.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

medievale


N. 127 - Luglio 2018 (CLVIII)

i signori della guerra - parte ii

la cavalleria pesante italiana nel xv secolo
di Mauro Difrancesco

 

Chi erano i cavalieri? Chi faceva parte di quest'élite militare? Come erano equipaggiati, in quale modo combattevano?

 

Innanzitutto, bisogna pensare alla composizione di un “reparto” di cavalleria pesante italiana del XV secolo: differentemente da quanto avvenne in fasi alterne nel resto d’Europa, e ciò vale in particolar modo per i maggiori stati dell’epoca, dove si assistette gradualmente alla composizione di unità multiarma, nel senso che al cavaliere pesante erano affiancati cavalleggeri, balestrieri (e più tardi fanti armati di armi da fuoco portatili), picchieri o alabardieri e truppe di fanteria armate alla leggera, in Italia l’unità base della cavalleria, vale a dire la lancia, rimase esclusivamente composta da cavalieri.

 

Partiamo appunto dalla lancia: fino a tutta la prima metà almeno del Quattrocento, la lancia italiana era composta da tre uomini, la cui formazione vuole far risalire le proprie origini a John Hawkwood, identificati in due armigeri armati circa allo stesso modo e accompagnati da un paggio. Tale combinazione nasceva dall’esigenza di far combattere gli uomini anche a piedi ma quando questo uso perse di significato e venne pian piano abbandonato, anche la composizione della lancia mutò: un armigero, un servente ed un paggio o cavalleggero con armatura ridotta. Il ruolo delle ultime due figure rimase, invece, sostanzialmente lo stesso, ovvero quello di servire il capo-lancia svolgendo funzione di palafreniere, di manutenzione alle armi e agli equipaggiamenti, di preparare il cibo e recapitare messaggi.

 

Dopo il 1450 la composizione della lancia cambiò in base alle tendenze che gli eserciti del tempo stavano assumendo sui campi di battaglia, prima fra tutte la preferenza nel combattimento a piedi. Abbiamo infatti documenti e fonti attestanti il fatto che i “cavalieri corazzati su destrieri bardati” fossero denominati armigeri veri o cappelletti

 

Ciò fa supporre che, all’interno della lancia, fossero ormai entrati in scena combattenti diversi dalla tradizionale cavalleria pesante. Anche i numeri di quest’ultima, ridottasi gradualmente fino a un terzo del totale in un’armata, fa pensare ad una evoluzione graduale, dapprima spontanea e informale, poi definita e organizzata, della lancia.

 

Da un altro lato, questo comportò l’aumento del numero dei componenti in una lancia, passato da tre a quattro uomini nei contratti stipulati negli anni Settanta del Quattrocento da Firenze e Milano, arrivando a un’anomalia, la cosiddetta corazza Pontificia, attestata intorno agli anni Sessanta.

 

Forma modificata e potenziata della lancia da tre uomini, essa può far desumere l’influenza Angioina proveniente da Napoli, in cui erano presenti lance da sei uomini, tipiche della tradizione Francese. Improbabile, invece, sembra il fatto che l’influenza Francese abbia fatto entrare in scena componenti che oltralpe, in Borgogna e in Francia, erano di largo uso: i balestrieri.

 

Un breve excursus lo merita la lancia Borgognona, che all’apice della sua evoluzione comprese appunto un numero di armati ben maggiore di cinque/sei uomini, arrivando a contare circa nove-dieci elementi e includendo almeno un picchiere oltre a tiratori armati di arco, balestra e schioppetto/archibugio.

 

La capillare e moderna organizzazione dell’esercito guidato da Carlo di Borgogna (il famoso Temerario) doveva però aver vita breve, scontrandosi con quella macchina da guerra incarnata dai picchieri svizzeri, che ben presto assursero al ruolo di miglior fanteria d’Europa e giudicati imbattibili sul campo di battaglia.

 

Tornando alla nostra penisola: l’evoluzione dell’armatura del cavaliere, divenuta sempre più pesante, portò ad aumentare il numero delle cavalcature al seguito dell’armigero, in funzione di un affaticamento precoce del cavallo e anche del fatto che dal secondo Quattrocento in poi la pratica di colpire le cavalcature per appiedare il cavaliere e renderlo impacciato e un facile bersaglio, divenne prassi comune durante le battaglia, mentre nella prima metà del secolo era considerato un modo vile di combattere.

