N. 33 - Settembre 2010
(LXIV)
tra botte e samba
cile 1962
di Simone Valtieri
A
distanza
di
quattro
anni
dal
trionfo
svedese
il
Brasile
si
presenta
con
i
favori
del
pronostico
al
via
della
settima
edizione
della
coppa
Rimet.
Dopo
due
tornei
consecutivi
nel
Vecchio
Continente
si
torna
a
giocare
oltreoceano
ed è
il
Cile
ad
ospitare
la
rassegna
che
passerà
alla
storia
più
per
le
polemiche
che
per
il
calcio
giocato.
Eppure
le
premesse
per
un
bel
mondiale
ci
sono
tutte:
oltre
a
Pelè,
che
è
ancora
un
ragazzino
di
21
anni
ed è
già
alla
sua
seconda
partecipazione,
giocano
nel
Brasile
stelle
assolute
del
calibro
di
Didì,
Vavà
e
Garrincha;
La
Spagna
schiera
tra
le
sue
file
Luis
Suarez,
Francisco
Gento
ed
il
naturalizzato
magiaro
Ferenc
Puskas;
l’Ungheria,
orfana
della
sua
stella
ormai
passata
in
maglia
“Roja”,
ha
il
bomber
Florian
Albert,
l’Unione
Sovietica
l’insuperabile
portiere
Lev
Jascin,
l’Inghilterra
il
metronomo
Bobby
Charlton
ed
anche
l’Italia
può
dire
la
sua
con
gli
oriundi
di
lusso
Omar
Sivori
e
José
Altafini
e
con
un
esile
ma
promettentissimo
diciannovenne
da
Alessandria
che
risponde
al
nome
di
Gianni
Rivera.
Manca
invece
l’infortunato
argentino,
anch’esso
naturalizzato
spagnolo,
Alfredo
Di
Stefano,
fuoriclasse
assoluto
tra
i
più
grandi
dell’intera
storia
del
calcio
che
segna
così
il
suo
record
più
triste:
neanche
un
minuto
all’attivo
in
una
partita
dei
mondiali.
Le
polemiche
cominciarono
anni
prima
del
calcio
d’inizio,
quando
il
Cile
vinse
in
volata
sull’Argentina
la
corsa
per
ospitare
i
campionati.
La
situazione
economica,
politica,
sociale
ed
infrastrutturale
del
paese
andino
aveva
attirato
sulla
Federazione
Internazionale
critiche
da
quasi
tutte
le
nazioni
europee
oltre
naturalmente
ai
mugugni
della
sconfitta
Argentina.
Non
bastassero
le
premesse,
anche
la
natura
si
abbatté
sul
paese
ospitante
sotto
forma
di
un
devastante
terremoto
che
sconquassò
il
paese
e ne
mise
ancor
più
in
crisi
la
fragile
economia.
Nonostante
tutto
si
arriverà
al
30
maggio
1962
senza
che
la
Federazione
decida
cambiamenti
di
sede
e
l’organizzazione,
dal
preventivato
disastro,
risulterà
invece
essere
discreta.
In
Sud
America
sbarcano
per
i
mondiali
sedici
formazioni
tra
cui
Colombia
e
Bulgaria,
all’esordio
assoluto.
Mancano
all’appello
Francia,
Scozia
ed i
vice
campioni
in
carica
della
Svezia
mentre
tornano,
dopo
l’imprevista
assenza
di
quattro
anni
prima,
gli
Azzurri.
Gli
impianti
adibiti
ad
ospitare
le
partite
sono
quattro
in
altrettante
città
ed i
collegamenti
tra
le
stesse
sono
difficoltosi.
Allo
stadio
Carlos
Dittborn
di
Arica
va
in
scena
il
Gruppo
A
composto
dalla
fortissima
Unione
Sovietica,
dalla
scorbutica
Jugoslavia,
dai
bicampioni
dell’Uruguay
e
dalla
debuttante
Colombia.
