charlotte
Salomon
SUI 1.300 fogli dipinti prima
DI Auschwitz / I
di Francesco
Cappellani
Nella primavera
del 2017 una mostra a Milano al
Palazzo Reale ha presentato per la
prima volta in Italia una selezione
in forma antologica di circa 270
guazzi dipinti da Charlotte Salomon
tra il 1941 e il 1943 attualmente
conservati al Joods Historisch
Museum (Museo storico ebraico) di
Amsterdam corredati da decine di
fotografie che illustrano vita e
avvenimenti della sua epoca. In
realtà nel 1988, nell’ambito di una
mostra internazionale di arti visive
intitolata “Guerra, immagini tra
mito e storia” al Museo della Città
di Udine, erano presenti anche
alcune opere di questa artista, ma
ebbero scarso riscontro nella stampa
dell’epoca.
I fogli di
Charlotte, artista totalmente ignota
fino agli anni Sessanta (la prima
mostra ebbe luogo ad Amsterdam nel
1961) sono stati in seguito esposti
in molti tra i più importanti musei
e gallerie di tutto il mondo, dal
Centre Pompidou al Museo Ebraico di
Parigi, alla Whitechapel Art Gallery
e alla Royal Academy di Londra, al
Museo Ebraico di Berlino e in varie
altre città tedesche, a Bruxelles,
Tel Aviv, Chicago, New York, San
Francisco, Tokyo per apparire
finalmente, dopo oltre mezzo secolo,
anche in Italia.
La grandezza di questa artista sta
nell’originalità della sua opera,
una sorta di graphic novel
ante litteram che si snoda lungo
1.325 carte dipinte con la tecnica
del guazzo (gouache) usando
solo i tre colori primari, rosso,
blu e giallo oltre al bianco, nelle
quali racconta tutta la sua vita. Le
immagini sono arricchite da fumetti,
didascalie, poesie e anche
riferimenti musicali, intercalate
con fogli di sola scrittura in
diversi colori, una sorta di opera
multimediale cadenzata come un vero
copione teatrale.
Charlotte sceglie 769 fogli che
costituiscono un racconto pittorico,
visivo, della sua autobiografia e
della sua capacità di immaginazione,
definito dallo scrittore-pittore
Carlo Levi «un’opera d’arte,
un’affermazione di vita, un
documento, un romanzo di sentimenti
di fronte al destino». Levi aggiunge
che “Charlotte Salomon è stata una
di quelle persone che hanno sentito
la necessità di ripensare
l’esistenza e di affidarla a
qualcosa che, per il solo fatto di
essere espresso, fosse libero dal
comune destino di morte” (Levi,
Strauss 1963). Lo scrittore
americano Jonathan Safran Foer lo
considera «forse il più grande
libro del Ventesimo secolo. Come
opera d’arte visiva, è un trionfo.
Come romanzo, è un trionfo».
Charlotte intitola questa sua unica
e sterminata composizione Leben?
Oder Theater (Vita o Teatro?) e
come sottotitolo Ein Singespiel
(Un dramma/operetta in musica).
Charlotte (Lotte) nasce a Berlino il
16 aprile 1917 da genitori ebrei
benestanti, figlia unica di un noto
chirurgo professore all’Università
di Berlino, considerato uno dei
padri dello studio del carcinoma del
seno, Albert Salomon, e di Franziska
Grünwald. Il nome Charlotte le viene
dato in ricordo dell’amatissima
sorella minore della mamma,
Charlotte, che si era suicidata nel
1913 affogandosi nel lago
Schlachtensee. Franziska, rimasta
fortemente scioccata da questo
lutto, si era dedicata
all’assistenza degli ammalati
divenendo infermiera e in quella
veste conosce Albert durante la
prima guerra mondiale.
