[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 202 / OTTOBRE 2024 (CCXXXIII)


arte

charlotte Salomon

SUI 1.300 fogli dipinti prima DI Auschwitz / I

di Francesco Cappellani


Nella primavera del 2017 una mostra a Milano al Palazzo Reale ha presentato per la prima volta in Italia una selezione in forma antologica di circa 270 guazzi dipinti da Charlotte Salomon tra il 1941 e il 1943 attualmente conservati al Joods Historisch Museum (Museo storico ebraico) di Amsterdam corredati da decine di fotografie che illustrano vita e avvenimenti della sua epoca. In realtà nel 1988, nell’ambito di una mostra internazionale di arti visive intitolata “Guerra, immagini tra mito e storia” al Museo della Città di Udine, erano presenti anche alcune opere di questa artista, ma ebbero scarso riscontro nella stampa dell’epoca.

 

I fogli di Charlotte, artista totalmente ignota fino agli anni Sessanta (la prima mostra ebbe luogo ad Amsterdam nel 1961) sono stati in seguito esposti in molti tra i più importanti musei e gallerie di tutto il mondo, dal Centre Pompidou al Museo Ebraico di Parigi, alla Whitechapel Art Gallery e alla Royal Academy di Londra, al Museo Ebraico di Berlino e in varie altre città tedesche, a Bruxelles, Tel Aviv, Chicago, New York, San Francisco, Tokyo per apparire finalmente, dopo oltre mezzo secolo, anche in Italia.

La grandezza di questa artista sta nell’originalità della sua opera, una sorta di graphic novel ante litteram che si snoda lungo 1.325 carte dipinte con la tecnica del guazzo (gouache) usando solo i tre colori primari, rosso, blu e giallo oltre al bianco, nelle quali racconta tutta la sua vita. Le immagini sono arricchite da fumetti, didascalie, poesie e anche riferimenti musicali, intercalate con fogli di sola scrittura in diversi colori, una sorta di opera multimediale cadenzata come un vero copione teatrale.

Charlotte sceglie 769 fogli che costituiscono un racconto pittorico, visivo, della sua autobiografia e della sua capacità di immaginazione, definito dallo scrittore-pittore Carlo Levi «un’opera d’arte, un’affermazione di vita, un documento, un romanzo di sentimenti di fronte al destino». Levi aggiunge che “Charlotte Salomon è stata una di quelle persone che hanno sentito la necessità di ripensare l’esistenza e di affidarla a qualcosa che, per il solo fatto di essere espresso, fosse libero dal comune destino di morte” (Levi, Strauss 1963). Lo scrittore americano Jonathan Safran Foer lo considera «forse il più grande libro del Ventesimo secolo. Come opera d’arte visiva, è un trionfo. Come romanzo, è un trionfo». Charlotte intitola questa sua unica e sterminata composizione Leben? Oder Theater (Vita o Teatro?) e come sottotitolo Ein Singespiel (Un dramma/operetta in musica).

Charlotte (Lotte) nasce a Berlino il 16 aprile 1917 da genitori ebrei benestanti, figlia unica di un noto chirurgo professore all’Università di Berlino, considerato uno dei padri dello studio del carcinoma del seno, Albert Salomon, e di Franziska Grünwald. Il nome Charlotte le viene dato in ricordo dell’amatissima sorella minore della mamma, Charlotte, che si era suicidata nel 1913 affogandosi nel lago Schlachtensee. Franziska, rimasta fortemente scioccata da questo lutto, si era dedicata all’assistenza degli ammalati divenendo infermiera e in quella veste conosce Albert durante la prima guerra mondiale.


Nell’inverno del 1925-1926 Franziska a seguito di un lungo periodo di depressione si trasferisce nella casa dei suoi genitori su consiglio del marito, ma non riesce a riprendersi e nel febbraio del 1926 si toglie la vita gettandosi da una finestra dell’appartamento al quarto piano. Nel necrologio non si parla di suicidio, a Charlotte viene detto che era morta per un “esito letale di influenza”. Lotte resterà legatissima al ricordo della mamma, spesso silenziosa e triste, che suona il pianoforte e canta quando ricevono ospiti, e la sera le intona una delle sue canzoni preferite, “La morte e la fanciulla” di Schubert. Nella famiglia materna c’erano già stati altri suicidi ma Charlotte ne verrà a conoscenza solo 13 anni più tardi.