Passano
il
turno
non
senza
sofferenze
Unione
Sovietica
e
Jugoslavia,
affrontatesi
nella
seconda
partita
del
girone
in
una
battaglia
ai
limiti
del
consentito
da
cui
il
difensore
sovietico
Dubinskij
esce
con
tibia
e
perone
fratturati.
La
Celeste,
non
più
ai
fasti
di
qualche
decennio
prima,
torna
a
casa
con
due
sconfitte
ed
una
vittoria
sulla
cenerentola
Colombia,
ultima
nel
girone
ma
comunque
capace
di
fermare
sul
4-4
i
Sovietici
in
una
partita
clamorosa
in
cui
erano
sotto
per
tre
reti
a
zero.
I
bagordi
ed i
festeggiamenti
della
nazionale
sudamericana
dopo
quell’insperato
pareggio
durarono
per
tre
giorni
e
furono
pesantemente
pagati
nella
successiva
uscita
contro
la
Jugoslavia
che
vincerà
per
5-0.
Il
gruppo
B,
ospitato
a
Santiago,
è
quello
del
Cile
padrone
di
casa,
della
robusta
Germania
Ovest
di
Haller,
Schnellinger
e
Seeler,
della
Svizzera
e
dell’Italia.
Un’Italia
che
sulla
carta
sembra
imbottita
di
talento
e
speranze:
Buffon,
Rosato,
Maldini,
Trapattoni,
Bulgarelli,
Rivera.
In
realtà
la
formazione
è
lacerata
dallo
scontro
intestino
tra
italo-brasiliani
e
italo-argentini,
figlio
del
periodo
di
selvaggia
naturalizzazione
che
aveva
portato
in
nazionale
gli
oriundi
Omar
Sivori,
José
Altafini
(già
campione
del
mondo
quattro
anni
prima
con
la
maglia
Verdeoro),
Humberto
Maschio
e
Angelo
Sormani,
tutti
giocatori
di
altissimo
livello
ma
restii
a
collaborare
tra
loro.
Inoltre
si
obbiettò
al
tempo
lo
scarso
carattere
dei
due
allenatori
italiani
Ferrari
e
Mazza,
pare
molto
influenzabili
da
un
paio
di
giornalisti
italiani
(le
famose
“penne
all’arrabbiata”)
con
cui
contrattavano
le
formazioni
prima
di
ogni
impegno.
Nella
gara
d’esordio
Italia
e
Germania
Ovest
pareggiano
con
uno
scialbo
0-0,
risultato
che
costringe
gli
Azzurri
a
dover
battere
il
Cile,
vincitore
per
3-1
contro
la
Svizzera,
nella
partita
successiva.
Allo
stadio
Nacional,
il 2
giugno
1962,
viene
scritta
una
delle
pagine
più
tristi
della
storia
della
coppa
del
mondo:
la
cosiddetta
“Battaglia
di
Santiago”.
La
vigilia
era
stata
avvelenata
da
alcuni
articoli
apparsi
in
quei
giorni
sui
quotidiani
italiani
a
firma
degli
inviati
del
Corriere
della
Sera
Antonio
Ghirelli
e
del
Resto
del
Carlino
Corrado
Pizzinelli.
I
due
avevano
incentrato
i
loro
pezzi
sul
degrado
della
società
cilena
criticandone
soprattutto
prostituzione
e
corruzione.
Seminando
vento
l’Italia
si
appresta
a
raccogliere
tempesta
a
causa
anche
ad
un
parafulmini,
l’arbitro
inglese
Astor,
visibilmente
inefficace.
L’arbitraggio
è a
dir
poco
casalingo:
dopo
5
minuti
dall’inizio
dell’incontro
Maschio
incassa
un
pugno
al
volto
da
parte
di
Leonel
Sanchez,
il
direttore
di
gara
non
vede
il
naso
rotto
dell’italo-argentino
ma
vede
due
minuti
più
tardi
una
reazione
scomposta
di
Ferrini
ad
un
fallaccio
avversario,
espellendolo.