Nell’inverno del 1925-1926 Franziska
a seguito di un lungo periodo di
depressione si trasferisce nella
casa dei suoi genitori su consiglio
del marito, ma non riesce a
riprendersi e nel febbraio del 1926
si toglie la vita gettandosi da una
finestra dell’appartamento al quarto
piano. Nel necrologio non si parla
di suicidio, a Charlotte viene detto
che era morta per un “esito letale
di influenza”. Lotte resterà
legatissima al ricordo della mamma,
spesso silenziosa e triste, che
suona il pianoforte e canta quando
ricevono ospiti, e la sera le intona
una delle sue canzoni preferite, “La
morte e la fanciulla” di Schubert.
Nella famiglia materna c’erano già
stati altri suicidi ma Charlotte ne
verrà a conoscenza solo 13 anni più
tardi.
Viene affidata a una istitutrice per
circa quattro anni finché, nel 1930,
il padre si risposa con Paula Levi,
figlia di un rabbino, famosa e bella
cantante lirica berlinese “stella di
un ambiente culturale orgoglioso
delle sue origini giudaiche. Il
rapporto con la matrigna è insieme
di adorazione e di gelosia, ma
l’accompagna nell’età adulta, e la
segna” come annota Antonio Polito in
un articolo su La Repubblica dopo
avere visitato la mostra della
Salamon alla Royal Academy di Londra
del dicembre 1998. Charlotte finisce
per innamorarsi di questa donna
attraente e vivace che la affascina
con la sua sapienza musicale e la
introduce nel mondo operistico e
sinfonico berlinese, ma anche
nell’effervescente mondo dell’arte
di quegli anni; resterà sempre per
lei una sicura e amata figura
materna di riferimento.
Berlino attraversa un momento di
grande fermento culturale, è il
periodo d’oro della Repubblica di
Weimar, la ragazza vive in un
ambiente di alto livello
intellettuale, nella sua casa si
incontrano scienziati come Albert
Einstein e Albert Schweitzer,
scrittori e musicisti dopo il
matrimonio di Salomon con la
contralto Paula.
Il partito nazionalsocialista va al
potere nel 1933 e le leggi
antisemite emanate da Hitler
colpiscono il papà di Lotte che
perde il lavoro, ma riesce ancora a
esercitare presso il Jewish Hospital
di Berlino, analogamente Paula, che
ha sostituito su consiglio del suo
collega ebreo Kurt Singer,
licenziato da Direttore del Teatro
dell’Opera di Berlino, il cognome
Levi chiaramente ebraico con
Lindberg, non può più esibirsi in
pubblico ma riprende a cantare
nell’ambito di una nuova
associazione culturale ebraica (Kulturbund)
fondata da Singer, dove porta anche
la figlia.
La notte del 10 maggio 1933 nell’Opernplatz
berlinese avviene un gigantesco rogo
di oltre 20.000 libri officiato dal
Ministro della Propaganda Joseph
Goebbels, per preservare la purezza
dello “spirito tedesco”. I nonni
materni, preoccupati per
l’antisemitismo dilagante in
Germania, se ne allontanano
compiendo insieme alla nipote un
lungo viaggio in Italia che resterà
fortemente impresso nella mente di
Lotte, costituendo, come nota
Elisabetta Rasy nel suo libro Le
disobbedienti, “una tappa
fondamentale nel cammino della
salvezza attraverso l’arte, la
scoperta della possibilità di
rappresentare in un’altra non
transitoria dimensione la vita e la
morte”.
Nel 1934, sempre più impauriti e
angosciati per la situazione
politica, i nonni emigrano
definitivamente nel sud della
Francia. Nel 1935 a causa delle
leggi razziali, Lotte deve lasciare
il Liceo ma nel 1936 viene ammessa
nella famosa Accademia di Belle Arti
di Berlino pure essendo tra gli
studenti “unica giudea al 100%”
(avendo, secondo la teoria della
razza nazista, tutti i quattro nonni
ebrei) in quanto giudicata “modesta
e riservata al punto da non
costituire minaccia alcuna per gli
studenti ariani” (Lowenthal
Felstiner 1944) dal Direttore
dell’Accademia. Qui impara
perfettamente e con grande passione
le tecniche pittoriche e la storia
dell’arte inclusa anche quella
Entartete Kunst (arte
degenerata) messa al bando dal
nazismo nella tristemente famosa
mostra itinerante battezzata a
Monaco il 19 luglio 1937 dove erano
presenti tutti quei pittori che,
dopo la guerra, saranno celebrati
come gli artisti che hanno reso
grande la Germania del Novecento.
