N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
Il Castello di Arginy e il tesoro nascosto dei
Templari
Tra
storia
e
leggenda
–
PARTE
II
di
Cinzia
De
Crescenzio
“Un
castello
nella
pianura
tra
Saône
e
Beaujolais,
che
sembra
uscire
dal
più
profondo
medioevo,
un
mastio
e
delle
torri
circondate
da
acque
pesanti
e
verdastre”.
Con
queste
parole,
che
evocano
un’atmosfera
misteriosa
e
quasi
irreale,
lo
scrittore
esoterico
Daniel
Réju
descrive
Arginy.
E
proprio
questa
atmosfera
particolare
è,
forse,
all’origine
di
tutte
le
tradizioni
e
leggende
che
si
narrano
da
molto
tempo
su
questo
castello:
spettri
di
cavalieri
che
si
aggirano
di
notte,
improvvise
palle
di
fuoco
che
squarciano
le
tenebre,
agghiaccianti
rumori
che
risuonano
nel
silenzio
e,
infine,
tragici
incidenti
accaduti
a
chi
aveva
tentato
di
violare
il
segreto
del
castello.
C’era,
poi,
a
dar
forza
a
questi
inquietanti
racconti,
un
documento
che
circolava
negli
ambienti
esoterici
europei
intorno
alla
metà
del
XVIII
secolo,
il
“documento
Schiffmann”,
dove
si
narrava
che,
alcuni
giorni
prima
dell’esecuzione,
l’ultimo
gran
maestro
del
Tempio,
Jacques
de
Molay,
corrompendo
i
suoi
carcerieri,
era
riuscito
ad
incontrare
il
conte
Guichard
VI
de
Beaujeu,
affidandogli
l’incarico
di
assicurare
la
sopravvivenza
dell’Ordine
e di
portare
in
salvo
il
tesoro,
celato
in
alcune
cavità
segrete
ricavate
all’interno
delle
colonne
del
tempio
di
Parigi.
Dopo
l’esecuzione,
il
conte
ottenne
dal
re
Filippo
il
Bello
il
permesso
di
raccogliere
i
suoi
miseri
resti
e
nascose,
nella
stessa
cassa,
il
tesoro
che
aveva
recuperato
dal
Tempio
con
l’aiuto
di
nove
cavalieri
scampati
alle
persecuzioni,
e si
mise
in
viaggio
verso
Cipro.
Esistono
anche
altre
versioni
di
questo
racconto;
secondo
una
di
queste,
il
conte
de
Beaujeu
avrebbe
ottenuto
il
permesso
di
portar
via
dal
Tempio
il
sarcofago
con
le
spoglie
dello
zio,
il
gran
maestro
Guillaume
de
Beaujeu,
morto
nel
1291
durante
la
difesa
di
Acri,
nascondendo
al
suo
interno
il
tesoro
del
Tempio.
Probabilmente
fu
proprio
per
ispirazione
di
questo
documento
che
si
andò
rafforzando
la
tradizione,
che
già
da
tempo
doveva
circolare
a
livello
locale,
del
tesoro
nascosto
ad
Arginy.
Per
quale
motivo,
infatti,
il
conte
de
Beaujeu
sarebbe
dovuto
andare
fino
a
Cipro
quando
avrebbe
potuto
più
facilmente
nasconderlo
nel
più
isolato
dei
castelli
della
sua
famiglia?
Tanto
più
che
si
diceva
che,
già
alla
fine
del
XV
secolo,
Anne
de
Beaujeu
aveva
fatto
eseguire
degli
scavi
nel
castello
poiché
aveva
saputo
che
vi
si
celavano
documenti
molto
antichi.
Si
narra
che,
dopo
la
scoperta
di
un
accesso
ai
sotterranei
e
l’ingresso
di
un
operaio
in
ricognizione,
si
udì
un
grido
agghiacciante
e
dopo
un
po’
il
poveretto
uscì
con
il
cranio
fracassato,
stramazzando
a
terra
dopo
qualche
passo.
Fatto
ancora
più
inquietante,
il
corpo
era
già
freddo.
Questo
evento
tragico
indusse
Anna
ad
abbandonare
le
ricerche
e ad
ostruire
l’accesso
ai
sotterranei.
Anna
di
Beaujeu
(1461-1522),
nota
anche
come
Anna
di
Francia,
era
la
figlia
maggiore
del
re
Luigi
XI.
Ancora
adolescente,
nel
1474,
fu
maritata
a
Pietro
II
di
Beaujeu,
cadetto
della
famiglia
Bourbon,
che
nel
1400
aveva
acquisito
il
feudo
di
Beaujeu.
Dal
1483
al
1491,
durante
la
minorità
del
futuro
re
Carlo
VIII,
suo
fratello,
fu
reggente
del
regno
di
Francia,
rivelando
notevoli
capacità
politiche;
capacità
che
dimostrò
anche
quando
il
marito
Pietro
divenne
duca
di
Bourbon
(1488).
