filosofia & religione
SUL TARDOGOTICO PIEMONTESE
IL CASTELLO DELLA MANTA E L’ARTE
PROVINCIALE NEL NORD-OVEST
di Federica Gaido
Un primo nucleo fortificato si attesta
già nel XIII secolo, ma è solo nel XVI
secolo che il Castello della Manta
(Cuneo) viene dotato di un possente
mastio rettangolare circondato da un
muro e forse da un fossato, anche se di
questa fase restano poche tracce. A
partire dal secondo quarto del
Quattrocento l’edificio abbandonò i
connotati di severo maniero militare per
assumere quelli di fastosa residenza di
famiglia.
La nuova dimora fortificata inglobò il
mastio e le mura trecentesche ed ebbe,
come indicano gli studi più recenti
pianta pressoché rettangolare con a
coronamento un cammino di ronda merlato;
questo camminamento non è attualmente
fruibile poiché facente parte dei solai
non ancora interessati da adeguata
indagine scientifica.
Di particolare nota è il ciclo di
affreschi che ricopre interamente la
grande sala centrale del secondo piano,
detta Salone Baronale, con la serie dei
nove eroi e delle nove eroine
dell’antichità sulla parte a destra del
camino e la scena della Fontana della
Giovinezza sulla parete opposta.
Se l’autore è ignoto è però ben
delineato il preciso progetto politico,
iconografico e culturale che fa del
ciclo della Manta una delle tappe
principali nello studio della civiltà
cortese e dell’influsso della cultura
francese nel Piemonte occidentale. I
rapporti tra marchesato e corte di
Francia furono infatti stretti al punto
che alla corte di Saluzzo si parlava
francese, ci si vestiva alla parigina,
si educavano i figli a Parigi, si
collezionavano opere d’arte francesi.
L’adesione dei Saluzzo ai costumi e alla
cultura francese non deve considerarsi
un fatto di provincialismo né
giustificarsi nella posizione periferica
del marchesato ma va letta come una
scelta di gusto derivante anche da
convenienze politiche. La Francia
infatti fu molto vicina ai Saluzzo nei
difficili rapporti di questi con le
potenti famiglie degli Acaja e dei
Savoia le cui mire espansionistiche
minavano la sicurezza del marchesato.
La Sala Baronale è un magnifico esempio
della predilezione del senso decorativo
da parte della pittura tardogotica
caratterizzata da un ritmo narrativo che
si dipana lungo le pareti coinvolgendo
lo spettatore nell’atmosfera di una
favola popolata da nobili eroi e
affascinanti eroine disposti in parata
lungo un prato fiorito e accompagnati da
stemmi nobiliari.
Gli scudi appesi alle fronde degli
alberi riportano stemmi ed emblemi; il
codice dell’araldica che oggi può
sembrare remoto e complesso era invece
un linguaggio perfettamente condiviso
nelle corti del XV secolo. Simboli,
forme, colori avevano un significato
immediato e definivano il rango
d’origine. Gli esili tronchi d’albero
tra una figura e l’altra scandiscono lo
spazio della parete. È una divisione
lineare e regolare completata in basso
da riquadri con testi poetici riferiti a
ogni personaggio e ribadita dalla
presenza vistosa degli stemmi nobiliari.
Fastosi abiti bizzarre acconciature e
movenze eleganti. La posizione dei piedi
chiarisce la posa e il rapporto tra le
figure. All’anonimo pittore tardogotico
non interessa affatto dare l’impressione
dello spazio in profondità quanto
piuttosto una successione di personaggi
concatenati ritmicamente fra loro.
Il messaggio sociale, politico e
autocelebrativo viene così affidato
all’impressionante sequenza dei diciotto
personaggi che nel loro
sovradimensionamento dominano il salone.
La scelta dei soggetti voleva anche
mettere in mostra il vasto sapere
enciclopedico del signore e
contestualmente ostentare il potere e la
superiorità del padrone di casa.
Tra Trecento e Quattrocento infatti si
ha una straordinaria fioritura della
pittura di soggetto profano a carattere
storico cavalleresco o celebrativo e tra
questi il tema di matrice classica degli
uomini illustri o eroi dell’antichità
era diventato particolarmente caro alla
cultura preumanistica di ambiente
cortese. È in questo periodo che viene
definendosi la serie-tipo di nove eroi o
prodi e nove eroine sul modello delle
Vite parallele di Plutarco e in
anticipo sul tema rinascimentale dei
viri illustres.
Si tratta di una sorta di galleria
ideale di personaggi scelti per le loro
virtù a rappresentare le tre maggiori
epoche della storia (qui abbiamo l'età
pagana simboleggiata da Ettore,
Alessandro Magno e Ippolita, la storia
ebraica con Giosuè e Davide e la storia
cristiana con Re Artù, Carlo Magno e
Goffredo di Buglione) e che con la sua
particolare diffusione nella decorazione
delle dimore nobiliari costituisce una
specie di genealogia spirituale del
signore.
