[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 155 / NOVEMBRE 2020 (CLXXXVI)


contemporanea

CHAPLIN E IL GRANDE DITTATORE 

UN CAPOLAVORO DI INTELLIGENCE SULLA GERMANIA NAZISTA

di Gianfranco Massetti 

   

Sulle pagine del londinese “Spectatoril 21 aprile del 1939 compariva un articolo anonimo su Charlie Chaplin. «La Provvidenza – diceva l’articolo – era in vena d’ironia quando, esattamente cinquant’anni fa, dava ordine che Charles Chaplin e Adolf Hitler facessero il loro ingresso nel mondo a quattro giorni di distanza l’uno dall’altro […] Entrambi, in modi diversi, hanno espresso le idee, i sentimenti, le aspirazioni dei milioni di cittadini che si arrabattano fra le sfere più alte e quelle più umili della società; la data di nascita quasi comune e i baffetti identici (volutamente grotteschi in Chaplin) potrebbero essere stati preparati dalla natura stessa per sottolineare la natura analoga del loro genio; ché entrambi, senza dubbio, di genio sono dotati. Tutti e due rispecchiano la stessa realtà: la condizione del “piccolo uomo” nella società moderna; e tutti e due la rispecchiano in modo distorto, l’uno in senso positivo, l’altro in senso orribilmente negativo. In Chaplin, l’ometto è un clown timido, inefficiente, pieno di infinite risorse ma sconcertato da un mondo che non ha posto per lui: se dà un morso a una mela, ci trova un verme; i suoi pantaloni, lacero residuo di eleganza, lo fanno inciampare; il suo bastone da passeggio arieggia a uno chic del tutto ingiustificato; se aziona una leva è quella clamorosamente sbagliata e ne consegue una catastrofe. È una figura eroica, ma eroica solo nel senso che sa affrontare tutti i colpi del destino con pazienza e con spirito indomito; è una figura che emula gli angeli nel suo comportamento ingenuo e nella sua grande capacità d’amore. In Herr Hitler, invece, l’angelo è diventato un demonio; gli stivali senza suola si sono trasformati in Reitstieffeln; i pantaloni sformati in costume da cavallerizzo; il bastone da passeggio in un frustino; la bombetta in una bustina militare. Insomma, il vagabondo si è arruolato fra i così detti “Sturmtruppen”: solo i baffi rimangono gli stessi».

 

Alla data di questo articolo, gli avvenimenti stavano già precipitando. Hitler nel marzo del 1938 aveva attuato con un colpo di mano l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, a cui era seguita nel maggio l’occupazione dei Sudeti. La conferenza di Monaco del 29 settembre dello stesso anno aveva differito la guerra soltanto di qualche mese. Infatti, l’inizio della primavera del 1939 aveva coinciso con la violazione dei patti di Monaco, in seguito all’occupazione tedesca della Cecoslovacchia e alla rivendicazione della città di Danzica e del “corridoio” per la Prussia Orientale, ai danni della Polonia.

 

Nell’autunno del 1940, quando il conflitto stava già dilagando in tutta Europa, usciva nelle sale cinematografiche Il grande dittatore di Chaplin, la satira del barbiere ebreo che rievoca la vicenda del caporale tedesco divenuto dittatore della Germania. Come sosia del dittatore, il barbiere si sostituisce a lui e il clamoroso epilogo della vicenda è il discorso di Chaplin, un inno all’uguaglianza e alla pace. Così, Il grande dittatore segna per l’attore inglese l’abbandono del cinema muto e l’archiviazione del personaggio di Charlot, che attraverso questo lungo discorso, pieno di buoni sentimenti, pone fine alla sua carriera di comico.

 

L’analisi condotta intorno alla figura di Charlot da parte di Hannah Arendt, che lo assimila allo schlemil di Heine, ovvero, secondo la filologia ebraica del termine, allo She-lû-nu-el, “colui che non vale nulla”, si basa fondamentalmente su un presupposto errato: quello delle origini ebraiche di Chaplin; una vera e propria leggenda metropolitana, che risale all’epoca de Il grande dittatore e che Chaplin non smentirà fino al termine della guerra.

