N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
Il Castello di Arginy e il tesoro nascosto dei
Templari
Tra
storia
e
leggenda
–
PARTE
I
di
Cinzia
De
Crescenzio
Veggio
il
novo
Pilato
sì
crudele
Che
ciò
nol
sazia,
ma
sanza
decreto
Portar
nel
Tempio
le
cupide
vele
(Purgatorio
XX,
91-93)
Con
queste
parole
che
Dante
fa
pronunciare
ad
Ugo
Capeto,
antenato
di
Filippo
il
Bello,
durante
il
loro
incontro
nel
V
girone
del
Purgatorio,
il
poeta
consegnava
alla
storia
la
sua
convinzione
sulle
vere
cause
che
portarono
allo
scioglimento
dell’Ordine
templare.
Convinzione,
peraltro,
condivisa
anche
da
molti
altri
testimoni
dell’epoca,
come
Giovanni
Villani
e
Guglielmo
Ventura.
Era,
infatti,
noto
che
il
re
francese,
impegnato
in
incessanti
guerre
contro
l’Inghilterra
e le
Fiandre
per
allargare
i
suoi
confini
e
rafforzare
il
suo
potere,
era
costantemente
alla
ricerca
di
risorse
finanziarie,
senza
farsi
tanti
scrupoli.
Così,
nel
1296
aveva
imposto
una
tassa
anche
al
clero
(che
fu
all’origine
dell’aspro
conflitto
con
papa
Bonifacio
VIII)
e
nel
1306
aveva
confiscato
i
beni
degli
ebrei
e
dei
“lombardi”,
espressione
che
designava
allora
i
banchieri
italiani.
Oggi,
molti
storici
ritengono
che
alla
base
della
persecuzione
contro
i
templari
non
ci
fossero
solo
ragioni
economiche
ma
anche
motivazioni
di
altra
natura
(politica,
religiosa,
psicologica…);
è
certo,
comunque,
che
le
prime
vi
ebbero
notevole
peso.
Non
è
certo,
invece,
quanto
effettivamente
fruttò
al
re
di
Francia
“l’operazione
templari”,
poiché
la
maggior
parte
delle
loro
proprietà
fondiarie
fu
assegnata
agli
Ospitalieri
da
papa
Clemente
V
con
la
bolla
“Ad
providam
Christi
vicarii”
e
del
tesoro,
che
si
diceva
fosse
immenso,
al
momento
degli
arresti,
fu
trovata
ben
poca
cosa,
negli
Archivi
Nazionali
di
Francia,
infatti,
sono
conservate
due
relazioni,
redatte
dall’ufficiale
governativo
incaricato
di
eseguire
gli
arresti
a
Parigi,
Alain
de
Pareilles,
ed
indirizzate
ai
ministri
Guglielmo
de
Nogaret
ed
Enguerrand
de
Marigny,
nelle
quali
si
dichiarava
che
nel
Tempio
di
Parigi
non
fu
trovato
praticamente
nulla.
Del
resto,
se
un
tesoro
c’era,
doveva
trovarsi
nel
nuovo
quartier
generale
del
Tempio
a
Cipro,
poiché
non
sembra
logico
che
Jacques
de
Molay,
che
al
momento
degli
arresti
di
massa
si
trovava
a
Parigi
per
incontrare
il
papa
ed
il
re
di
Francia,
lo
avesse
portato
con
sé,
tanto
più
che
era
al
corrente
delle
voci
che
circolavano
contro
l’Ordine
ed
al
riguardo
aveva
già
sollecitato
una
inchiesta
pontificia.
Ma
se
il
favoloso
tesoro
dei
templari
non
fu
trovato,
che
fine
poteva
aver
fatto?
A
questa
domanda
hanno
cercato
di
rispondere
non
solo
gli
storici
ma
anche
i
numerosi
“cercatori
di
tesori”
che
hanno
setacciato
in
lungo
e in
largo
tutti
i
luoghi
medievali
d’Europa
(e
non
solo).
Tuttavia,
nonostante
studi
e
ricerche
in
abbondanza,
manca
ancora
una
risposta
certa.
Uno
dei
siti
maggiormente
“indiziati”
è il
castello
di
Arginy,
nel
Beaujolais,
poiché,
secondo
una
tradizione
locale,
le
ricerche
vi
sarebbero
iniziate
fin
dal
XV
sec.,
quindi
ben
due
secoli
prima
che
massoneria
e
templarismo
riportassero
alla
ribalta,
in
versione
più
o
meno
romanzata,
la
storia
dell’Ordine.
