suGLI AFFRESCHI
DELLA CATTEDRALE DI ORTONA
TRA LE DUE GUERRE E OLTRE / iI
di
Teresa Nicolangelo
L’inaugurazione della nuova cupola
della Cattedrale di San Tommaso
Apostolo, il 29 novembre del 1931,
con una celebrazione solenne
officiata dal vescovo Mons. Nicola
Piccirilli alla presenza dell’intero
Capitolo, del Comitato, delle
Autorità e di un gran numero di
cittadini, avviene in un clima di
giubilo ed esultanza, al solenne
canto del Te Deum di ringraziamento:
«Ortona ha sciolto un voto verso il
suo grande Apostolo, ha indugiato
sin troppo, è vero, ma l’opera
compiuta è veramente ammirevole
[...] l’opera principale è
costituita dai quattro Evangelisti
affrescati nei piloni dal giovane
pittore Ortonese Prof. Antonio
Piermatteo.
Questi, cosciente del proprio genio
ha sdegnato di assumere un
atteggiamento modesto e ispirandosi
ai grandi maestri italiani del 500
ha preferito la forma classica e vi
è riuscito mirabilmente, onde le
quattro grandiose composizioni
costituiscono un’opera che ha i suoi
indiscutibili pregi; e tanto è ciò
vero che i più visitatori
ammutoliscono nel contemplare le
imponenti raffigurazioni dei quattro
storici della Chiesa. In questo
lavoro il Piermatteo è stato quello
che doveva essere: non figure
sdolcinate, non vestimenta, né
atteggiamenti scomposti, ma vi si
ammira la scienza anatomica profonda,
la severità degl’intendimenti e lo
sdegno per tutto ciò che non rivela
atteggiamento mistico. Guardate –
per esempio – il S. Giovanni, come
soddisfa l’occhio di chi guarda
quella figura meravigliosa; nel
movimento, nello sguardo c’è la
ispirazione prodotta in Lui dalla
celeste armonia della voce di Maria,
che egli ebbe il privilegio di
ascoltare nell’isola di Patmos» (“La
Nuova Fiaccola”, 21 dicembre 1931).
.
In senso orario:
A. Piermatteo, San Giovanni (particolare),
affresco di una delle vele a
sostegno della cupola della
Cattedrale di San Tommaso Apostolo
in Ortona, perduto.
A. Piermatteo, San Sebastiano,
maiolica policromata. Ortona,
collezione privata Dott. Pasquale
Grilli.
A. Piermatteo, Autoritratto, dipinto
su tela. Ubicazione ignota.
Ritratto fotografico di A.
Piermatteo. Damasco, 1951. Ortona,
collezione privata Patrizia
Piermatteo-D’Alleva.
Difficile, confrontando i volti –
iconograficamente perfettamente
sovrapponibili – di quel giovane
Evangelista e di un San Sebastiano (probabilmente
il medesimo rintracciato in una
collezione privata ortonese e
menzionato tra le opere
dell’esposizione capitolina del
1932, oltre che nell’articolo di
Alfredo Francia – che ne decanta la
forte carica mistica e patetica –
pubblicato su “La Nuova Fiaccola” in
data 21 luglio 1929, data che in tal
modo viene a configurarsi come
terminus ante quem dell’opera)
con quello dell’autore, sfuggire
alla suggestione di riconoscere in
quei tratti, nell’attitudine del
capo, nell’arcata sopracciliare,
nell’ampiezza delle nari, nell’arco
di cupido pronunciato, nel mento
volitivo e nella linea mandibolare,
un intento autoritrattistico e
autocelebrativo – per quanto
sublimato –, quasi a sphragis,
ulteriore firma nascosta, silente
lascito ai posteri della grandiosa
impresa.
