N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
Gaetano Salvemini e il Fascismo
L’avvento del totalitarismo in Italia
attraverso il carteggio dello storico
di Giacomo Zanibelli
In
una
lettera
a
Mary
Berenson
scritta
dall’America
il
15
marzo
1935,
Gaetano
Salvemini
manifestò
l’intenzione
di
coronare
la
sua
attività
di
scrittore
con
un’autobiografia
dal
titolo
“Le
mie
quattro
vite”,
secondo
quelle
che
riteneva
essere
le
stagioni
della
sua
esistenza.
Partendo
da
questo
potremmo
parlare,
a
oggi,
di
cinque
vite
del
Salvemini,
considerando
gli
anni
successivi
al
1945
come
una
nuova
stagione
della
sua
esistenza.
Cercare
di
scandire
cronologicamente
l’esistenza
di
Salvemini
è
molto
complesso,
come
tentare
di
spiegare
il
rapporto
dello
storico
con
il
Fascismo.
Quest’ultimo
divenne
un
elemento
dominante
del
suo
pensiero,
fu
un
evento
sconvolgente
nella
sua
vita
tanto
da
turbarlo
prima
ancora
di
analizzarlo
da
storico.
Il
Fascismo
fu
per
lui
così
traumatico
che
sconvolse
la
sua
“terza
vita”,
quella
che
va
fino
al
1925,
cambiando
in
modo
radicale
il
suo
stato
d’animo.
Il
trauma
si
protrasse
anche
nella
“quarta
vita”,
che
inizia
con
l’esilio
e
termina
con
la
fine
della
Seconda
Guerra
Mondiale.
Anche
negli
ultimi
anni
della
sua
esistenza
il
fenomeno
del
Fascismo
fu
al
centro
dei
suoi
pensieri.
Tra
la
fine
del
1920
e
l’inizio
del
1921
si
scatenò
in
Italia
l’offensiva
fascista.
Gli
eventi
che
si
verificarono
in
quel
periodo
fecero
scaturire
nell’anima
di
Salvemini,
allora
quarantaseienne,
un
profondo
sentimento
di
amarezza
e di
sconforto.
Risale
alla
fine
del
1920
la
definitiva
cessazione
della
pubblicazione
de
l’Unità
e
anche
la
conclusione
dell’esperienza
politica
più
significativa
nella
vita
del
Salvemini.
Poco
più
tardi,
dopo
lo
scioglimento
della
Camera
nel
novembre
del
1919,
rifiuterà
di
ricandidarsi
ritirandosi
dalla
vita
politica,
finendo
per
essere
un
semplice
spettatore
di
tutte
le
vicende
politiche
che
porteranno
Benito
Mussolini
al
potere.
Prima
della
Marcia
su
Roma
Salvemini
si
trovava
in
Inghilterra
e in
una
sua
lettera
scrisse
di
essere
partito:
“…anche
per
sentirmi
un
po’fuori
dall’ambiente
politico
del
mio
paese”.
Non
si
sentiva
più
a
suo
agio
nella
compagine
politica
del
tempo.
“Quanto
alla
utilità
di
una
mia
azione
nel
Partito
Socialista,
credo
tu
sia
in
errore.
Non
c’è
nulla
da
Fare
in
quel
campo
per
un
uomo
come
me.
Non
possono
e
non
vogliono
capire:
è un
gruppo
di
interessi
consolidati,
che
non
si
lascia
penetrare
che
dalle
bastonate.
I
fascisti,
sfasciando
quella
organizzazione,
accelerano
un’opera
di
decomposizione,
che
doveva
avvenire,
e in
cui
io
non
potevo
fare
nulla
di
utile.
Però
si
potrebbe
stare,
non
dentro,
ma
accanto
al
Partito,
cercando
di
orientare
gli
elementi
nuovi.
Questo
lavoro
non
si
può
fare,
entrando
sotto
quella
disciplina:
si
può
farlo
mediante
un
contegno
di
critica
amichevole
e
indipendente.
Sarebbe
la
funzione
di
una
nuova
«Unità»:
ma è
impossibile
faute
d’argent.”
(Salvemini
a
Ernesto
Rossi
–
Leeds,
24
settembre
1922,
Tagliacozzo,
p.
83)
Sarebbe
un
errore
ritenere
che
il
Salvemini
di
quel
periodo,
nonostante
la
sua
assenza
dall’Italia,
non
fosse
ancora
apertamente
e
consapevolmente
antifascista.
