N. 75 - Marzo 2014
(CVI)
La Prima Guerra Mondiale: cause e ricadute di un conflitto
Intervista allo storico Mariano Gabriele
di Vincenzo Grienti
Il
centenario
della
Prima
Guerra
mondiale
è
l’occasione
per
riflettere
sulle
motivazioni
di
fondo,
sulle
cause
e le
ricadute
del
conflitto
sugli
Stati
nazionali,
ma
anche
sulla
popolazione
civile.
La
“Grande
guerra”
modificò
gli
scenari
futuri
e,
allo
stesso
tempo,
“preparò”
il
terreno
per
la
Seconda
Guerra
mondiale.
Al
riguardo
abbiamo
posto
alcune
domande
allo
storico
Mariano
Gabriele,
già
professore
di
Storia
contemporanea
e
storia
navale
all’Università
"La
Sapienza"
di
Roma
e
Presidente
onorario
della
Società
Italiana
di
Storia
Militare.
Consulente
per
la
storia
dello
Stato
Maggiore
della
Marina
e
della
Commissione
Italiana
di
Storia
Militare.
Professore,
il
primo
conflitto
mondiale,
che
ebbe
inizio
il 3
agosto
del
1914,
quando
la
Germania
dichiarò
guerra
alla
Francia
e
invase
il
Belgio,
vide
la
contrapposizione
di
Germania
e
Austria-Ungheria
(Potenze
centrali)
alla
coalizione
formata
da
Russia,
Francia,
impero
britannico
(Triplice
Intesa
o
Alleati)
e,
infine,
Italia
e
Stati
Uniti.
Possiamo
dire
come
ha
scritto
Stuart
Robson,
professore
emerito
di
Storia
delle
guerre
mondiali
alla
Trent
University
del
Canada,
che
le
popolazioni
dei
paesi
belligeranti
accettarono
di
buon
grado
il
conflitto?
È
notorio
che
la
guerra
fu
accolta
positivamente,
talvolta
con
entusiasmo,
nel
momento
in
cui
scoppiò.
Gli
scrittori
che
hanno
parlato
di
quel
momento
nei
paesi
coinvolti
sottolineano
questa
ventata
di
follia,
dovuta
al
montante
nazionalismo
e,
in
genere,
alla
più
sprovveduta
ignoranza
sulla
durata
e
sui
costi
della
guerra.
Nel
“Mondo
di
ieri”,
Stefan
Zweig
ricorda:
“A
Vienna
trovai
l’intera
città
in
preda
all’ebbrezza…
Il
primo
spavento…
aveva
ceduto
il
passo
a un
improvviso
entusiasmo”;
Rathenau
ancora
nel
1918
dice
che
lo
scoppio
della
guerra
“era
stato
una
specie
di
ouverture
per
un
canto
immortale
di
sacrificio,
di
lealtà
e
d’eroismo”e
Meinecke
definisce
quel
momento
“un
attimo
di
gioia
profonda”;
in
Inghilterra
Rupert
Brooke
scrisse
una
poesia
intitolata
“grazie
a
Dio
per
quest’ora”,
mentre
in
Italia
la
neutralità
lasciava
molti
sgomenti.
Lo
storico
J.M.
Roberts
conclude
a
ragione:
“in
ogni
capitale,
folle
immense
accolsero
con
entusiasmo
la
notizia
che
sarebbero
andate
a
morire
al
fronte”.
Gli
intellettuali
non
furono
da
meno:
il
primo
approccio
di
Freud
alla
guerra
fu
dichiarare
che
tutta
la
sua
“libido”
era
per
l’Austria-Ungheria.
Questo,
naturalmente,
concerne
il
1914,
ché
le
“radiose
giornate”
italiane
del
1915
ne
sarebbero
state
solo
una
miserabile,
stiracchiata
e
artificiosa
imitazione.
Quali
furono
le
reali
ragioni
dello
scoppio
della
Prima
Guerra
mondiale?
Le
cause
reali
sono
molto
complesse,
perché
alcune
venivano
da
lontano,
altre
furono
il
frutto
accidentale
degli
eventi.
