N. 38 - Febbraio 2011
(LXIX)
LA "CHARTA OECUMENICA EUROPÉENNE"
UNA CARTA PER L'EUROPA CONTEMPORANEA
di Marco Lavopa
L’accettazione
vera,
e
sincera,
del
pluralismo
religioso
appare
chiara
nell’Assemblea
Ecumenica
di
Basilea
(15-21
maggio
1989),
convocata
dal
Consiglio
Ecumenico
delle
Chiese
(che
comprendeva,
e lo
comprende
ancora
oggi,
le
Chiese
protestanti
e
ortodosse)
e
dal
Consiglio
delle
Conferenze
Episcopali
della
Chiesa
cattolica.
In
quella
occasione
si
affermava
che
«il
processo
ecumenico
in
favore
della
giustizia,
della
pace
e
della
salvaguardia
del
creato
è
prima
di
tutto
opera
dello
Spirito
Santo».
Nel
1997,
in
occasione
della
seconda
Assemblea
ecumenica
europea
a
Graz
(Austria)
sul
tema
«Riconciliazione
dono
di
Dio
e
sorgente
di
vita
nuova»,
tra
le
raccomandazioni
adottate
dall’Assemblea
vi
era
il
seguente
suggerimento:
«Raccomandiamo
alle
Chiese
di
redigere
un
documento
comune
che
contenga
i
diritti
e i
doveri
ecumenici
fondamentali
e di
dedurne
una
serie
di
direttive,
regole
e
criteri
che
possano
aiutare
le
Chiese,
i
loro
responsabili
e
tutti
i
loro
membri
a
distinguere
fra
proselitismo
e
testimonianza
cristiana,
nonché
fra
fondamentalismo
e
autentica
fedeltà
alla
fede
e a
configurare,
infine,
in
spirito
ecumenico
le
relazioni
tra
le
Chiese
maggioritarie
e le
Chiese
minoritarie».
La
motivazione
di
quella
raccomandazione
(o
contromisura)
era
dettata
dalla
difficile
situazione
in
cui
versavano
– in
materia
di
comunione
ecumenica
– le
Chiese
in
Europa.
Per
tali
motivi
sembrava
necessario
«coltivare
una
cultura
ecumenica
del
vivere
e
del
lavorare
insieme
e
stabilire
a
tale
scopo
un
fondamento
vincolante».
Dopo
l’incontro
di
Graz,
fu
discussa,
all’interno
della
CCEE
(Consiglio
delle
Conferenze
Episcopali
d’Europa)
e
dalla
KEK
(Comitato
misto
della
Conferenza
delle
chiese
europee),
l’idea
di
una
Charta
Oecumenica
Européenne
che
prendesse
in
considerazione
i
punti
sopra
citati,
e
diventasse
uno
strumento
per
portare
avanti
un
processo
di
riconciliazione
tra
le
Chiese
d’Europa,
per
il
bene
della
riconciliazione
con
la
stessa
Europa.
Nell’ottobre
del
1998
un
piccolo
gruppo
di
lavoro
nominato
dal
CCEE
e
dalla
KEK
s’incontrò
a
Cartigny,
nei
pressi
di
Ginevra,
dove
dopo
un’intensa
discussione
si
stilò
una
bozza
preliminare
della
Charta.
La
bozza
indicava
–
per
le
Chiese
europee
– il
dialogo
ecumenico
come
il
punto
di
non
ritorno,
ed
invitava
«a
lottare
contro
l’autosufficienza,
a
vincere
i
pregiudizi
reciproci»
e ad
unirsi
nel
cammino
di
unità
dell’Europa.
Rispetto
al
processo
di
unificazione
economica
e
politica
in
atto
in
quegli
anni,
le
Chiese
cristiane
si
impegnavano
a
«custodire
l’anima
dell’Europa
[…]
a
partire
dalla
fede
comune,
attraverso
un
impegno
attivo
a
favore
della
giustizia,
della
libertà,
della
tolleranza,
della
partecipazione
e
della
solidarietà».