Viene affidata a una istitutrice per circa quattro anni finché, nel 1930, il padre si risposa con Paula Levi, figlia di un rabbino, famosa e bella cantante lirica berlinese “stella di un ambiente culturale orgoglioso delle sue origini giudaiche. Il rapporto con la matrigna è insieme di adorazione e di gelosia, ma l’accompagna nell’età adulta, e la segna” come annota Antonio Polito in un articolo su La Repubblica dopo avere visitato la mostra della Salamon alla Royal Academy di Londra del dicembre 1998. Charlotte finisce per innamorarsi di questa donna attraente e vivace che la affascina con la sua sapienza musicale e la introduce nel mondo operistico e sinfonico berlinese, ma anche nell’effervescente mondo dell’arte di quegli anni; resterà sempre per lei una sicura e amata figura materna di riferimento.


Berlino attraversa un momento di grande fermento culturale, è il periodo d’oro della Repubblica di Weimar, la ragazza vive in un ambiente di alto livello intellettuale, nella sua casa si incontrano scienziati come Albert Einstein e Albert Schweitzer, scrittori e musicisti dopo il matrimonio di Salomon con la contralto Paula.


Il partito nazionalsocialista va al potere nel 1933 e le leggi antisemite emanate da Hitler colpiscono il papà di Lotte che perde il lavoro, ma riesce ancora a esercitare presso il Jewish Hospital di Berlino, analogamente Paula, che ha sostituito su consiglio del suo collega ebreo Kurt Singer, licenziato da Direttore del Teatro dell’Opera di Berlino, il cognome Levi chiaramente ebraico con Lindberg, non può più esibirsi in pubblico ma riprende a cantare nell’ambito di una nuova associazione culturale ebraica (Kulturbund) fondata da Singer, dove porta anche la figlia.

 
La notte del 10 maggio 1933 nell’Opernplatz berlinese avviene un gigantesco rogo di oltre 20.000 libri officiato dal Ministro della Propaganda Joseph Goebbels, per preservare la purezza dello “spirito tedesco”. I nonni materni, preoccupati per l’antisemitismo dilagante in Germania, se ne allontanano compiendo insieme alla nipote un lungo viaggio in Italia che resterà fortemente impresso nella mente di Lotte, costituendo, come nota Elisabetta Rasy nel suo libro Le disobbedienti, “una tappa fondamentale nel cammino della salvezza attraverso l’arte, la scoperta della possibilità di rappresentare in un’altra non transitoria dimensione la vita e la morte”.


Nel 1934, sempre più impauriti e angosciati per la situazione politica, i nonni emigrano definitivamente nel sud della Francia. Nel 1935 a causa delle leggi razziali, Lotte deve lasciare il Liceo ma nel 1936 viene ammessa nella famosa Accademia di Belle Arti di Berlino pure essendo tra gli studenti “unica giudea al 100%” (avendo, secondo la teoria della razza nazista, tutti i quattro nonni ebrei) in quanto giudicata “modesta e riservata al punto da non costituire minaccia alcuna per gli studenti ariani” (Lowenthal Felstiner 1944) dal Direttore dell’Accademia. Qui impara perfettamente e con grande passione le tecniche pittoriche e la storia dell’arte inclusa anche quella Entartete Kunst (arte degenerata) messa al bando dal nazismo nella tristemente famosa mostra itinerante battezzata a Monaco il 19 luglio 1937 dove erano presenti tutti quei pittori che, dopo la guerra, saranno celebrati come gli artisti che hanno reso grande la Germania del Novecento.


Proprio questa arte moderna “degenerata” permeerà l’opera di Lotte, dall’espressionismo agli altri movimenti che fiorivano in quegli anni. Sarà l’ultima studentessa ebrea della scuola; eccelle subito per le sue innate doti artistiche al punto da essere favorita per un premio a un Concorso che sarà però ritirato da una compagna ariana in quanto Lotte ne viene esclusa per motivi razziali. Lascia l’Accademia dopo la tragica Kristallnacht (la Notte dei Cristalli) del 9 novembre 1938, quando squadre delle SA (Sturmabteilung, Battaglione d’Assalto), gruppo paramilitare nazista, e della Gioventù hitleriana, per vendicare l’attentato a un diplomatico tedesco a Parigi da parte di un ebreo polacco, distruggono, saccheggiano, vandalizzano e incendiano negozi, case e sinagoghe degli ebrei in tutta la Germania. Circa 30.000 ebrei sono arrestati con l’unica colpa di non essere “ariani” e la maggior parte internati nei campi di concentramento di Buchenwald e Dachau.