Proprio questa arte moderna
“degenerata” permeerà l’opera di
Lotte, dall’espressionismo agli
altri movimenti che fiorivano in
quegli anni. Sarà l’ultima
studentessa ebrea della scuola;
eccelle subito per le sue innate
doti artistiche al punto da essere
favorita per un premio a un Concorso
che sarà però ritirato da una
compagna ariana in quanto Lotte ne
viene esclusa per motivi razziali.
Lascia l’Accademia dopo la tragica
Kristallnacht (la Notte dei
Cristalli) del 9 novembre 1938,
quando squadre delle SA (Sturmabteilung,
Battaglione d’Assalto), gruppo
paramilitare nazista, e della
Gioventù hitleriana, per vendicare
l’attentato a un diplomatico tedesco
a Parigi da parte di un ebreo
polacco, distruggono, saccheggiano,
vandalizzano e incendiano negozi,
case e sinagoghe degli ebrei in
tutta la Germania. Circa 30.000
ebrei sono arrestati con l’unica
colpa di non essere “ariani” e la
maggior parte internati nei campi di
concentramento di Buchenwald e
Dachau.
Durante questi anni Charlotte si
innamora perdutamente di un
professore di musica ebreo che ha il
doppio della sua età, Alfred
Wolfsohn, reduce deluso e tormentato
dalla prima guerra mondiale dove era
andato a 17 anni ed era stato
gravemente ferito riportando un
forte shock post-traumatico.
Wolfsohn impartisce lezioni di canto
a Paula tentando anche, senza
successo, di intessere con lei una
relazione amorosa; Lotte gli mostra
i suoi disegni e il professore
rendendosi conto delle capacità
della giovane, la incoraggia, e la
esorta a esplorare a fondo se stessa
e a conoscersi tramite la pittura,
intrattenendo a lungo la ragazza con
le sue teorie filosofiche junghiane,
concetti che Lotte assorbe e
riaffioreranno nella sua opera.
L’influenza di Wolfsohn sulla
giovane artista è enorme, la
passione totale che Lotte ventenne
prova per l’insegnante, che sarà il
suo unico vero amore non si sa se
ricambiato o meno, sarà vissuta e
narrata dalla ragazza, vera o
immaginata, in centinaia di guazzi
qualche anno dopo l’addio alla sua
Berlino e all’uomo che ama nel 1939.
In quell’anno la situazione degli
ebrei in Germania è divenuta
insostenibile e i genitori per
toglierla da ogni pericolo la
inviano in un posto allora sicuro,
presso i nonni materni in Francia a
Villefranche-sur-Mer, vicino a
Nizza.
Il 10 novembre 1938 Albert Salamon è
arrestato e tradotto nel campo di
concentramento di Sachsenhausen;
viene rilasciato solo grazie agli
infaticabili buoni uffici di Paula
che era ricorsa alle sue amicizie ma
anche a tutta la sua verve teatrale
e al suo charme per ottenerne la
liberazione. Albert e Paula lasciano
la Germania per l’Olanda, sono lì
arrestati ma riescono a evadere dal
campo di transito di Westerbork e a
rifugiarsi ad Amsterdam dove trovano
un nascondiglio sicuro e
sopravvivono alla guerra.
In Francia i nonni materni sono
ospiti di una ricca signora
americana, Ottilie Moore, che li
aveva accolti anni prima nella sua
grande villa L’Ermitage dove
manteneva anche dieci bambini ebrei,
in parte orfani, bisognosi di
assistenza e di cibo. Quando arriva
Lotte nel gennaio del 1939, i nonni
hanno già esaurito le loro riserve
finanziarie e devono dipendere per
ogni cosa dalla signora Moore, ciò
provoca loro disagio e umiliazione
malgrado la gentilezza della padrona
di casa.
