N. 32 - Agosto 2010
(LXIII)
"Sui Iuris"
gli altri Cattolici
di Lawrence M.F. Sudbury
Spesso,
se
ci
capita
di
pensare
alla
globalità
del
corpus
Cristiano,
la
prima
idea
che
ci
viene
alla
mente
è
che
tutto
l'insieme
della
Cristianità
sia
suddiviso
in
tre
grandi
rami:
quello
cattolico,
quello
ortodosso
e
quello
riformato-protestante.
Si
tratta,
ovviamente,
di
una
immagine
mentale
giustissima,
fino
a
che
rimaniamo
a
questo
primo
livello
di
categorizzazione.
Se,
però,
proseguiamo
nel
tentativo
di
creare
una
sorta
di
mappa
delle
varie
Denominazioni,
la
situazione
più
comune
è
quella
di
vedere
la
Chiesa
Cattolica
e la
Chiesa
Ortodossa
come
due
macro-organizzazioni
unitarie
a
differenza
della
Chiesa
Riformata,
suddivisa
in
decine
di
Confessioni
differenti.
In
realtà,
le
cose
non
stanno
esattamente
così:
se,
di
per
sé,
una
visione
di
questo
genere
ha
un
senso
in
relazione
agli
Ortodossi
(sebbene,
ad
una
disamina
più
attenta,
sarebbe
possibile
operare
dei
"distinguo"
anche
all'interno
di
questa
famiglia),
essa
perde
completamente
di
significato
in
riferimento
al
Cattolicesimo.
Ciò
che,
infatti,
i
più
tendono
a
ignorare
o a
dimenticare
è
che
la
Chiesa
Cattolica,
lungi
dall'essere
monolitica,
è,
in
effetti,
composta
da
qualcosa
come
ventitre
denominazioni
(secondo
alcuni,
tenendo
conto
di
piccolissime
realtà
ormai
pressoché
estinte,
venticinque-ventisei)
differenti,
ciascuna
con
una
propria
storia,
proprie
gerarchie
e
proprie
ritualità
distinte
(sebbene,
come
vedremo,
raggruppabili
in
alcune
suddivisioni
fondamentali).
La
ragione
di
una
così
comune
"dimenticanza"
è,
essenzialmente,
dovuta
ad
una
questione
puramente
numerica:
circa
il
98,7%
degli
oltre
1.150
milioni
di
Cattolici,
infatti,
si
riconosce
in
un'unica
Denominazione,
quella
Latina
(comunemente
nota,
soprattutto
nel
mondo
anglosassone,
come
"Romano-Cattolica")
che,
pur
adottando
in
alcuni
casi,
per
altro
anche
qui
estremamente
minoritari,
Riti
diversi
rispetto
a
quello
del
"Missale
Romanorum"
(Rito
Ambrosiano
a
Milano,
Rito
Mozarabico
in
alcune
zone
della
Spagna,
Rito
di
Braga
nella
città
portoghese,
Riti
monastici
cistercensi,
carmelitani,
domenicani,
etc.),
forma
un
corpo
unico,
soventemente
confuso
con
il
Cattolicesimo
"tout
court".
Se,
però,
pensiamo
che
quel
misero
1,3%
di
"Cattolici
non
latini"
non
solo
rappresenta
qualcosa
come
16
milioni
di
fedeli
ma,
soprattutto,
rappresenta,
nella
maggioranza
dei
casi,
quella
fetta
di
Cristianità
che
più
di
ogni
altra
vive
"in
prima
linea"
la
contrapposizione
tra
la
propria
Fede
e
quelle
di
un
mondo
circostante
culturalmente
(quando
non
anche
fisicamente)
ostile,
risulta
ben
chiara
la
necessità
di
una
indagine
un
po'
più
approfondita
sulla
ragioni
dello
sviluppo
di
un
numero
così
notevole
di
Denominazioni
differenti,
comunemente
definite
"Chiese
Orientali".
Partiamo
da
una
definizione
un
po'
più
chiara.