La
crisi
politica
che
aveva
portato
all’avvento
del
Fascismo
in
Italia
era
anche
l’esito
di
una
battaglia
perduta
a
favore
della
democrazia,
nella
quale
Gaetano
Salvemini
aveva
ricoperto
un
ruolo
di
primo
piano,
specialmente
dalla
fine
del
1911
con
la
fondazione
del
quotidiano
“l’Unità”
in
cui
aveva
speso
le
sue
energie
migliori.
Non
devono
trarre
in
inganno
alcune
affermazioni
facilmente
riscontrabili
negli
scritti
di
Salvemini,
dove
la
critica
aspra
di
una
situazione
rischia
di
essere
fraintesa
come
la
critica
di
un
sistema.
Combattere
la
prassi
giolittiana
di
governo
e
soprattutto
denunciare
le
prassi
degenerative
della
vita
politica
italiana,
non
significò
che
si
fosse
indebolito
il
suo
ideale
democratico.
Tutto
questo
evidenzia
la
volontà
di
riaffermare
quei
presupposti
etici,
sociali
e
intellettuali
da
cui
scaturisce
un
metodo
di
governo
democratico.
Gaetano
Salvemini
comunque
aveva
pensato
a un
suo
eventuale
ritorno
sulla
scena
politica,
sentiva
il
desiderio
di
rientrare
in
questo
mondo,
ce
lo
dimostra
una
lettera
a
Giacinto
Panunzio
del
1923.
“Se
mi
offrissero
di
essere
senatore,
non
rifiuterei
certo.
Ma
chi
vuoi
che
me
l’offra?
Un
padreterno
rammollito,
non
sono.
Un
pescecane,
nemmeno.
Un
intrigante,
meno
che
mai.
E
allora?
Quanto
ad
accettare
una
candidatura,
bisognerebbe
vedere
se,
come
e
quando.
Accetterei
solamente
se
si
realizzassero
insieme
le
seguenti
ipotesi:
che
si
formasse
un
governo
quale
te
lo
descrissi
nella
mia
precedente
lettera,
il
quale
chiamasse
in
aiuto
della
baracca
tutti
gli
uomini
di
buona
volontà
e di
buona
fede.
Non
ho
più
voglia
di
stare
a
fare
sempre
opposizione.
Se
posso
realizzare
almeno
una
parte
delle
mie
idee,
mi
metto
allo
sbaraglio;
se
no
me
ne
sto
a
casa
a
scrivere
libri…”
(143.
Salvemini
a
Giacinto
Panunzio
–
Firenze,
11
maggio
1923,
Tagliacozzo,
p.
197)
A
partire
dal
1916
la
critica
di
Salvemini
si
era
concentrata
verso
le
forze
nazionaliste
dalle
quali
scaturirà
il
movimento
fascista,
potremmo
dire
che
il
Fascismo
nasce
già
antisalveminiano.
Gli
echi
interiori
di
questa
battaglia
perduta
si
possono
riscontrare
nell’animo
di
Salvemini
per
il
quale
la
crisi
che
portò
Mussolini
al
potere
rappresentò
una
sconfitta
personale,
che
fece
cadere
le
speranze
di
venticinque
anni
d’impegno
e
militanza
politica.
Scrisse
in
una
lettera
a
Girolamo
Vitelli
del
1922
che,
qualora
si
fosse
astenuto
dall’esporre
qualunque
manifestazione
di
dissenso
verso
Benito
Mussolini,
era
sufficiente
tutta
la
sua
storia
passata
a
porlo
in
radicale
contrasto
con
il
Fascismo.
“Il
mio
silenzio
[...]
si è
esteso
a
tutte
le
altre
questioni.
La
esperienza
che
feci
nella
Camera
fra
il
1919
e il
1921,
mi
disgustò
così
profondamente
degli
uomini
di
tutti
i
partiti,
che
non
mi
sono
ancora
riavuto
di
quel
disgusto
e
sono
sempre
come
l’ubriaco
all’indomani
della
sbornia…S’intende
che
io
considero
più
che
sufficiente
tutto
il
mio
passato
–
indipendentemente
dalla
riserva
che
mi
sono
imposta
in
questi
ultimi
due
anni
– a
mettermi
in
contrasto
con
quella,
che
Ella
chiama
«la
opinione
del
paese»
e
che
io
chiamo
la
opinione
di
un
partito
che
si è
impadronito
oggi
del
governo
del
paese
bastonando
e
ammazzando
chi
non
è
d’accordo
con
Lui.