Poco
dopo
lo
stesso
Sanchez
ci
riprova
con
un
montante,
va
di
nuovo
a
segno
stavolta
su
Mario
David,
e
resta
impunito
per
la
seconda
volta.
David
sarà
invece
espulso
al
45’
per
un
altro
fallo
di
reazione
esasperato
dalle
attenzioni
riservategli
dal
centrocampista
cileno.
La
partita
andrà
avanti
a
suon
di
risse
in
undici
contro
nove
fino
al
74’
quando
Ramirez
segna
il
gol
dell’uno
a
zero.
Il
sigillo
arriva
a
due
minuti
dalla
fine
con
Toro
ed a
poco
servirà
il
3-0
che
gli
azzurri
rifileranno
alla
Svizzera
nell’ultima
partita
visto
che
la
Germania
Ovest,
sconfiggendo
proprio
il
Cile,
condanna
l’Italia
all’eliminazione.
Il
terzo
raggruppamento
è
quello
del
fortissimo
Brasile,
guidato
in
panchina
dal
predicatore
del
calcio-samba
Aymore
Moreira.
Si
gioca
a
Viña
del
Mar,
davanti
ai
venticinquemila
spettatori
dello
stadio
Sausalito.
Il
primo
match
vede
di
fronte
i
campioni
in
carica
e
gli
arcigni
Messicani
che
cadono
sotto
i
colpi
di
Zagallo
prima
e di
Pelé
poi.
La
“perla
nera”
firma
qui
il
suo
primo
ed
unico
sigillo
nel
mondiale
cileno.
Alla
partita
successiva,
contro
la
Cecoslovacchia,
il
giovane
brasiliano
colpisce
con
troppa
foga
il
pallone
su
un
calcio
di
punizione
e si
infortuna
alla
coscia
destra.
La
diagnosi
arriverà
due
giorni
dopo,
strappo
muscolare,
e
terrà
Pelé
forzatamente
a
riposo
per
tutto
il
campionato
mondiale;
e
pensare
che
subito
dopo
il
tiro
lo
stesso
era
andato
a
sincerarsi
delle
condizioni
di
Jan
Popluhar,
lo
sventurato
cecoslovacco
che
si
era
violentemente
scontrato
col
pallone
calciato
da
Pelé.
Questo
episodio
avrà
comunque
una
ripercussione
positiva
sul
proseguimento
del
torneo
per
il
Brasile.
A
sostituire
il
giovane
asso
entrerà
Amarildo,
da
qui
in
avanti
il
miglior
giocatore
del
Brasile,
insieme
a
Garrincha,
per
tutto
il
mondiale.
Il
match
con
la
Cecoslovacchia
finirà
0-0
grazie
anche
alle
parate
del
portiere
Schroijf.
La
formazione
boema,
guidata
dalla
stella
Josef
Masopust,
riuscirà
comunque
a
passare
il
turno
nonostante
la
sconfitta
per
3-1
contro
il
Messico
nell’ultimo
incontro.
Il
passaggio
ai
quarti
di
finale
era
già
stato
preventivato
dopo
la
gara
d’esordio
vinta
per
1-0
contro
la
deludente
Spagna
del
non
ancora
“Mago”
Helenio
Herrera
e
grazie
anche
alla
sconfitta
della
stessa
contro
il
Brasile
per
2-1,
grazie
a
due
reti
in
rimonta
di
Amarildo.
L’ultimo
girone,
quello
dell’Inghilterra
di
Moore
e
Charlton,
dell’Argentina,
dell’Ungheria
e
della
Bulgaria,
viene
giocato
a
Rancagua
nello
stadio
Braden
Copper.
Passa
col
primo
posto
nel
girone
la
solida
Ungheria
grazie
a
due
ottime
vittorie
su
Inglesi
(2-1)
e
Bulgari
(6-1)
ed a
una
gara
di
contenimento
contro
l’Argentina,
costretta
a
vincere
per
passare
il
turno,
che
finisce
0-0.