 

Di questa leggenda metropolitana, che trova credito in una biografia del 1940 di Gerith von Ulm e addirittura in numerosi documenti del FBI, la Arendt, quando nel 1948 scrive Charlie Chaplin: Der Suspekte, non ne è al corrente.

 

«Ciò che ha condotto tutto il popolo ebreo ai più fatali risultati – scrive la Arendt – la sua totale incomprensione per la politica e la sua solidarietà e unità popolare incurante di tutti i rapporti moderni, ha prodotto nell’epoca moderna un’opera incredibilmente bella e unica nel suo genere: i film di Charlie Chaplin. In essi il popolo meno amato del mondo ha generato la più amata figura del tempo, la cui popolarità non si basa su opportune mutazioni delle allegre, stravecchie farse, ma, molto di più, si fonda sul risveglio di una qualità che, dopo un secolo di lotte di classe e di interessi, si era creduta già quasi morta: il soggiogante fascino del piccolo pover’uomo del popolo. Già nei primi film, Chaplin ci fa vedere come il piccolo pover’uomo entri sempre inevitabilmente in conflitto con i tutori della legge e dell’ordine, i rappresentanti della società […]. Infatti agli occhi della società Chaplin è sempre, e per principio, sospettato, così sospettato che la straordinaria molteplicità dei suoi conflitti è percorsa da un unico filo conduttore: nessuno, neanche la vittima, si chiede se è giusto o ingiusto. Molto prima che il sospettato si trasformi nella figura dell’“apolide”, il reale simbolo della figura di paria, molto prima che veri uomini avessero bisogno, anche solo per sopravvivere, delle proprie astuzie di mille specie e della grande bontà occasionale, Chaplin istruito dalle decisive esperienze della sua infanzia, aveva rappresentato la secolare paura ebraica davanti al poliziotto in cui s’incarna un ambiente ostile, e la secolare saggezza ebraica per cui l’umana astuzia di Davide può avere in certi casi la meglio sulla forza bestiale di Golia. Ne risultò che il paria, che sta al di fuori della società e che è sospetto a tutto il mondo, godeva invece la simpatia del popolo che evidentemente ritrovava in lui tutto quanto di umano ha il suo diritto nella società. Quando il popolo rideva per la travolgente rapidità con cui Chaplin faceva sempre diventare vero il modo di dire “amore a prima vista”, faceva però capire anche, nel modo meno appariscente, che questo ideale d’amore era pur sempre amore nel senso in cui il popolo lo intendeva – anche se gli è difficilmente concesso di farlo avverare».

 

Seguiva la Arendt in questa interpretazione del personaggio di Charlot, per collocarlo però in un contesto culturale meno “esotico” e maggiormente universale, uno studioso come Dolf Sternberger che già aveva assimilato Charlot al Don Chisciotte di Cervantes e all’Idiota di Dostoevskij. A penetrare con particolare acume l’arte di Chaplin nel contesto della nascente cultura di massa è invece un’analisi, anche se incompiuta, come tutta la sua vita, di un altro intellettuale tedesco: Walter Benjamin.

 

Col cupo presentimento dell’imminente catastrofe che doveva abbattersi sulla Germania, Benjamin interpreta quest’arte come una radicale dissacrazione nei confronti della falsa coscienza del mondo contemporaneo, dietro al cui sussiego si nasconde una comicità che volge in tragedia. Nel 1934, dopo aver sentito un discorso di Hitler alla radio, egli ci lasciava degli appunti, che citiamo dall’introduzione di Ritter Santini alla raccolta di alcuni saggi di Sternberger.

 

