N. 20 - Agosto 2009
(LI)
La Chimera
Parte I - Storia, mito, mistero e fascino
di Michele Broccoletti
La
storia
dell’antico
mito
della
Chimera
si
intreccia
con
la
storia
degli
Etruschi,
che
ci
hanno
lasciato
una
notissima
immagine
di
questa
figura
mitologica,
nella
Chimera
di
Arezzo,
scoperta
e
riportata
alla
luce
nel
1533.
Nella
mitologia
greca,
la
Chimera,
era
un
leone
alato
di
origine
divina,
che
sputava
fuoco,
con
la
coda
a
forma
di
serpente
ed
una
testa
di
capra
posta
nel
mezzo
della
schiena.
Nell’Iliade
di
Omero,
la
troviamo
così
descritta:
"...Era
il
mostro
di
origine
divina,
lion
la
testa,
il
petto
capra,
e
drago
la
coda;
e
dalla
bocca
orrende
vampe
vomitava
di
foco:
e
nondimeno,
col
favor
degli
Dei,
l'eroe
la
spense..."
(Iliade,
VI,
223-226).
Omero
però,
non
è
l’unico
che
ci
ha
tramandato
il
mito
della
Chimera.
Anche
nelle
opere
di
Virgilio,
Esiodo,
Platone
e
Fedro,
per
esempio,
ha
trovato
spazio
il
terribile
mostro,
sempre
descritto
come
una
creatura
tricefala,
dalla
cui
bocca
di
leone
escono
fiamme
e
fuoco.
Sta
di
fatto
comunque
che
i
miti
antichi
ci
hanno
tramandato
mostruose
creature,
nate
dall’unione
di
esseri
diversi:
la
sfinge
ad
esempio
è
costituita
da
una
testa
umana
unita
ad
un
copro
di
leone,
mentre
se
uniamo
il
busto
di
una
donna,
con
il
corpo
di
un
pesce,
abbiamo
una
sirena.
Pensiamo
poi
ai
centauri
(metà
uomo
e
metà
cavallo),
alle
arpie
(mistura
tra
donne
ed
uccelli)
o ai
satiri
(uomini
con
le
gambe
di
capra):
nella
mitologia
quindi,
non
sono
rare
le
unioni
che
danno
origine
a
creature
orribili,
deformi
e
mostruose.
In
greco,
la
parola
Chimera
significa
letteralmente
capra,
ed
il
nome
trae
probabilmente
origine
dalla
caratteristica
che
contraddistingueva
Chimera
dai
genitori:
la
testa
di
capra
infatti,
non
trova
riscontro
né
in
Echidna
e
nemmeno
in
Tifone,
diventando
così
un
tratto
peculiare
di
Chimera.
La
figura
mitologica
della
Chimera
era
sinonimo
di
una
somma
di
vizi:
la
violenza
del
leone,
la
perfidia
e
l’oscurità
del
serpente,
e la
lussuria
della
capra.
Per
contro,
la
virtù
era
simboleggiata
da
Bellerofonte
che,
in
sella
al
suo
cavallo
alato
Pegaso,
che
aveva
prima
catturato
e
poi
domato,
uccise
la
Chimera
con
la
lancia.
Altra
interpretazione
è
invece
quella
data
dai
sapienti
e
dagli
alchimisti
medievali.
Questi
ultimi
così
spiegavano
la
Chimera:
il
leone
era
il
coraggio,la
forza,
il
sole,
il
calore
e
l’estate;
il
serpente
rappresentava
il
male,
la
notte,
la
vecchiaia
e
l’inverno;
la
capra
infine
era
la
transizione,
il
crepuscolo
e
simboleggiava
le
stagioni
dell’autunno
e
della
primavera.
In
questo
senso,
durante
il
medioevo
la
Chimera
divenne
una
sorta
di
simbolo
del
cambiamento,
con
un’accezione
però
negativa,
in
quanto
la
sua
natura
trina
la
portò
ad
essere
un’immagine
distorta
della
trinità.
Secondo
la
leggenda,
la
Chimera
nacque
da
Tifone
e da
Echidna.
Il
primo,
era
uno
dei
Titani
che
cercarono
di
uccidere
Zeus,
ed
era
uno
spaventoso
mostro
con
cento
teste
di
drago.
