N. 61 - Gennaio 2013
(XCII)
IL CENTRISMO SECONDO ROMEO
i pregi di un modello
di Ivan Buttignon
Pragmatismo,
buonsenso,
realismo:
ecco
le
qualità
che
Rosario
Romeo,
storico
e
politico,
ravvisa
nel
Centrismo.
Una
formula
inedita,
quella
del
Centrismo,
con
una
DC
nel
suo
periodo
di
massima
egemonia
politica,
ma
che
continua
a
puntare
sull’alleanza
con
partiti
laici
minori.
I
socialisti
anticomunisti
di
Saragat
del
PSLI
(poi
PSDI),
e le
forze
storiche
del
Risorgimento:
i
Liberali
a
destra
con
il
PLI
e i
Repubblicani
a
sinistra
con
il
PRI,
partito
di
Romeo.
Componente
essenziale
della
politica
centrista
è,
secondo
Romeo,
una
moderata
dose
di
riformismo
che,
senza
stravolgere
gli
equilibri
sociali,
garantisce
al
Governo
il
consenso
della
masse
popolari,
soprattutto
dei
contadini.
Sono
“Governi
del
fare”,
quelli
che
si
innestano
tra
il
‘48
e il
‘58,
o,
per
dirla
con
Romeo,
“Governi
del
fare
bene”.
Il
senso
della
misura
e il
saldo
rigore
sono
le
coordinate
che
accompagnano
tutti
i
provvedimenti
di
legge
del
periodo
centrista:
la
riforma
agraria
(‘50)
che
spezza
il
potere
della
grande
proprietà
assenteista
e
che
va
incontro
alle
attese
delle
masse
agrarie;
la
Cassa
per
il
mezzogiorno
(‘50)
che
promuove
lo
sviluppo
economico
e
civile
delle
regioni
meridionali;
la
Legge
Fanfani
(‘49)
sul
finanziamento
delle
case
popolari;
la
riforma
Vanoni
(‘51),
che
introduce
per
la
prima
volta
l’obbligo
della
dichiarazione
annuale
dei
redditi;
la
liberalizzazione
degli
scambi
con
l’estero
(‘51)
attuata
da
Ugo
La
Malfa.
E
ancora
il
Piano
Vanoni
(‘55),
che
introduce
il
primo
tentativo
di
programmazione
economica
mai
sperimentato
in
Italia;
infine,
l’istituzione
del
Ministero
delle
Partecipazioni
statali
(‘56),
col
compito
di
coordinare
l’attività
delle
aziende
di
Stato
e
intervenire
più
incisivamente
nella
gestione
dell’economia.
Grazie
a
queste
iniziative,
coniugate
con
una
politica
economica
basata
sull’austerità
finanziaria
e
sul
contenimento
dei
consumi
privati,
i
Governi
centristi
modernizzano
il
Paese,
consolidano
la
ripresa
economica
e
rafforzano
i
legami
con
l’Europa
più
avanzata.
Sarà
il
periodo
successivo,
quello
del
Centro-sinistra,
che
-
così
suggerisce
Romeo
-
infrangerà
l’equilibrio
raggiunto
con
la
formula
centrista.
I
mutamenti
economici
e
sociali
suscitati
dal
“miracolo
italiano”
si
accompagnano,
all’inizio
degli
anni
‘60,
all’allargamento
delle
basi
del
sistema
politico,
attraverso
l’ingresso
dei
socialisti
nell’area
di
governo.
La
svolta
matura
in
seguito
a
diversi
avvenimenti,
tutti
drammatici.
Nella
primavera
del
1960
il
democristiano
Fernando
Tambroni
non
riesce
a
trovare
un
accordo
con
socialdemocratici
e
repubblicani,
che
vogliono
invece
accelerare
i
tempi
dell’apertura
a
sinistra.
Forma
allora
un
monocolore
Dc
con
l’appoggio
esterno,
e
determinante,
del
Msi.
I
partiti
laici
protestano
e la
stessa
sinistra
Dc,
cui
Tambroni
è
un
esponente,
si
dimette
dal
Governo.
È
nel
giugno
dello
stesso
anno
che
la
tensione
esplode:
il
Governo
autorizza
il
Msi
a
tenere
il
suo
congresso
nazionale
a
Genova,
città
medaglia
d’oro
alla
Resistenza.
La
decisione
suscita
una
vera
sollevazione
popolare.
Dal
30
giugno
al 2
luglio
operai
e
militanti
antifascisti
si
scontrano
duramente
con
la
polizia
che
cerca
di
garantire
lo
svolgimento
del
congresso.
Alla
fine
è
il
Governo
a
cedere
e a
rinviare
il
congresso.
Ma
le
manifestazioni
antigovernative
vengono
soppresse
nel
sangue,
con
una
decina
di
morti,
cui
cinque
solo
a
Reggio
Emilia.
Tambroni
viene
sconfessato
dal
suo
stesso
partito
e
costretto
a
dimettersi.
Con
questa
esperienza
tramonta
qualsiasi
ipotesi
di
collaborazione
tra
la
Dc e
l’estrema
destra.
