filosofia & religione
DA CARTESIO AI MAESTRI DEL SOSPETTO
DIVERSI APPROCCI ALLA VERITÀ
di Raffaele Pisani
Con Cartesio si inaugura la filosofia
moderna basata sul Cogito ergo sum,
una visione antropocentrica che fa del
soggetto umano criterio rigoroso di
verità. Con la Scuola del sospetto
di fine Ottocento non vengono demolite
semplicemente alcune fondamentali idee
da sostituirsi con altre che si
ritengono più rispondenti a verità, ma
si mette in discussione la stessa
coscienza umana.
Il Discorso sul metodo di
Cartesio, pubblicato nel 1637, inaugura
il pensiero filosofico moderno;
nell’intenzione dell’autore doveva
essere un’opera completamente nuova, che
nulla avrebbe dovuto utilizzare di
quanto i precedenti pensatori avevano
detto. La paragonava a una città
costruita ex novo, bella e
proporzionata, non come quelle che nate
da un borgo antico sono poi cresciute in
modo caotico.
Le discipline che a lungo aveva studiato
le considera tutt’al più una forma di
ginnastica mentale, della filosofia che
veniva insegnata nelle università dice
che
«dà
il mezzo di parlare con verosimiglianza
di tutte le cose e di farsi ammirare dai
meno dotti».
Né la storia né le lingue né l’eloquenza
né l’etica si salvano dal suo giudizio.
È molto prudente nel parlare della
teologia dicendo che le verità rivelate
sono al di sopra della nostra
intelligenza. La matematica lo affascina
per la saldezza dei suoi principi ma si
stupisce che venga perlopiù adoperata
per scopi utilitaristici.
Il Metodo di cui tratta Cartesio serve «per
ben condurre la propria ragione e
cercare la verità nelle scienze»
come è scritto nel titolo stesso, che
peraltro si dilunga ancora. Ma se la
verità non ce la può garantire il
pensiero filosofico precedente, la si
può raggiungere con l’applicazione delle
quattro regole canoniche: evidenza,
analisi, sintesi ed enumerazione
completa. Se nelle cose semplici
l’evidenza è immediata, in quelle
complesse bisogna acquisirla con
l’analisi e poi ricomporre il tutto.
Quando i passaggi sono numerosi, non si
può avere l’evidenza simultanea
dell’insieme, quindi bisogna
ripercorrere i singoli passaggi con la
ricapitolazione.
Alla verità si arriva con l’esercizio
del dubbio, diciamo normalmente che i
sensi talvolta ci ingannano, o meglio,
ci autoinganniamo quando diamo un
giudizio affrettato basato su di essi;
questo avviene soprattutto quando siamo
turbati da sogni o allucinazioni, ma
anche nella condizione di tranquillità
il senso non può costituire fondamento
del sapere scientifico. Il dubbio
metodico diventa iperbolico quando
ipotizziamo un genio ingannatore,
génie trompeur, che ci induce
all’errore anche sulle verità
matematiche.
Questo dubbio radicale fa emergere la
verità fondamentale dell’essere.
Cogito ergo sum, se penso vuol dire
che sono. Penso quindi sono pensiero,
Cogito ergo sum (res cogitans).
L’esistenza della materialità del mondo
e della stessa corporeità umana potrà
essere affermata da Cartesio quando avrà
dimostrato l’esistenza di Dio, garante
che alle nostre percezioni corrisponde
la realtà. Se qualche volta noi
sbagliamo nel giudicare ciò è dovuto
all’indebita pressione della volontà
sull’intelletto, appunto per questo la
metodica razionale proposta fa da
antidoto a queste debolezze umane.
Da tutto ciò ne discende una visione del
mondo chiara, determinata misurabile in
tutti i punti, l’aggettivo:
cartesiano ha appunto questo
significato. Il soggetto umano è capace
di cogliere rigorosamente la realtà,
come il punto di vista nella prospettiva
pittorica che è individuale ma non
arbitrario.
La scuola del sospetto con i tre
maestri: Marx, Nietzsche e Freud mette
in crisi la presente visione razionale
del mondo. Non è che prima di questi tre
nessuno avesse criticato la concezione
cartesiana, Pascal lo fece mentre
Cartesio era ancor vivo, anche i
romantici sette-ottocenteschi non
concordavano con questa visione
razionalistica che costituiva per loro
una sorta di prigione.
