.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

medievale


N. 105 - Settembre 2016 (CXXXVI)

Il Castello di Arginy e il tesoro nascosto dei Templari

Tra storia e leggenda – PARTE I
di Cinzia De Crescenzio

 

Veggio il novo Pilato sì crudele
Che ciò nol sazia, ma sanza decreto
Portar nel Tempio le cupide vel
e
(Purgatorio XX, 91-93)
 

Con queste parole che Dante fa pronunciare ad Ugo Capeto, antenato di Filippo il Bello, durante il loro incontro nel V girone del Purgatorio, il poeta consegnava alla storia la sua convinzione sulle vere cause che portarono allo scioglimento dell’Ordine templare. Convinzione, peraltro, condivisa anche da molti altri testimoni dell’epoca, come Giovanni Villani e Guglielmo Ventura. Era, infatti, noto che il re francese, impegnato in incessanti guerre contro l’Inghilterra e le Fiandre per allargare i suoi confini e rafforzare il suo potere, era costantemente alla ricerca di risorse finanziarie, senza farsi tanti scrupoli. Così, nel 1296 aveva imposto una tassa anche al clero (che fu all’origine dell’aspro conflitto con papa Bonifacio VIII) e nel 1306 aveva confiscato i beni degli ebrei e dei “lombardi”, espressione che designava allora i banchieri italiani.

 

Oggi, molti storici ritengono che alla base della persecuzione contro i templari non ci fossero solo ragioni economiche ma anche motivazioni di altra natura (politica, religiosa, psicologica…); è certo, comunque, che le prime vi ebbero notevole peso. Non è certo, invece, quanto effettivamente fruttò al re di Francia “l’operazione templari”, poiché la maggior parte delle loro proprietà fondiarie fu assegnata agli Ospitalieri da papa Clemente V con la bolla “Ad providam Christi vicarii” e del tesoro, che si diceva fosse immenso, al momento degli arresti, fu trovata ben poca cosa, negli Archivi Nazionali di Francia, infatti, sono conservate due relazioni, redatte dall’ufficiale governativo incaricato di eseguire gli arresti a Parigi, Alain de Pareilles, ed indirizzate ai ministri Guglielmo de Nogaret ed Enguerrand de Marigny, nelle quali si dichiarava che nel Tempio di Parigi non fu trovato praticamente nulla.

 

Del resto, se un tesoro c’era, doveva trovarsi nel nuovo quartier generale del Tempio a Cipro, poiché non sembra logico che Jacques de Molay, che al momento degli arresti di massa si trovava a Parigi per incontrare il papa ed il re di Francia, lo avesse portato con sé, tanto più che era al corrente delle voci che circolavano contro l’Ordine ed al riguardo aveva già sollecitato una inchiesta pontificia.

 

Ma se il favoloso tesoro dei templari non fu trovato, che fine poteva aver fatto? A questa domanda hanno cercato di rispondere non solo gli storici ma anche i numerosi “cercatori di tesori” che hanno setacciato in lungo e in largo tutti i luoghi medievali d’Europa (e non solo). Tuttavia, nonostante studi e ricerche in abbondanza, manca ancora una risposta certa.

 

Uno dei siti maggiormente “indiziati” è il castello di Arginy, nel Beaujolais, poiché, secondo una tradizione locale, le ricerche vi sarebbero iniziate fin dal XV sec., quindi ben due secoli prima che massoneria e templarismo riportassero alla ribalta, in versione più o meno romanzata, la storia dell’Ordine.

 

Ma, prima di penetrare nei segreti di Arginy, si ritiene opportuna qualche riflessione sulla effettiva consistenza del tesoro templare. Sulla base dei pochi documenti in nostro possesso – poiché, con il “favoloso tesoro”, è sparito pure l’archivio del Tempio – non è possibile farne una stima, ma è indubbio che per le mani dei cavalieri fossero passate enormi ricchezze, tanto immobiliari quanto mobiliari.

 

Fin dai primi anni della sua esistenza, infatti, l’Ordine fu beneficiario di moltissime donazioni di proprietà fondiarie, che furono sapientemente amministrate con l’ottica di ottenerne il maggior profitto possibile per finanziare le operazioni militari in Terra Santa. Inoltre, questi redditi, grazie ai tanti privilegi concessi da papi e sovrani, erano esenti da imposizioni fiscali e decime.