 

Fu giocoforza aumentare il numero degli attendenti e quindi ingrossare le file della lancia; il fatto però che differentemente dal modello franco-borgognone, negli eserciti italiani vi fosse la generale tendenza a distinguere nettamente la cavalleria pesante da quella leggera e la fanteria dalle prime due, fece in maniera tale che il ruolo della lancia (e della corazza) rimanesse sostanzialmente invariato: una massa di cavalieri pesantemente corazzati e in sella ad enormi destrieri anch’essi bardati di tutto punto che serviva da ariete per sfondare uno schieramento avversario o controbatterne le truppe montate.

 

Parallelamente all’evoluzione della tipica unità di combattimento (la lancia, appunto) si ebbe anche una generale tendenza ad uniformare ed organizzare le unità di cavalleria pesante: se già dal Trecento la squadra di 25 lance era considerata l’unità base di combattimento all’interno delle compagnie di ventura, con l’aumentare degli effettivi all’interno degli eserciti, la compagnia stessa divenne l’unità base di combattimento.

 

Data la sostanziale diversità nella composizione numerica insita nelle compagnie di ventura, ben presto questo si rivelò un sistema organizzativo infelice e poco razionale, tanto che verso la fine del secolo le condotte venivano generalmente assoldate in modo che comprendessero un numero fra le 50 e le 100 lance, accettando nel contempo anche la squadra di 25-30 lance come unità base di combattimento.

 

Come abbiamo visto poc’anzi, le lance stavano aumentando il numero dei propri effettivi (mantenendo però invariato il singolo armigero) in funzione dei bisogni del cavaliere pesante. Così aumentò, di fatto, anche il numero degli effettivi delle squadre che si attestò, sul finire del Quattrocento, sui 150 uomini di cui 25 armigeri comandati in battaglia da un caposquadra o squadriere.

 

Una breve menzione dev’essere fatta per una ulteriore novità nel panorama organizzativo: la nascita della colonna, un’unità più grande e il cui comandante/condottiere veniva talvolta definito con il termine di colonnello.

 

Vario a seconda della composizione di un esercito era l’effettivo di queste nuove unità. Mentre, quindi, composizione e numerico delle unità di cavalleria pesante variarono nel corso del secolo XV, il ruolo che queste ebbero sul campo di battaglia rimase pressoché immutato: “la maggiore importanza data alla squadra o alle formazioni di più squadre consentì una flessibilità maggiore e anche una più efficace disciplina dei movimenti durante le battaglie.

 

Ed è sicuramente errato pensare che la principale e più usata manovra tattica italiana fosse allora quella dell’attacco frontale in massa della cavalleria. È certo però che i cavalieri italiani rimasero in fondo dei lancieri coperti da armatura pesante” (Michael Mallet, 2006).

 

Riallacciandoci alle parole del Mallet, capiamo quindi che l’attacco frontale della cavalleria non era una semplice carica in massa e nient’altro, anzi: mentre in Francia si era soliti radunare le lance in tre battaglioni (avanguardia, battaglia e retroguardia) e usandoli appunto per attacchi ravvicinati e di massa (uso peraltro gradualmente tralasciato durante e dopo la Guerra dei Cent’anni, che ne palesò l’inefficacia), nella penisola i condottieri tendevano a utilizzare le cariche di squadra o di squadrone (2-3 squadre), quindi condotte da un minor numero di uomini, nelle fasi iniziali dello scontro, usandole per stancare l’avversario e per coinvolgere poi una riserva alla fine della battaglia.

 

Tale riserva, comandata generalmente dal condottiere stesso, poteva essere precostituita oppure organizzata all’uopo, sottraendo ad ogni squadra le lance migliori da impiegare in un assalto finale diretto dal condottiere e che mettesse definitivamente in rotta l’avversario.

 

Parliamo di “avversario” e non di “nemico” in quanto la pratica della guerra nell’Italia delle Compagnie di ventura possedeva qualcosa di unico nel panorama europeo. Machiavelli e altri letterati del suo tempo erano soliti dire che i mercenari non si ammazzassero sul campo, preferendo combattere per finta in modo da far durare la guerra il più a lungo possibile e aumentando quindi i guadagni.