Che
cosa
è
una
Chiesa
cattolica
orientale?
Secondo
la
definizione
tenuta
presente
nel
documento
conciliare
Orientalium
Eccesiarum,
una
Chiesa
cattolica
orientale
è
quella
parte
della
Chiesa
in
Oriente
che,
pur
con
Liturgie
e
Riti
diversi
da
quelli
della
Chiesa
latina
(o
occidentale)
che
ha
il
suo
centro
a
Roma,
aderisce
alle
stesse
Verità
dottrinali
di
quest'ultima
e
riconosce
lo
stesso
Sommo
Pontefice,
iscrivendosi,
di
conseguenza,
all'interno
della
Cattolicità
universale.
La
nascita
di
tali
Chiese,
che
di
norma
vengono
suddivise
in
cinque
famiglie
principali
legate
ai
Patriarcati
d'origine,
tradizionalmente
viene
fatta
risalire
alle
predicazioni
di
diversi
Apostoli
e
Discepoli.
Così,
dalla
predicazione
di
San
Marco
ebbe
origine
la
Chiesa
di
Alessandria
(o
di
Rito
Alessandrino),
oggi
ramificata
nella
Chiesa
Copto-Cattolica
e
nella
Chiesa
Cattolica
Etiope;
dalla
predicazione
di
San
Matteo
(e,
ancora
precedentemente,
di
San
Giacomo
a
Gerusalemme)
la
Chiesa
di
Antiochia,
suddivisa
in
Chiesa
di
Rito
Antiocheno
Occidentale
(comprendente
la
Chiesa
Maronita
e la
Chiesa
Siro-Cattolica)
e
Chiesa
di
Rito
Antiocheno
Orientale
(Chiesa
Cattolico-Caldea),
oltre
che,
con
l'influenza
della
predicazione
di
San
Tommaso
in
oriente,
le
due
Chiese
cattoliche
indiane
(Chiesa
Cattolica
di
Malankara,
di
Rito
occidentale
e
Chiesa
Cattolica
Malabarita
di
Rito
Orientale);
dalla
predicazione
dei
Santi
Taddeo
e
Bartolomeo
derivò
la
Chiesa
Cattolico-Armena
e,
infine,
dalla
predicazione
di
Sant'Andrea,
la
Chiesa
di
Costantinopoli,
di
Rito
bizantino
che,
su
influenza
dell'autocefalia
tipica
della
Chiesa
Ortodossa
di
quell'area,
si
frazionò
su
base
territoriale
in
numerosissime
realtà
locali
che,
a
tutt'oggi,
formano
la
gran
parte
delle
Confessioni
orientali
(Chiesa
Melchita,
Chiesa
Greco-Cattolica,
Chiesa
Rutena,
Chiesa
Cattolica
Ucraina,
Chiesa
Cattolica
Bielorussa,
Chiesa
Cattolica
Russa,
Chiesa
Cattolica
Ungherese,
Chiesa
Cattolica
Rumena,
Chiesa
Cattolica
Slovacca,
Chiesa
Cattolica
Bulgara,
Chiesa
Italo-Albanese,
Chiesa
Cattolica
Albanese,
Chiesa
Cattolica
dell'Eparchia
di
Krizevci).
L'origine
tradizionale
legata
alle
diverse
discendenze
apostoliche
è,
naturalmente,
quasi
leggendaria:
dal
punto
di
vista
più
prettamente
storico
le
ragioni
di
sviluppo
di
un
numero
così
alto
di
Denominazioni
sono
legate
strettamente
alle
vicende
che
hanno
colpito
e
diviso
il
Cristianesimo.
All'inizio
del
IV
secolo
tutta
la
Cristianità,
sebbene
sviluppatasi
localmente
con
diverse
forme
liturgiche
a
seconda
delle
modalità
di
ricezione
evangelica
e
del
substrato
culturale
su
cui
tale
ricezione
aveva
luogo,
poteva
considerarsi
unita
in
termini
dottrinari
e di
riconoscimento
della
supremazia
morale
del
Vescovo
di
Roma
ma,
nel
tempo,
il
Cristianesimo
primitivo
stava
sempre
più
soffrendo
per
i
numerosi
disaccordi
relativi
alla
interpretazione
della
natura
e
della
divinità
di
Cristo
e
alla
comprensione
del
mistero
trinitario.
