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N. 124 - Aprile 2018 (CLV)

PRESERVARE LA MEMORIA NEGLI SCENARI DELLA GRANDE GUERRA
A CENT’ANNI DAL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
di Riccardo Filippo Mancini

 

“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio; l’esercito marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera...”.

 

Chi non conosce almeno l’inizio della celebre canzone di guerra divenuta simbolo della vittoria italiana sull’Impero austro-ungarico nel primo conflitto mondiale?

 

Il testo risale al 1918, esattamente cento anni fa, e fu scritto a termine di quella conosciuta come la “battaglia del solstizio” (nome datole da D’Annunzio), ultimo grande attacco sferrato dall’Esercito Austro-Ungarico nei confronti di quello italiano, ritiratosi sulle sponde del Piave dopo la drammatica disfatta di Caporetto, la peggiore sconfitta militare mai patita dall’esercito italiano.

 

La prima guerra mondiale impegnò il Regno d’Italia per oltre 3 anni, dal 24 maggio del 1915 al 4 novembre 1918, e il suo scenario sul suolo italiano fu interamente concentrato nel Nord, sulle zone di confine col nemico austro-ungarico.

 

L’Italia dal 1882 faceva parte della Triplice Alleanza, patto difensivo stipulato con gli Imperi di Austria-Ungheria e Germania, ma dopo l’inizio delle ostilità nel 1914, aperte proprio dal governo di Vienna, si dichiarò in un primo momento neutrale per poi rompere l’accordo con i due imperi centrali e scendere in campo (dopo lunghe trattative segrete portate a termine dall’ambasciatore italiano a Londra Guglielmo Imperiali su mandato del governo Salandra, all’insaputa del Parlamento italiano, in quello conosciuto come Patto di Londra) a fianco della Triplice Intesa formata da Impero Britannico, Impero Russo e dalla Francia in cambio di alcuni territori che avrebbero garantito al termine del conflitto la supremazia italiana sull’Adriatico (sappiamo poi che durante la Conferenza di pace di Versailles del 1919 l’Italia non vide riconoscersi la totalità dei territori contenuti nell’accordo stipulato con gli alleati, anche a causa dell’opposizione statunitense).

 

La scelta italiana alla fine si rivelò decisiva per l’esito del conflitto, che a costo di un prezzo altissimo in termini di vite umane vide l’Italia sedersi al tavolo dei vincitori.

 

Quella che inizialmente poteva sembrare una guerra-lampo, si tramutò ben presto in una logorante guerra di posizione, che vide l’esercito italiano difendersi su un lungo arco che andava dal Passo dello Stelvio fino alla pianura friulana, toccando le rive dell’Adriatico.

 

Durante il conflitto, il celebre Generale Cadorna fece costruire un’imponente linea fortificata, conosciuta oggi come Linea Cadorna (ma già dal 1882 c’era un progetto per difendere la zona, chiamato Frontiera Nord: l’opera fatta realizzare dal Generale italiano ricalca, con delle modifiche, quell’idea), una grande barriera difensiva lungo il confine fra Italia e Svizzera, eretta per contrastare un’eventuale aggressione austro-tedesca durante la Prima Guerra Mondiale dal lato Svizzero.

 

Tra il 1916 e il 1918 furono migliaia gli uomini e le donne impegnati nella costruzione di questo sistema difensivo, che però non fui mai utilizzato dai militari.

 

L’evoluzione della guerra portò le truppe italiane a combattere sul fronte del Piave, e il complesso venne subito abbandonato dopo la fine del conflitto, salvo poi essere inserito negli anni Trenta nel progetto del Vallo Alpino, una enorme linea difensiva che avrebbe dovuto rendere inviolabili i confini dello Stato Italiano, ma che, in realtà, non fu mai portata a compimento.

 

Il sistema di fortificazioni voluto da Cadorna ebbe un notevole impatto sul territorio interessato (dalla val d’Aosta alla Lombardia), incrementando la viabilità alpina di queste zone con oltre 300 km di strade e quasi 400 km di mulattiere, oltre ai 72 km di trincee oggi ancora percorribili in alcuni tratti.

 

Molti di quei luoghi, sia gli scenari di battaglia o semplicemente le costruzioni delle retrovie dell’esercito, sono oggi un patrimonio storico inestimabile, vera e propria memoria fisica di un conflitto troppo spesso dimenticato e forse anche troppo poco studiato.

 

Nel centenario della fine della guerra sono molte le iniziative per tenere viva questa memoria, grazie all’attività di tante associazioni locali che svolgono un lavoro importante nei territori dove operano.

 
Con il titolo 1918-2018. Cento anni dalla fine della Grande Guerra. Fare memoria del passato per costruire un presente e un futuro di pace, l’associazione Le Magnolie (con il sostegno di INNFormazione, il patrocinio del Comune di Carate Urio e in collaborazione con il Gruppo Alpini di Monte Olimpino e l'Associazione culturale Il Ponte) propone degli appuntamenti che si svolgeranno nel comasco, tra Carate Urio e il Colle di Cardina.

 

In particolare il giorno 19 maggio si potrà visitare la Batteria di Cardina, che faceva parte della citata Linea Cadorna, e il 9 giugno presso il Castello di Urio (meraviglioso edificio di fine 600) il coro “La Parete” si esibirà con canti della tradizione popolare alpina.

 

Un modo per non dimenticare la Grande Guerra.



 

 

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