Ma,
prima
di
penetrare
nei
segreti
di
Arginy,
si
ritiene
opportuna
qualche
riflessione
sulla
effettiva
consistenza
del
tesoro
templare.
Sulla
base
dei
pochi
documenti
in
nostro
possesso
–
poiché,
con
il
“favoloso
tesoro”,
è
sparito
pure
l’archivio
del
Tempio
–
non
è
possibile
farne
una
stima,
ma è
indubbio
che
per
le
mani
dei
cavalieri
fossero
passate
enormi
ricchezze,
tanto
immobiliari
quanto
mobiliari.
Fin
dai
primi
anni
della
sua
esistenza,
infatti,
l’Ordine
fu
beneficiario
di
moltissime
donazioni
di
proprietà
fondiarie,
che
furono
sapientemente
amministrate
con
l’ottica
di
ottenerne
il
maggior
profitto
possibile
per
finanziare
le
operazioni
militari
in
Terra
Santa.
Inoltre,
questi
redditi,
grazie
ai
tanti
privilegi
concessi
da
papi
e
sovrani,
erano
esenti
da
imposizioni
fiscali
e
decime.
È
stato
stimato
che
nel
1307
il
Tempio
possedeva
in
Occidente
circa
9000
magioni;
non
è,
pertanto,
difficile
immaginare
quanto
denaro
se
ne
potesse
ricavare.
Inoltre
l’Ordine
riceveva
donazioni
in
denaro
ed
incassava
annualmente
somme
cospicue
come
quote
“pro
fraternitate”
versate
da
laici
per
assicurarsi
la
protezione
spirituale
– e
non
solo
–
dei
Templari.
C’erano
poi
le
molteplici
attività
bancarie
svolte
dal
Tempio
(carte
di
credito,
depositi,
prestiti…),
che,
giustificati
i
profitti
come
“rimborso
spese”
per
aggirare
il
divieto
ecclesiastico
dell’usura,
dovevano
rendere
notevoli
quantità
di
denaro.
Non
indifferenti,
infine,
dovevano
essere
i
proventi
delle
attività
mercantili,
quali
il
trasporto
di
pellegrini
e
merci
in
Terra
Santa
(o
dalla
Terra
Santa),
soprattutto
nel
corso
del
XIII
sec.,
grazie
all’allestimento
di
una
propria
flotta.
Ma,
se
ingenti
erano
le
entrate,
altrettanto
ingenti
erano
le
uscite.
Il
mantenimento
delle
guarnigioni
in
Terra
Santa
era
assicurato
quasi
esclusivamente
dai
fondi
inviati
dall’Occidente;
in
Oriente,
infatti,
il
Tempio
non
ebbe
inizialmente
grandi
proprietà
fondiarie.
E
quando
le
ebbe,
a
partire
dalla
metà
del
XIII
sec.,
comportarono
per
l’Ordine
più
spese
che
guadagni,
poiché
si
trattava
di
proprietà
cedute
dalla
nobiltà
locale,
non
più
economicamente
in
grado
di
assicurarne
la
difesa.
Cosa
che
solo
il
Tempio
e
gli
altri
Ordini
monastico-cavallereschi
potevano
permettersi
grazie
al
denaro
prodotto
in
Occidente.
La
difesa
di
un
feudo
e/o
di
un
castello
richiedeva,
oltre
a
costanti
opere
di
rinforzo,
una
guarnigione
stabile.
Per
quanto
i
cavalieri
veri
e
propri
non
dovettero
mai
essere
troppo
numerosi,
al
loro
servizio,
per
le
operazioni
militari
e la
gestione
delle
proprietà,
c’era
una
folta
moltitudine
di
attendenti,
scudieri,
servitori
ed
artigiani
di
vario
genere,
senza
contare
le
truppe
mercenarie
locali
(turcopoli)
che
dovevano
essere
assoldate,
vista
la
penuria
di
cristiani
combattenti
che
afflisse
sempre
i
regni
di
Terra
Santa.
Oltre
al
vitto,
molto
si
doveva
spendere
per
l’equipaggiamento
bellico
dei
combattenti:
dai
cavalli
alle
armi
e
alle
macchine
da
guerra.