Di
questi
scavi
ad
Arginy,
tuttavia,
non
si
trova
traccia
nelle
biografie
di
Anne
de
Beaujeu;
quindi,
seppure
ci
furono
– il
che
sembra
molto
dubbio
-,
dovettero
essere
del
tutto
marginali.
Considerando,
poi,
la
forte
personalità
di
Anne
e la
sua
determinazione,
dimostrata
nella
gestione
degli
affari
di
stato,
sembra
del
tutto
improbabile
che,
essendo
a
conoscenza
di
antichi
documenti
celati
ad
Arginy,
potesse
aver
abbandonato
le
ricerche
così
facilmente,
Inoltre,
il
castello,
fin
dalla
metà
del
XIV
secolo,
non
era
più
di
proprietà
dei
de
Beaujeu,
ma
apparteneva
alla
famiglia
de
Verneys.
Sulla
base
delle
fonti
storiche
sinora
note,
non
si è
in
grado
di
stabilire
con
esattezza
quando
e
come
il
castello
–
peraltro
mai
studiato
fino
alle
ricerche
condotte
negli
anni
’90
del
secolo
scorso
nell’ambito
del
“Project
Collectif
de
Recherche
Chateau
médiévaux
en
Rhône-Alpes”
–
passò
nelle
mani
dei
de
Verneys.
È
certo,
però,
che
nel
1365
era
già
di
loro
proprietà,
poiché
esiste
il
testamento
del
cavaliere
Guichard
de
Verneys,
datato
27
dicembre
di
quell’anno
(pubblicato
in
Claude
Le
Laboureur
,
Les
masures
de
l’
abbaye
royale
de
l’Isle-Barbe,
1681-1682).
che,
tra
l’altro,
assegnava
al
figlio
maggiore
Guichard
il
castello
di
Arginy.
Né è
possibile
stabilire
per
quanto
tempo
i de
Beaujeu
ne
furono
i
signori:
sicuramente
lo
furono
fino
agli
anni
’50
del
XIV
secolo,
come
attestato
da
un’ordinanza
di
Antoine
de
Beaujeu,
databile
tra
il
1351
ed
il
1359,
relativa
all’amministrazione
giudiziaria
di
Arginy,
ma
non
si
sa
nè
quando
ne
entrarono
in
possesso
nè
se
fossero
stati
i
committenti
della
costruzione
del
castello.
Risulta,
infatti,
da
un
atto
di
donazione
dell’XI
secolo
a
favore
di
un
tal
Josmard
d’Arginy
(conservato
nella
collegiata
di
Notre
Dame
de
Beaujeu)
che,
all’epoca,
esisteva
una
casata
de
Arginy,
non
imparentata
con
i de
Beaujeu.
Furono
i de
Arginy
– di
cui
non
si
hanno
altre
notizie
– i
primi
costruttori
del
castello?
Le
indagini
stratigrafiche
degli
anni
’90
del
secolo
scorso
hanno
messo
in
evidenza,
sotto
le
fondamenta
del
castello
medievale,
ad
una
profondità
di
circa
un
metro
e
mezzo,
uno
strato
di
detriti
che
sembrerebbe
indicare
un
edificio
più
antico
andato
distrutto
per
motivi
al
momento
ignoti.
Il
resto
del
castello,
invece,
fu
ricostruito
quasi
interamente
tra
il
1656
e il
1722
e fu
ingrandito
con
l’aggiunta
di
una
altra
corte,
destinata
alle
attività
produttive.
Ora,
rileggendo
la
tradizione
del
tesoro
templare
ad
Arginy
alla
luce
dei
dati
storici,
qualcosa
non
torna.
Infatti,
se
Guichard
VI
de
Beaujeu
lo
avesse
effettivamente
nascosto
qui,
sembra
strano
che
il
castello,
con
il
suo
prezioso
segreto,
possa
essere
stato
ceduto
ai
de
Verneys
solo
una
trentina
di
anni
dopo
la
morte
di
Guichard
VI,
avvenuta
nel
1331.
Di
conseguenza,
si
potrebbe
ipotizzare
o
che
il
tesoro
fosse
stato
già
portato
altrove
o
che
nessuno
dei
suoi
eredi
fosse
al
corrente
della
sua
presenza
ad
Arginy.
E,
in
quest’ultimo
caso,
come
avrebbe
potuto
esserne
informata
Anne
de
Beaujeu,
che
non
apparteneva
per
nascita
a
questa
famiglia,
come
del
resto
non
vi
apparteneva
suo
marito
Pietro
di
Bourbon?
Nonostante
tutto,
la
tradizione
del
tesoro
templare
nascosto
ad
Arginy
era
ancora
viva
agli
inizi
del
‘900.