Durante questi anni Charlotte si innamora perdutamente di un professore di musica ebreo che ha il doppio della sua età, Alfred Wolfsohn, reduce deluso e tormentato dalla prima guerra mondiale dove era andato a 17 anni ed era stato gravemente ferito riportando un forte shock post-traumatico. Wolfsohn impartisce lezioni di canto a Paula tentando anche, senza successo, di intessere con lei una relazione amorosa; Lotte gli mostra i suoi disegni e il professore rendendosi conto delle capacità della giovane, la incoraggia, e la esorta a esplorare a fondo se stessa e a conoscersi tramite la pittura, intrattenendo a lungo la ragazza con le sue teorie filosofiche junghiane, concetti che Lotte assorbe e riaffioreranno nella sua opera.


L’influenza di Wolfsohn sulla giovane artista è enorme, la passione totale che Lotte ventenne prova per l’insegnante, che sarà il suo unico vero amore non si sa se ricambiato o meno, sarà vissuta e narrata dalla ragazza, vera o immaginata, in centinaia di guazzi qualche anno dopo l’addio alla sua Berlino e all’uomo che ama nel 1939. In quell’anno la situazione degli ebrei in Germania è divenuta insostenibile e i genitori per toglierla da ogni pericolo la inviano in un posto allora sicuro, presso i nonni materni in Francia a Villefranche-sur-Mer, vicino a Nizza.


Il 10 novembre 1938 Albert Salamon è arrestato e tradotto nel campo di concentramento di Sachsenhausen; viene rilasciato solo grazie agli infaticabili buoni uffici di Paula che era ricorsa alle sue amicizie ma anche a tutta la sua verve teatrale e al suo charme per ottenerne la liberazione. Albert e Paula lasciano la Germania per l’Olanda, sono lì arrestati ma riescono a evadere dal campo di transito di Westerbork e a rifugiarsi ad Amsterdam dove trovano un nascondiglio sicuro e sopravvivono alla guerra.


In Francia i nonni materni sono ospiti di una ricca signora americana, Ottilie Moore, che li aveva accolti anni prima nella sua grande villa L’Ermitage dove manteneva anche dieci bambini ebrei, in parte orfani, bisognosi di assistenza e di cibo. Quando arriva Lotte nel gennaio del 1939, i nonni hanno già esaurito le loro riserve finanziarie e devono dipendere per ogni cosa dalla signora Moore, ciò provoca loro disagio e umiliazione malgrado la gentilezza della padrona di casa.

La nonna è gravemente depressa e Lotte cerca invano di ridarle coraggio e fiducia; dopo avere già tentato di togliersi la vita nell’autunno del 1939, si suicida in bagno con un cappio al collo nel marzo del 1940. Lì la trova Charlotte e in quella tragica occasione il nonno, un vecchio tirannico e vizioso, le racconta la verità sul suicidio della mamma e della zia di cui porta il nome e di altri suicidi, fra i quali una zia e una cugina della mamma, sempre nell’ambito della famiglia materna. L’impatto di questa rivelazione è devastante per la ragazza che si sente in qualche modo designata anche lei a un tragico destino dettato da implacabili fattori ereditari.

Il primo settembre 1939, invadendo la Polonia, Hitler scatena la seconda guerra mondiale; il 10 giugno del 1940 Mussolini si accoda al Führer con un “Folgorante Annuncio” di dichiarazione di guerra, come titola il Corriere della Sera, con sottotitolo “Dalle Alpi all’Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce”. Il 22 giugno 1940 la Francia capitola e viene occupata dalle truppe tedesche, salvo la parte meridionale del paese dove nasce il Governo di Vichy, uno Stato Francese vassallo della Germania nazista.

Emil Strauss, amico d’infanzia di Paula, emigrato a Nizza, racconta di Charlotte che conosce nel 1939 all’Ermitage e ricorda che questa bella ragazza 22enne, bionda e con gli occhi celesti, era conquistata e quasi stordita dalla violenza della natura che abita quei luoghi: «vagava tutto il giorno per il giardino, disegnando e dipingendo, sostando lunghe ore sotto un arancio, contemplando il cielo azzurro, addormentandosi e risvegliandosi ebbra di gioia» (Levi, Strauss 1963). La signora Moore oltre a fornirle tutto il materiale per disegnare e dipingere, compra parecchi suoi ritratti e cartoline di auguri permettendo così a Lotte di avere un po’ di denaro per le spese personali. La vita in comune col nonno diventa difficile per il carattere impossibile dell’anziano che si trasferisce a Nizza.