 

È stato stimato che nel 1307 il Tempio possedeva in Occidente circa 9000 magioni; non è, pertanto, difficile immaginare quanto denaro se ne potesse ricavare. Inoltre l’Ordine riceveva donazioni in denaro ed incassava annualmente somme cospicue come quote “pro fraternitate” versate da laici per assicurarsi la protezione spirituale – e non solo – dei Templari.

 

C’erano poi le molteplici attività bancarie svolte dal Tempio (carte di credito, depositi, prestiti…), che, giustificati i profitti come “rimborso spese” per aggirare il divieto ecclesiastico dell’usura, dovevano rendere notevoli quantità di denaro.

Non indifferenti, infine, dovevano essere i proventi delle attività mercantili, quali il trasporto di pellegrini e merci in Terra Santa (o dalla Terra Santa), soprattutto nel corso del XIII sec., grazie all’allestimento di una propria flotta.

 

Ma, se ingenti erano le entrate, altrettanto ingenti erano le uscite. Il mantenimento delle guarnigioni in Terra Santa era assicurato quasi esclusivamente dai fondi inviati dall’Occidente; in Oriente, infatti, il Tempio non ebbe inizialmente grandi proprietà fondiarie. E quando le ebbe, a partire dalla metà del XIII sec., comportarono per l’Ordine più spese che guadagni, poiché si trattava di proprietà cedute dalla nobiltà locale, non più economicamente in grado di assicurarne la difesa. Cosa che solo il Tempio e gli altri Ordini monastico-cavallereschi potevano permettersi grazie al denaro prodotto in Occidente.

 

La difesa di un feudo e/o di un castello richiedeva, oltre a costanti opere di rinforzo, una guarnigione stabile. Per quanto i cavalieri veri e propri non dovettero mai essere troppo numerosi, al loro servizio, per le operazioni militari e la gestione delle proprietà, c’era una folta moltitudine di attendenti, scudieri, servitori ed artigiani di vario genere, senza contare le truppe mercenarie locali (turcopoli) che dovevano essere assoldate, vista la penuria di cristiani combattenti che afflisse sempre i regni di Terra Santa.

 

Oltre al vitto, molto si doveva spendere per l’equipaggiamento bellico dei combattenti: dai cavalli alle armi e alle macchine da guerra. Dopo ogni sconfitta – e ve ne furono molte nei circa due secoli di esistenza dei regni cristiani d’Oriente – le guarnigioni andavano rifornite non solo in termini di uomini ma anche di mezzi. Per questo furono sempre più pressanti le richieste di denaro rivolte all’Occidente; a queste dovevano rispondere le magioni che, oltre a fornire viveri, cavalli ed armi ai fratelli combattenti, dovevano regolarmente versare le “responsioni”, cioè somme di denaro pari a un terzo delle loro entrate. Spesso, infine, erano richiesti contributi aggiuntivi per la costruzione di fortezze, come nel caso di Safed ed Athlit, o per fronteggiare pericoli particolarmente gravi.

 

Le magioni d’Occidente, quindi, erano costantemente dissanguate per soddisfare le necessità dei templari di Terra Santa. Ad esempio, nel 1253 i templari avevano dovuto chiedere al pontefice l’autorizzazione per poter vendere o affittare alcune proprietà per realizzare una disponibilità di liquidi e nel 1260 la magione di S. Gimignano aveva dovuto contrarre un prestito per versare il contributo straordinario richiesto per l’acquisto di Sidone.

 

Inoltre, le donazioni, sia di immobili che di denaro, erano diminuite in proporzione al crescere delle sconfitte militari degli eserciti cristiani. Era opinione comune, infatti, che l’impiego di tante risorse per ottenere risultati così deludenti potesse nascondere la volontà degli Ordini - che sulla guerra contro gli infedeli avevano fondato le loro fortune – di mantenere uno stato perpetuo di belligeranza

 

Anche dopo la caduta di Acri e l’abbandono della Terra Santa (1291) la spese militari non cessarono. Infatti, i templari, che avevano trasferito il loro quartier generale sull’isola di Cipro, compivano continue incursioni contro le coste egiziane; inoltre, avevano conservato una fortezza sull’isola di Ruad, al largo di Tortosa, abbandonata solo nel 1303, ed i costi della guarnigione che vi era di stanza continuavano a prosciugare le risorse del Tempio, già disastrate per la disfatta di Acri. Il gran maestro Jacques de Molay, infatti, dovette chiedere alle magioni occidentali un contributo straordinario per il mantenimento della fortezza di Ruad. Questa richiesta sembra suggerire che il tesoro del Tempio non dovesse essere poi tanto favoloso. Né erano rimaste molte chances per rimpinguarlo perché, con la perdita della Terra Santa, erano venute meno non solo tutte quelle entrate legate alle crociate, come i prestiti ai pellegrini, il trasporto di persone e merci ed eventuali bottini, ma anche le donazioni in Occidente.