Ovviamente
non
è
vera
la
tesi
dell’esclusiva
responsabilità
della
Germania.
Di
essa
si
può
dire
che
lo
straordinario
sviluppo
industriale
ed
economico
fatalmente
la
spingeva
verso
la
Weltpolitik
(politica
mondiale)
e
che
questo
non
era
compatibile
con
il
ruolo
e la
posizione
della
Gran
Bretagna,
dove
l’ammiraglio
Fisher
propose
due
volte
al
re
Edoardo
VII
di
attaccare
a
tradimento
la
flotta
tedesca,
e
due
volte
il
re
gli
chiese
se
era
matto:
la
gara
navale
tra
Berlino
e
Londra
certo
non
favorì
la
causa
della
pace,
ma
non
si
può
dire
che
abbia
provocato
il
conflitto,
tenuto
conto
che
dopo
tutto
i
cantieri
inglesi
mantennero
sempre
una
certa
superiorità
nella
capacità
produttiva.
In
Francia
l’opinione
pubblica
non
fiammeggiava
per
l’Alsazia
e la
Lorena
e
non
avrebbe
scatenato
una
guerra
soltanto
per
esse,
malgrado
la
letteratura
della
revanche:
in
un
contesto
di
scontro
in
cui
Parigi
non
fosse
stata
sola
però,
lo
sciovinismo
francese
era
pronto
ad
esplodere.
Infine,
la
rivalità
nei
Balcani
tra
Russia
ed
Austria-Ungheria
completava
il
giro
dei
motivi
seri,
nessuno
dei
quali,
tuttavia,
era
da
solo
sufficiente
o
maturo
per
provocare
la
grande
conflagrazione.
Bismarck
aveva
detto:”noi
tedeschi
temiamo
Dio,
e
nessuno
nel
mondo”,
e lo
aveva
detto
a un
paese
nel
quale
sui
pacchetti
di
sigarette
si
poteva
leggere
questo
pensiero
di
Moltke:
“La
guerra
è un
elemento
dell’ordine
naturale
delle
cose
voluto
da
Dio”.
Ma
se
tutto
ciò
era
utile
a
rendere
i
tedeschi
–
dopo
tre
guerre
vinte
facilmente
–
disponibili
a
combattere,
anche
gli
altri
popoli
lo
erano,
spontaneamente
o
per
secolare
abitudine
all’obbedienza.
Quando
l’ultimatum
austriaco
alla
Serbia
-
follemente
espresso
dopo
un
mese
durante
il
quale,
probabilmente
convinti
che
non
ci
sarebbe
stata
una
guerra
generale,
si
compromisero
tutti
-
indusse
la
lenta
mobilitazione
russa,
e
questa
la
mobilitazione
tedesca;
ma i
tedeschi
avevano
esigenze
speciali
a
causa
del
loro
piano
di
guerra,
e
queste
esigenze
si
fondavano
sul
movimento
ferroviario
che,
una
volta
partito,
non
si
poteva
più
fermare.
Così,
mentre
i
diplomatici
perdevano
il
controllo
della
situazione,
gli
ultimi
tentativi
di
mantenere
la
pace
fallirono
perché
11.000
treni
tedeschi
non
potevano
più
essere
bloccati
sui
binari,
pena
la
caduta
dell’esercito
nel
caos
e
l’impossibilità
per
la
Germania
di
farvi
conto
per
mesi.
In
che
modo
la
Prima
Guerra
mondiale
sotto
il
profilo
strategico-militare
si
discostò
dalle
precedenti
guerre
dell’Ottocento?
E in
che
modo
furono
impiegati
l’Esercito,
la
Marina
e
l’Aviazione
dalle
nazioni
impegnati
nel
conflitto?
I
generali
della
prima
guerra
mondiale
erano
rimasti
alla
fase
napoleonica
della
storia
militare,
quando
l’attacco
prevaleva
sulla
difesa,
ma
questo
poteva
accadere
perché
la
canna
liscia
sparava
a
100
m ed
era
quasi
inutile
puntare.
