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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

Chiesa e fascismo
PIO XI, PIO XII E LA SECONDA GUERRA MONDIALE

di Elisa Temellini

 

Nel 1979 Papa Giovanni Paolo II andò in visita ad Auschwitz per pregare le vittime ebree. Negli anni Novanta lo stesso Papa si recò in visita a Mauthausen e a Mmajdanek.

 

Nel 1998 la Commissione Vaticana pubblicò un documento intitolato "Noi ricordiamo, una riflessione sulla Shoah" circa i rapporti tenuti dal cristianesimo verso gli ebrei. Venne espresso il rammarico per gli errati comportamenti dei cattolici di ogni epoca.

 

Si accusò l'indifferenza di alcuni di loro davanti a persecuzione naziste. Si parlò proprio della persecuzione anti-semita da cui Pio XII non ha preso le distanze. Atteggiamenti, comportamenti che denotarono, e non troppo velatamente, la presa di coscienza della Santa Sede di fronte a sbagli della stessa che per troppo tempo erano stati taciuti. Fino ad arrivare alle eclatanti scuse del Papa pronunciate il 12 marzo del 2000 per gli errori e le colpe dei figli e delle figlie della Chiesa nei confronti degli ebrei sin dalla nascita di Gesù.

 

La Santa Sede accolse benevolmente il nuovo governo fascista. Quando Mussolini entrò al governo, a fine ottobre del 1922, dopo il successo della marcia su Roma, Pio XI era da poco divenuto Papa. Il partito fascista trovò un valido appoggio nella Chiesa. In effetti, per i cattolici il fascismo sembrava allontanare il pericolo di una modernità anticlericale che stava trionfando tra le masse.

 

Dal canto suo, Mussolini esaltava i valori cattolici: il ritorno all'ordine, la morale, la famiglia, le tradizioni che avrebbero dovuto spodestare l'individualismo e il laicismo. La democrazia laica era vista da Pio XI una vera e propria delegittimazione della Santa Sede, un’aggressione al cattolicesimo che avrebbe inevitabilmente condotto l’umanità all’anarchia bolscevica. Quale alleato migliore per una Chiesa che si sentiva minacciata dalla ventata progressista che seguì la Rivoluzione Russa?

 

Il comunismo diventò il nemico comune dei fascismi e dei cattolici. Ovviamente questo non significa la piena coincidenza degli ideali cristiani con i fanatismi dei fascismi. Ma un nemico in comune avrebbe indubbiamente saldato la collaborazione tra Mussolini e Pio XI.

 

La maggioranza dei fedeli italiani e tedeschi, inizialmente, non seppe o peggio non volle vedere la vera natura anticristiana intrinseca dei fascismi, considerandoli addirittura alleati formidabili nella lotta contro il comunismo. Ma se per la Chiesa era importante saldare un'alleanza con il fascismo, era invece necessario per il fascismo avere un'amica come la Santa Sede.

 

Più del 90% della popolazione italiana era cattolica e riuscire ad avvalersi del suo appoggio, della sua simpatia fu per Mussolini strategicamente indispensabile. Se il duce, in un primo tempo, non aveva esitato a urlare ai quattroventi il proprio anticlericalismo, quando salì al potere, iniziò ad accattivarsi le simpatie del Vaticano grazie a numerose e clamorose concessioni. Cominciò con la riforma Gentile, del 1923.

 

La cultura classica riacquistò il primato nell'educazione, la religione divenne obbligatoria nelle scuole elementari e soprattutto le scuole private (per la maggioranza cattoliche) si equipararono alle scuole pubbliche istituendo nelle prime un esame di stato a fine corso.

 

Il 1929 fu l'anno invece dei Patti Lateranensi firmati da Benito Mussolini e dal Cardinale Gasparri. Mussolini concedeva l'indipendenza alla Città del Vaticano, oltre al riconoscimento del cattolicesimo come religione di Stato e un risarcimento finanziaro per colmare il danno causato dalla presa di Roma nel 1870: una vera e propria propaganda volta ad ottenere sempre più consensi politici. Tanto è vero che nel '29 il partito fascista ottiene quasi il 98% dei voti: un plebiscito.

 

Ammettiamo pure che la rosa di scelte non fosse vastissima ma Mussolini era senz'altro popolare e molto, molto apprezzato. Insomma, sebbene la Chiesa non potesse condividere l'intera ideologia del fascismo, la condotta clericale di fondo era favorevole.

