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N. 138 - Giugno 2019 (CLXIX)

La Riforma protestante

SULLA fine dell’universalismo cristiano d’Occidente

di Francesco Biscardi

 

31 ottobre 1517: Martin Lutero affigge, sulla Cattedrale di Wittenberg, le sue Tesi contro la vendita delle indulgenze, gesto che segna l’inizio della Riforma protestante, con conseguente fine dell’universalismo cristiano latino.

 

Ma quali furono le sue cause? Quale era la situazione della Cristianità alla vigilia dell’episodio di Wittenberg? E, infine, cosa consentì a Lutero di creare un sovvertimento di così ampia portata contro la Cattolicità?

 

Questi sono i tre interrogativi su cui intendo riflettere nell’analisi che segue.

 

Innanzitutto vediamo quale era la situazione del mondo cristiano nel primo XVI secolo. Fin dal tardo Medioevo, la Chiesa era stata percorsa da fermenti, agitazioni e tentativi riformistici di ogni sorta. Le critiche non erano venute tanto da sette eretiche, come era accaduto nei primi secoli di vita del cristianesimo, ma dall’interno dello stesso mondo cattolico. Vennero polemizzate la mondanità, il lusso e lo sfarzo che contraddistinguevano la Chiesa, la quale, soprattutto ad opera del papato, si era trasformata in una potenza temporale mirante decisamente più al dominio politico universale che alla cura delle anime.

 

Papi come Callisto III e Alessandro VI della famiglia Borgia, come Sisto IV e Giulio II Della Rovere, e Leone X dei Medici non erano certamente dei “pastori” evangelici: erano uomini politici, sovrani con grandi interessi territoriali e familiari da proteggere. La stessa carriera ecclesiastica era una carriera come un’altra, dove le cariche più alte erano riservate agli esponenti delle nobili famiglie, in primis romane.

 

Inoltre, viva era, all’interno dello stesso universo clericale, la richiesta di una riforma della Chiesa. Da ultimo, era stata proposta da due monaci camaldolesi, Querini e Giustiniani, in occasione del V Concilio lateranense (1512), ma la richiesta di rinnovamento rimase inascoltata.

 

Tuttavia, nonostante la diffusa sfiducia verso le istituzioni ecclesiastiche, non bisogna incorrere nell’errore di pensare che la religiosità popolare fosse in declino alla vigilia della Riforma. Anzi, era addirittura in crescita, come dimostra il numero dei pellegrinaggi e delle messe votive, la moltiplicazione delle confraternite, il sentito culto dei santi e delle reliquie, la diffusione del culto mariano nelle campagne, dove, spesso, i contadini erano soliti distinguere i giorni di festa dai giorni di lavoro in base a una ricorrenza riguardante la Vergine (“la Madonna di febbraio”, “la Madonna di agosto”, “la Natività di Maria”, ecc).

 

E c’è di più: mentre oggi siamo soliti identificare l’inizio dell’età moderna con la scoperta dell’America, evento della cui importanza non si corre certo il rischio di banalizzarne la portata storica, per gli Europei di allora le conquiste coloniali avevano poco valore. Pochi potevano immaginare che dalle imprese dei conquistadores sarebbe nato un nuovo mondo, mentre, di contro, rimasero traumatizzati proprio dall’impatto della Riforma, che pose fine alla millenaria unità della Cristianità latina. Anzi le esplorazioni geografiche profusero un dilemma proprio di natura religiosa: come potevano esistere terre e popoli completamente estranei al quadro storico-genealogico delineato dalla Bibbia? Nacque lo sforzo di spiegare la loro origine senza mettere in discussione la veridicità delle Scritture (si immaginò al viaggio di qualche discendente di Noè per dare origine agli Amerindi o a migrazioni attraverso lo stretto di Bering).

 

Forse proprio la convinta religiosità cinquecentesca rappresenta la chiave di volta necessaria per capire quanto forte fu l’impatto della predicazione luterana, la quale, per il suo successo, poté contare sul dissenso anti-clericale medioevale, a cui prima accennavo. Un dissenso che fu vasto ed eterogeneo: alcuni movimenti come i Patari milanesi o i Poveri di Lione avevano propugnato, su imitazione di Cristo, un ritorno alla Chiesa delle origini, povera e attenta alle esigenze dei suoi figli; altri, come i Lollardi, si erano spinti oltre, negando il valore di istituzioni, pratiche e sacramenti, fra cui il principio della transustanziazione; altri ancora, come gli Hussiti in Boemia, fusero dissenso religioso e aspirazione all’indipendenza da Roma, dall’imperatore e dal re (la loro rivolta fruttò un compromesso: alla Chiesa boema furono riconosciuti privilegi esclusivi, come l’ingresso della lingua popolare nella liturgia al posto del latino).

 

Se il contributo medievale alla Riforma fu notevole, un peso altrettanto importante va riconosciuto all’Umanesimo: la centralità assegnata all’uomo e alla ragione aggravò la critica al principio di autorità, mentre la filologia offrì gli strumenti utili a una revisione del sapere tradizionale. Il desiderio di leggere gli autori classici nel loro sermo originario impreziosì la cultura dell’epoca di nuovi valori laici, di un desiderio di comprensione estensiva delle stesse letture (divergente dalla lettura intensiva imposta dalla Chiesa).

 

Lo stesso “monopolio” ecclesiastico del latino, che evitava di far nascere interpretazioni delle Scritture antitetiche rispetto a quelle canonicamente imposte, iniziò a essere contestato ed ogni assunto messo in discussione: già Erasmo da Rotterdam si dedicò a una revisione della Bibbia “ufficiale”, la Vulgata, Lutero andrà oltre, traducendola in tedesco (seguendo l’esempio di Wyclif, che l’aveva tradotta in inglese).

