcine,
come
si
fa a
far
le
chiocce.
Quando
anche
loro
saranno
polletti
e
gallinelle,
tornerà
nel
gruppo
dell’aia
lasciando
che
i
suoi
piccoli
diventino
galli
e
galline.
Riacquisterà
il
suo
coccodè,
si
abbioccherà
in
compagnia
e le
penne
torneranno
al
loro
posto.
E
magari
quella
sarà
l’ultima
volta
che
farà
da
mamma
a 15
piumini
(o
13,
nel
caso
della
mia
chioccia).
Se
il
contadino
però
è un
po’
distratto
o la
chioccia
indipendente
abbastanza
da
voler
fare
da
sé,
giorno
dopo
giorno
nasconderà
le
sue
uova
in
un
angolo
della
stalla,
magari
dietro
a un
cespuglio,
fino
a un
numero
che
considererà
appropriato
e
allora
si
metterà
a
covare.
Alcune
galline
sono
così
furbe
che,
per
paura
che
ci
si
accorga
che
sono
pronte
per
fare
la
chioccia,
quando
stanno
nell’aia
usano
la
lingua
di
sempre
e
non
‘arruffano’
le
penne.
E in
questo
caso
il
contadino
deve
stare
molto
attento,
perché
se
si
dovessero
accorgere
che
il
nido
è
stato
scoperto,
interromperebbero
la
cova.
E
meno
male
che
si
dice
“stupida
come
una
gallina”…
Durante
l’incubazione
la
chioccia
si
allontanerà
solo
per
mangiare
e
non
farà
le
uova
nemmeno
per
qualche
tempo
dopo
la
schiusa.
Tendenzialmente
i
pulcini
nascono
in
primavera,
ma
ci
sono
anche
le
chiocce
‘agostine’
e
per
loro
bisogna
avere
un
occhio
di
riguardo,
perché
devono
sempre
avere
acqua
e
verdure
a
disposizione
per
via
del
caldo.
Non
tutte
le
galline,
poi,
è
detto
che
covino
almeno
una
volta
nella
vita
e
non
dipende
nemmeno
dall’età
(quella
più
giovane
può
essere
pronta
per
la
cova,
ma
quella
più
anziana
no).
È
questione
di
genetica.
E lo
è
talmente
tanto
che
se
una
pulcina
ha
passato
l’incubazione
sotto
le
penne
‘arruffate’
di
una
chioccia
è
più
probabile
che,
una
volta
cresciuta,
faccia
lei
stessa
la
chioccia.
Ecco
quindi
che
si
spiegano
i
polli
e le
galline
tutte
uguali
(enormi
da
carne
gli
uni
e
produttrici
indefesse
di
uova
anche
in
pieno
inverno
le
altre),
incapaci
persino
di
razzolare.
E
non
è
una
questione
di
apprendimento
successivo
(mia
zia
negli
anni
a
venire
comprò
dei
pulcini,
ma
proprio
non
sapevano
fare
i
polli)
ma
di
uovo.
È
tutto
lì
che
si
definisce,
sotto
al
calore
di
quelle
piume.
Le
chiocce
sono
diventate
un
po’
come
i
panda:
una
specie
in
via
d’estinzione.
In
fondo,
oggi,
chi
ha
il
tempo
di
lasciar
crescere
un
pulcino
sotto
le
ali
della
sua
mamma,
rassicurato
da
quel
chiò-chiò
che
è
solo
per
lui.
È
tutto
grande,
tutto
uguale.
Tutto
triste.
A
quattro
anni
feci
un
disegno:
raffigurai
una
chioccia
con
i
suoi
13
pulcini
e lo
attaccai
alla
porticina
dove
stavano.
Un
vento
di
un
autunno
lontano
deve
averlo
portato
via,
chissà
lungo
quali
vie
erbose.
Spero
solo
che,
se
un
giorno
futuro
qualcuno
dovesse
ritrovarlo,
non
lo
consideri
come
un
reperto
archeologico.
Così
l’ultimo
pensiero
va a
quei
simpatici
piumini
e
alla
loro
mamma,
affettuosa
e
apprensiva.
E a
mia
zia,
ovviamente.
Anche
lei,
come
il
mio
disegno,
se
l’è
portata
via
un
vento
d’autunno
e
sono
sicura
che
da
lassù
ora
sorride
dolcemente,
ripensando
a
quella
bambina
che
a
quattro
anni
le
sgambettava
dietro,
curiosa
di
sapere
se
quei
pulcini
erano
soffici
come
immaginava
fossero
le
nuvole.
Che
dici
zia,
ci
sono
andata
vicina?
Grazie...