La
seconda
squadra
a
qualificarsi
è
così
l’Inghilterra
che,
a
discapito
del
passo
falso
all’esordio
contro
i
magiari,
sentiva
di
aver
archiviato
la
pratica
qualificazione
già
dopo
la
seconda
partita
grazie
al
3-1
sui
sudamericani
firmato
da
Flowers,
Charlton
e
Graves,
rischiando
poi
di
vanificare
tutto
con
il
pareggio
a
reti
inviolate
contro
la
Bulgaria.
I
quarti
di
finale
vedono
una
riedizione
della
“Battaglia
di
Santiago”
in
versione
Sovietica.
Ad
Arica
il
Cile
supera
i
quotati
russi
per
2-1
non
senza
parecchi
aiuti
da
parte
del
fischietto
olandese
Horn.
La
Jugoslavia
sconfigge
a
Santiago,
davanti
ad
oltre
60.000
spettatori,
la
Germania
Ovest
mentre
la
Cecoslovacchia
di
Schrojf
(insuperabile)
e di
Masopust
passa
contro
la
volenterosa
Ungheria
difendendo
per
novanta
minuti
grazie
ad
un
gol
in
contropiede
di
Adolf
Scherer
al
13’
del
primo
tempo.
Il
quarto
di
finale
più
bello
è
però
Inghilterra-Brasile.
Finisce
3-1
per
il
sudamericani.
Semplicemente
gli
inglesi,
gli
inventori
del
calcio,
non
riescono
a
fermare
uno
che
grazie
al
suo
handicap,
l’avere
una
gamba
più
corta
di
un’altra,
il
calcio
l’ha
reinventato:
Garrincha
ipnotizza
gli
spettatori
con
le
sue
finte
segnando
due
gol,
tra
cui
uno
di
testa
in
elevazione
contro
il
centrale
Maurice
Norman
più
alto
di
lui
di
venti
centimetri,
e
dispensando
giocate
incredibili
per
tutta
la
partita.
L’Uccellino,
così
era
chiamato
per
la
leggerezza
che
esprimeva
in
campo,
tornò
a
casa
da
quella
partita
con
una
gioia
in
più:
decise
di
portare
con
se
un
cagnolino
randagio
che
durante
l’incontro
si
era
intrufolato
sul
terreno
di
gioco
scorrazzando
per
svariati
minuti,
prima
di
essere
amichevolmente
placcato
dal
mediano
britannico
Jimmy
Greaves.
Per
le
semifinali
Cecoslovacchia
e
Jugoslavia,
l’una
da
Rancagua
e
l’altra
da
Santiago,
raggiungono
lo
stadio
Sausalito
di
Viña
del
Mar
direttamente
in
corriera,
un
viaggio
stressante
che
le
vedrà
sfidarsi
quantomeno
ad
armi
pari.
Davanti
a
neanche
seimila
spettatori
la
partita
viene
decisa
nei
minuti
finali
da
Scherer
che
grazie
ad
una
doppietta
assicura
alla
Cecoslovacchia
la
seconda
finale
della
sua
storia.
In
contemporanea
si
giocava
Cile-Brasile
e
questo
era
anche
il
motivo
principale
della
scarsa
presenza
di
pubblico
a
Viña
del
Mar
per
l’altra
semifinale,
unitamente
al
fatto
che
i
tifosi
erano
in
sciopero
visto
lo
spostamento
della
partita
dei
loro
beniamini,
inizialmente
prevista
al
Sausalito.
Stavolta
il
Cile,
stremato
dopo
il
successo
contro
l’Unione
Sovietica
nei
quarti
di
finale,
non
riesce
a
superare
i
favoriti
brasiliani.
La
partita
è,
come
ormai
prassi,
maschia
e
combattuta.