Questa
gravissima
crisi
è
superata
con
un
nuovo
Governo
monocolore
Dc
presieduto
da
Fanfani,
che
nell’agosto
1960
ottiene
l’astensione
dei
socialisti.
Si
apre
così,
politicamente
ma
non
ufficialmente,
la
stagione
del
Centro-sinistra.
L’ufficialità
è
sancita
dal
congresso
della
Dc
nel
gennaio
del
‘62.
È
Aldo
Moro
che
in
questa
occasione
fa
accettare
la
svolta
al
suo
partito.
Concretamente
di
Centro-sinistra,
è
il
nuovo
Governo
Fanfani,
formato
nel
marzo
del
‘62.
Questo
si
compone
infatti
da
Dc,
Psdi,
Pri
e
presenta
un
programma
concordato
con
il
Psi,
che
si
impegna
a
dare
il
suo
appoggio
a
singoli
progetti
di
legge.
Il
programma
si
ispira
alla
programmazione
economica,
nucleo
qualificante
e
obiettivo
prioritario
del
disegno
riformatore.
Disegno
che
punta
a un
più
incisivo
intervento
statale
nell’economia,
così
da
ridurre
gli
squilibri
sociali
(tra
classi)
e
territoriali
(fra
Nord
e
Sud
del
Paese).
Il
Governo
nazionalizza
l’industria
elettrica
nel
novembre
del
‘62,
creando
l’Enel,
Ente
nazionale
per
l’energia
elettrica.
In
dicembre
è
approvata
la
legge
di
riforma
che
istituisce
la
scuola
media
unica,
abolendo
al
contempo
gli
istituti
di
avviamento
professionale.
Le
elezioni
del
‘63
sanzionano
però
la
Dc e
il
Psi,
mentre
premiano
il
Pli
a
destra,
che
si
è
opposto
alla
formazione
del
Centro-sinistra,
e il
Pci
a
sinistra,
altrettanto
avverso
al
Governo.
Questo
risultato
accentua
le
resistenze
della
destra
Dc
ed
esasperano
le
divisioni
interne
al
Psi.
Tale
risultato
costringe
a
misurare
i
toni
e
spiega
quindi
la
natura
più
moderata
(rispetto
all’omologo
Fanfani)
del
Governo
“organico”
di
Centro-sinistra
presieduto
da
Aldo
Moro.
Il
processo
riformatore
viene
de
facto
bloccato.
La
nuova
veste
moderata
costa
al
Psi
un
nuovo
inasprimento
dei
dissidi
interni,
che
provocano
un’altra
scissione:
la
sinistra
del
partito
dà
vita
al
Psiup,
Partito
socialista
di
unità
proletaria.
Mentre
questo
si
allea
formalmente
con
il
Pci,
nel
‘66
il
Psi
si
fonde
con
il
Psdi,
per
poi
separarsi
nuovamente
due
anni
dopo.
Il
nuovo
corso
politico
è
l’artefice,
tra
l’altro,
di
un
maggiore
peso
delle
organizzazioni
sindacali,
grazie
soprattutto
all’approvazione
da
parte
del
Parlamento,
nella
primavera
del
‘70,
dello
Statuto
dei
lavoratori.
Statuto
che
prevede
norme
che
garantiscono
le
libertà
sindacali
e i
diritti
dei
lavoratori
all’interno
delle
aziende.
Un’altra
riforma
strutturale
riguarda
ancora
l’istruzione
ed
è
data
1968:
gli
accessi
alle
facoltà
universitarie
vengono
liberalizzati.
Il
provvedimento
non
è
però
accompagnato
da
una
riforma
complementare,
quanto
mai
necessaria,
che
riguardi
le
scuole
superiori
e la
stessa
università.
Fra
il
‘68
e il
‘70
sono
istituite
le
Regioni,
come
previsto
dalla
Costituzione,
e
nel
giugno
del
‘70
si
tengono
le
prime
elezioni
regionali.
In
dicembre
è
approvata
la
legge
Fortuna-Baslini
che
introduce
l’istituto
del
divorzio,
poi
sottoposta
a
referendum
quattro
anni
dopo.
Il
dicembre
del
‘75
(sei
mesi
dopo
gli
schiaccianti
successi
ottenuti
dal
Pci
alle
amministrative
del
Centro-nord,
che
consentirà
la
formazione
di
molteplici
Giunte
di
Sinistra)
segna
l’inizio
del
disimpegno
socialista
e in
pratica
la
fine
dell’esperienza
del
Centro-sinistra.
Il
Centrismo
è
quindi
il
modello
che
ha
posto
in
essere
due
pilastri:
la
ferma
difesa
dell’area
democratica
e la
fruttuosa
collaborazione
con
i
partiti
laici,
rimuovendo
lo
steccato
che
in
modo
dogmatico
nel
corso
della
storia
ha
diviso
laici
e
cattolici.
Il
Centrismo,
ancora,
è la
formula
che
ha
permesso,
dal
‘47,
il
miracolo
economico.
Il
reddito
nazionale,
dal
‘51
al
‘61,
aumenta
del
75,5%
a
prezzi
costanti
(grazie
alle
politiche
deflazionistiche
di
Einaudi).