Tuttavia, il giubilo ha vita breve:
poco più che un decennio e l’amata
Cattedrale, con la sua cupola tanto
ammirata e orgoglioso simbolo della
devozione cittadina al Santo Patrono,
sarà nuovamente da ricostruire, e
questa volta, per la gravità della
profanazione subita per mano tedesca
il 21 dicembre 1943, da riconsacrare,
ricorda Don Antonio Politi,
testimone oculare degli eventi,
custode della memoria storica e
longevo parroco del tempio: la
ricostruzione ha inizio, sgomberate
le macerie, nel 1946, sotto
l’episcopato di Mons. Gioacchino Di
Leo, affidata dal Genio Civile di
Chieti all’opera dell’architetto
romano Dagoberto Drisaldi e
nell’ossatura primaria l’edificio
risulta quasi completamente
riedificato già alla fine del 1947.
Ma è il 5 settembre 1949 a regalare
agli ortonesi la gioia e la gloria
della resurrezione della Basilica
dalle proprie ceneri: «Giornata
veramente storica quel 5 settembre
(1949, N.d.R.): la seconda «
Dedicazione» della Cattedrale di S.
Tommaso dopo quella del 10 novembre
1127 (a seguito di un violentissimo
terremoto l’11 ottobre 1125, quando
ancora era intitolata a santa Maria,
N.d.R.)! In effetti la chiesa di S.
Tommaso attraverso i secoli aveva
subito i disastri dell’assalto dei
turchi e dei francesi; ma,
probabilmente, le precedenti rovine
non saranno state tanto irreparabili
da giustificare una nuova
consacrazione […]. Il giorno
successivo DCXCI anniversario della
traslazione delle Ossa di s. Tommaso
in Ortona si ebbe la solenne
inaugurazione del risorto tempio.
Per l’occasione intervenne per la
terza volta con lo splendore della
Porpora Romana il Datario di Su a
Santità Eminentissimo Card. Federico
Tedeschini. A lui fecero corona i
Vescovi d’Abruzzo, Ministri,
Parlamentari, Autorità, Clero e
un’immensa folla di fedeli» (Politi
1974).
La ricostruzione, però, lascia anche
un sentore di amaro in bocca: due
dei tre Evangelisti superstiti erano
ancora in piedi, soltanto
minimamente intaccati
dall’esplosione del 1943, ma non per
questo si è lontanamente presa in
considerazione l’ipotesi di un
restauro degli stessi o, per lo meno,
di una valutazione di quanto potesse
essere salvato o meno da parte
dell’artista, preferendo la più
semplice e diretta – ma anche
scellerata – via della demolizione (si
pensi alla distruzione del
quattrocentesco colonnato esterno,
rimasto indenne per più dell’ottanta
per cento, N.d.R.).
Quello
stesso sentore è chiaramente
percepibile in tutta la sua
indignata e impotente amarezza,
frutto della piena consapevolezza
del proprio operato artistico, in
una lettera aperta che Antonio
Piermatteo indirizza al periodico
cittadino “La Nuova Fiaccola” (30
settembre 1949) e che sarà opportuno
riportare per esteso: «Egregio
Direttore “Nuova Fiaccola”,
scorrendo l’ultimo numero della
“Nuova Fiaccola”, dedicato
all’inaugurazione della rifatta
Cattedrale, leggo tra le note dell’
“Arte nella Chiesa”, un accenno agli
affreschi in essa eseguiti
nell’ultimo periodo contemporaneo
precedente la rovina. A ritrovarvi
il mio nome, ho l’impressione come
di una cosa a me estranea, tanto è
lontano lo spirito che animava
gl’intendimenti di quegli ortonesi i
quali dedicarono la loro opera a
rendere degno il Tempio del loro
Protettore. Non discuto sul
carattere dell’allora intrapresa
opera di restauro, nè sull’opulenza
dell’oro profuso nelle decorazioni,
ma una cosa è certa: Comitato,
dirigenti ed esecutori, hanno dato
la loro opera, con la sicura
coscienza di fare opera degna del
nome Arte, sia pure circoscritta nel
tradizionalismo dello stile a essa
improntata. Per quel che mi riguarda,
ricordo, che in quei tempi (decisamente
meno democratici) ci fu una specie
di concorso per quegli affreschi; e