La nonna è gravemente depressa e
Lotte cerca invano di ridarle
coraggio e fiducia; dopo avere già
tentato di togliersi la vita
nell’autunno del 1939, si suicida in
bagno con un cappio al collo nel
marzo del 1940. Lì la trova
Charlotte e in quella tragica
occasione il nonno, un vecchio
tirannico e vizioso, le racconta la
verità sul suicidio della mamma e
della zia di cui porta il nome e di
altri suicidi, fra i quali una zia e
una cugina della mamma, sempre
nell’ambito della famiglia materna.
L’impatto di questa rivelazione è
devastante per la ragazza che si
sente in qualche modo designata
anche lei a un tragico destino
dettato da implacabili fattori
ereditari.
Il primo settembre 1939, invadendo
la Polonia, Hitler scatena la
seconda guerra mondiale; il 10
giugno del 1940 Mussolini si accoda
al Führer con un “Folgorante
Annuncio” di dichiarazione di
guerra, come titola il Corriere
della Sera, con sottotitolo “Dalle
Alpi all’Oceano Indiano un solo
grido di fede e di passione: Duce”.
Il 22 giugno 1940 la Francia
capitola e viene occupata dalle
truppe tedesche, salvo la parte
meridionale del paese dove nasce il
Governo di Vichy, uno Stato Francese
vassallo della Germania nazista.
Emil Strauss, amico d’infanzia di
Paula, emigrato a Nizza, racconta di
Charlotte che conosce nel 1939 all’Ermitage
e ricorda che questa bella ragazza
22enne, bionda e con gli occhi
celesti, era conquistata e quasi
stordita dalla violenza della natura
che abita quei luoghi: «vagava tutto
il giorno per il giardino,
disegnando e dipingendo, sostando
lunghe ore sotto un arancio,
contemplando il cielo azzurro,
addormentandosi e risvegliandosi
ebbra di gioia» (Levi,
Strauss 1963). La signora
Moore oltre a fornirle tutto il
materiale per disegnare e dipingere,
compra parecchi suoi ritratti e
cartoline di auguri permettendo così
a Lotte di avere un po’ di denaro
per le spese personali. La vita in
comune col nonno diventa difficile
per il carattere impossibile
dell’anziano che si trasferisce a
Nizza.
Nel maggio del 1940 a seguito
dell’inarrestabile offensiva tedesca
che travolge le difese francesi,
molti ebrei, rifugiatisi in Belgio,
in Olanda e a Parigi, confluiscono
verso il sud della Francia ma le
autorità locali li respingono: il
nonno e Lotte insieme a centinaia di
fuggiaschi sono trasportati in un
campo di raccolta a Gurs, nei
Pirenei, dove era detenuta anche
Hannah Arendt. Le condizioni di vita
nel campo sono difficili, manca
l’acqua corrente e una febbre
tifoide colpisce molti prigionieri.
Il nonno si ammala e dopo un mese
nonno e nipote vengono rilasciati e
possono rientrare all’Ermitage.
Charlotte ha un crollo nervoso, un
esaurimento dovuto a un insieme di
fattori come le notizie sui suicidi
ricorrenti nella sua famiglia, i
rapporti sempre più tesi col nonno e
il trauma per il recente
internamento. Chiede aiuto al dottor
George Moridis, che aveva curato la
depressione della nonna; il medico,
che era anche psicologo, la spinge a
dedicarsi con tutta se stessa alla
pittura come unica terapia salvifica
contro l’angoscia e il dolore; se
vuole sopravvivere deve dipingere la
sua storia, perché è l’unica via
d’uscita: deve fare rivivere i
morti.