I
giocatori
Verdeoro
prendono
e
restituiscono
calci
per
tutto
l’incontro
fino
all’ottantesimo
minuto
quando,
sul
punteggio
di
4-2
per
gli
ospiti,
viene
finalmente
espulso
il
fallosissimo
Landa.
Tre
minuti
più
tardi
però
segue
l’espulsione
della
stella
brasiliana
Garrincha
per
fallo
di
reazione
su
Rojas.
“Non
ne
potevo
più”
–
dirà
poi
Garrincha
- “erano
almeno
cinquanta
i
calci
che
mi
erano
stati
dati
sino
a
quel
momento
da
Rodriguez
e
Rojas
[…]
Rojas
è
entrato
in
modo
tale
da
rompermi
una
gamba
se
mi
avesse
colpito,
ed
allora
gli
ho
insegnato
come
si
fa a
calciare
sul
serio!”
Il
clamoroso
intervento
del
governo
brasiliano
dopo
la
partita,
convincerà
la
Federazione
Internazionale
a
non
squalificare
il
fenomenale
Uccellino
in
vista
della
finale.
Il
mondiale
del
Cile
dei
picchiatori
si
chiuderà
nel
migliore
dei
modi
per
la
nazione
ospitante:
i
padroni
di
casa
avranno
la
meglio
sulla
Jugoslavia
per
1-0
con
gol
di
Rojas
al
90’
minuto
e
manderanno
in
visibilio
l’intero
popolo
che
non
sperava
certo
in
una
nazionale
da
podio.
La
finale
per
il
primo
posto
invece
è
tutt’altra
musica.
Il
fair
play
tra
le
due
squadre,
Brasile
e
Cecoslovacchia,
già
affrontatesi
nel
girone
di
qualificazione,
si
spreca.
In
segno
di
amicizia
nei
giorni
precedenti
la
finale
il
capitano
Carioca
Mauro
aveva
regalato
al
pari
grado
rivale
Ladislav
Novak
un
grosso
sacco
di
caffè.
Di
fronte
il
17
giugno
al
Nacional
si
trovano
dunque
due
scuole
calcistiche
opposte:
la
fantasia
dei
brasiliani
contro
la
classe
operaia
Cecoslovacca.
Il
Brasile
schiera
praticamente
nove
undicesimi
dei
campioni
del
mondo
in
carica
di
quattro
anni
prima,
tutti
o
quasi
fenomeni,
mentre
dall’altra
parte
la
Cecoslovacchia
oppone
una
formazione
di
livello
ma
senza
fuoriclasse,
se
si
eccettuano
il
portiere
Schrojf
e
l’ex
minatore
Josef
Masopust
che
di
li a
poco
sarà
anche
insignito
con
il
pallone
d’oro
(allora
un
riconoscimento
destinato
solamente
a
giocatori
europei).
La
partita
però,
dopo
un
sussulto
iniziale
della
squadra
balcanica,
in
vantaggio
al
15’
proprio
con
Masopust,
non
avrà
storia.
Già
due
minuti
dopo
Amarildo
incanta
i
Settantamila
presenti
con
un
tiro-cross
dalla
linea
di
fondo
che
inganna
uno
Schrojf
non
proprio
in
giornata.
Al
69’
Zito
di
testa
ed
al
78’
Vavà
di
destro,
fissano
poi
il
risultato
sul
3-1.
Per
il
Brasile
è il
secondo
titolo
mondiale,
come
per
l’Italia
di
Pozzo
e
per
l’Uruguay,
vinto
praticamente
a
mani
basse
e
senza
poter
schierare
il
giocatore
più
forte:
Impressionante.
Sul
trono
del
gol
saliranno
per
la
prima
ed
unica
volta
ben
sei
giocatori:
i
brasiliani
Vavà
e
Garrincha,
il
cileno
Sanchez,
l’ungherese
Albert,
il
russo
Ivanov
e lo
slavo
Jerkovic,
tutti
con
quattro
segnature
all’attivo.