La
guerra
civile
americana
aveva
invece
dimostrato
che,
con
la
canna
rigata
che
sparava
a
1.200
m e
consentiva
ben
maggiore
precisione
di
puntamento;
inoltre
si
erano
sviluppati
poi
il
cavallo
di
Frisia
e la
mitragliatrice,
per
cui
la
difesa
aveva
ben
altre
chances.
Ma i
generali
tedeschi
pensavano
che
quella
esperienza
non
facesse
testo
in
Europa,
Foch
predicava
“offensive
à
outrance”,
i
capi
inglesi
in
Francia
erano
degli
incapaci
di
cui
Lloyd
George
–
che
li
disprezzava
–
non
riuscì
a
liberarsi,
i
russi
–
salvo
forse
Brusilov
–
non
brillavano
certo.
Due
soli
generali
fecero
eccezione:
Pétain
in
Francia
e
Diaz
in
Italia,
ma
quando
venne
la
loro
ora
troppe
grandi
stragi
erano
già
avvenute.
La
Grande
Guerra
fu
uno
scontro
di
masse
sconosciuto
al
sec.
XIX,
anche
se
la
guerra
civile
americana
e
quella
franco-prussiana
avevano
già
fornito
dei
precedenti.
Gli
eserciti
in
genere
furono
usati
male,
in
modo
inutilmente
spietato
verso
i
soldati.
La
Marina
britannica
risultò
vincente
nella
strategia
del
blocco,
ma
sul
piano
operativo,
ora
che
si
sa
che
i
radiogrammi
della
marina
tedesca
venivano
decrittati,
è
legittimo
ridimensionare
molto
la
valutazione
degli
ammiragli
inglesi,
Jellicoe
compreso;
per
la
guerra
al
traffico,
poi,
gli
inglesi
corsero
pericoli
maggiori
che
nella
seconda
per
la
strana
fissazione
dell’Ammiragliato,
che
mandava
le
navi
mercantili
sole
e
senza
scorta
a
farsi
affondare
dai
smg
avversari.
Quando,
con
l’intervento
USA,
gli
americani
pretesero
i
convogli
scortati,
la
minaccia
sottomarina
nemica
diminuì
sempre
più.
L’aviazione,
da
caccia
e da
ricognizione,
fu
ben
usata
dagli
inglesi,
dai
tedeschi,
dai
francesi,
dagli
americani
e, a
sprazzi,
dagli
italiani,
che
ebbero
anche
buoni
aerei
da
bombardamento,
tanto
che
una
formazione
di
Caproni
si
trasferì,
su
richiesta
degli
alleati,
in
Francia.
Possiamo
dire
che
l’esercito
composto
da
professionisti
perfeziona
o
comunque
se
ne
scopre
l’esigenza
proprio
durante
il
primo
conflitto
mondiale?
Non
mi
pare
che
la
prima
guerra
mondiale
abbia
influito
sull’esercito
professionista
(gli
inglesi,
che
l’avevano,
non
lo
ritennero
sufficiente),
come
dimostra
la
seconda.
Solitamente,
in
base
alle
scelte
strategiche
compiute
dai
capi
militari
e
dagli
Stati
maggiori,
la
Prima
Guerra
mondiale
viene
suddivisa
in
diversi
periodi
in
base
al
calendario:
Nel
1914
viene
vista
come
"guerra
di
manovra";
nel
1915
come
"guerra
di
trincea";
nel
1916
come
"guerra
di
logoramento";
nel
1917
come
"fase
d’implosione"
in
cui,
una
volta
presa
coscienza
delle
scarse
speranze
di
risultati
sul
campo,
prevale
una
certa
disperazione
tra
i
soldati.
Ciò
genera
defezioni
e
diserzioni;
1918
"ritorno
alla
guerra"
e
conclusione
del
conflitto.
Secondo
lei
è
corretto
suddividere
la
Grande
Guerra
in
queste
macro-fasi?