Lotte inizia furiosamente a riempire
con guazzi e disegni un foglio dopo
l’altro, capisce che è la sua unica
salvezza; scrive che deve decidersi
se togliersi la vita o fare qualcosa
di “eccentrico e folle”, dice “Caro
Dio, non farmi impazzire” e ai
genitori in Olanda “Creerò una
storia per non andare fuori di senno”;
su uno degli ultimi disegni scrive:
“Ero mortalmente infelice perché
mi rendevo conto che la mia antica
sfiducia negli uomini riprendeva il
sopravvento, rigettandomi in uno
stato di pigro letargo …. Dovevo
restare ancora nella mia solitudine
perché solo così potevo forse
trovare ciò che cercavo: me stessa …
La guerra infuriava e mi sono seduta
in riva al mare e ho visto nel
profondo del cuore dell’umanità. Ero
mia madre, mia nonna, anzi, ero
tutti i personaggi della mia
commedia. Ho imparato a percorrere
tute le strade e sono diventata me
stessa”.
Frasi che ricordano quanto la 14enne
Anna Frank aveva scritto nel suo
impareggiabile diario: “Voglio
continuare a vivere dopo la mia
morte! E dunque sono grata a Dio per
questo dono, questa possibilità di
sviluppare me stessa e di scrivere,
di esprimere tutto quello che c’è in
me. Posso buttare fuori ogni cosa se
scrivo; i miei tormenti scompaiono;
il mio coraggio rinasce”.
Nel 1941 Charlotte si sposta in una
pensione, la Belle Aurore, a
Saint-Jean-Cap-Ferrat dove
dipingendo senza tregua, in modo
quasi ossessivo, anche tre fogli al
giorno, compone quell’affresco
mirabile della propria esistenza che
intitolerà Vita o Teatro?.
Madame Marthe Pécher, padrona della
pensione, ricorda che Lotte “deve
avere soggiornato da noi per due o
tre mesi, non lasciava quasi mai la
sua stanzetta. Passava tutto il
tempo a dipingere, canticchiando
continuamente. Noi ci chiedevamo
quando mangiasse e se o quando
dormisse. C’era la guerra, era
inverno, era freddo e c’era la fame.
Spesso, di sera, le portavo una
ciotola di minestra calda, la
accettava con gioia e parlavamo un
po’” (CAPALDO 2019). Scrive
Strauss “Era come invasata: si
nutriva e dormiva appena, dedita
completamente alla sua arte che la
dominava come un’autentica passione.
In quei quadri voleva raccontare la
sua vita, che doveva essere come un
libro aperto”.
Il 27 settembre 1941 la signora
Moore lascia Villefranche con alcuni
dei bambini ebrei che aveva aiutato
in quegli anni, diretta, sulla sua
lussuosa automobile, in Portogallo
dove si imbarcano per New York.
Charlotte rientra a L'Ermitage nel
1942 dove trova un amico, forse
amante, della signora, Alfred Nagler,
un rifugiato ebreo austriaco di 13
anni più anziano, che gestiva la
villa e quattro bambini che Ottilie
non aveva potuto portare con sé.
Nel novembre del 1942 Hitler decide
di occupare militarmente la Francia
di Vichy, la conquista della costa
mediterranea francese fino a
Marsiglia viene affidata
all’esercito italiano che organizza
un censimento degli ebrei senza
esercitare alcuna violenza nei loro
confronti nè deportarli altrove.
Lotte si presenta all’ufficio
stranieri di Nizza per dichiararsi
ebrea.
Madame Pécher ricorda che le aveva
chiesto perché compiva quel gesto
che poteva ritorcersi contro di lei,
la risposta fu “perché c’è una
legge, e dal momento che io sono
ebrea, mi è sembrato corretto
presentarmi” (Lowenthal Felstiner
1944). Autodenuncia che poteva
finire in tragedia in quanto Lotte
uscita dall’ufficio viene caricata
su un autobus senza avere
spiegazioni, ma un gendarme
italiano, non si sa perché, la fa
scendere dicendole di rientrare
subito a casa. L’autobus l’avrebbe
sicuramente condotta in Polonia, in
qualche campo di concentramento e di
annientamento di cui allora nessuno
conosceva l’esistenza.