Paul Ricoeur con il suo saggio su Freud
intitolato Della Interpretazione,
1965, accomuna i tre autori
sopraccitati, molto diversi tra loro per
tantissimi aspetti, per il fatto che
mettono in discussione il fondamento
stesso della coscienza.
Nel secondo capitolo del primo libro, al
paragrafo intitolato:
L’interpretazione come l’esercizio del
sospetto, si esprime nei seguenti
termini: «Il filosofo educato alla
scuola di Cartesio sa che le cose sono
dubbie, che non sono come appaiono; ma
non dubita che la coscienza non sia così
come appare a se stessa; in essa senso e
coscienza del senso coincidono; di
questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud,
noi dubitiamo. Dopo il dubbio sulla
cosa, è la volta per noi del dubbio
sulla coscienza».
Quella solida certezza della coscienza
sulla quale si fondava il pensiero di
Cartesio e del suo lungo seguito, è ora
insidiata da un tarlo: non è detto che
essa sia come appare, è necessario
interpretarla a partire dalla sua
genesi.
Marx parla di falsa coscienza o
ideologia come frutto di rapporti
sociali ingiusti, i valori della classe
dominante vengono posti come naturali,
eterni, validi universalmente.
L’ideologia, lungi dall’essere una
limpida visione del mondo, è invece
rivestimento, mascheramento che nasconde
la vera realtà. Sappiamo che Marx non si
limita a denunciare il male ma è portato
a elaborare un progetto grandioso per
liberare l’umanità dall’ignoranza e
dallo sfruttamento.
Per Nietzsche la verità, sia quella
scientifica sia quella morale, è
costituita sostanzialmente da bugie, da
convenzioni derivanti da metafore che si
è dimenticato essere tali.
L’umanitarismo, il filantropismo, la
democrazia nascondono motivazioni
meschine, utilitaristiche. L’idea di un
ordine razionale del mondo, che già i
Greci antichi avevano elaborato e che
con Hegel verrà a inglobare anche la
storia umana, a giudizio di Nietzsche
non è fondata. Può solo dare quella
tranquillità che porta alla decadenza e
all’esaurimento di ogni slancio leale e
coraggioso.
Afferma Nietzsche su Verità e
menzogna in senso extra morale: «…
le verità sono illusioni di cui si è
dimenticata la natura illusoria, sono
metafore che si sono logorate e hanno
perduto ogni forza sensibile, sono
monete la cui immagine si è consumata e
che vengono prese in considerazione
soltanto come metallo, non come monete».
Quindi l’umanità mente in buona fede ma
così va sempre più decadendo. Bisogna
andare oltre, all’uomo è chiesto di
superare se stesso, affrontare l’abisso
del nichilismo e creare nuovi valori.
Il terzo maestro è Freud, il padre della
psicoanalisi, disciplina di cui è
difficile stabilire lo statuto
epistemologico ma che comunque ha avuto
un grande impatto su vari aspetti della
cultura. Questa ci ha fatto capire che
l’io, che reputavamo cosciente e
libero di operare nelle proprie scelte,
deve convivere con due compagni
inquietanti: l’es e il
super-io. Farli emergere con il
metodo psicoanalitico potrà portare dopo
un lungo percorso a un io, certamente
ridimensionato, ma più maturo e
cosciente.
Continuare il discorso filosofico alla
luce di questi problemi impone nuove
strade, si tratta di interpretare quei
segni che permettano di ridefinire il sé
della coscienza. Si constata che quello
che prima appariva in un’immediata
limpidezza ora si riconosce al termine
di un lungo itinerario riflessivo che ha
a che fare con l’altro, con
molteplici alterità esterne ma anche con
qualcosa di interiore: l’altro che trovo
in me stesso.
L’ermeneutica di Ricoeur, definita da
Jean Greisch more gallico demonstrata,
presenta effettivamente dei caratteri
propri che la distinguono da quelle di
Dilthey, Heidegger e Gadamer. Un aspetto
particolare del linguaggio, il
mito-simbolo, è il modello del suo
procedere. Non era partito da una
riflessione epistemologica generale ma
dal problema della volontà che si trova
ad essere compromessa dall’esperienza
del male, commesso o anche subito.