«La diminuita virilità di Hitler – sctive Benjamin – da confrontare con quell’arte femminile dei miserabili come li rappresenta Chaplin, tanto splendore e tanta meschinità. I seguaci di Hitler da confrontare con il pubblico di Chaplin. Chaplin – la lama dell’aratro che penetra le masse; il riso che scioglie la massa. Il terreno del Terzo Reich calpestato e su cui non crescerà più filo d’erba. Proibizione delle marionette in Italia, dei film di Chaplin nel Terzo Reich. Ogni marionetta può imitare la mascella di Mussolini e ogni pollice di Chaplin può imitare il Fürer. Il povero diavolo vorrebbe essere preso sul serio e vuol subito offrire l’inferno intero. La docilità di Chaplin è visibile agli occhi di tutti, quella di Hitler solo a quelli dei suoi committenti. Chaplin presenta la comicità della serietà di Hitler; quando lui fa l’uomo per bene sappiamo chi è il Fürer. Chaplin è diventato il più grande attore comico perché ha incarnato il più profondo orrore dei contemporanei. Il modello di Hitler non è quello militare ma quello all’ultima moda del signore distinto, gli emblemi feudali del potere sono fuori corso; resta solo la moda maschile. Anche Chaplin si attiene alla moda maschile. Lo fa per prendere in parola la casta dei signori. Il suo bastoncino è la canna a cui si arrampica il parassita (il vagabondo è un parassita come il signore distinto) e la sua bombetta che non sta più salda in testa rivela che pencola anche il potere della borghesia. Si farebbe torto alla figura di Chaplin se la si interpretasse solo psicologicamente».

 

A Chaplin, l’idea di sceneggiare un film sul dittatore tedesco era stata suggerita da Alexander Korda nel 1937. Tuttavia, il progetto avrebbe preso consistenza solo un anno dopo, a partire dall’idea centrale del film, giocata sull’equivoco del sosia Hitler-Charlot. A detta di David Robinson, biografo ufficiale dell’artista, nel dicembre del 1938, Chaplin aveva già preso sul film decisioni definitive, anche per quanto riguardava il finale.

 

Il 1° settembre 1939 le armate tedesche invadevano la Polonia e Chaplin terminava la sceneggiatura, che il 3 settembre, data della dichiarazione di guerra dell’Inghilterra, era definitivamente ciclostilata. Le riprese del film cominciarono il 9 settembre del 1939 e proseguirono fino al marzo del 1940. Il discorso finale di Chaplin fu registrato soltanto nel giugno, mentre gli ultimi ritocchi alle riprese e al montaggio ebbero luogo verso la fine dell’estate. La prima del film fu tenuta il 15 ottobre a New York e il 16 dicembre fu la volta della prima inglese, a Londra. Esattamente un anno dopo gli Stati Uniti entravano in guerra contro la Germania.

 

Il grande dittatore doveva essere sul piano della propaganda contro il nazismo un’opera devastante. La trovata del barbiere ebreo che si sostituisce al dittatore di Tomania non è soltanto una satira nei confronti dell’antisemitismo di Hitler, ma rappresenta un raffinato lavoro psicologico di intelligence, sul quale sarebbe opportuno e interessante stabilire fino a che punto arrivasse la consapevolezza di Chaplin o le intenzioni di chi l’avevano potuto ispirare in questa direzione.

 

È importante ricordare a questo proposito che David Robinson nella sua biografia di Chaplin dice che all’epoca della guerra in Europa un’indagine della Gallup aveva riscontrato tra gli americani una contrarietà all’intervento nel conflitto pari al 96%.

 

Negli Stati Uniti, coloro che simpatizzavano coi regimi fascisti europei erano inoltre molto numerosi, e i più influenti fra essi cospiravano per tenere il loro paese fuori dalla guerra. Tra quanti esprimevano sentimenti di amicizia per la Germania di Hitler doveva esservi anche il magnate della carta stampata William Randolph Hearst, intimo amico di Chaplin, alla cui figura si sarebbe ispirato qualche anno dopo il regista Orson Welles per la realizzazione di Quarto potere.

 

È invece indubbio che il film di Chaplin abbia contribuito a spostare l’opinione pubblica americana in direzione di una totale solidarietà con l’Inghilterra e la Francia attraverso quella che si può benissimo definire un’eccellente opera di intelligence sul dittatore tedesco.

 

Intorno alla metà del 1930, Hitler si stava avviando verso un’importante carriera politica. Fu a questo punto che ricevette una notizia secondo la quale due persone stavano trattando con dei giornali americani del gruppo Hearst la pubblicazione di una storia inerente alcuni fatti privati della sua famiglia. Queste due persone erano l’ex moglie e il figlio inglesi del fratellastro di Hitler, Alois junior, che dal 1910 fino a poco prima lo scoppio della grande guerra aveva soggiornato a Liverpool, in Gran Bretagna. Una volta allontanatosi dall’Inghilterra, senza lasciare traccia di sé, Alois si era poi risposato in Germania, andando incontro, intorno alla prima metà degli anni Venti, a un processo per bigamia.