non fu certo lo spirito di
campanilismo che prevalse per
l’assegnazione del lavoro. Oggi, nel
conformismo corrente, e nella comune
indifferenza per le regole dell’Arte,
si plaude all’opera per le somme
stanziate, come se queste non
fossero della cassa comune. Si
accettano pure per opere d’arte
tutti i muri e i mattoni che i
dirigenti dell’Ente preposto, con la
compiacente approvazione della
Sovraintendenza ai monumenti, vanno
alzando là dov’era il segno
cosciente delle più severe linee
architettoniche dell’epoca; e si
accetta per buona pittura, delle
mediocri composizioni, degne appena
di rustiche cappelle villereccie; in
barba alle non indifferenti somme
elargite, le quali avrebbero fornito
materia d’ispirazione non dico tanto
al sottoscritto, quanto ad Artisti
di ben più solida fama quale (senza
il nome) un noto pittore,
purtuttavia han preferito per la
chiesa di Santa Maria. Ora, non so
se tra i venti milioni dei lavori in
corso per il completamento della
Cattedrale vi siano comprese anche
le decorazioni pittoriche. Contro
ogni correttezza, ch’è usata anche
verso modesti artigiani, finora non
mi si è neanche interpellato
sull’opportunità o meno di lasciare
gli avanzi di quelle esistenti. Ma
può darsi, che con l’usata autorità
di Ente statale (sia pure con il
sigillo di quello Ecclesiastico) ci
si appresti ad assegnarle al primo
venuto, ben corredato di solide
commendatizie, come se si trattasse
di un qualsiasi appalto
d’imbianchitura; salvo poi a cose
fatte, riscontrarne l’errore nel
sarcasmo provocato dal vedere come
il faceto si confonde col Sacro,
magari in veste di qualche Profeta
con il regolo calcolatore tra le
pieghe della tunica. Eppertanto, per
quei principi di orgoglio
professionale e cittadino, per i
quali ognuno che ne senta il dovere
è portato a tenere a un più alto
livello la tutela del patrimonio
artistico del proprio paese, mi sia
lecito levare la mia voce di
ortonese, in nome di quell’Arte, che
al pari di altri degni concittadini
io professo. Mi creda, A. Piermatteo».
.
Gli affreschi di A. Piermatteo
superstiti, ben visibili tra le
macerie della Cattedrale
Riedificata dunque ex novo alla fine
degli anni Quaranta del secolo
scorso, la cupola (in cemento armato
e sorretta da otto costoloni; non
più a tiburio, ma dalla foggia più
classica e slanciata) resta
semplicemente imbiancata a calce
sino al 1971, anno in cui “alla
decorazione e agli stucchi si è
sostituito il pennello del triestino
Luciano Bartoli” (Politi 1974),
artista dal forte accento simbolista,
come si evince dallo stesso
“concept” dell’opera, elaborato ed
esposto dall’autore nella sua
relazione tecnica: «Dio si serve,
per manifestarsi, di segni naturali.
Ecco quindi i giorni della creazione,
ognuno con il suo colore (i colori
dell’iride, segno della pace e
dell’amicizia di Dio con l’universo)
[...] Sotto, tra finestra e finestra,
a semplice tratto, i segni dei
sacramenti [...] E nel tamburo,
quale immagine della Chiesa
pellegrinante, le dodici tende di
Israele, ricordate dall’Apocalisse,
raggruppate a tre a tre, nei colori
delle diverse razze, con i quattro
venti – raduna, o Signore, dai
quattro venti la tua chiesa – con
uno sfondo astratto, che vuole
ricordare come le vie di Dio possano
apparire assurde, ingrovigliate, ma
nel cammino della speranza (verde)
quello che importa è l’amore (tracce
in rosso). Alla fine una barca ha
chiuso le vele; per ognuno c’è il
posto di arrivo. Sotto i quattro
evangelisti. Tolto Matteo che si è
voluto conservare, come unico resto
della cupola demolita dalla guerra,
gli altri sono stati rifatti,
traducendo nel loro simbolismo, il
mistero pasquale, con le parole
della Preghiera eucaristica IV» (Bartoli).