Nato
da
Tartaro
e
Gea,
si
unì
con
Echidna,
altra
creatura
mostruosa,
che
era,
per
metà
donna
dalla
sfolgorante
bellezza,
mentre
l’altra
metà
era
quella
di
un
orribile
serpente
maculato.
Tifone
ed
Echidna
generarono
anche
altri
esseri
mostruosi,
tutti
con
più
teste:
sembra
infatti
che
Chimera
abbia
come
fratelli
Cerbero
(mostruoso
cane
gigante
a
tre
teste),
Ortro
(altro
cane
a
due
teste)
e
Idra
di
Lerna
(serpente
velenosissimo
a
nove
teste,
delle
quali
quella
centrale
era
immortale,
mentre,
se
una
delle
altre
veniva
tagliata,
subito
ne
ricrescevano
altre
due).
Chimera
fu
allevata
dal
re
Amissodore
e
per
moltissimi
anni
riuscì
a
terrorizzare
le
coste
della
Lycia
seminando
pestilenze
e
distruzioni:
essa
si
rifugiava
in
una
caverna
e si
nutriva
della
carne
degli
sfortunati
viaggiatori
che
vi
cercavano
riparo,
mentre
il
suo
fiato
appestante
rendeva
pestifere
le
terre
che
abitava.
Iobate
però,
il
re
della
Lycia,
ovvero
dell’attuale
Turchia,
ordinò
a
Bellerofonte
di
uccidere
la
Chimera,
perché,
uccidendo
chiunque
le
si
avvicinava,
rendeva
il
suo
regno
un
posto
pericoloso.
In
realtà
Iobate,
certo
che
la
Chimera
fosse
imbattibile,
affidò
a
Bellerofonte
questa
ardua
impresa
perché
voleva
la
sua
morte,
a
causa
di
una
storia
di
seduzioni,
lusinghe
e
rifiuti
che
lo
stesso
eroe
corinzio
aveva
avuto
con
Antea,
moglie
di
Preto,
re
di
Tirino.
Sembra
che
Bellerofonte,
che
si
presume
fosse
figlio
del
dio
Poseidone,
prima
di
partire
per
il
combattimento
chiese
consiglio
all’indovino
Polido
che
gli
suggerì
di
catturare
ed
ammaestrare
il
veloce
e
selvaggio
cavallo
alato
Pegaso.
Bellerofonte,
non
sapendo
come
poter
riuscire
nel
suo
intento,
passò
la
notte
nel
tempio
di
Minerva,
nella
speranza
che
la
dea
potesse
aiutarlo
nella
sua
impresa:
in
effetti,
nottetempo,
mentre
Bellerofonte
dormiva,
Minerva
gli
apparve
in
sogno
e
lasciò
all’eroe
una
briglia
dorata
per
poter
domare
Pegaso.
Quando
Bellerofonte
si
risvegliò,
con
suo
stupore
si
accorse
che
stringeva
in
mano
proprio
un
briglia
dorata
con
la
quale
poté
facilmente
ammansire
Pegaso:
quest’ultimo
infatti,
alla
vista
della
briglia
andò
docilmente
incontro
a
Bellerofonte
e si
fece
cavalcare
senza
resistenza.
Il
mito
continua
raccontandoci
che
Bellerofonte
sconfisse
la
Chimera
usando
proprio
le
sue
terribili
armi:
non
esisteva
infatti
nessuna
arma
in
grado
di
uccidere
il
terribile
mostro,
ma
Bellerofonte
immerse
la
punta
della
sua
lancia
nelle
fauci
della
belva
ed
il
fuoco
che
ne
usciva
sciolse
il
piombo
che
uccise
l’animale
soffocandolo.
Come
già
era
accaduto
nella
lotta
tra
Perseo
e
Medusa,
anche
Bellerofonte
riuscì
a
sconfiggere
la
creatura
mostruosa
facendo
in
modo
che
la
sua
forza
le
se
ritorcesse
contro.
Ritornato
vittorioso,
Bellerofonte
fu
poi
costretto
ad
affrontare
anche
altre
ardue
imprese,
finché
Iobate
non
si
convinse
che
il
valoroso
eroe
era
evidentemente
protetto
dagli
dei
e
per
questo,
dopo
essersi
riconciliato
con
lui,
gli
offrì
la
mano
della
figlia.
Ritornando
ora
alla
nostra
figura
mitologica,
dobbiamo
precisare
che
nell’antichità,
non
era
inconsueto
che
fossero
raffigurate
delle
creature
alate,
con
il
corpo
di
un
felino.