Le
suddivisioni
temporali
e la
classificazioni
sono
tutte
opinabili,
anche
perché
al
loro
interno
vengono
sempre
inficiate
da
molte
eccezioni.
Forse
per
il
1914
si
può
accettare
la
definizione
proposta,
perché
in
effetti
in
Francia,
sul
fronte
orientale
e
nei
Balcani
si
realizzano
manovre
strategiche.
Qual
è la
sua
valutazione
sulle
battaglie
alle
frontiere?
E
quale
tra
queste
battaglie
è
degna
di
nota
a
livello
mondiale?
L’invasione
della
Francia
attraverso
il
Belgio,
sulla
base
del
piano
Schlieffen
del
1907,
mi
pare
l’unico
caso
davvero
rilevante,
perché
portò
i
tedeschi
in
Francia
sino
alla
fine
della
guerra.
Ma
anche
quella
manovra
fu
attuata
male,
perché
Schlieffen
prevedeva
che
l’ala
destra
tedesca
passasse
tra
Parigi
e il
mare
(“la
manica
destra
dell’ultimo
soldato
dell’ala
marciante
deve
sfiorare
il
mare”),
mentre
quella
ala
decisiva
fu
indebolita
e
diretta
ad
est
di
Parigi,
dove
fu
fermata
e
respinta
nella
prima
battaglia
della
Marna,
mentre
il
corpo
inglese
e la
guarnigione
di
Parigi
potevano
molestarla
da
ovest.
Anche
le
vittorie
russe
contro
l’Austria
e le
loro
importanti
sconfitte
più
a
nord
davanti
ai
tedeschi
non
sembrano
di
rilevanza
mondiale.
Peraltro,
sul
fronte
occidentale,
i
tedeschi
avevano
almeno
il
piano
Schlieffen,
i
francesi
avevano
solo
l’élan,
che
fruttò
loro
300.000
morti
nell’estate
1914.
Gli
austriaci
fecero
la
figura
dei
pifferi
di
montagna
con
i
serbi,
liquidati
solo
l’anno
dopo
da
un
generale
tedesco.
I
russi
ebbero
buon
gioco
in
Galizia
e in
genere
con
gli
austriaci
ma
le
due
sconfitte
campali
con
i
tedeschi
tolsero
molto
significato
ai
loro
successi
sul
fronte
più
meridionale.
Cosa
non
funzionò,
se
secondo
lei
qualcosa
non
funzionò,
nei
piani
di
guerra
e
nella
strategia
delle
parti
in
campo.
E
come
valuta
la
posizione
dell’Italia
dalla
sua
entrata
in
guerra
nel
1915
fino
alla
conclusione
del
conflitto?
Ribadisco
quanto
detto
prima.
Quanto
all’Italia,
Cadorna
aveva
un
piano:
arrivare
a
Lubiana
e di
lì
girare
per
Vienna,
ma
per
arrivare
a
Lubiana
bisognava
superare
il
Carso
ed
altri
ostacoli
naturali,
operazione
che
esigeva
soluzioni
diverse
dall’attacco
frontale,
che
troppe
volte
condusse
a
perdite
doppie
di
quelle
del
nemico.
Il
fronte
italiano
era
e fu
considerato
sempre
secondario,
mentre
si
riteneva
pacifico
a
Parigi
che
in
quello
francese
si
sarebbe
avuta
la
decisione
della
guerra.
La
sua
apertura
fu
invocata
dai
capi
militari
francesi
che
avevano
già
perso
nel
1914
troppi
uomini
per
la
loro
incapacità,
e
premettero
sul
governo
perché
firmasse
il
patto
di
Londra
(ciò
che
fu
fatto
con
scarsa
convinzione
e
poca
voglia
di
tenervi
fede
in
toto).
Il
compito
che
nell’economia
del
conflitto
si
riteneva
avesse
il
fronte
italiano
era
quello
di
tenere
impegnate
forze
che
diversamente
avrebbero
potuto
riversarsi
a
occidente.