Soprattutto
dal
‘53,
il
Paese
si
modernizza,
la
ripresa
economica
si
consolida,
si
rafforzano
i
legami
con
l’Europa
più
avanzata
(che
collimano
nel
marzo
del
‘57
con
l’adesione
italiana
al
Mercato
comune
europeo),
grazie
alla
completa
liberalizzazione
degli
scambi
con
l’estero
attuata
da
La
Malfa.
Dall’altra
parte,
il
Centro-sinistra.
L’apertura
al
PSI,
forza
politica
che
prende
ufficialmente
le
distanze
dal
bolscevismo
sovietico
ma
non
anche
dal
dogmatismo
socialista,
porterà
l’Italia
verso
una
crisi
dalla
quale
non
si
risolleverà
più.
Con
il
PSI
al
potere,
il
Governo
asseconda
una
nuova
stagione
di
politiche
sindacali,
sacrosante
per
alcuni
aspetti
(potere
d’acquisto
dei
salari
più
equo
e
giusto)
ma
venefiche
per
altri
(aumenti
sindacali
svincolati
dalla
produttività),
provocando
una
divaricazione
sempre
più
netta
tra
occupati
e
disoccupati;
una
flessione
dei
risparmi
e
degli
investimenti;
un
aumento
incontenibile
dei
consumi
privati;
dal
‘73,
un
abnorme
debito
pubblico
nazionale.
Secondo
Rosario
Romeo
il
problema
non
è
solo
economico
ma
anche
culturale.
L’egualitarismo
equivoco
di
pura
marca
giacobina
si
manifesta
con
la
liberalizzazione
degli
accessi
universitari.
Qualunque
diploma
permette
l’accesso
ai
diversi
corsi
universitari.
Il
provvedimento
non
prevede
un
riassetto
formativo
delle
scuole
superiori
(rendendole
più
qualificanti
coerentemente
a
questa
novità)
e
non
prevede
prove
d’ammissione
e
corsi
a
numero
chiuso
che
premino
realmente
i
più
meritevoli.
Ma
per
fortuna,
secondo
Romeo,
esiste
un
“modello”
valido
per
tutte
le
stagioni.
Un
modello
che:
sappia
confrontarsi
con
l’ostilità
del
mondo
politico,
economico,
sindacale,
cattolico,
e
anche
con
Confindustria,
senza
per
questo
diventare
uno
strumento
di
una
o
più
d’una
di
queste
categorie
(come
fecero
Einaudi,
De
Gasperi,
Vanoni,
La
Malfa
quando
i
rappresentanti
di
Confindustria
Costa
e
Quintieri,
vollero
tutelare
gli
interessi
di
alcune
lobby
industriali
conservatrici,
motivate
dalla
preoccupazione
di
non
reggere
del
tutto
la
concorrenza
estera,
dopo
un
lungo
periodo
di
protezionismo);
sappia
agire
contro
quel
consumismo
incontrollato
che
toglie
risorse
pubbliche
preziose
per
lo
sviluppo,
dedicandole
invece
alla
coesione
sociale,
alla
qualità
della
pubblica
amministrazione
e
della
burocrazia,
per
riavviare
lo
sviluppo
nelle
aree
arretrate;
voglia
coniugare
i
lineamenti
politici
della
migliore
Destra
(ordine
pubblico
funzionale,
liberalismo
etico,
orgoglio
nazionale)
con
quelli
della
migliore
Sinistra
(misurato
riformismo,
dirigismo
economico
nei
settori
di
difficoltà,
confronto
costruttivo
con
le
parti
sociali)
rimanendo
al
Centro.
Costruendo
cioè
una
grande
casa
di
forze
politiche
al
di
sopra
degli
interessi
particolari
(territoriali,
di
classe,
ideologici)
che
con
metodi
cristiani
lavori
per
il
bene
dell’Italia,
in
armonia
con
l’Europa
e
con
il
Mondo.
Troppo
spazio
allo
strapotere
dell’industria,
forse,
durante
gli
anni
del
Centrismo.
Ma
anche
politiche
repressive
di
Scelba,
antagonismo
esasperato
tra
forze
sociali
fomentato
proprio
dai
governanti,
politiche
economiche
improntate
all’accumulo
dei
profitti
non
sempre
a
beneficio
della
collettività.
E
ancora,
avversità
all’interno
dello
schieramento,
difficoltà
a
contemperare
posizioni
progressiste
e
conservatrici,
contrasti
dovuti
a
personalismi
suggeriscono
le
imperfezioni
di
questo
modello.
Imperfezioni
che
però
ritroveremo
intensificate
nei
periodi
politici
successivi,
durante
i
quali
si
andranno
ad
aggiungere
altre
incognite
e
problemi,
a
partire
dallo
stato
confusionario
generale
in
cui
settori
dei
servizi
segreti
diventano
“deviati”,
il
terrorismo
ingestibile,
gli
attentati
imprevedibili.
Tutti
aspetti
che
Romeo,
dall’alto
del
suo
acume
politologico,
ben
mette
in
rilievo.