Dopo
i
primi
due
Concili
di
Nicea
e
Costantinopoli
(per
altro
non
privi
di
divisioni
poi
storicamente
riassorbite)
è al
Concilio
di
Efeso
del
431
che
ha
luogo
la
prima
grande
frattura
che
avrà
conseguenze
nello
sviluppo
delle
Chiese
"sui
iuris",
con
la
condanna
della
dottrina
nestoriana
che
enfatizzava
la
natura
umana
di
Gesù
(ritenendo
la
persona
Gesù
il
tempio
che
custodiva
la
natura
divina
del
Cristo)
e la
conseguente
scissione
della
fazione
perdente,
che
faceva
capo
al
Vescovo
Giovanni
di
Antiochia
e
che
andò,
nel
V
secolo,
a
formare
la
Chiesa
Assira.
Il
successivo
Concilio
di
Calcedonia
del
451
portò
ad
ulteriori
e
più
gravi
fratture
con
la
condanna
del
monofisismo
(cioè
della
teoria
riguardante
la
natura
unicamente
divina
di
Cristo)
e la
secessione,
in
realtà
più
politica
(sulla
base
della
mancata
partecipazione
di
loro
rappresentanti
alle
sessioni)
che
teologica
(la
divergenza
teologica
da
tempo
è
stata
considerata
come
un
frutto
unicamente
di
una
incomprensione
terminologica),
delle
Chiese
Orientali:
Copti,
Armeni
e
Siro-Ortodossi.
Infine,
l'ultima
grande
spaccatura
che,
in
seguito,
determinerà
lo
sviluppo
delle
Chiese
"sui
iuris"
fu
il
"Grande
Scisma
d'Oriente"
del
1054,
anch'esso
di
origine
politica
più
che
teologica,
con
il
ritiro
del
riconoscimento
della
supremazia
romana
da
parte
del
Patriarca
Michele
I
Cerulario
e la
reciproca
scomunica
tra
Vescovo
di
Roma
e
Vescovo
di
Bisanzio.
Da
questo
momento
in
poi,
ogni
sviluppo
di
una
nuova
Chiesa
Cattolica
non
è
fondamentalmente
altro
che
un
atto
di
riunione
con
Roma,
normalmente
a
seguito
dell'intensa
attività
di
evangelizzazione
dei
Latini
tra
1500
e
1800,
di
una
frazione
di
quelle
Chiese
che
se
ne
erano
precedentemente
distaccate.
Il
primo
"ricongiungimento"
ha
luogo
nel
1551,
proprio
da
parte
di
un
nucleo
dei
primi
"scissionisti":
dopo
che
un
editto
del
1450
aveva
stabilito
che
i
Patriarchi
della
Chiesa
nestoriana
dovessero
tutti
provenire
dalla
stessa
famiglia,
a
distanza
di
circa
cento
anni
un
gruppo
di
influenti
fedeli,
non
accettando
la
nomina
del
nipote
del
Patriarca
precedente,
scelse
come
guida
spirituale
il
monaco
Yuhanna
Sulaga
il
quale,
con
l'aiuto
dei
numerosi
missionari
francescani
giunti
nell'area
mesopotamica,
venne
inviato
prima
a
Gerusalemme
e
poi
a
Roma,
dove
venne
riaccettato
in
seno
al
Cattolicesimo
e
riconosciuto
come
primo
Patriarca
Uniate
dell'est.