 

Tuttavia, con la vicenda del fratellastro, le notizie riservate che i parenti inglesi del Fürer volevano rendere pubbliche non c’entravano nulla. Stando alle ipotesi messe larvatamente in circolazione dai giornali, si sarebbe invece trattato della possibilità che nella famiglia di Hitler ci fosse un parente prossimo di razza ebraica.

 

Del resto, la cosa non costituiva una novità, dal momento che nel 1921 sul “Münchener Post”, un giornale finanziato dal partito socialdemocratico bavarese, era comparso un articolo su Hitler che faceva riferimento alle sue presunte origini ebraiche. In quel caso, si trattava però di un attacco sostenuto attraverso le voci diffamatorie di una fazione di minoranza del suo partito, contraria alla leadership politica di Hitler.

 

Ben diversa era invece la circostanza dei parenti inglesi che non si sa bene quali notizie volessero mettere in circolazione sulla famiglia del Fürer. L’intera vicenda venne messa a tacere dal fratellastro di Hitler che invece offriva al gruppo Hearst la disponibilità a scrivere un più edulcorato articolo biografico sul Fürer, regolarmente apparso il 30 novembre 1930 sul periodico di New York “American”.

 

La satira del barbiere ebreo, inventata da Chaplin per Il grande dittatore, alla luce di una scena successivamente scartata per il timore di incontrare il veto della censura, risulta in questo senso molto significativa. La scena soppressa, dove appare la figura della moglie del dittatore, eliminata anch’essa nella stesura definitiva della sceneggiatura, viene riportata nella biografia di Robinson dalla quale trascriviamo i dialoghi.

 

Signora: “Sono una donna. Ho bisogno d’affetto, e tutto quello a cui sai pensare è lo Stato. Lo STATO !!! Hai idea in che stato sono io?”.

 

Hynkel: “Tu ti aspetti troppo da me. Purtroppo anch’io invecchio. E a volte mi chiedo…”.

 

Signora: “La vita è breve, e questi momenti sempre più rari […] Ricorda, Hyinkel, che io ho fatto di tutto per te. Mi sono fatta persino un’operazione […] al naso. E sta’ bene attento, potrei dire a tutti che sono ebrea!”.

 

Hynkel: “Zitta!”.

 

Fanny: “E poi non sono mica tanto sicura che non sia ebreo anche tu. Stasera per cena avremo gefülte fish” [si tratta di un piatto ebraico n.d.r.].

 

Hynkel: “Zitta, per carità!” .

 

In Germania, tra i numerosi pettegolezzi che correvano intorno alla figura di Hitler vi era anche quello raccolto dal corrispondente americano del “Sun”, Frederick Oechsner. In un rapporto per i servizi segreti americani, egli riferisce di una presunta operazione al naso di Hitler. Il suo rapporto risale tuttavia al 1942. Inoltre, egli sarebbe stato l’unico a riferirsi alla circostanza.

 

La scena archiviata da Chaplin per il suo film, che parla di un’operazione al “naso ebraico” della signora Hinkel, può essere soltanto una coincidenza, anche se non bisogna trascurare il fatto che tra le possibili fonti dell’artista riguardo alla figura di Hitler potevano esserci anche le indiscrezioni dell’amico Cornelius Vanderbilt, pure lui corrispondente estero dalla Germania.

 

Negli Stati Uniti, delle origini ebraiche di Hitler si comincerà a parlarne soltanto nel 1940, con l’arrivo in esilio di Fritz von Thyssen, il re dell’acciaio tedesco, che in alcuni suoi scritti rivelava di aver finanziato il partito nazista. Egli riferiva anche, in un suo memoriale, di un rapporto commissionato ai servizi segreti austriaci dal Cancelliere Dollfuss. In base a questo fantomatico rapporto sarebbe addirittura documentata la discendenza di Hitler dalla famiglia Rothscild di Vienna, presso la quale la nonna paterna del Fürer si presume avesse lavorato come domestica.