Dopo
ogni
sconfitta
– e
ve
ne
furono
molte
nei
circa
due
secoli
di
esistenza
dei
regni
cristiani
d’Oriente
– le
guarnigioni
andavano
rifornite
non
solo
in
termini
di
uomini
ma
anche
di
mezzi.
Per
questo
furono
sempre
più
pressanti
le
richieste
di
denaro
rivolte
all’Occidente;
a
queste
dovevano
rispondere
le
magioni
che,
oltre
a
fornire
viveri,
cavalli
ed
armi
ai
fratelli
combattenti,
dovevano
regolarmente
versare
le
“responsioni”,
cioè
somme
di
denaro
pari
a un
terzo
delle
loro
entrate.
Spesso,
infine,
erano
richiesti
contributi
aggiuntivi
per
la
costruzione
di
fortezze,
come
nel
caso
di
Safed
ed
Athlit,
o
per
fronteggiare
pericoli
particolarmente
gravi.
Le
magioni
d’Occidente,
quindi,
erano
costantemente
dissanguate
per
soddisfare
le
necessità
dei
templari
di
Terra
Santa.
Ad
esempio,
nel
1253
i
templari
avevano
dovuto
chiedere
al
pontefice
l’autorizzazione
per
poter
vendere
o
affittare
alcune
proprietà
per
realizzare
una
disponibilità
di
liquidi
e
nel
1260
la
magione
di
S.
Gimignano
aveva
dovuto
contrarre
un
prestito
per
versare
il
contributo
straordinario
richiesto
per
l’acquisto
di
Sidone.
Inoltre,
le
donazioni,
sia
di
immobili
che
di
denaro,
erano
diminuite
in
proporzione
al
crescere
delle
sconfitte
militari
degli
eserciti
cristiani.
Era
opinione
comune,
infatti,
che
l’impiego
di
tante
risorse
per
ottenere
risultati
così
deludenti
potesse
nascondere
la
volontà
degli
Ordini
-
che
sulla
guerra
contro
gli
infedeli
avevano
fondato
le
loro
fortune
– di
mantenere
uno
stato
perpetuo
di
belligeranza
Anche
dopo
la
caduta
di
Acri
e
l’abbandono
della
Terra
Santa
(1291)
la
spese
militari
non
cessarono.
Infatti,
i
templari,
che
avevano
trasferito
il
loro
quartier
generale
sull’isola
di
Cipro,
compivano
continue
incursioni
contro
le
coste
egiziane;
inoltre,
avevano
conservato
una
fortezza
sull’isola
di
Ruad,
al
largo
di
Tortosa,
abbandonata
solo
nel
1303,
ed i
costi
della
guarnigione
che
vi
era
di
stanza
continuavano
a
prosciugare
le
risorse
del
Tempio,
già
disastrate
per
la
disfatta
di
Acri.
Il
gran
maestro
Jacques
de
Molay,
infatti,
dovette
chiedere
alle
magioni
occidentali
un
contributo
straordinario
per
il
mantenimento
della
fortezza
di
Ruad.
Questa
richiesta
sembra
suggerire
che
il
tesoro
del
Tempio
non
dovesse
essere
poi
tanto
favoloso.
Né
erano
rimaste
molte
chances
per
rimpinguarlo
perché,
con
la
perdita
della
Terra
Santa,
erano
venute
meno
non
solo
tutte
quelle
entrate
legate
alle
crociate,
come
i
prestiti
ai
pellegrini,
il
trasporto
di
persone
e
merci
ed
eventuali
bottini,
ma
anche
le
donazioni
in
Occidente.
Cosa
restava,
dunque,
della
favolosa
ricchezza
dei
templari?
Non
è
possibile
dare
una
risposta
puntuale;
la
maggior
parte
degli
storici
è
convinta
che
la
ricchezza
del
Tempio
consistesse
essenzialmente
in
proprietà
fondiarie;
certamente
doveva
esserci
anche
della
liquidità,
se
non
altro
per
la
funzione
di
“filiali
bancarie”
svolta
dalle
magioni
ma,
oltre
alle
notevoli
spese
per
le
imprese
militari,
molto
denaro
era
stato
prestato
e
non
era
stato
ancora
restituito.
È
probabile,
quindi,
che
nelle
casse
del
Tempio
non
ci
fosse
alcun
“tesoro
favoloso”.