Nel maggio del 1940 a seguito dell’inarrestabile offensiva tedesca che travolge le difese francesi, molti ebrei, rifugiatisi in Belgio, in Olanda e a Parigi, confluiscono verso il sud della Francia ma le autorità locali li respingono: il nonno e Lotte insieme a centinaia di fuggiaschi sono trasportati in un campo di raccolta a Gurs, nei Pirenei, dove era detenuta anche Hannah Arendt. Le condizioni di vita nel campo sono difficili, manca l’acqua corrente e una febbre tifoide colpisce molti prigionieri. Il nonno si ammala e dopo un mese nonno e nipote vengono rilasciati e possono rientrare all’Ermitage.

Charlotte ha un crollo nervoso, un esaurimento dovuto a un insieme di fattori come le notizie sui suicidi ricorrenti nella sua famiglia, i rapporti sempre più tesi col nonno e il trauma per il recente internamento. Chiede aiuto al dottor George Moridis, che aveva curato la depressione della nonna; il medico, che era anche psicologo, la spinge a dedicarsi con tutta se stessa alla pittura come unica terapia salvifica contro l’angoscia e il dolore; se vuole sopravvivere deve dipingere la sua storia, perché è l’unica via d’uscita: deve fare rivivere i morti.

Lotte inizia furiosamente a riempire con guazzi e disegni un foglio dopo l’altro, capisce che è la sua unica salvezza; scrive che deve decidersi se togliersi la vita o fare qualcosa di “eccentrico e folle”, dice “Caro Dio, non farmi impazzire” e ai genitori in Olanda “Creerò una storia per non andare fuori di senno”; su uno degli ultimi disegni scrive: “Ero mortalmente infelice perché mi rendevo conto che la mia antica sfiducia negli uomini riprendeva il sopravvento, rigettandomi in uno stato di pigro letargo …. Dovevo restare ancora nella mia solitudine perché solo così potevo forse trovare ciò che cercavo: me stessa … La guerra infuriava e mi sono seduta in riva al mare e ho visto nel profondo del cuore dell’umanità. Ero mia madre, mia nonna, anzi, ero tutti i personaggi della mia commedia. Ho imparato a percorrere tute le strade e sono diventata me stessa”.

Frasi che ricordano quanto la 14enne Anna Frank aveva scritto nel suo impareggiabile diario: “Voglio continuare a vivere dopo la mia morte! E dunque sono grata a Dio per questo dono, questa possibilità di sviluppare me stessa e di scrivere, di esprimere tutto quello che c’è in me. Posso buttare fuori ogni cosa se scrivo; i miei tormenti scompaiono; il mio coraggio rinasce”.

Nel 1941 Charlotte si sposta in una pensione, la Belle Aurore, a Saint-Jean-Cap-Ferrat dove dipingendo senza tregua, in modo quasi ossessivo, anche tre fogli al giorno, compone quell’affresco mirabile della propria esistenza che intitolerà Vita o Teatro?.

Madame Marthe Pécher, padrona della pensione, ricorda che Lotte “deve avere soggiornato da noi per due o tre mesi, non lasciava quasi mai la sua stanzetta. Passava tutto il tempo a dipingere, canticchiando continuamente. Noi ci chiedevamo quando mangiasse e se o quando dormisse. C’era la guerra, era inverno, era freddo e c’era la fame. Spesso, di sera, le portavo una ciotola di minestra calda, la accettava con gioia e parlavamo un po’” (CAPALDO 2019). Scrive Strauss “Era come invasata: si nutriva e dormiva appena, dedita completamente alla sua arte che la dominava come un’autentica passione. In quei quadri voleva raccontare la sua vita, che doveva essere come un libro aperto”.

Il 27 settembre 1941 la signora Moore lascia Villefranche con alcuni dei bambini ebrei che aveva aiutato in quegli anni, diretta, sulla sua lussuosa automobile, in Portogallo dove si imbarcano per New York. Charlotte rientra a L'Ermitage nel 1942 dove trova un amico, forse amante, della signora, Alfred Nagler, un rifugiato ebreo austriaco di 13 anni più anziano, che gestiva la villa e quattro bambini che Ottilie non aveva potuto portare con sé.

Nel novembre del 1942 Hitler decide di occupare militarmente la Francia di Vichy, la conquista della costa mediterranea francese fino a Marsiglia viene affidata all’esercito italiano che organizza un censimento degli ebrei senza esercitare alcuna violenza nei loro confronti nè deportarli altrove. Lotte si presenta all’ufficio stranieri di Nizza per dichiararsi ebrea.