 

Che queste voci, già ricorrenti nel corso della carriera politica di Hitler, avessero ripercussioni sull’altra sponda dell’oceano Atlantico, proprio a cavallo tra l’entrata in guerra degli Stati Uniti e l’apertura del “secondo fronte” in appoggio all’Unione Sovietica, può essere comprensibile a partire dai presupposti della guerra psicologica che opponeva gli schieramenti rivali.

 

Ciò è sintomatico del fatto che fosse attribuita in Germania altrettanta importanza a una notizia priva di fondamento come quella secondo cui anche il presidente Roosevelt discendeva da una famiglia di ebrei olandesi. Il credito attribuito dai nazisti – e non solo da loro – a informazioni di questo tipo derivava dal fatto che la più antica esegesi intorno alla figura dell’Anticristo, che risale a un testo di Ireneo per giungere fino a San Tommaso d’Aquino, vuole che questi sia un discendente ebreo della tribù di Dan.

 

Un ruolo molto importante di questa guerra psicologica che investiva tanto l’interesse per l’astrologia quanto quello per le centurie di Nostradamus rivestirono i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che Hitler riteneva attendibili a dispetto della loro comprovata falsità. In essi, lo spettro del millenarismo apocalittico e la paura dell’Anticristo convivevano, appunto, con la menzogna di una cospirazione mondiale giudeo-massonica.

 

Confezionato nella Russia zarista all’inizio del novecento, il pamphlet antisemita dei Savi Anziani, prima ancora che quello del Fürer, avrebbe incontrato il favore del più grande magnate dell’industria automobilistica americana: Henry Ford. L’imprenditore di origini irlandesi che aveva adottato l’organizzazione scientifica del lavoro, stupendamente satireggiata da Chaplin in Tempi Moderni, fu anche colui che diede ampio impulso alla divulgazione dei Protocolli non solo negli Stati Uniti, ma nell’intero mondo occidentale. Dopo aver provveduto, tra l’altro, al finanziamento dei nazisti, Henry Ford ebbe l’onore di comparire col suo ritratto sulle pareti dell’ufficio politico di Hitler nella sede storica del partito, a Monaco.

 

Molti sono i misteri che avvolgono la figura di Hitler, ma ce ne sono altrettanti intorno a quella di Chaplin, a proposito del quale i servizi segreti britannici potrebbero essere invece molto eloquenti.

 

Chaplin era giunto in America nel 1910, al seguito della compagnia teatrale di Karno, per rappresentare The Wow-Wows, una parodia sulle società segrete, che al di là dell’Atlantico godevano di un vasto seguito. Dopo la sua tournée, avrebbe scelto tuttavia di rimanere a lavorare negli Stati Uniti, pur non assumendone mai la cittadinanza.

 

Fu così che nei primi anni Cinquanta, quando venne accusato di essere un militante comunista, poté rinunciare al proprio visto di ingresso per quel paese con minor rimpianto, anche se poi trascorse il resto della propria vita a domandarsi come fosse potuto accadere che gli muovessero queste accuse. Senza la volontà di essere maliziosi, si potrebbe avanzare il sospetto che a porre fine alla carriera di Chaplin negli Stati Uniti fosse stato qualcuno che non aveva dimenticato la satira del barbiere ebreo ne Il grande dittatore.

 

 

Riferimenti bibliografici:

  

H. Arendt, Il futuro alle spalle, trad. it. di una scelta di articoli, a cura di Lea Ritter Santini , Bologna 1981.

N. Cohn, Warrant for genocide; The mith of the Jewish world-conspiracy and the protocols of the Elders of Zion, London 1967, trad. it. Licenza per un genocidio.I “Protocolli degli Anziani di Sion”. Storia di un falso, Torino 1969.

C.G. De Michelis, Il manoscritto inesistente. “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, Venezia 2004.

E. Howe, Astrology and psychological warfare during World War II, London 1972, trad. it. Gli astrologi del nazismo, Milano 1968.

D. Robinson, Chaplin,his life and art, New York 1985, trad. it. Chaplin la vita e l’arte, Venezia 1987.

R. Rosenbaum, Explaining Hitler:the search for the origins of his evil, New York, 1998, trad. it. Il mistero Hitler, Milano 1999.

D. Sternberger, Ombre del mito, trad. it. di una scelta di scritti a cura di Lea Ritter Santini, Bologna 1992. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]