La scelta volontaria di
“presentarsi” alle autorità, di
apparente ingenuità o di folle senso
del dovere, “si adatta perfettamente
con la svolta esteriore e
audacemente espositiva che il suo
lavoro aveva ora preso. Forse non ha
resistito a questa opportunità di
fare nella vita reale ciò che
cercava di fare nel suo lavoro:
esigere il riconoscimento della sua
esistenza” (Bernard
2000).
Dopo questo evento Lotte realizza
che non c’è più tempo da perdere e
si dedica freneticamente a terminare
la sua monumentale opera, passa dai
guazzi alla parola scritta con le
quali riempie gli ultimi fogli;
nella pagina iniziale scrive amare e
criptiche parole: “St
Jean-Cap-Ferrat, agosto 1941/1942; o
tra cielo e terra fuori dalla nostra
era nell’anno 1 della Nuova
Salvezza”.
Periodicamente Lotte va a trovare il
nonno a Nizza, queste visite sono
per lei penosissime data la totale
incompatibilità caratteriale con il
vecchio. Il nonno muore e viene
sepolto il 12 febbraio 1943 nel
cimitero di Nizza. Su questa morte,
in una lunga lettera intitolata
“Confessione” al suo unico grande
amore Andrea Wolfsohn, resa nota
molti anni dopo, nel 2012, Lotte si
autoaccusa di avere avvelenato il
nonno che sembra avesse anche
abusato di lei, durante una visita
nel febbraio del 1943. Realtà o una
rivalsa della sua fantasia dettata
dall’odio verso quella persona? La
lettera alimenterà un lungo
dibattito, ma dalla testimonianza di
una agenzia di pompe funebri di
Nizza sembra invece che l’anziano
fosse stramazzato in strada per un
collasso; raccolto e riportato a
casa, era mancato poco dopo.
Tra Nagler e Charlotte nasce una
relazione che, con la morte
dell’ingombrante nonno assolutamente
contrario a una loro unione per la
diversa posizione sociale, evolve in
un rapporto sempre più stretto.
Lotte definisce Albert “il vaso
vuoto in cui ho bisogno di riversare
le mie idee folli”, resta
incinta, e decidono allora insieme
di affrettare il loro matrimonio che
si svolge il 17 giugno 1943 al
Municipio di Nizza. Testimoni sono
il dottor Moridis, il medico
condotto di Villefranche, che aveva
seguito sempre con affetto e
competenza Charlotte spronandola a
dedicarsi alla pittura, e sua
moglie.
La governante de L'Ermitage
imbandisce un banchetto di nozze con
l’argenteria, la cristalleria e le
porcellane della villa e un capretto
che lo sposo è riuscito a
procurarsi. È un momento di serenità
per Charlotte, ma Nagler ha commesso
un errore che si rivelerà un
autosabotaggio: la carta d’identità
procuratagli dal dottor Moridis era
priva del timbro che lo definiva
ebreo e quando richiede alla
prefettura di Nizza i documenti per
il matrimonio, si sente rispondere
che, in base alle leggi razziali,
non può sposare un’ebrea. Nagler
dichiara allora di essere anche lui
di origine ebraica e ottiene così il
documento necessario per le nozze.
Venuto a conoscenza dell’accaduto il
dottor Moridis esorta la coppia a
nascondersi immediatamente essendo
oramai ambedue identificati come
ebrei, rifugiandosi in un suo
appartamento a Nizza, ma i coniugi
non resistono a lungo rinchiusi in
quegli angusti locali e rientrano
poco dopo all’Ermitage, il loro
paradiso terrestre.
Qualche
settimana dopo le nozze Charlotte
consegna al dottor Moridis, che
l’accoglie mentre sta cenando, gli
oltre 1.300 fogli della sua opera
d’arte completa, “Gesamtkunstwerke”
nel senso Wagneriano di fondere
insieme letteratura, musica e arti
visive, dedicata a Ottilie Moore,
avvolti con cura in tre pacchi di
carta marrone contenuti in una
valigia dicendogli: “Tienili al
sicuro. Sono tutta la mia vita”.