Già
i
babilonesi
raffigurarono
combattimenti
tra
guerrieri
e
mostri
alati.
Altre
immagini
simili
risalgono
al
periodo
delle
civiltà
mesopotamiche.
Anche
i
persiani,
nell’immagine
a
fianco
risalente
all’
VIII-VII
secolo
a.
C.,
ci
mostrano
un
eroe
intento
ad
uccidere
un
leone
con
la
lancia,
puntando
però
l’arma
al
collo
dell’animale,
piuttosto
che
alla
gola.
La
peculiarità
della
raffigurazione
sta
soprattutto
nella
gamba
del
leone,
che
è
stata
rappresentata
in
una
posizione
innaturale,
quasi
come
se
fosse
un
corpo
estraneo
piantato
sulla
schiena
della
belva…:
troviamo
in
questo
una
certa
similitudine
con
la
testa
di
capra
che
spunta
dalla
schiena
della
Chimera.
Andando
avanti
poi
nella
storia,
scopriamo
testimonianze
che
ci
dimostrano
che
il
mito
della
Chimera
era
conosciuto
anche
nel
periodo
medievale.
Ancora
oggi
per
esempio,
nel
Duomo
di
Aosta
vi è
un
mosaico
che
raffigura
il
famoso
mostro
tricefalo.
Altre
raffigurazioni,
tutte
pressappoco
risalenti
all’XI
secolo,
sono
presenti
in
varie
cattedrali
ed
abbazie
a
Como,
a
Genova,
a
Bolsena
e a
Milano.
In
quest’ultima
immagine,
le
tre
teste
sono
allineate,
ma è
quasi
certamente
indubbio,
che
la
belva
raffigurata
sia
proprio
la
Chimera.
Ovviamente
è
scontato
affermare
che
la
nostra
figura
mitologica
ha
trovato
spazio
anche
nell’arte
moderna
e
contemporanea.
Ma
possiamo
andare
oltre:
attualmente,
grazie
alle
sue
particolari
caratteristiche,
la
Chimera
si è
ritagliata
ruoli
più
o
meno
importanti
anche
nel
cinema,
nella
letteratura
di
fantasia
e
persino
nei
videogiochi.
Siamo
certi
che
il
mito
della
Chimera
non
morirà
presto,
come
è
certo
anche
che,
nel
corso
dei
secoli,
sono
state
molte
le
tentate
interpretazioni
che
gli
storici
hanno
cercato
di
dare
alla
leggenda.
Alcuni
studiosi
hanno
per
esempio
affermato
che
ci
sono
delle
varianti
della
figura
mitologica,
che
vedono
la
creatura
mostruosa
dotata
di
un
corpo
di
donna
anziché
di
leone.
Tra
tutte
le
interpretazioni
comunque,
ce
n’è
una
particolarmente
intrigante
ed
interessante,
tramandataci
dagli
scritti
del
XIX
secolo
dello
storico
fiorentino
Francesco
Inghirami.
Quest’ultimo
è
stato
uno
dei
primi
studiosi
a
superare
le
tradizionali
interpretazioni
della
storia
mitologica,
cercando
di
sviluppare
una
particolare
e
complessa
corrispondenza
tra
il
mito
e la
simbologia
dello
zodiaco.
Brevemente
possiamo
spiegare
che
secondo
Inghirami
la
Chimera,
per
il
fatto
che
sputa
fiamme
e
fuoco
dalla
bocca,
può
essere
identificata
con
la
costellazione
del
leone
e
per
estensione
simboleggia
anche
l’estate.
Altri
studiosi
invece
pensano
che
la
Chimera
sia
la
rappresentazione
della
tempesta
ed
il
suo
ruggito
è la
personificazione
del
tuono.
Al
di
là
delle
varie
interpretazioni
comunque,
è
certo
che
il
mito
non
ha
smesso
mai
di
stupirci
e di
sorprenderci
e
ciò
che
ci
stupisce
ancora
di
più,
sta
nel
fatto
che
questa
leggenda
si
intreccia
indissolubilmente
con
la
storia
degli
etruschi,
che
ci
hanno
lasciato
un’importante
testimonianza
della
Chimera,
nella
statua
bronzea
rinvenuta
ad
Arezzo,
nei
pressi
di
porta
San
Lorentino…