Non
volendo
nulla
disdire
del
mio
passato
e
delle
mie
idee
mi
mettono
a
contrasto
col
vincitore
di
oggi”
(91.
Salvemini
a
Girolamo
Vitelli
–
Parigi,
9
novembre
1922,
Tagliacozzo,
pp.
118-120)
Il
forte
senso
autobiografico
dell’antifascismo
di
Gaetano
Salvemini
è
importante
non
solo
rispetto
al
suo
atteggiamento
nel
momento
in
cui
si
verificarono
i
fatti
sopracitati,
ma
anche
in
un’ottica
più
generale
in
cui
la
sua
critica
al
Fascismo
va
analizzata
in
relazione
al
suo
passato,
cioè
come
una
prosecuzione
del
suo
impegno
politico
precedente,
che
era
in
netto
contrasto
con
gli
ideali
portati
avanti
dai
fascisti.
Come
i
suoi
contemporanei
anche
il
Salvemini
non
comprese
appieno
la
novità
e la
portata
del
nuovo
movimento
fascista,
forse
l’impossibilità
di
un
coinvolgimento
diretto
gli
impedì
di
effettuare
un’analisi
dettagliata
su
ciò
che
stava
accadendo
in
Italia.
Se
analizziamo
la
vita
dello
storico
notiamo
che
fino
al
1925
non
fu
un
oppositore
attivo
al
fascismo,
essendo
rimasto
politicamente
isolato,
alcuni
suoi
scritti
di
quel
periodo
ci
mostrano
quelle
che
saranno
le
linee
guida
nella
sua
interpretazione
sul
fascismo.
Gli
elementi
su
cui
si
fonda
il
giudizio
sul
fascismo
del
Salvemini
sono
tre:
il
primo
elemento
lo
possiamo
riscontrare
nella
crisi
che
ha
portato
il
fascismo
al
potere,
come
un
disastro
morale
del
sistema
politico
italiano;
il
secondo
elemento
è
l’esigenza
di
ricostruire,
attraverso
le
fonti,
quello
che
realmente
successe
in
Italia
e
come
i
fascisti
riuscirono
a
emergere
dal
caos
politico
della
nostra
Nazione;
il
terzo
elemento
si
concentra
sul
tentativo
di
analizzare
in
cosa
si
differenziava
l’azione
politica
di
Benito
Mussolini
rispetto
alla
precedente
classe
dirigente.
Da
un’analisi
attenta
possiamo
riscontrare
alcune
tematiche
interessanti.
Nel
luglio
del
1922,
terminando
la
prefazione
della
raccolta
Tendenze
vecchie
e
necessità
nuove
del
movimento
operaio
italiano,
ripercorrendo
la
storia
del
Partito
Socialista,
anche
in
veste
critica,
il
Salvemini
notò
che
il
successo
del
movimento
fascista
non
aveva
causato
la
depressione
del
movimento
socialista
in
Italia,
ma
che
proprio
la
decadenza
di
quest’ultimo
aveva
portato
al
fiorire
del
Fascismo.
E
rano
molte
le
cause
di
questo
disfacimento,
che
si
potevano
riassumere
in
una
profonda
debolezza
morale
delle
organizzazioni
socialiste.
Questa
interpretazione
vedeva
nell’avvento
del
Fascismo
non
la
capacità
di
quest’ultimo
di
farsi
portavoce
d’idee
innovative
per
il
Paese,
ma
la
debolezza
del
sistema
politico
precedente
che
sarebbe
stato
il
prodromo
del
successo
di
Mussolini.
Questo
giudizio
è
importante
perché
indica
il
tramite
tra
passato
e
presente
costituendo
l’indicazione
di
una
ricerca
di
responsabilità
del
successo
fascista
in
quelle
stesse
forze
che
uscivano
sconfitte.
Tale
interpretazione
sarà
ampliata
tra
il
1922
e il
1923
nel
Diario,
nel
quale
l’autore
dirà
che
tutta
la
società
civile
ha
ricoperto
un
ruolo
di
primo
piano
nell’avvento
del
Fascismo;
le
mancanze
politiche
e
intellettuali
della
classe
dirigente,
assieme
a
una
quasi
accettazione
totale
da
parte
dei
ceti
medi,
furono
le
cause
scaturenti
della
supremazia
fascista
in
Italia.