Madame Pécher ricorda che le aveva chiesto perché compiva quel gesto che poteva ritorcersi contro di lei, la risposta fu “perché c’è una legge, e dal momento che io sono ebrea, mi è sembrato corretto presentarmi” (Lowenthal Felstiner 1944). Autodenuncia che poteva finire in tragedia in quanto Lotte uscita dall’ufficio viene caricata su un autobus senza avere spiegazioni, ma un gendarme italiano, non si sa perché, la fa scendere dicendole di rientrare subito a casa. L’autobus l’avrebbe sicuramente condotta in Polonia, in qualche campo di concentramento e di annientamento di cui allora nessuno conosceva l’esistenza.

La scelta volontaria di “presentarsi” alle autorità, di apparente ingenuità o di folle senso del dovere, “si adatta perfettamente con la svolta esteriore e audacemente espositiva che il suo lavoro aveva ora preso. Forse non ha resistito a questa opportunità di fare nella vita reale ciò che cercava di fare nel suo lavoro: esigere il riconoscimento della sua esistenza” (Bernard 2000).

Dopo questo evento Lotte realizza che non c’è più tempo da perdere e si dedica freneticamente a terminare la sua monumentale opera, passa dai guazzi alla parola scritta con le quali riempie gli ultimi fogli; nella pagina iniziale scrive amare e criptiche parole: “St Jean-Cap-Ferrat, agosto 1941/1942; o tra cielo e terra fuori dalla nostra era nell’anno 1 della Nuova Salvezza”.

Periodicamente Lotte va a trovare il nonno a Nizza, queste visite sono per lei penosissime data la totale incompatibilità caratteriale con il vecchio. Il nonno muore e viene sepolto il 12 febbraio 1943 nel cimitero di Nizza. Su questa morte, in una lunga lettera intitolata “Confessione” al suo unico grande amore Andrea Wolfsohn, resa nota molti anni dopo, nel 2012, Lotte si autoaccusa di avere avvelenato il nonno che sembra avesse anche abusato di lei, durante una visita nel febbraio del 1943. Realtà o una rivalsa della sua fantasia dettata dall’odio verso quella persona? La lettera alimenterà un lungo dibattito, ma dalla testimonianza di una agenzia di pompe funebri di Nizza sembra invece che l’anziano fosse stramazzato in strada per un collasso; raccolto e riportato a casa, era mancato poco dopo.


Tra Nagler e Charlotte nasce una relazione che, con la morte dell’ingombrante nonno assolutamente contrario a una loro unione per la diversa posizione sociale, evolve in un rapporto sempre più stretto. Lotte definisce Albert “il vaso vuoto in cui ho bisogno di riversare le mie idee folli”, resta incinta, e decidono allora insieme di affrettare il loro matrimonio che si svolge il 17 giugno 1943 al Municipio di Nizza. Testimoni sono il dottor Moridis, il medico condotto di Villefranche, che aveva seguito sempre con affetto e competenza Charlotte spronandola a dedicarsi alla pittura, e sua moglie.


La governante de L'Ermitage imbandisce un banchetto di nozze con l’argenteria, la cristalleria e le porcellane della villa e un capretto che lo sposo è riuscito a procurarsi. È un momento di serenità per Charlotte, ma Nagler ha commesso un errore che si rivelerà un autosabotaggio: la carta d’identità procuratagli dal dottor Moridis era priva del timbro che lo definiva ebreo e quando richiede alla prefettura di Nizza i documenti per il matrimonio, si sente rispondere che, in base alle leggi razziali, non può sposare un’ebrea. Nagler dichiara allora di essere anche lui di origine ebraica e ottiene così il documento necessario per le nozze.


Venuto a conoscenza dell’accaduto il dottor Moridis esorta la coppia a nascondersi immediatamente essendo oramai ambedue identificati come ebrei, rifugiandosi in un suo appartamento a Nizza, ma i coniugi non resistono a lungo rinchiusi in quegli angusti locali e rientrano poco dopo all’Ermitage, il loro paradiso terrestre.

 

Qualche settimana dopo le nozze Charlotte consegna al dottor Moridis, che l’accoglie mentre sta cenando, gli oltre 1.300 fogli della sua opera d’arte completa, “Gesamtkunstwerke” nel senso Wagneriano di fondere insieme letteratura, musica e arti visive, dedicata a Ottilie Moore, avvolti con cura in tre pacchi di carta marrone contenuti in una valigia dicendogli: “Tienili al sicuro. Sono tutta la mia vita”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]