Successivamente
un
gruppo
più
ampio,
di
circa
quaranta
persone,
rappresentanti
delle
diverse
realtà
confessionali
e
geografiche
delle
Chiese
europee
viveva,
alla
fine
del
mese
di
aprile
1999,
convocato
dal
CCEE
e
dalla
KEK
a
Graz
allo
scopo
di
sottoporre
la
bozza
a
confronto
e
rigorosa
analisi.
In
seguito,
tutte
le
Chiese
membri
della
KEK
e le
Conferenze
Episcopali
della
CCEE,
in
vista
di
una
futura
revisione
e di
ulteriori
sviluppi,
furono
invitate
a
studiare
–
per
una
durata
di
circa
un
anno
–
quella
bozza.
Per
l’appunto,
si
auspicava
che
ciascuna
Chiesa
e
Conferenza
Episcopale
coinvolgesse
nella
riflessione
il
maggior
numero
possibile
di
comunità,
diocesi
e
realtà
ecclesiali,
affinché
della
Charta
non
si
discutesse
solo
all’interno
di
ogni
singola
Chiesa
“europea”,
ma
anche
tra
le
Chiese
a
livello
nazionale,
in
modo
da
poter
valutare
il
suo
reale
impatto
sulla
vita
ecumenica.
In
che
misura
quel
documento
poteva
essere
accettato
all’interno
dalle
singole
Chiese
nazionali?
Poteva
essere
un
incoraggiamento
e
una
sfida
da
accogliere,
al
fine
di
rafforzare
la
vita
ecumenica,
intensificare
così
la
condivisione
con
le
altre
Chiese
e
renderle
unitariamente
responsabili
nei
confronti
del
“nuovo”
Continente
europeo?
Allo
scopo
di
promuovere
la
vita
ecumenica
nel
Continente
europeo,
in
che
modo
poteva
essere
concretamente
usata
la
Charta?
Quale
valore
pratico
poteva
avere
quel
documento?
Difatti,
mentre
nel
luglio
del
2000,
le
Chiese
aderenti
lavoravano
sulla
bozza
della
Charta
Oecumenica
proposta
loro
dalla
CCEE
e
dalla
KEK,
quegli
stessi
organismi
approvavano
un
documento
parallelo
contenente
le
direttive
per
la
reciproca
collaborazione.
Ispirato
dalle
raccomandazioni
della
seconda
Assemblea
Ecumenica
europea
(Graz
1997)
e
approvato
nel
corso
dell’incontro
dei
delegati
a
Guernesey
nel
marzo
1999,
il
breve
documento,
firmato
a
Praga
il 6
febbraio
2000,
collocava
al
centro
della
collaborazione
tra
il
CCEE
e la
KEK,
una
duplice
consapevolezza:
il
servizio
alla
riconciliazione
fra
le
Chiese
come
principale
dovere
dei
due
organismi,
e
l’esistenza
tra
loro
di
differenze
ecclesiologiche,
storiche
e
strutturali.
Sul
piano
pratico,
il
principale
luogo
della
collaborazione
verrà
individuato
nel
Comitato
misto,
che
da
quel
momento
si
incontrerà
una
volta
l’anno.
Di
fatti,
nel
settembre
2000,
il
gruppo
di
lavoro
prenderà
in
esame
le
risposte
ricevute
e,
in
conformità
a
queste,
preparerà
un
testo
finale
che
sarà
presentato
al
Comitato
misto
all’inizio
del
2001.
L’impianto
del
testo
finale
confermava
quello
della
prima
bozza;
i
contenuti
e la
loro
articolazione
erano
invece
piuttosto
modificati,
anche
se
comparivano
frequenti
le
tracce
della
prima
stesura.
La
prima
bozza,
ad
esempio,
era
più
breve
nelle
introduzioni
dei
singoli
punti
e si
dilungava
di
più
nel
declinare
gli
impegni
(segno
che
il
primo
tentativo
rispondeva
maggiormente
al
progetto
di
un
decalogo);
la
stesura
finale,
in
definitiva,
riservava
uno
spazio
più
ampio
all’affermazione
delle
convinzioni
comuni.