Matteo viene, così, a simboleggiare
l’incarnazione; Luca la morte, con i
rimandi alla vite sulla croce e alla
Madonna (della quale la tradizione
lo vuole il primo ritrattista) nera,
quale Madre del Buon Consiglio;
Marco (con il capo avvolto dal
turbante, alludente alla sottrazione
delle sue reliquie ai turchi per
mano veneziana) la resurrezione,
evocata dallo stesso simbolo
teriomorfo dell’evangelista, il
leone (che secondo un’antica
credenza viene alla luce morto per
poi rivivere, leccato dal genitore,
il terzo giorno), e ulteriormente
rimarcata da palma e sepolcro
scoperchiato; Giovanni, con lo
sguardo proteso verso l’alto e le
sette chiese dell’Apocalisse, che ne
circondano la figura, il Giudizio e
la Resurrezione finali.
.
L’attuale decorazione a fresco della
cupola della Cattedrale: i dipinti
di L. Bartoli e il San Matteo di A.
Piermatteo.
In tal modo, dunque, si chiude per
la Cattedrale la lunga parabola,
protrattasi per quasi un
cinquantennio, dei suoi affreschi;
ma, legata al primo autore degli
stessi, un’ultima notazione – non
certo priva d’importanza –, va
doverosamente fatta. É di recente
acquisizione la scoperta
(attraverso
la mappatura digitalizzata dei beni
culturali ecclesiastici nazionali
sulla piattaforma BeWeB) di
un’ulteriore prova pittorica a
fresco del Piermatteo, ritenuta,
invece, sino a ora un unicum
(essendo dell’artista essenzialmente
documentata la produzione ceramica,
maggioritaria, e in minor parte –
rari esemplari – quella su tela)
nelle realizzazioni dei quattro
Evangelisti ortonesi: un ciclo
pittorico dedicato a Santa Barbara,
del quale non è dato sapere altro
che data di realizzazione – 1946 – e
ubicazione – terza cappella di
destra nella chiesa intitolata a
Maria Santissima Assunta in Cielo in
Scandriglia (località che una
tradizione, ricordata dal Codice
Barberini 2867, lega al martirio e
alla sepoltura della Santa), nel
reatino. Come sempre sfuggente, come
a Gualdo, come in Umbria, come nel
soggiorno marchigiano, neppure nel
Lazio il Piermatteo lascia tracce
documentarie che non siano il suo
pennello: l’archivio parrocchiale
non presenta ricevute di pagamento,
né mandato di commissione, né
tantomeno indizi sulla residenza
dell’artista, presumibilmente già
spostata nella Capitale. Come sia
arrivato a Scandriglia non è dato
sapere, ciò che di lui resta è, come
sempre, l’inconfondibile linguaggio
espressivo che, attraverso una certa
stilizzazione formale e volumetrica
e un utilizzo di un’accesa cromia,
volta all’esaltazione dei contrasti
e del pathos, riesce a
conferire a figure e scene la vis
caratteristica della sua mano.
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Mostra personale d’arte ceramica
Antonio Piermatteo,
Catalogo della Mostra (Roma,
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marzo 1932), Sansaini Arti grafiche
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Ortona 1860-1945. I protagonisti,
in “Quaderno di ricerca Associazione
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Luglio 2005, pp. 5-6.
A. Piermatteo, Le decorazioni
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Fiaccola”, Periodico quindicinale
indipendente, Anno XIII n.12, Chieti
30 settembre 1949, p. 4.
A. Politi, Ortona - con
introduzione su La vita e le tre
tombe di S. Tommaso apostolo e con
appendice di documenti, Editrice
Itinerari, Lanciano 1974 (pp.
230-233, p. 233 nota 70 (1933
Sistemazione Oratorio del Crocefisso
in occasione del rientro da Venezia
della Sacra Ampolla: commissione al
Piermatteo di una pala d’altare,
appositamente innalzato quale
perfetto pendant a quello del
Crocefisso, raffigurante San Tommaso),
pp. 287-289.
N. Serafini, Romolo Bernabeo nel
cinquantesimo della scomparsa. 6,
in “La Sveglia”, Periodico
indipendente ortonese, Anno LIX n.
22, mercoledì 27 novembre 2019, p.
4.
Visita del Soprintendente Belle Arti
e Monumenti, in
“La Nuova Fiaccola”, Periodico
quindicinale indipendente, Anno IX
n. 139, Ortona a mare 26 gennaio
1932, Anno X, p. 5.