Tuttavia
la
convinzione
diffusa
che
il
Tempio
possedesse
una
immensa
quantità
di
denaro
e di
preziosi
venne
rafforzata
dalle
testimonianze
di
alcuni
fratelli
durante
gli
interrogatori;
ad
esempio,
un
templare
parlò
di
un
capitale
di
150.000
fiorini
d’oro
ed
il
cavaliere
Jean
de
Chateauvillars
dichiarò
di
aver
sentito
dire
che
i
fratelli
Hugues
de
Chalon
e
Gérard
de
Villers,
insieme
ad
altri
50
templari,
erano
stati
fatti
fuggire
poco
prima
degli
arresti
per
portare
via
il
tesoro,
occultato
in
tre
carri
ricoperti
di
paglia,
per
imbarcarlo
sulle
galee
dell’Ordine,
salpate
per
una
ignota
destinazione.
Neanche
l’archivio
templare
fu
ritrovato
dagli
ufficiali
di
Filippo
il
Bello,
ma è
logico
ritenere
che
doveva
trovarsi
presso
il
quartier
generale
di
Cipro.
Dopo
la
bolla
“Ad
providam
Christi
vicarii”
(1312)
dovette
passare
agli
ospitalieri
di
Cipro,
assieme
ai
beni
del
Tempio,
ed è
probabile
che
andò
distrutto
nel
1571,
quando
gli
Ottomani
invasero
l’isola.
In
quell’occasione,
infatti,
andò
perso
anche
l’archivio
dell’Ospedale
cipriota.
Ciò
nonostante,
anche
nella
scomparsa
dell’archivio
i
diversi
gruppi
esoterici,
fioriti
a
partire
dal
XVIII
sec.,
hanno
voluto
vedere
qualcosa
di
misterioso:
l’archivio
fu
nascosto
perché
comprendeva
la
regola
segreta
dell’Ordine
ed
antichi
documenti,
ritrovati
dai
cavalieri
nei
sotterranei
del
Tempio
di
Salomone,
loro
primo
quartier
generale
a
Gerusalemme.
Anche
in
questo
caso
si
portarono
come
prova
alcune
testimonianze
rese
al
processo;
in
particolare,
uno
degli
accusatori,
l’avvocato
del
re
di
Francia
Raoul
de
Presle
de
Lion
dichiarò
che
gli
era
stato
riferito
da
un
cavaliere
della
commenda
di
Lione,
tale
Gervais,
che
l’Ordine
custodiva
un
segreto
così
grande
che
“avrebbe
preferito
perdere
la
testa
piuttosto
che
rivelarlo,
un
punto
così
segreto
che
se
il
re
di
Francia
lo
avesse
visto,
sarebbe
stato
messo
a
morte
dai
templari”
e lo
stesso
Jacques
de
Molay,
davanti
ai
suoi
inquisitori,
aveva
affermato:
“Mi
piacerebbe
dirvi
certe
cose,
se
soltanto
non
foste
le
persone
che
siete
e se
foste
autorizzati
a
sentirle”.
Ulteriori
prove,
poi,
erano
il
divieto
fatto
ai
fratelli
di
possedere
copia
della
regola
e la
massima
segretezza
in
cui
si
tenevano
i
capitoli.
In
realtà,
è
del
tutto
comprensibile
che
un
ordine
a
carattere
militare
dovesse
tenere
in
modo
particolare
alla
riservatezza,
anche
se
quella
del
Tempio
può
ritenersi
eccessiva.
È
significativo,
in
proposito,
che
durante
uno
dei
processi
inglesi,
alla
domanda
sui
motivi
della
segretezza
della
regola
e
dei
capitoli,
un
fratello
rispose
semplicemente:
“perché
erano
stupidi”.
Ad
ogni
modo,
il
mito
dei
templari
è
ancora
vivo
e
ancora
si
continua
a
cercare
il
favoloso
tesoro
ed
il
misterioso
archivio.
Uno
dei
luoghi
dove
più
frequenti
sono
state
queste
ricerche
è,
come
detto,
il
castello
di
Arginy,
meta
di
esoteristi,
alchimisti
e
sensitivi
di
ogni
specie,
almeno
fino
agli
ultimi
decenni
del
secolo
scorso,
quando
è
stato
inserito
nell’“Inventaire
supplémentaire
des
momuments
historiques”
(1974)
e,
successivamente,
nel
“Projet
collectif
de
recherche
Chateaux
médiévaux
en
Rhône-Alpes”.