Il
sottotitolo
–
che
si
aggiungeva
al
titolo
principale
–
Linee
guida
per
la
crescita
della
collaborazione
tra
le
Chiese
in
Europea
accoglieva
l’orientamento,
sia
di
chi
chiedeva
un
testo
stile
normativo,
sia
di
chi
chiedeva
indicazioni
di
percorso.
Di
fatti,
nel
testo
finale
–
laddove
nella
prima
stesura
si
indicava
di
Dare
un’anima
all’Europa
– si
parlerà
di
Contribuire
a
plasmare
l’Europa.
Il
Comitato
misto
stabilirà,
a
questo
punto,
che
il
testo
preparato
era
fornito
di
un «
giusto
potenziale
»
tale
da
poter
essere
ben
accolto
da
tutte
le
Chiese
europee.
A
seguito
di
tali
considerazioni
sarà
firmato
e
presentato,
nel
periodo
post-pasquale
del
2001,
alle
Chiese
dai
presidenti
di
KEK
e
CCEE.
Il
pretesto
della
firma
fu
l’Incontro
Ecumenico
europeo
tra
il
CCEE
e il
KEK,
realizzato
per
il
22
aprile
2001.
Quella,
tuttavia,
non
fu
l’occasione
per
il
compimento
del
progetto
ecumenico,
bensì
solo
il
luogo
del
suo
avvio.
La
Charta
Oecumenica
Européenne
fu
accolta
con
speranza,
ricevuta
e
adottata
dalle
Chiese
come
una
dichiarazione
di
impegno
per
la
futura
reciproca
riconciliazione;
come
una
testimonianza
di
un
comune
servizio
per
la
pace
e la
giustizia
in
tutta
l’Europa;
nonché
come
uno
strumento
su
cui
le
Chiese
potevano
nel
futuro
misurare
la
loro
vita.
Certamente,
la
Charta
Oecumenica
sottoscritta
a
Strasburgo
il
22
aprile
2001
ha
rappresentato,
e lo
rappresenta
ancora
oggi,
un
passaggio
periodizzante
del
cammino
ecumenico;
ma
come
per
l’epocale
evento
del
Concilio
Vaticano
II
(nel
contesto,
tuttavia,
della
sola
Chiesa
cattolica),
anche
per
la
Charta
Oecumenica
Européenne
era
comune
(nell’intricato
insieme
delle
Chiese
d’Europa)
la
preoccupazione
circa
la
sua
carica
innovativa
e la
sua
ricezione,
affinché
tale
testo
sottoscritto
non
restasse
un
mero
progetto
cartaceo.
Per
la
Charta
Oecumenica,
come
per
tutti
i
documenti
di
gran
portata
storica,
il
successo
«
dipenderà
dalla
sua
ricezione
»,
diceva
il
segretario
del
CCEE,
mons.
A.
Giordano,
nel
suo
rapporto
all’Assemblea
plenaria
del
Consiglio,
tenutasi
a
Strasburgo
nei
due
giorni
precedenti
l’incontro
ecumenico.
Di
fatti,
di
là
dei
consensi
si
udirono
alcune
voci
dissonate,
vere
e
proprie
riserve
su
certi
punti
inscritti
nella
Charta.
Due
furono
i
passaggi
che
da
subito
destarono
perplessità
tra
i
protagonisti
di
quella
felice
storia.
Il
punto
n.
5,
intitolato
pregare
insieme:
«In
alcune
Chiese
esistono
riserve
rispetto
alla
preghiera
ecumenica
in
comune»,
riconosceva
la
Charta
stessa,
ed
in
effetti,
da
parte
di
alcune
Chiese
ortodosse,
risultava
– lo
risulta
ancora
oggi
–
difficile
accettare,
data
la
loro
teologia
della
preghiera,
di
recitare
il
Padre
nostro
insieme
con
coloro
che
non
si
presentano
ammessi
al
medesimo
pane
eucaristico.
Il
paragrafo
n.10,
ampiamente
disputato:
«Approfondire
la
comunione
con
l’ebraismo»,
dove
il
termine
comunione
(Gemeinschaft
nell’originale
tedesco)
è
intenzionale
e
non
va
senza
difficoltà,
soprattutto
dopo
la
lunga
riflessione
che
ha
impegnato
il
movimento
ecumenico
e i
suoi
luoghi
del
dialogo
proprio
attorno
alla
figura
teologica
della
comunione.