 

Cosa restava, dunque, della favolosa ricchezza dei templari? Non è possibile dare una risposta puntuale; la maggior parte degli storici è convinta che la ricchezza del Tempio consistesse essenzialmente in proprietà fondiarie; certamente doveva esserci anche della liquidità, se non altro per la funzione di “filiali bancarie” svolta dalle magioni ma, oltre alle notevoli spese per le imprese militari, molto denaro era stato prestato e non era stato ancora restituito. È probabile, quindi, che nelle casse del Tempio non ci fosse alcun “tesoro favoloso”.

 

Tuttavia la convinzione diffusa che il Tempio possedesse una immensa quantità di denaro e di preziosi venne rafforzata dalle testimonianze di alcuni fratelli durante gli interrogatori; ad esempio, un templare parlò di un capitale di 150.000 fiorini d’oro ed il cavaliere Jean de Chateauvillars dichiarò di aver sentito dire che i fratelli Hugues de Chalon e Gérard de Villers, insieme ad altri 50 templari, erano stati fatti fuggire poco prima degli arresti per portare via il tesoro, occultato in tre carri ricoperti di paglia, per imbarcarlo sulle galee dell’Ordine, salpate per una ignota destinazione.

 

Neanche l’archivio templare fu ritrovato dagli ufficiali di Filippo il Bello, ma è logico ritenere che doveva trovarsi presso il quartier generale di Cipro. Dopo la bolla “Ad providam Christi vicarii” (1312) dovette passare agli ospitalieri di Cipro, assieme ai beni del Tempio, ed è probabile che andò distrutto nel 1571, quando gli Ottomani invasero l’isola. In quell’occasione, infatti, andò perso anche l’archivio dell’Ospedale cipriota.

 

Ciò nonostante, anche nella scomparsa dell’archivio i diversi gruppi esoterici, fioriti a partire dal XVIII sec., hanno voluto vedere qualcosa di misterioso: l’archivio fu nascosto perché comprendeva la regola segreta dell’Ordine ed antichi documenti, ritrovati dai cavalieri nei sotterranei del Tempio di Salomone, loro primo quartier generale a Gerusalemme.

 

Anche in questo caso si portarono come prova alcune testimonianze rese al processo; in particolare, uno degli accusatori, l’avvocato del re di Francia Raoul de Presle de Lion dichiarò che gli era stato riferito da un cavaliere della commenda di Lione, tale Gervais, che l’Ordine custodiva un segreto così grande che “avrebbe preferito perdere la testa piuttosto che rivelarlo, un punto così segreto che se il re di Francia lo avesse visto, sarebbe stato messo a morte dai templari” e lo stesso Jacques de Molay, davanti ai suoi inquisitori, aveva affermato: “Mi piacerebbe dirvi certe cose, se soltanto non foste le persone che siete e se foste autorizzati a sentirle”.

 

Ulteriori prove, poi, erano il divieto fatto ai fratelli di possedere copia della regola e la massima segretezza in cui si tenevano i capitoli. In realtà, è del tutto comprensibile che un ordine a carattere militare dovesse tenere in modo particolare alla riservatezza, anche se quella del Tempio può ritenersi eccessiva. È significativo, in proposito, che durante uno dei processi inglesi, alla domanda sui motivi della segretezza della regola e dei capitoli, un fratello rispose semplicemente: “perché erano stupidi”.

 

Ad ogni modo, il mito dei templari è ancora vivo e ancora si continua a cercare il favoloso tesoro ed il misterioso archivio. Uno dei luoghi dove più frequenti sono state queste ricerche è, come detto, il castello di Arginy, meta di esoteristi, alchimisti e sensitivi di ogni specie, almeno fino agli ultimi decenni del secolo scorso, quando è stato inserito nell’“Inventaire supplémentaire des momuments historiques” (1974) e, successivamente, nel “Projet collectif de recherche Chateaux médiévaux en Rhône-Alpes”.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.