Vittorio
Veneto
–
operazione
condotta
su
ordine
politico
in
previsione
della
fine
della
guerra
–
portò
ad
immaginare
la
costituzione
di
un’armata
che
con
comando
italiano
attaccasse
la
Baviera,
ma
ormai
i
tedeschi
avevano
perduto
la
corsa
a
Parigi
con
gli
americani
e
una
settimana
dopo
Vienna
cedette
anche
Berlino.
Peraltro,
va
sottolineato
che,
sia
in
Italia
che
in
Francia,
la
sconfitta
degli
imperi
centrali,
sia
pure
molto
indeboliti
dal
blocco
navale,
fu
militare
e
che
i
pretesi
tradimenti
ed
altre
sciocchezze
per
spiegare
la
sconfitta,
in
Austria
e
Ungheria
come
in
Germania,
non
hanno
fondamento.
Ci
può
dare
un
suo
giudizio
sul
grado
e la
qualità
dell’addestramento
del
Regio
Esercito?
In
che
cosa
non
erano
preparati
gli
ufficiali
superiori?
Viceversa,
quale
fu
l’azione
militare
di
maggior
successo
compiuta
dall’esercito
italiano?
Grave
colpa
degli
alti
quadri
militari
fu
di
non
trarre
alcuna
lezione
dall’esperienza
del
primo
anno
di
guerra
in
Francia.
Notevole
miglioramento
nella
tattica
e
nell’addestramento
trasse
l’esercito
italiano
dalla
presenza
degli
alleati
in
Italia
(dopo
Caporetto
vennero
11
divisioni
– 6
francesi
e 5
britanniche
-
delle
quali
6
tornarono
in
Francia
in
marzo,
così
che
5
divisioni
– 3
britanniche
e 2
francesi
–
restarono
sino
alla
fine
della
guerra).
Le
azioni
militari
italiane
di
maggior
successo
sono
per
me
la
battaglia
del
Solstizio
1918,
decisiva
per
la
guerra,
e
quella
d’arresto
del
novembre-dicembre
1917.
Nell’ambito
della
competizione
navale,
a
difesa
dei
suoi
interessi
vitali
la
Gran
Bretagna
aveva
per
lungo
tempo
fatto
affidamento
più
sulla
Royal
Navy
che
sul
suo
esercito
di
professionisti.
È
d’accordo
sul
fatto
che
l’Inghilterra
proseguì
nella
linea
di
mantenere
la
sua
supremazia
sui
mari?
Per
contro,
l’ammiraglio
Alfred
von
Tirpitz,
ispiratore
del
programma
navale
germanico,
voleva
una
flotta
imperiale
di
livello
internazionale.
Secondo
lei
ci
riusci?
Londra
mantenne
finché
le
fu
possibile
(circa
1930)
la
supremazia
marittima
mondiale,
poi,
col
sorpasso
americano,
la
condivise.
Ma
nel
primo
conflitto
mondiale
la
gestì
con
successo,
riuscendo
ad
alimentare
per
il
dominio
del
mare
anche
i
fronti
contro
la
Turchia
(il
fiasco
di
Gallipoli
non
fa
testo).
A
fine
guerra
non
trascurò
di
mettere
le
mani
sulle
colonie
africane
tedesche.
Tirpitz
fece
quel
che
poteva,
ma
contro
la
secolare
potenza
navale
britannica,
sebbene
durante
la
guerra
i
tedeschi
abbiano
bombardato
per
13
volte
coste
inglesi,
non
giunse
mai
a
condurre
una
minaccia
decisiva.
Il
tutto
fu
aggravato
dalla
volontà
del
Kaiser,
dopo
lo
Jutland,
di
non
rischiare
più
che
tanto
la
sua
flotta
(una
flotta
che
era
stata
costruita
nella
Risiko
Gedanke,
cioè
con
l’obiettivo
di
portare
con
sé
in
fondo
al
mare,
il
giorno
della
sua
distruzione,
una
quota
così
importante
della
prima
flotta
del
mondo
che
questa
avrebbe
cessato
di
essere
tale).
