Nel 1976 il Democratico Jimmy Carter vinse la
contesa elettorale con il Repubblicano Gerald Ford e
divenne il nuovo Presidente degli Stati Uniti
d’America. La nuova Amministrazione Carter fu
contrassegnata da uno scontro costante tra i
‘falchi’ del Consigliere della sicurezza nazionale
Zbignew Brzezinski, che chiedevano un atteggiamento
più duro verso l’Unione Sovietica, e le ‘colombe’
del ministro degli Esteri Cyrus Vance, sostenitori
di una linea più morbida.
Se
Nixon, Ford e Kissinger “avevano lavorato
essenzialmente all’interno della tradizione europea
di realpolitik”, il nuovo Presidente
“richiamò alla mente Woodrow Wilson” per il suo
“idealismo progressista”. Dichiarò infatti che a
guidare la sua azione non era una politica “di
equilibrio delle potenze”, ma “la preoccupazione per
i diritti umani universali”.
Nel 1977 Carter dimostrò immediatamente l’appoggio
della nuova Amministrazione americana ai
dissidenti sovietici, perseguitati dal regime in
violazione dei più elementari diritti umani e
civili, attraverso cinque iniziative senza
precedenti: denunciò apertamente il trattamento cui
era vittima lo scienziato Andreij Sacharov;
manifestò preoccupazione per gli arresti di altri
due dissidenti, Aleksandr Ginzburg e Jurij Orlov;
scrisse una lettera a Sacharov nella quale
confermava che i diritti umani costituivano una
«preoccupazione primaria» della Presidenza americana
e che gli Stati Uniti si sarebbero adoperati ad
assicurarne il rispetto anche in Unione Sovietica;
indirizzò una petizione alla Commissione per i
diritti umani delle Nazioni Unite affinché chiedesse
delle informazioni al Cremlino in merito ai
dissidenti arrestati; concesse udienza, con il
vicepresidente Mondale, allo scrittore dissidente
Vladimir Bukovskij.
Di
valore enorme fu, in particolare, l’udienza concessa
a Bukovskij in quanto costituì una legittimazione
politica dei dissidenti: questo gesto scatenò
l’immediata reazione della stampa sovietica.
Nell’articolo di Spartak Beglov, dell’Agenzia
Novosti, intitolato Come l’Unione Sovietica
adempie le intese di Helsinki, venne attaccata
la campagna statunitense lanciata a favore dei
diritti civili: “non è difficile immaginare quale
sia l’intento di coloro che prendono singoli
principi sanciti ad Helnsiki e, manipolandoli
arbitrariamente, li oppongono agli altri. L’intento
è quello, precisamente, di impedire la cooperazione,
di far tornare l’Europa a ritroso, verso la guerra
fredda. Come è possibile interpretare altrimenti il
comportamento di coloro che contrappongono a tutti
gli altri il principio del rispetto dei diritti
dell’uomo, distaccandolo dal principio della
non-ingerenza negli affari interni e del rispetto
delle prerogative sovrane delle nazioni?”.
Un
altro articolo, intitolato I diritti dell’uomo:
miti e realtà, scritto nel 1977 dal giurista
Gutsenko, ribadì i cardini ideologici sui quali i
sovietici avevano da sempre fondato il diritto di
opprimere ogni genere di dissenso. “I diritti
dell’uomo” - scriveva - “non coincidono con la
possibilità per ciascuno di fare ciò che si vuole”.
Essi “sono innanzi tutto stabiliti dalla legge dei
singoli Paesi”, ed in ciascun Paese “esistono
numerosi articoli che prevedono non poche
limitazioni, non rispettando le quali si rischia
d’incorrere nella responsabilità penale”.
Se
gli Stati Uniti facevano pressioni per il rispetto
dei diritti umani, l’Unione Sovietica si batteva per
la non ingerenza negli affari interni degli altri
Stati, per lo status quo. Sottolineando come
la limitazione della libertà personale fosse sancita
anche in articoli dei Codici Penali occidentali,
l’articolo terminava definendo i dissidenti, “di cui
si assumono la difesa gli antisovietici”, come dei
“criminali, ai quali si applicano le leggi dello
Stato”.
Alla fine di marzo del 1977 Vance andò a Mosca per
definire il Salt II, un nuovo trattato sul disarmo,
ma i colloqui sovietico-statunitensi fallirono.
Secondo Maldwin Jones i sovietici rigettarono le
proposte del Ministro degli Esteri americano, che
prevedevano una drastica riduzione dei rispettivi
arsenali nucleari, e decisero di non riaprire le
trattative fino a quando gli americani non avessero
cessato la campagna a favore dei dissidenti.
Secondo Nicholas Werth, invece, il Salt II non
sarebbe stato concluso nel 1977 “a causa di un nuovo
progresso tecnologico americano, il missile «da
crociera»”, che sbilanciò a favore degli Stati Uniti
la forza contrattuale in materia di disarmo.
Entrambe le considerazioni sono corrette e non si
escludono l’una con l’altra: i sovietici erano
infastiditi dalle prese di posizione di Carter sui
diritti umani, così come il progresso tecnologico
americano stava cominciando a produrre un nuovo
vantaggio sui sovietici.
Carter introdusse nella dialettica tradizionale
della “distensione” tra Usa e Urss l’elemento del
rispetto dei diritti umani come una condizione non
formale, ma sostanziale della stessa. I sovietici
non gradirono il nuovo atteggiamento statunitense,
che comunque non riuscì ad impedire che i dissidenti
continuassero ad essere perseguitati nelle modalità
consuete. Lo confermano gli arresti, iniziati nei
mesi di febbraio e marzo del 1977, dei membri del
«Comitato per il controllo dell’applicazione degli
accordi di Helsinki in URSS», e terminati nel 1979
con gli arresti dei membri del «Comitato russo per
le difese dei diritti dei credenti» Gleb Jakunin e
Tat’jana Velikanova.
L’elemento che pose la parola fine alla
“distensione” fu, indiscutibilmente, l’invasione
sovietica dell’Afghanistan, nel dicembre del 1979,
ma che quella stagione di dialogo fosse ormai giunta
a conclusione lo si era capito già nell’appoggio
dato dal Presidente statunitense Carter ai
dissidenti sovietici.
Paolo Garimberti,
Il dissenso
nei Paesi dell’Est prima e dopo Helsinki