 

Malgrado l'enfasi iniziale verso i nuovi regimi, Pio XI, lentamente, prese coscienza di ciò che stava accadendo. Il comportamento che il Papa tenne nei confronti del nazismo fu indubbiamente ambivalente. Se per la guerra di Spagna l'appoggio ai fascismi fu totale, il suo consenso iniziò a vacillare con la discussa guerra d'Etiopia.

 

Pubblicamente il Vaticano la approvò come una guerra necessaria per liberare la popolazione etiope dal potere schiavista, privatamente Ratti la denunciò come ingiusta. Non solo, l'approssimarsi di un conflitto mondiale che non avrebbe risparmiato nessuno, rese il mondo cattolico alquanto dubbioso sull'inevitabilità e sull'utilità della guerra.

 

Nelle parole pronunciate in occasione del Natale del 1934, Pio XI rimarcava l'importanza della pace contro l'idea di una guerra che, grazie ai nuovi armamenti, avrebbe provocato la distruzione di gran parte dell'umanità.

 

Ratti si allontanò così progressivamente, avanzando anche condanne al panteismo proprio del nazismo, alla divinizzazione della nazione, all’antisemitismo e all'obbedienza ad un leader assoluto che sembrava sostituirsi alla divinità.

 

Quando furono promulgate le leggi razziali in Italia, Pio XI si decise a scendere in campo con un’aperta condanna. è innegabile che la Chiesa stessa fosse antigiudaica, che molti giornali legati al clero non avessero esitato a pubblicare articoli che volevano gli ebrei fautori di un complotto anticristiano, ma la Santa Sede non avrebbe potuto accettare alcuna legge razziale.

 

Il 6 settembre 1938, il giorno succesivo ai primi provvedimenti razziali adottati dal regime contro studenti e professori ebrei, Pio XI criticò aspramente l'antisemitismo, atteggiamento incompatibile con la tradizione cristiana e con i Vangeli.

 

Le leggi del 1938 erano inammissibili per Ratti, ma non per altre correnti del Vaticano che cercarono di smentire pubblicamente la polemica posizione del Papa. Una rottura che rispecchiava la divisione che stava avvenendo all'interno del mondo cattolico.

 

Pio XI non si fermò e decise di scrivere un'enciclica che potesse palesare la propria posizione. Il testo della Humanis Generis Unitas, che condannava apertamente le leggi antisemite, era sul suo tavolo di lavoro quando il Papa morì, nella notte tra il 9 e il 10 febbraio 1939, per poi sparire.

 

Le rinuncia alla pubblicazione dell’enciclica potrebbe essere stata causata dai più svariati fattori, come la malattia di uno dei protagonisti della vicenda, o un ripensamento tardivo di Ratti oppure un cinico e preciso sabotaggio politico...

 

Il fatto certo è che il Papato successivo fu caratterizzato da toni più morbidi e pacati. Pio XII decise di mantenere saldi i rapporti con la Germania.

 

Si attenne al riserbo. Di fronte all'immane tragedia che si stava consumando ricevette da più parti l'incoraggiamento e la supplica di intervenire tramite un'enciclica che esortasse la coscienza individuale dei cattolici.

 

E Pacelli intervenne nell'annuncio di Natale del 1942. I suoi ammonimenti, un po’ troppo velati, contro quegli uomini che volevano disporre della vita e della morte di altre persone, non furono nè incisivi nè tantomeno chiari, anzi ai più furono del tutto incomprensibili.

 

Ma al Papa sembrarono accuse molto pesanti e coraggiose. Il fatto che non vennero interpretate come tali, gli causarono un forte disagio. Pacelli era sicuro di aver compiuto il proprio dovere. A suo avviso non avrebbe potuto essere più esplicito, non si poteva parlare dei crimini nazisti trascurando i crimini comunisti e parole ancora più chiare avrebbero provocato delitti ancora più efferati.

 

Il Papa scelse il male minore. Rimase vago e non pronunciò pubblicamente nemmeno una volta la parola nazismo o la parola ebrei. Il suo Papato fu caratterizzato da un eccesso di cautela, di sottile diplomazia ma anche di timori che, ahimé, si rivelarono tragici. Non si può negare che vi furono degli interventi a favore dei sofferenti, ma in realtà i documenti mostrano le reticenze di un Papa che rimaneva neutrale nella sua intransigenza.

 

Papa Pacelli fu colpevole di un lungo silenzio, di una mancata denuncia di quello che stava accadendo. Se da una parte esortava i vescovi a fare quanto ritenevano necessario nelle difficili circostanze in cui si trovavano, assicurando loro l'appoggio, dall'altra rimase inattivo.