Circa
quarant'anni
dopo,
nel
periodo
1595-96,
fu
un
gruppo
di
Ortodossi
di
Rito
russo-bizantino
a
riunirsi
con
la
Santa
Sede:
già
nel
1438-39,
al
Concilio
di
Firenze,
si
era
parlato
di
riconciliazione
con
le
Chiese
Ortodosse
e la
predicazione
di
missionari
cattolici,
unita
alle
pressioni
del
sovrano
polacco
Sigismondo
III
portò,
nell'arco
di
qualche
decennio,
il
Patriarca
Michele
Ragoza
a
chiedere
ed
ottenere,
con
la
cosiddetta
Unione
di
Brest-Litovsk,
il
riconoscimento
romano
che
portò
alla
nascita
delle
Chiese
Uniate
di
Ucraina
e, a
effetto
domino,
di
Bielorussia,
Rutenia
e,
via
via,
di
altri
Paesi
slavi
che,
come
accennato,
mantennero
comunque,
pur
rientrando
nella
gerarchia
vaticana,
l'autocefalia
che
fino
a
quel
momento
le
aveva
caratterizzate
in
ambito
ortodosso.
Se
ciò
portò
alla
riunione
di
una
parte
importante
del
gruppo
slavo-bizantino,
il
ramo
bizantino
occidentale
vede,
nel
1729,
la
nascita
di
una
delle
più
importanti
Chiese
"sui
iuris",
quella
Melchita,
per
una
questione
a
metà
strada
tra
disputa
politica
e
visione
teologica:
nel
1724
viene
eletto
come
vescovo
greco-ortodosso
(cioè
della
Chiesa
allora
globalmente
definita
melchita,
"realista",
per
la
sua
fedeltà
all'imperatore
bizantino)
di
Antiochia
Cirillo
VI
Tanas,
notoriamente
filoccidentale.
La
cosa
non
è
gradita
al
Patriarca
Geremia
III
di
Costantinopoli
che
gli
contrappone
il
monaco
Silvestro
di
Antiochia,
in
una
guerra
tra
fazioni
che
porta
Cirillo
a
chiedere
e
ottenere
da
Papa
Benedetto
XIII
il
riconoscimento
della
propria
validità
apostolica
e,
conseguentemente,
a
formare
una
Chiesa
che
continua
a
definirsi
"melchita"
(definizione
che
per
gli
altri
Greco-Ortodossi
decade)
e
che
entra
in
piena
comunione
con
Roma.
Per
quanto
riguarda
i
ricongiungimenti
di
parti
delle
cosiddette
"Chiese
Monofisite",
possiamo,
più
che
altro,
parlare
di
decisioni
autonome
di
singoli
Vescovi
che
si
"portarono
dietro"
gruppi
di
fedeli.
In
ordine
di
tempo,
il
primo
è,
nel
1741,
il
Vescovo
copto
di
Gerusalemme,
Anba
Atanasio
che,
convertitosi
al
Cattolicesimo,
viene
nominato
Vicario
apostolico
da
Papa
Benedetto
XIV
per
la
piccola
comunità
di
seguaci
che
formerà
il
primo
nucleo
della
Chiesa
Copto-Cattolica
(dalla
quale,
in
parallelo
alla
formazione
di
un
autonomo
Patriarcato
Copto-Ortodosso
etiopico
nel
1959,
sorgerà,
nel
1961,
la
Chiesa
Copto-Cattolica
etiopica
come
Metropolia
a
parte).
L'anno
seguente
(1742),
è
sempre
Papa
Benedetto
XIV
a
nominare
un
ex
Vescovo
armeno-apostolico,
Abraham
Adzivian,
convertitosi
al
Cattolicesimo,
nuovo
Patriarca
di
Cilicia
degli
Armeni
e
guida
spirituale
della
Chiesa
Armeno-Cattolica,
le
cui
basi
erano
già
state
gettate,
nei
secoli
precedenti,
dall'opera
di
missionari
giunti
nella
zona,
mentre
bisognerà
attendere
fino
al
1782
perché
i
Siriaco-Cattolici,
già
ufficiosamente
esistenti
da
parecchi
anni
sempre
grazie
alla
predicazione
missionaria,
trovino
nel
Metropolita
Michele
Jarweh
di
Aleppo
un
alto
prelato
convertito
che
aprirà
la
linea
apostolica
del
Patriarcato
Siro-Cattolico.