La
difficoltà
più
seria
da
parte
cattolica,
piuttosto,
veniva
dall’uso
ricorrente
–
finanche
nel
sottotitolo
della
Charta
Oecumenica
–
del
termine
Chiese.
Indubbio,
la
stesura
della
Charta
precede
la
Nota
della
Congregazione
per
la
dottrina
della
fede
Dominus
Jesus,
ma è
pur
vero
che
non
vi è
stata
successivamente
alcuna
modifica.
Come
testo
ecumenico
(pur
dichiaratamente
non
teologico,
bensì
pastorale)
– la
Charta
Oecumenica
Européenne
– è
stato
da
più
parti
giudicato
prudente
e
misurato
nei
contenuti,
un
testo
non
proprio
tellurico;
ciò
nonostante
è
evidente
nell’uso
del
termine
Chiese
la
volontà
dei
sottoscrittori
della
Charta
di
imprimere
una
forza
sostanziale
sul
versante
del
dialogo,
non
solo
ecumenico.
Pur
tuttavia,
a
Strasburgo
si
sono
notate
alcune
indicative
mancanze:
Il
Patriarcato
di
Mosca
aveva
inviato
un
messaggio
di
saluto,
ma
nessuno
a
leggerlo.
Papa
Giovanni
Paolo
II
aveva
inviato
anch’egli
un
messaggio,
letto
dal
presidente
entrante
della
CCEE,
mons
A.
Grab,
vescovo
di
Coira
e
presidente
della
Conferenza
episcopale
svizzera,
ma
nel
testo
non
si
registrava
alcun
riferimento
alla
Charta
Oecumenica,
che
pure
si
presentava
come
l’evento
caratteristico
di
quell’incontro
ecumenico
di
Strasburgo.
Istituendo
le
relazioni
con
l’Europa
poiché
comunità,
la
Chiesa
cattolica,
per
evitare
qualsiasi
malinteso
e
per
eliminare
alla
radice
ogni
sorta
di
fraintendimento,
ha
fissato
precauzionalmente
alcuni
introduttivi
principi
quali
presupposti
per
attuare
il
bene
comune
del
cittadino
europeo.
Il
primo
principio
è
che
la
costruzione
della
casa
comune
europea
si
mostra
anche
compito
della
Chiesa,
e si
noti,
non
soltanto
della
Chiesa
cattolica,
ma
delle
Chiese
di
tutte
le
Confessioni
religiose
vigenti
in
terra
d’Europa.
È
legittimo
però
farsi
persuadere
–
dati
alcuni
passati
e
recenti
comportamenti,
non
ultima
l’insistita
pretesa
di
riscoprire
e
valorizzare
le
radici
cristiane
europee
–
dal
ragionevole
dubbio
che
la
Chiesa
cattolica,
con
la
nuova
evangelizzazione
pensi
anche
ad
una
restaurazione
della
cristianità
medievale.
Un
prudente
ipotetico
che
si è
trasformato
–
all’indomani
dell’ascesa
al
soglio
dell’apostolo
Pietro
del
già
cardinale
J.
Ratzinger
(papa
Benedetto
XVI),
accanto
alla
sua
temporale
costante
missione
interventista
–
nel
possibile
rischio
di
una
concreta
nuova
restaurazione
di
stampo
medievale.
Si
assiste
di
fatti
allo
speculare
tentativo
– da
parte
vaticana
– di
restituire
al
cristianesimo,
in
questa
crisi
dell’umana
civiltà,
la
medievale
consapevolezza
di
essere
religio
vera,
premendo
sia
sull’ortoprassia
sia
sull’ortodossia.
In
realtà
è
proprio
il
pluralismo
(il
secondo
principio)
a
farci
escludere,
ma
non
del
tutto,
la
possibilità
di
un
reale
ritorno
della
medievale
cristianità.
Nello
specifico
si
devono
tener
presenti
le
pluralità
di
culture
del
Paese
Europa,
un
pluralismo
«che
è al
tempo
stesso
una
ricchezza
e
una
mina
vagante:
il
pluralismo
ha
fatto
dell’Europa
un
continente
incomparabilmente
ricco
sotto
l’aspetto
culturale,
ma
estremamente
fragile
sul
piano
pratico,
con
il
pericolo
di
confronti
armati».