La via pare essere quella della
narrazione dei miti nei quali possiamo
cogliere quei simboli che hanno «un
valore euristico, giacché conferiscono
universalità, temporalità e portata
ontologica alla comprensione di noi
stessi». Il simbolo è un qualcosa
che rimanda ad altro, in modo univoco
nella logica formale, equivoco in quella
trascendentale che è peculiare
dell’ermeneutica. Ma coltivare
l’equivocità porta a quel conflitto
delle interpretazioni che rischia di
vanificare ogni discorso. Afferma ancora
Ricoeur nel libro sopraccitato: «Per
il momento, la difficoltà in cui ci
troviamo è grande: alla nostra
perplessità ci si offre un rapporto a
tre termini, una figura a tre vertici:
la riflessione, l’interpretazione intesa
come restaurazione del senso,
l’interpretazione compresa come
riduzione dell’illusione».
I miti non devono essere recepiti
nell’immediatezza dell’ingenuità né
eliminati tout court ma devono passare
il vaglio delle scienze sociali e
linguistiche per giungere a una
consapevolezza matura. Il soggetto umano
personale è imprescindibile per Ricoeur,
il quale d’altra parte non si sottrae al
confronto con dette scienze sociologiche
che fanno riferimento a strutture e a
soggetti metaindividuali.
La comprensione ermeneutica non si
contrappone ma si integra con la
spiegazione delle scienze linguistiche e
umane in generale.
In un altro passaggio del suo lungo e
fecondo percorso filosofico Ricoeur pone
particolare attenzione sul testo come
strumento di mediazione. La sua funzione
si integra e va oltre quella del segno e
del simbolo; risulta anche
significativamente diversa dal discorso
faccia a faccia.
La parola scritta produce una
distanziazione tra l’autore e il suo
testo, che viene ad assumere una certa
autonomia; il fruitore da parte sua si
confronta in primo luogo con un discorso
solidificato che ha una vita
indipendente rispetto l’autore, in
qualche caso anche a dispetto
dell’autore. Il fruitore può essere
chiunque si approcci al testo, non è
come nel dialogo nel quale perlopiù si
sceglie con chi parlare.
La parola scritta funziona da mezzo che
permette al fruitore di conoscere se
stesso; «Comprendere è comprendersi
davanti al testo», afferma Ricoeur
in Dal testo all’azione. La
metafora viva, che è anche il titolo
di un’opera che costituisce un tutt’uno
con la precedente appena menzionata, va
ben oltre il significato ordinario della
nota figura retorica. Viene definita
piuttosto come «predicazione
bizzarra, attribuzione impertinente»;
è un evento testuale discorsivo capace
di rifigurare la realtà e di scoprire le
dimensioni ontologiche dell’esperienza
umana. Rispetto la mera descrizione, è
un’apertura verso una pluralità di
possibilità.
La scrittura, la lettura e
l’interpretazione così come le prospetta
Ricoeur costituiscono un modello
trasferibile anche nella prassi, anche
l’azione infatti viene ad essere
un’apertura di significato. Quanto
questo possa essere valido lo si può
osservare nelle grandi azioni storiche
ma anche in quelle della semplice
esperienza personale.
Con il suo procedere riflessivo che va
dalla fenomenologia all’ermeneutica,
dalla metafisica alla morale, Ricoeur ha
congiunto linee filosofiche che di per
se stesse avrebbero continuato a
procedere ignorandosi, come atomi senza
clinamen. Il suo spostarsi in America
può significare proprio questo voler
congiungere il mondo culturale
continentale con quello anglo-americano.
Anche il pensiero cristiano apprezza il
suo procedere ermeneutico dal quale la
teologia biblica trova giovamento. Per
quanto riguarda la teologia morale,
l’attuale pontefice Papa Francesco ha
manifestato, anche con riferimenti
diretti, il suo apprezzamento per
Ricoeur, soprattutto per ciò che
riguarda la libertà e l’azione morale;
ne sono testimonianza l’enciclica
Laudato si’ del 2015 e l’esortazione
apostolica Amoris Laetitia
dell’anno successivo.
Riferimenti bibliografici:
Francesca Brezzi, Introduzione a
Ricoeur, Editori Laterza, Bari 2006.
Renato Cartesio, Discorso sul metodo,
a cura di Gustavo Bontadini, Editrice La
Scuola, Brescia 1983.
Paul Ricoeur, Dal testo all’azione.
Saggi di ermeneutica, Jaca Book
Milano 2020.
Paul Ricoeur, La metafora viva.
Dalla retorica alla poetica: per un
linguaggio di rivelazione, Jaca Book
Milano 2020.
Paul Ricoeur, Della interpretazione,
Saggio su Freud, Il Saggiatore,
Milano 2002. |