La
situazione
è,
più
o
meno,
analoga
anche
per
le
Chiese
indiane,
entrambe
nate
come
derivazioni
orientali
di
Chiese
ortodosse
(quella
Siriaca
per
quella
di
Malankara
e
quella
Caldea
per
quella
malabarita)
da
cui
sono
germogliate
delle
fazioni
cattoliche
(per
altro,
la
Chiesa
di
Malabar
è,
al
momento,
la
Chiesa
cattolica
con
il
più
alto
tasso
di
espansione
al
mondo).
Eccettive
rispetto
a
tutte
quelle
elencate
in
precedenza
sono
due
Chiese
orientali
che,
tecnicamente,
non
possono
essere
definite
"uniate",
semplicemente
perché
non
si
sono
mai
distaccate
da
Roma
ma,
semplicemente,
sono
crescite
"a
parte":
quella
maronita
e
quella
italo-albanese.
La
prima
traccia
le
sue
origini
a
partire
dalla
comunità
fondata
dal
monaco
siriano
San
Marone
nel
IV
secolo
sulle
montagne
tra
Libano
e
Siria,
mentre
la
seconda,
nata
ben
prima
del
Grande
Scisma,
rimase
fedele
a
Roma
e la
sua
autonomia
venne
sancita
(non
senza
qualche
problema
iniziale)
con
la
nascita,
nel
1573,
sotto
Papa
Gregorio
XIII,
della
cosiddetta
"Congregazione
dei
Greci".
Oggi,
le
Chiese
"sui
iuris",
la
cui
cura
è,
in
Vaticano,
riservata
alla
"Congregazione
per
le
Chiese
Orientali",
sono
suddivise
in
sei
Chiese
Patriarcali
(Armeni,
Caldei,
Copti,
Maroniti,
Melchiti
e
Siriaci)
e
tre
Chiese
Arcivescovili
maggiori
(Ucraina,
Siro-Malankarese
e
Siro-Malabarese),
nelle
quali
l'elezione
della
guida
spirituale
avviene
in
forma
interna
e
sinodale
e
solo
in
seguito
viene
ratificata
dal
Papa
(e
da
qui
il
nome
di
"Chiese
Sinodali"),
tre
Chiese
Metropolitane,
nelle
quali
la
scelta
del
Metropolita
viene
effettuata
dal
Papa
tra
tre
candidati
scelti
dai
Sinodi
locali,
e
nove
Chiese
che
seguono
la
prassi
gerarchica
"normale"
(con
un
Vescovo
inviato
da
Roma)
ma
che
mantengono
leggi
proprie
e
particolari
e
che,
nella
maggior
parte
dei
casi,
sono
formate
da
una
sola
diocesi.
In
linea
generale,
è
proprio
questa,
come
dice
il
loro
stesso
nome,
la
caratteristica
peculiare
delle
Chiese
"sui
iuris":
esse
hanno
una
propria
disciplina
e
propri
costumi
che,
non
senza
momenti
di
frizione
con
una
Chiesa
latina
che,
in
particolare
tra
XVIII
e
XIX
secolo,
ha
tentato
forme
più
o
meno
forti
di
"colonizzazione
culturale"
terminate
solo,
grazie
anche
alle
nette
prese
di
posizione
di
alcuni
Patriarchi
Orientali,
con
il
Concilio
Vaticano
II,
sono
rimasti
propri
e
peculiari
dei
singoli
Corpi
giuridici.