 

Ciò era vero ma solo in parte, se pensiamo ad esempio alla pratica di prendere prigionieri soprattutto i cavalieri dello schieramento opposto, onde poter poi chiedere un riscatto. Oppure, come si è detto poc’anzi, la strage di cavalli che dalla seconda metà del secolo XV era diventata prassi comunemente adottata nelle battaglie campali. Non c’è da chiedersi perché, nel 1494, ben tre dei cinque maggiori Stati Italiani si fossero sciolti come neve al sole dinnanzi all’avanzata di Carlo VIII.

 

C’è piuttosto da interrogarsi sul come una società che basava la guerra su una giostra di cavalieri dai cimieri piumati e dalle splendenti armature (non del tutto ovviamente, come si è visto) ed anzi, su un vero e proprio torneo in cui si mieteva il minor numero di vittime possibile e le distruzioni erano marginalizzate, abbia potuto resistere così a lungo, prima di essere spazzata via dalla rivoluzione militare che da quel momento ebbe il suo primo esordio, sviluppandosi poi nell’arco di almeno tre secoli di guerre ed evoluzione tecnologica.

 

Perché la cavalleria pesante armata di lancia rimase dunque in auge così a lungo?

 

Secondo i canoni della modernità, essa sarebbe dovuta tramontare già ai tempi dell’introduzione della balestra e del long bow inglese, come arma risolutiva delle battaglie tramite una gloriosa carica.

 

L’equipaggiamento (le armi e soprattutto le costose armature con sofisticate soluzioni tecniche), i cavalli e coloro i quali avrebbero dovuto badare a tutta la panoplia avevano reso l’accesso a questa compagine militare sempre più ristretto ed elitario, possibile solo ai ranghi della nobiltà. “Fu proprio questo a mantenere in auge la cavalleria, con il suo contorno culturale, tradizionale e sociale: il valore in battaglia, la ricchezza delle armi e la qualità della cavalcatura erano simboli della superiorità sociale e non potevano essere abbandonati soltanto perché contadini e fabbri avevano inventato certe diavolerie che cambiavano la guerra. Almeno così pensavano i cavalieri.

 

Ma non poteva durare a lungo. La battaglia intesa come grandioso torneo e campo d’esibizione dei valori individuali venne spazzata via dalla ferocia di svizzeri e lanzi” (Marco Scardigli, 2014).

 

Glossario:

 

1. Longbow: arco lungo a curvatura unica tipico degli eserciti Inglesi. Introdotto nel XIII secolo sotto Edoardo I Plantageneto, si sviluppò grazie alla condizione di marginalità delle isole Britanniche in quel periodo, alla mancanza di maestranze specializzate nella produzione di balestre e al loro costo;

2. Palvese: più raramente pavese, era un grande scudo oblungo che per il suo peso era trasportato in battaglia da un fante che accompagnava un balestriere e, più tardi, lo schioppettiere. Posizionava lo scudo di fronte a sé per proteggere la propria figura e permettere al fante armato di arma da tiro di ricaricare e puntare protetto dal grande scudo;

3. Targone: scudo utilizzato dalla fanteria italiana medievale. Deriva probabilmente dal "targe", lo scudo degli Highlanders, in legno di larice ricoperto di cuoio, delle dimensioni di 50–60 cm di diametro, con impugnatura (imbracciatura) centrale;

4. Arte poliorcetica: dal greco πολιορκητικόν, poliorketikon (letteralmente espugnazione di città) è il termine che designa l'arte di assediare ed espugnare le città fortificate;

5. Jinetes/Stradioti: cavalleggeri di derivazione iberica ed albanese armati alla leggera ed utilizzati in particolar modo dagli eserciti spagnolo e veneziano;

6. Schioppetto: primitiva arma da fuoco portatile, antenato dell’archibugio;

7. John Hawkwood: condottiero di ventura di origine inglese. Famoso per essere diventato il grande comandante degli eserciti fiorentini nel XIV secolo;

8. Compagnie di ventura: associazione di mercenari sotto la guida di un condottiero che si diffusero in Italia a partire dal XIV secolo e che ebbero il momento di maggior prestigio nel XV.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Michael Mallet, L’arte della guerra, in Michael Mallet, Signori e mercenari, la guerra nell’Italia del Rinascimento, Il Mulino, 2006, p. 151

Marco Scardigli, Fanterie, artiglierie e la guerra che cambia, in Marco Scardigli, Cavalieri, mercenari e cannoni, l’arte della guerra nell’Italia del Rinascimento, Arnoldo Mondadori Editore, 2014, p. 338.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.