Può
dare
un
suo
giudizio
di
storico
sullo
stato
di
salute
della
Marina
Italiana
prima
e
dopo
il
Primo
conflitto
mondiale?
La
Regia
Marina,
malgrado
l’errore
di
non
ascoltare
Cuniberti
per
la
corazzata
monocalibro,
era
in
buona
salute
al
momento
dell’intervento;
ma
lo
era
non
per
combattere
con
mezzi
insidiosi
in
Adriatico
o
per
cercarvi
la
grande
battaglia
navale
a
riscatto
di
Lissa,
quanto
piuttosto
per
impedire
agli
austro-ungarici
una
sortita
(per
andare
dove?).
Fu
penalizzata
dallo
scorretto
comportamento
tedesco
(smg
tedeschi,
con
comandanti
ed
equipaggi
tedeschi,
ma
con
falsa
bandiera
austriaca,
operarono
in
Adriatico
affondando
navi
e
unità
militari
italiane,
tra
cui
l’incrociatore
Amalfi;
non
che
sul
terreno
la
Germania
non
avesse
pecche,
avendo
schierato
sul
fronte
delle
Dolomiti,
dal
giugno
all’ottobre
1915,
l’Alpen
Korps,
sebbene
non
vi
fosse
stato
di
guerra
tra
Roma
e
Berlino
fino
al
28
agosto
1916).
Dopo
la
guerra,
quando
la
Marina
dovette
finirla
di
fare
politica
imperialistica
in
Adriatico,
la
miseria
del
paese
costrinse
a
ridimensionare
la
flotta
e
condizionò
le
costruzioni
fino
a
metà
anni
‘30.
Quale
fu a
suo
giudizio
l’azione
navale
più
importante
sotto
il
profilo
strategico
militare
compiuto
dalla
Marina
italiana
nel
corso
della
Prima
guerra
mondiale?
A
livello
eroico
personale,
il
siluramento
della
Szvent
Istvan
il
10
giugno
1918,
operato
da
Rizzo
che
già
aveva
affondato
una
corazzata
nel
porto
di
Trieste.
A
livello
operativo
il
salvataggio
dell’esercito
serbo
e
l’azione
della
2°
squadra
dell’ammiraglio
Cutinelli
nel
1916.
C’è
un
episodio
che
secondo
lei
non
è
stato
mai
trattato
oppure
affrontato
poco
dagli
storici
e
dagli
analisti
sul
fronte
dell’impegno
navale
dell’Italia
nel
corso
della
Grande
Guerra?
La
scorta
convogli
da
Gibilterra
e il
salvataggio
di
cui
ho
appena
accennato.
L’aviazione
italiana
venne
impiegata
anch’essa
su
più
fronti.
Come
valuta
l’impegno
dei
nostri
piloti
e
dei
nostri
mezzi
aerei?
Ottimi
piloti
–
per
molto
tempo
impiegati
su
aerei
non
italiani
– e
medi
caccia;
buoni
i
bombardieri
Caproni.
C’è
uno
o
più
episodi
che
sotto
il
profilo
storico-militare
possono
essere
menzionati
a
ricordo
dell’impegno
della
nostra
aviazione
nella
Grande
Guerra?
La
partecipazione
alla
battaglia
del
Solstizio
(giugno
1918).
Può
darci
un
suo
giudizio
complessivo
sul
nuovo
quadro
che
aprì
il
primo
conflitto
mondiale
sotto
il
profilo
geopolitico?
Purtroppo
Versailles
e la
politica
antirussa
per
lo
spettro
rosso
hanno
gettate
le
basi
della
seconda
guerra
mondiale
e di
molti
attuali
problemi,
alimentando
anche
l’imperialismo
sovietico,
i
cui
risvolti
negativi
abbiamo
già
dovuto
constatare
nelle
repubbliche
baltiche
e,
ora,
nell’Ucraina
occidentale.
Speriamo
che
Konisberg,
patria
di
Kant,
e la
Prussia
orientale
non
ci
riservino
ulteriori
problemi.