Probabilmente
le
differenze
più
evidenti
sono
quelle
relative
alla
ritualità
della
Messa,
che
non
solo
viene
celebrata,
come
normale
ovunque
dopo
la
riforma
del
Messale
di
Papa
Paolo
VI,
in
lingua
volgare
(o
in
lingua
liturgica
altra
rispetto
al
latino,
come
nel
caso
dell'aramaico
usato
dai
Siriaci
o
del
greco
antico
di
alcuni
Riti
Bizantini)
ma
che
riguarda
anche
aspetti
di
centrale
importanza
quali
l'amministrazione
dell'
Eucaristia
ai
fedeli
di
entrambe
le
forme
di
pane
e
del
vino,
l'uso
di
pane
lievitato,
il
Battesimo
per
immersione,
l'inchinarsi
dalla
vita
in
su
con
un
gesto
del
braccio
invece
di
genuflettersi
davanti
il
Santissimo
Sacramento,
etc.
Di
fatto,
l'utilizzo
di
queste
diverse
ritualità
è un
elemento
storico
assolutamente
naturale:
in
particolare
durante
il
periodo
delle
persecuzioni
e a
causa
della
difficoltà
di
comunicazione,
la
varietà
delle
pratiche
era
la
cosa
più
comune.
Solo
quando
la
Chiesa
ha
raggiunto
una
miglior
grado
di
organizzazione
le
pratiche
sono
diventate
sempre
più
uniformi,
fino
all'ottenimento
di
una
quasi
totale
omogeneità
nel
1570,
con
la
pubblicazione
del
Messale
Romano.
Le
comunità
più
isolate
(come
quella
Maronita),
più
legate
a
sistemi
culturali
differenti
(come
gli
Italo-Albanesi)
e,
soprattutto,
provenienti
da
tradizioni
altre
(greche,
caldee,
copte,
slave
etc.)
avrebbero
dovuto,
in
un
processo
di
uniformità,
snaturare
le
proprie
basi
tradizionali,
finendo
per
spiazzare
i
propri
fedeli
e
ciò
sarebbe
sicuramente
stato
controproducente
per
l'attività
apostolica
stessa,
così
come
recentemente
ribadito
anche
da
Papa
Benedetto
XVI
che
ha
dichiarato:
"I
cristiani
orientali
dovrebbero
essere
i
cattolici,
non
c'è
bisogno
che
diventino
Latini"
.
Da
qui,
il
mantenimento
di
Liturgie
differenti
che,
a
grandi
linee,
rispecchiano
i
principali
nuclei
storici
da
cui
le
varie
Chiese
"Sui
Iuris"
sono
scaturite:
le
Chiese
di
origine
bizantina
hanno
mantenuto
come
base
liturgica
il
Rito
modificato
di
San
Giacomo,
che
ha
preso
il
nome
di
Rito
Basiliano,
di
San
Giovanni
Crisostomo
o,
nella
sua
versione
tradotta
per
il
mondo
slavo,
Rito
Ruteno;
gli
Armeni
hanno
mantenuto
(ovviamente
con
minimi
cambiamenti
legati
alla
teologia
cattolica),
il
Rito
di
San
Gregorio
l'Illuminatore,
proprio
anche
della
Chiesa
Armeno-Apostolica;
le
Chiese
di
derivazione
Antiochena
hanno,
invece,
mantenuto
inalterato
(nella
maggioranza
dei
casi,
come
si
accennava,
anche
linguisticamente)
il
rito
aramaico
primigenio
(o
rito
di
San
Giacomo),
mentre,
infine,
le
Chiese
Copte
di
tradizione
africana
hanno
rispettato
l'antichissimo
Rito
di
San
Marco
(in
antico
copto
o in
arabo)
sviluppato
all'interno
della
scuola
alessandrina.
L'essere
"sui
iuris",
inoltre,
comporta
per
queste
denominazioni
un
certo
grado
di
autonomia
giuridica
che
permette
loro
di
non
sottostare
al
Codice
di
Diritto
Canonico
ma
di
poter
adottare
proprie
regole
organizzative
autonome,
pur
all'interno
di
una
ovvia
dogmaticità
relativa
a
Dottrina,
Fede
e
Morale
e
nell'ambito
di
una
sorta
di
"legge
quadro"
data
dal
"Codice
dei
Canoni
delle
Chiese
Orientali"
(ultima
edizione
del
2007).