Il ciclo appare meno abbagliante di come
appariva quando fu terminato: lo si deve
immaginare rilucente di metalli preziosi
che finemente lavorati e cesellati
completavano i ricchi costumi dei
personaggi, dove oggi invece sono
evidenti lacune di colore. Alla
rappresentazione di tipo allegorico sono
legati altri due temi fondamentali del
repertorio figurativo cortese quelli
dell’amore e della morte.
L’amore, valore cortese per eccellenza,
è anche posto in relazione con tematiche
sacre in una serie di temi iconografici
quali il contrasto tra amor sacro e amor
profano, il giardino delle virtù la
fontana della vita o della giovinezza.
La Fontana della Giovinezza che
fronteggia la teoria degli uomini
illustri è opera di un artista della
cerchia di Giacomo Jacquerio (maggior
rappresentante del tardogotico
piemontese) eseguita intorno al 1420. Il
tono di divertita ironia con il quale
l’artista delinea la foga degli anziani
che si gettano nell’acqua e la gioia
boccaccesca degli incontri amorosi dei
giovani esemplifica la tendenza a una
progressiva laicizzazione
dell’allegoria.
Chiude la decorazione della Sala
baronale l’affresco con la Crocifissione
di Cristo tra la Vergine e Giovanni
Evangelista dal moderato contenuto
sentimentale e composta gestualità delle
figure; qua vengono tentate anche nuove
soluzioni spaziali e plastiche evidenti
ad esempio nei bracci della croce che
vanno a sovrapporsi alla cornice
ornamentale che inquadra la scena
suggerendone la sua tridimensionalità.
Sul medesimo piano trovano posto anche
la biblioteca privata del signore, una
seconda sala di rappresentanza dotata di
camino e impreziosita da un affresco
della Madonna del Latte entro una
nicchia della parete e un terzo ambiente
di non chiara destinazione
caratterizzato dalla presenza di
frammenti di decorazione pittorica.
Nonostante sia assai difficile definire
una precisa attribuzione esecutiva anche
per queste stanze è comunque possibile
circoscriverne la cronologia e l’ambito
culturale. La Madonna del Latte,
databile all’ultimo quarto del Trecento,
dal punto stilistico e formale rimanda
alla pittura francese aggiornata però ai
modelli e alla spazialità toscana;
l’insieme diventa così un felice
connubio tra queste due tradizioni
lasciando supporre un’origine o
perlomeno una formazione avignonese
dell’anonimo autore. La rigida
costruzione del trono della Madonna
richiama infatti le opere prodotte dagli
artisti toscani attivi ad Avignone che
durante tutto il Quattordicesimo secolo
fu il principale luogo di contatto tra
la cultura centroitaliana e quella
francese.
Nella sala adiacente invece sono
visibili i resti di una serie di
affreschi dedicati al mondo naturale; si
possono scorgere ancora i profili dei
grandi alberi che ornavano ogni parete
del piccolo ambiente tutti resi con
grande attenzione botanica alle diverse
varietà e specie. Come per gli altri
affreschi del Castello della Manta
l’autore è sconosciuto ma pur sempre
aggiornato all’interesse tipicamente
medievale per i Tacuina sanitatis
e i vari erbari che rappresentavano
quasi delle piccole enciclopedie mediche
d’uso comune. Questo stesso interesse
per la vegetazione è forse più
chiaramente leggibile, grazie
soprattutto alle migliori condizioni di
conservazione, nella scena di caccia
nella Sala baronale dove ci viene
riproposto un bosco lussureggiante e un
prato ricco di fiori ed erbe d’ogni
tipo.
Nel XVI secolo il severo volto
quattrocentesco del castello non era più
al passo con i tempi: l’evoluzione delle
dimore e dei costumi delle corti
italiane arrivarono in Piemonte con un
certo ritardo rispetto ad altre zone
italiane. I lavori di ampliamento della
Manta iniziarono solo all’inizio della
seconda metà del Cinquecento addossando
un intero corpo di fabbrica alla parte
ovest del castello quattrocentesco. La
nuova costruzione concepita intorno a un
severo cortile che oggi funge da accesso
principale conserva all’esterno la
tipica sobria semplicità piemontese e
racchiude invece il fastoso appartamento
di rappresentanza.
Il grandioso Salone delle Grottesche
affrescato da un’ampia gamma di
sofisticate decorazioni alla pompeiana e
quattordici ovali contenenti
raffigurazioni simboliche accompagnate
da motti e illustranti virtù e linee di
condotta della famiglia; particolare è
la presenza del globo terracqueo in qui
si può già distinguere la presenza del
continente americano.
La chiesa del castello presenta
anch’essa un ciclo pittorico,
genericamente databile al secondo quarto
del Quattrocento, di notevole qualità e
rilevanza sempre all’interno della
cultura tardogotica italiana. Il coro
ospita le Storie della Passione di
Cristo in singoli episodi disposti su
due fasce sovrapposte senza soluzione di
continuità. I personaggi hanno una forte
caratterizzazione fisionomica ed
espressiva e risultano condensati
all’interno di spazi architettonici
dalla costruzione ancora empirica; come
in tutto il complesso decorativo della
Manta anche qui c’è una grande
attenzione ai dettagli, ai particolari
dei costumi e agli elementi botanici. |