Al
pluralismo
culturale
si
stringe
quello
religioso.
Si
parla
–
soltanto,
direi
–
della
necessità
di
collaborare
con
le
altre
Chiese
e
comunità
ecclesiali
per
l’evangelizzazione
dell’Europa;
ma
si
constata
anche
«l’estensione
della
cosiddetta
religione
selvaggia,
la
quale,
se
da
un
lato
manifesta
una
ricerca
di
Dio
e un
ritorno
al
sacro,
dall’altro
racchiude
nelle
sue
espressioni
una
barriera
di
superstizioni
e di
fanatismo,
quando
non
sfocia
in
sette
di
carattere
fondamentalista
e
totalitario».
Al
di
là
dei
ragionevoli
dubbi,
rimane
di
gran
significato
il
richiamo
comune
all’Europa
presente
nella
Charta;
in
una
fase
tanto
delicata
della
storia
dell’Europa,
tale
documento
rappresentava
– lo
rappresenta
ancora
oggi
a
distanza
di
anni
– un
viaggio
irreversibile
nel
dialogo
ecumenico,
e
nel
tessuto
connettivo
della
società
europea.
Con
la
sottoscrizione
della
Charta
Oecumenica
Européenne
le
Chiese
d’Europa
riconoscono
che
«non
c’è
alcuna
alternativa
al
dialogo»
(n.6),
e
che
«occorre
assolutamente
proseguire
negli
sforzi
tesi
al
raggiungimento
di
un
consenso
di
fede».
Per
tutti,
anche
per
la
Chiesa
cattolica,
«è
l’ora
della
comunione»,
come
rilevava
il
Card.
M.
Vlk
nella
sua
prolusione
all’Assemblea
plenaria
del
CCEE.
;
inoltre,
«affrontare
individualisticamente
le
sfide
storiche
con
le
quali
siamo
confrontati
(…)
appare
oggi
come
un
combattere
contro
i
mulini
al
vento!».
Riferimenti
bibliografici:
Documento
finale
dell’Assemblea
Ecumenica
Europea
(Basilea,
15-21
maggio
1989),
in
«Il
Regno-doc»,
n.
13
del
1989,
pp.
386-430.
Documento
finale
della
VII
assemblea
del
CEC
(consiglio
ecumenico
delle
chiese)
a
Canberra,
in
«Il
Regno-doc»,
n. 7
del
1991,
pp.
242-264.
Documento
finale
della
II
Assemblea
ecumenica
europea
(AEE2-Graz,
23-29
giugno
1997),
in
«Il
Regno-doc»,
n.
15
del
1997,
pp.
449-493.
Nota
della
Congregazione
per
la
dottrina
della
fede,
in
«Il
Regno-doc»,
n.
17
del
2000,
pp.
537-538.
M.
P.
D.
Steel,
Reconciliación
en
Europa.
Herencia
y
visión,
in
«Paz
con
justicia»,
n.76,
Madrid
1989.
Claire
Lesegretain,
L’Europe
des
Églises
progresse
à
Strasburg,
in
«La
Croix»
del
23
aprile
2001.
«L’Osservatore
Romano»
del
5
maggio
2001.
G.
Alberigo,
La
Chiesa
di
Ratzinger
e la
politica:
Le
radici
del
nuovo
potere
temporale,
in
«La
Repubblica
(Diario)»,
del
9
marzo
2007,
p.
59.
G.
Ratzinger,
La
verità
cattolica,
in «Micromega»
n. 2
del
2002,
pp.48-53.
P.
Poupard,
«
L’Europa
in
una
prospettiva
cristiana
»,
in
«Ecclesia»,
del
1996,
pp.
1734-1746.
Cfr.,
J.
Kepel,
La
revanche
de
Dieu:
jiufs
et
musulmans
a la
reconquiste
du
monde,
Paris
1991.
Conferenza
Episcopale
Spagnola,
19
febbraio
1993,
ivi
(Ecclesia),
1993,
305.