 

In questa complessa situazione, oscillante fra ossequiosa fede ai dettami cristiani e avversione verso la dubbia moralità della Chiesa, si colloca la “scintilla” da cui scaturì l’incendio: tutto cominciò nel 1515, anno in cui il pontefice, Leone X, concesse ad Alberto di Hohenzollern l’arcivescovato di Magonza (titolo che consentiva di divenire elettore imperiale), in cambio di un ingente impegno economico verso la Santa Sede. Per far questo, Alberto, si era indebitato verso il banchiere di Augusta, Jacob Fugger. Visto l’ammontare della somma prestata, il papa concesse ad Alberto il permesso di bandire una vendita delle indulgenze di durata biennale, i cui proventi sarebbero serviti, metà, per sanare il debito e, metà, per la costruzione della nuova basilica di San Pietro, avviata da Giulio II.

 

La predicazione delle indulgenze venne affidata ad un frate domenicano, Johann Teztel. Sebbene fosse stata vietata a quest’ultimo la predica nei pressi di Wittenberg da Federico il Savio, principe elettore di Sassonia (ma per questioni politiche e non certo morali), Lutero venne egualmente a conoscenza dei suoi sermoni. La sua reazione è arcinota: le 95 Tesi, dove non solo condannava la vergognosa vendita delle indulgenze, ma confutava il valore delle stesse ai fini della salvezza e il potere del papa di “cancellare” la colpa del penitente, potere che, a detta del monaco, spettava solo a Dio.

 

Non mi addentro nella dottrina luterana né nel dettaglio delle vicende storiche che seguirono alla Riforma, preferendo riflettere su cosa consentì a Lutero di coronare un successo talmente grande da aprire, all’interno della Cristianità occidentale, una ferita destinata a non essere più ricucita.

 

Come ho precisato prima, già il dissenso religioso tardo-medievale era stato fondamentale nel denunciare le sregolatezze che imperavano all’interno della Chiesa e la rivoluzione culturale umanista aveva consentito la nascita di un nuovo modo di concepire l’uomo nel rapporto con l’autorità e le Sacre Scritture. Tuttavia, questo non è sufficiente per spiegare il successo della Riforma: altri fattori accorsero in ausilio di Lutero.

 

In primis la situazione geopolitica: l’Impero tedesco, con la sua frammentazione territoriale, era un complesso statuale politicamente arretrato rispetto alle altre monarchie europee; qui l’autonomia dei principi li aveva portati a soffrire sempre di più le ingerenze e le intromissioni di Roma in questioni non solo religiose, ma anche politiche. Inoltre, le ricchezze accumulate dalla Chiesa grazie ai donativi dei fedeli, alle decime e ai tributi vari, erano assai ambite dai sovrani: la soppressione degli ordini religiosi offriva loro l’occasione di accaparrarsi i copiosi beni ecclesiastici.

 

Inoltre, appoggiare la Riforma significava schierarsi contro uno dei baluardi del cattolicesimo: il bellicoso imperatore Carlo V, a cui molti principi, gelosi della propria indipendenza, erano avversi. A queste ragioni politiche, possiamo aggiungere che praticamente ogni ceto laico, dai nobili ai contadini, erano infuocato da un sentimento “nazionale” tedesco, contrapposto agli interessi di una Roma pontificia rapace e corrotta, sentita come sempre più “distante”.

 

Un altro motivo che favorì il successo della Riforma risiede nella possibilità di una diffusione rapida e vasta dei suoi contenuti. A differenza dei riformatori religiosi medievali, Lutero poté contare sul formidabile sostegno di una recente invenzione: la stampa a caratteri mobili. Egli intuì da subito le potenzialità del nuovo mezzo espressivo, capace di raggiungere un pubblico vasto e popolare: per questo il riformatore e i suoi seguaci adottarono un linguaggio semplice, corredato da un folto apparato di illustrazioni e di immagini, con figure allegoriche dello stesso Lutero ritratto come araldo di Dio, contrapposto al papa-Anticristo o alla Roma presentata come “nuova Babilonia”.

 

La Riforma fu dunque un evento complesso, tenuto a battesimo dalla rivoluzione culturale umanista e dal dissenso religioso tardomedievale, sostenuta per il suo successo dalle nuove potenzialità espressive offerte dalla stampa e dalla particolare situazione geopolitica dell’Impero tedesco, che rappresentava il terreno più fertile per attuare quel desiderio riformistico che serpeggiava da secoli nell’Europa occidentale.

 

Le sue conseguenze furono di ampissima portata: da guerre a sfondo religioso a scismi e dispute teologiche tanto forti da segnare la storia europea almeno fino alla tarda età moderna. Già gli stessi contemporanei rimasero sconcertati e preoccupati dalla spaccatura che si era aperta, dall’odio che contrappose da subito protestanti e cattolici, dalla violenza fratricida che poneva contro popoli uniti nella fede in Cristo, proprio quando la Cristianità avrebbe dovuto essere unita e compatta contro l’“infedele” islamico, che aveva scritto la parola fine all’Impero bizantino e che ora si affacciava sempre più pericoloso sul cuore del vecchio continente.

 

Il terrore che la terra stesse sprofondando nel sangue e nella violenza portò le genti dell’epoca a comprendere con lucida consapevolezza che il mondo non sarebbe stato più lo stesso.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bainton R., Martin Lutero, Einaudi, Torino 2013.

Bainton R., La Riforma protestante, Einaudi, Torino 2000.

Biagioni M., Felici L., La Riforma radicale nell’Europa del Cinquecento, Laterza, Bari 2012, pp. 3-30.



 

 

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