Raramente guardo
la televisione, ancora più raramente quella italiana. Di
solito sul mio televisore girano le immagini di RU.TV,
il canale di sole videoclip russe, a mo’ d’installazione
permanente domiciliare.
Quando abbiamo
ospiti a casa, per cortesia nei loro confronti, a volte
lasciamo che guardino i programmi di infotainment
della tv italiana.
L’altra sera, in
una di queste occasioni, mi sono imbattuta nell’inizio
del programma di Vespa in ricordo dell’assassinio di
Aldo Moro.
Che pena vedere
come uno degli episodio più drammatici e più importanti
della storia dell’Italia contemporanea è stato ridotto
ad argomento da salotto per intrattenere quegli
italiani, che si attardano davanti alla televisione
prima di andare a letto.
Nessuno storico
invitato, il solito Andreotti ultraottantenne e
onnipresente che, a proposito della linea dura tenuta al
tempo del sequestro, ha subito cercato di catalizzare
l’attenzione del pubblico sull’allora presunta
opposizione delle vedove della scorta a qualsiasi
tentativo di dialogo con i brigatisti.
Come se il
potere decisionale sulla faccenda fosse stato lasciato
alle mogli di due appuntati morti durante lo svolgimento
delle loro mansioni; ma tanto chi segue la televisione
non ascolta, sente, vede, lascia passivamente l’occhio
seguire le immagini compassionevoli dei due familiari
dell’onorevole Moro.
La parte del
salotto occupata dai politici cercava di convincere gli
italiani che non c’è mai stata una verità nascosta, che
si è trattato del sacrificio di un grande uomo, un uomo
morto “per presunta ragione di Stato”, aggiungiamo noi;
dall’altra parte, i familiari delle vittime della scorta
ancora alla ricerca della verità, mentre i familiari
dell’allora presidente della DC avrebbero voluto che
Aldo Moro fosse stato ricordato, almeno una volta, per
quello che fece da vivo e non per i 55 giorni di
detenzione nella prigione del popolo.
Non sono
riuscita a seguire che l’inizio della trasmissione,
posso immaginare quale sia stato il seguito.
No man is
indispensable, che sia
questa la chiave del mistero Moro? In queste parole
scritte nella relazione dell’esperto di terrorismo
statunitense che Cossiga chiamò al Viminale per indagare
sul sequestro. Un esperto di terrorismo sudamericano,
con nessuna strategia nei confronti delle BR, se non
quella di evitare qualsiasi dialogo e lasciare che il
destino facesse il suo corso.
In fondo perché
Washington avrebbe dovuto volere indietro, alla guida
della DC, l’artefice del compromesso storico?
Moro è stato
ucciso prima politicamente dai suoi stessi colleghi che
materialmente dalle BR.
D’altra parte le
dichiarazioni di Barbara Balzerani nel 1994, durante il
processo Moro quater, fecero chiaramente intravedere che
vi era stata un’autentica intenzione di utilizzare lo
statista della DC come “merce di scambio” per la
liberazione di alcuni di quelli che i brigatisti
consideravano “prigionieri politici”.
L’ala
militarista capeggiata da Moretti prevalse solo quando
fu chiaro alle BR che, da parte delle istituzioni,
qualsiasi possibilità di dialogo era stata sin
dall’inizio preclusa.
Prima di venire
ucciso non gli fu imposto di firmare nessuna
confessione, indice del rispetto che i carcerieri
avevano per Moro.
Moro non fu né
strumentalizzato né drogato dalle BR; si è parlato di
sindrome di Stoccolma in riferimento alle lettere
inviate dal politico ai familiari e ai colleghi di
partito.
Gli obiettivi
che durante i 55 giorni di sequestro volevano
raggiungere, Moro con le sue missive da una parte, e le
BR con i loro comunicati dall’altra, non si sovrapposero
neanche per un momento.
Nella lettera
recapitata alla DC il 28 aprile 1978 Moro così scrive:
“È vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato
d’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non
sono drogato, scrivo con il mio stile, per brutto che
sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un
altro e non merito di essere preso sul serio. Allora ai
miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio
domanda che si riunisca la direzione o altro organo
costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita
di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua
invece in degradanti conciliaboli, che significano paura
del dibattito, paura della verità, paura di firmare con
il proprio nome una condanna a morte.”
La scelta
politica della DC fu, durante tutto il sequestro,
evitare la crisi di governo, infondo, di fronte a una
presunta ragione di Stato, “no man is indispensable”.