 

La guerra stessa fu vista come una punizione per quegli uomini che non si sottomettevano alle leggi cristiane, una sorta di calvario per quei peccatori lusingati dalla modernità e non dalla cristianità. La Seconda Guerra Mondiale avanzava e ciò che accadeva in guerra non poteva essere previsto e tantomeno limitato. E mentre si superava con spietata violenza ogni immaginazione e gli orrori da elencare divennero senza fine, gli atti della Santa Sede davano l'impressione di tollerare il tutto come conseguenza della mostruosità tipica della guerra piuttosto che il frutto di pura follia perpretata da pochi nei confronti di intere popolazioni.

 

Tuttavia anche altre, e forse più politiche furono le motivazioni di quel silenzio. Secondo Pacelli denunciare, condannare Hitler o Mussolini poteva essere sciocco, avventato e autodistruttivo.

 

All’approssimarsi del conflitto, Pio XII ritenne opportuno non contrastare apertamente fascismo e nazismo. Cercò sempre di mediare, di trovare una soluzione moderata di fronte a quello che supponeva essere un problema politico. Pacelli, in sostanza, rimase fedele al proprio carattere. Scelse la via diplomatica, abituato al discreto rispetto di regole e di firme.

 

Altro aspetto essenziale, già sottolineato in precedenza, era l'antisemitismo che da sempre distingueva gli ambienti cattolici più intransigenti. Gli ebrei, agli occhi rimanevano i fautori di quella corrente di modernismo che coincideva con la laicizzazione della civiltà occidentale, i fomentatori delle rivoluzioni che avevano attraversato il mondo, i capi di quel progetto atto a scristianizzare l'intero Occidente. I giudei e i bolscevichi erano i distruttori di una società dove per secoli la Chiesa aveva occupato il ruolo da protagonista.

 

Si è inizialmente ipotizzato che la Santa Sede fosse all'oscuro di quello che stava succedendo, ma la realtà è un'altra. Si poteva dubitare delle cifre, si poteva non credere ai molti terribili particolari, ma non si poteva ignorare, se non volontariamente, le indicazioni degli esiti catastrofici della campagna antiebraica. P

 

er i primi mesi della guerra le notizie che arrivavano alla Chiesa erano sicuramente mediate, lenite. Ma lentamente la verità iniziò ad emergere dai vari paesi e se forse Pio XII ignorava l'obiettivo della soluzione finale di certo era a conoscenza dell’esistenza dei campi di concentramento. Le lettere dei vescovi dell’Ucraina polacca non lasciavano spazio al dubbio, descrivendo i massacri degli ebrei operati dai tedeschi.

 

Pio XI si rese conto del compagno a cui aveva teso la mano, ma troppo tardi. Per Pio XII, invece, le cose furono diverse. Per Pacelli i fini giustificavano i mezzi. Esisteva l'intenzione di mantenere, malgrado tutto, buoni rapporti. Durante la guerra il Papa arrivò addirittura a pensare che nazismo e comunismo si sarebbero distrutti a vicenda: un diavolo scaccia l'altro.

 

Sicuramente se Pacelli, o chi per lui, avesse condannato il nazismo o il fascismo, le ritorsioni non sarebbero mancate. Non avrebbe fermato Hitler nel realizzare il suo criminoso e diabolico piano. Le leggi razziali sarebbero state ugualmente promulgate e i campi di sterminio sarebbero rimasti orribilmente funzionanti.

 

Ma una denuncia, una condanna pubblica da parte della Santa Sede, una scomunica avrebbero sensibilizzato il popolo cattolico che a sua volta avrebbe potuto essere più solidale e perchè no, salvare più vite possibili. Se non altro avrebbe reso consapevoli gli ebrei di quanto stava accadendo. Ma la storia non si fa con i se e con i ma...

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Mimmo Franzinelli e Riccardo Bottoni [a cura di], Chiesa e guerra: dalla benedizione delle armi alla "Pacem in terris", Il Mulino, Bologna, 2005

Emilio Gentile, Contro Cesare: cristianesimo e totalitarismo nell'epoca dei fascismi, Feltrinelli, Milano, 2010

Daniele Menozzi, Chiesa pace e guerra nel novecento, Il Mulino, Bologna, 2008

Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano, 2000

Giovanni Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione: studi sul rapporto Chiesa-società nell'età contemporanea, Marietti, Casale Monferrato, 1985

Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002

Giovanni Sabatucci, Vittorio Vidotto, Storia contemporanea. Il novecento, Laterza, Roma-Bari, 2007

Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi [a cura di], Storia del Cristianesimo: l'età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1997



 

 

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