Nel
1914,
infatti,
secondo
quanto
raccontava
Jacques
de
Rosemont,
suo
padre
Pierre,
nuovo
proprietario
di
Arginy,
aveva
ripreso
le
ricerche,
ritrovando
l’accesso
ai
sotterranei
che,
a
suo
tempo,
Anne
de
Beaujeu
aveva
fatto
ostruire.
Ma
anche
questa
volta,
un
operaio
fu
vittima
di
un
grave
incidente.
inducendo
il
conte
Pierre
a
sospendere
momentaneamente
i
lavori.
Egli,
tuttavia,
non
si
arrese
e
proseguì
le
ricerche
da
solo,
riuscendo
finalmente
ad
arrivare
alla
stanza
sotterranea
dove
era
custodito
il
tesoro.
In
quel
luogo
Pierre
de
Rosemont
avrebbe
trovato
anche
la
tomba
del
misterioso
signore
di
Camus,
cui
gli
esoteristi
attribuivano
i
disegni
alchemici
tracciati
sulle
mura
del
mastio.
A
questo
punto,
però,
si
verificarono
strani
fenomeni:
rumori
tremendi,
sinistre
palle
di
fuoco,
odori
nauseabondi;
inoltre,
l’acqua
aveva
cominciato
ad
inondare
l’ambiente.
Nello
stesso
momento,
il
conte,
già
terrorizzato
da
questi
eventi,
ricevette,
da
parte
di
forze
occulte,
l’ordine
categorico
di
abbandonare
le
ricerche.
Cosa
che
puntualmente
fece,
richiudendo
in
tutta
fretta
gli
scavi.
Questa
vicenda
rimase
come
“storia
di
famiglia”
fino
agli
anni
’50,
quando
la
nuora
del
conte
Pierre
ne
parlò
con
l’esoterista
Jacques
Breyer
(1922-1996),
che
si
dimostrò
talmente
interessato
a
questo
racconto
che
decise
di
trasferirsi
ad
Arginy
per
riprendere,
insieme
ai
Rosemont,
le
ricerche
più
volte
interrotte.
Nella
convinzione
che
nel
castello
si
celassero,
oltre
al
tesoro,
anche
gli
archivi
segreti
dell’Ordine,
che
gli
avrebbero
permesso
di
penetrare
nelle
misteriose
conoscenze
iniziatiche
degli
antichi
cavalieri
templari,
Breyer
raccolse
attorno
a sé
un
gruppo
di
“specialisti”
nelle
diverse
discipline
esoteriche.
C’erano,
tra
gli
altri,
Armand
Barbault,
alchimista
ed
astrologo,
con
la
moglie
medium,
Maxime
de
Roquemaure,
che
si
presentava
come
maestro
di
un
ramo
templare
sopravvissuto
in
Etiopia,
ed
Eugène
Canseliet,
alchimista
ed
allievo
di
Fulcanelli.
Nel
corso
di
un
esperimento
esoterico,
il
12
giugno
1952,
sarebbero
finalmente
riusciti
ad
entrare
in
contatto
con
gli
spiriti
di
11
cavalieri
templari,
rimasti
ad
Arginy
a
custodia
dei
loro
segreti,
che
avrebbero
sollecitato
Breyer
a
farsi
promotore
della
“rinascenza”
dell’Ordine.
In
effetti,
per
assolvere
a
questo
nobile
compito,
sarebbe
stato
molto
utile
ai
“nuovi”
cavalieri,
in
termini
tanto
economici
quanto
sapienziali,
poter
disporre
del
famoso
tesoro;
ciò
nonostante
i
custodi
templari
-
che
dovevano
aver
conservato
la
bramosia
di
cui
erano
stati
accusati
nel
Medioevo
-
non
avrebbero
voluto
rivelare
dove
si
trovasse.
Così
gli
esoteristi
proseguirono
le
ricerche,
alternando
lavori
di
scavo
a
sedute
spiritiche
e ad
esperimenti
magico-teurgici.
Tuttavia,
al
di
là
delle
testimonianze
stupefacenti
dei
protagonisti,
ad
Arginy
non
dovette
essere
trovato
nulla,
tanto
che,
a
mano
a
mano,
il
gruppo
iniziò
a
disgregarsi
e
alla
fine
lo
stesso
Breyer,
dopo
7
anni
di
permanenza
al
castello,
dal
1952
al
1959,
se
ne
andò.
A
testimonianza
di
quella
che
fu
pretenziosamente
chiamata
dagli
esoteristi
“rinascenza
templare
di
Arginy”
resta,
ora,
solo
un
pozzo
profondo
12
metri,
scavato
da
Breyer
ed i
suoi
compagni
nel
pavimento
dell’antico
mastio,
sotto
il
quale
erano
convinti
di
poter
ritrovare
il
tesoro
mentre
in
realtà
trovarono
solo
le
acque
del
torrente
Sancillon,
che
inondarono
il
piano
terra
della
costruzione,
mettendone
a
repentaglio
la
stessa
sopravvivenza.