Così,
ad
esempio,
i
giorni
di
precetto
hanno
una
notevole
flessibilità,
andando
dai
sei
della
Chiesa
latina
agli
oltre
venti
della
Chiesa
Uniate
Ucraina
e le
festività
possono
cadere
in
giorni
differenti,
come
accade,
tipicamente,
per
le
Chiese
di
derivazione
bizantina
che
tradizionalmente
continuano
a
festeggiare
il
Natale
il 7
gennaio
come
all'interno
dell'Ortodossia.
Infine,
una
particolarità
piuttosto
appariscente
riguarda
la
questione
del
celibato
ecclesiastico.
Se
nella
Chiesa
latina
esso
è
stato
introdotto
stabilmente
a
partire
dal
Concilio
di
Elvira
del
313,
nelle
Chiese
"sui
iuris"
l'accettazione
di
tale
norma
è
stata
molto
scarsa
e,
sempre
in
linea
generale,
resta
in
vigore,
con
piena
accettazione
vaticana,
la
regola
propria
di
numerose
Chiese
ortodosse
tale
per
cui
è
possibile
avere
Clero
sposato
nel
momento
in
cui,
all'atto
dell'Ordinazione,
il
futuro
presbitero
abbia
già
moglie.
Nel
caso,
però,
l'ordinando
sia
celibe,
una
volta
sposato
non
potrà
più
sposarsi
e
anche
in
caso
di
un
presbitero
sposato
che
diventi
vedovo,
questi
non
potrà
più
prendere
moglie.
Resta
comunque,
come
regola
fondamentale
di
tutte
le
Chiese
orientali,
che
nessun
Presbitero
sposato
possa
accedere
alle
nomine
vescovili
e,
ovviamente,
tantomeno
patriarcali.
In
realtà,
si
potrebbe
essere
tentati
di
pensare
a
questo
insieme
di
piccole
Chiese
come
ad
una
specie
di
curiosità
storica,
un
retaggio
un
po'
curioso
del
passato
o di
culture
troppo
differenti
da
quella
latina
per
essere
con
essa
completamente
commistionate
nonostante
basi
teologiche
comuni.
Sarebbe,
però,
come
accennato,
una
banalizzazione
inaccettabile:
non
solo
queste
Chiese
mantengono
vive
tradizioni
secolari
se
non
millenarie,
ma,
proprio
per
la
loro
particolare
natura
"di
confine"
si
trovano
spesso
ad
essere
l'avanguardia
del
Cattolicesimo
in
situazioni
di
estrema
difficoltà.
Basterebbe
anche
solo
pensare
al
tributo
di
sangue
pagato
dagli
Uniati
ucraini
o
romeni
durante
il
periodo
sovietico,
con
un
duplice
fronte
di
attacco
rappresentato
dal
materialismo
marxista
da
un
lato
e
dall'Ortodossia
dall'altro,
per
rendersi
conto
dell'eroismo
ai
limiti
(e
spesso
oltre
tali
limiti)
del
martirio
dei
fedeli
cattolici
di
queste
Confessioni.
Ma,
per
restare
all'oggi,
è
sufficiente
leggere
qualunque
giornale
per
comprendere
quanto
sia
differente
essere
un
Cristiano
cattolico
a
Mossul,
nelle
zone
interne
dell'Egitto,
in
Medioriente
o
nel
sud
dell'India
rispetto
a
quella
che
può
essere
la
nostra
esperienza
quotidiana
nei
Paesi
occidentali.
Quando,
magari
al
prossimo
Sinodo
o
alla
prossima
celebrazione
solenne
trasmessa
in
televisione,
ci
capiterà
di
vedere
alcuni
alti
Prelati
vestiti
in
modo
particolare
e
per
noi
curioso,
forse,
allora,
dovremmo
pensare
al
coraggio
e
alla
Fede
dei
milioni
di
fedeli
che
essi
rappresentano
...
Riferimenti
bibliografici:
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