Particolarmente
interessante
sull’avvento
del
Fascismo
e di
come
l’Italia
stesse
cambiando,
è
una
lettera
inviata
a
Salvemini
da
Tommaso
Fiore
nel
1923.
“Si
vuole
assolutamente
che
tutto
il
paese
entri
nei
fasci,
e
manganello
per
i
capi
che
si
dimettono,
come
per
quelli
che
non
entrano,
che
ormai
sono
pochini.
Appresi
anche
che
S.
E.
Caradonna,
in
vista
dell’amnistia,
diceva
di
essere
dolente
di
non
averne
ammazzati
di
più.
Limongelli,
che
è
segretario
della
federazione
provinciale
fascista,
ha
rivolto
una
lettera
ai
giornali,
violentissima,
contro
la
Deputazione
e il
Consiglio
Provinciale,
perché
le
strade
sono
tenute
male
e
gli
appaltatori
farebbero
i
grandi
elettori.
Si
mira
allo
scioglimento
del
Consiglio
Provinciale,
come
si è
minacciato
per
Lecce
e
Foggia.
Che
cosa
ci
sia
di
sotto
non
so,
ma
pare
che
il
fascismo
sia
troppo
favorevole
alla
soluzione
del
porto
di
Bari
nel
senso
voluto
dall’Italo-francese,
affare
di
moltissimi
milioni
e di
poca
pulizia.
Così
si
sopprimerebbe
la
voce
del
Consiglio
Provinciale.
Staremo
a
vedere.
Se
le
interessa,
ho
saputo
che
son
passati
al
fascio
anche
il
Cap.Palladino,
che
fu
con
noi
il
‘19
e si
iscrisse
al
partito
socialista
il
‘21
e
certo
non
dei
peggiori,
nonché
un
tale
Caso
di
Bari,
della
stessa
situazione.
Bonito
fu
aggredito
dai
fascisti
di
Cerignola
e
non
se
ne
sa
più
nulla.
Di
Bitonto
non
ho
notizie.
Io
sono
tornato
a
leggiucchiare…A
proposito,
Laterza
mi
diceva
che
il
Sen.
Fortunato
ha
avuto
vivaci
alterchi
con
Benedetto
Croce
a
proposito
del
fascismo.”
(124.
Tommaso
Fiore
a
Salvemini
–
Napoli,
16
gennaio
1923,
Tagliacozzo,
pp.
169-160).
Il
declino
della
classe
dirigente
italiana,
si
può
cogliere
in
una
lettera
del
1922
a
Giuseppe
Prezzolini.
“Quanto
alla
situazione
dell’Italia,
io
la
vedo
sempre
più
nera.
Un
paese,
in
cui
il
popolo
è
quale
tu e
io
lo
vediamo,
e le
classi
dirigenti
sono
incapaci
di
fare
altro
che
retorica,
- è
un
paese
condannato
a
sparire
come
Stato
nazionale
indipendente.
Quando
avverrà
questo
non
lo
so.
E
può
darsi
che
un
intreccio
di
casi
fortunati
ci
permetta
di
vivacchiare
per
lungo
tempo
come
certi
ubriachi,
i
quali
traballando
riescono
a
tenersi
in
piedi.
È
chiaro
che
in
questo
periodo
di
terno
al
lotto
non
si
formi
una
nuova
classe
dirigente
meno
indegna
di
quella
attuale.
Motivo
per
cui
io
mi
sento
come
dinnanzi
a un
ammalato
disperato
ma
che
ancora
non
è
morto.
Chi
sa
che
non
si
trovi
a un
tratto
una
droga
assurda
che
lo
rimetta
in
gamba.”
(95.
Salvemini
a
Giuseppe
Prezzolini
–
Parigi,
14
novembre
1922,
Tagliacozzo,
p.
128)
Seguendo
questo
ragionamento
potremmo
ricondurre
il
pensiero
di
Salvemini
alle
interpretazioni
più
radicali
del
Fascismo,
come
quelle
di
Gobetti
o di
Fortunato,
che
vedevano
una
forte
continuità
tra
Italia
liberale
e
Fascismo.
“In
realtà,
su
questa
nota
Salvemini
non
insistette
allora
a
lungo,
né
in
tale
forma
sommaria
essa
verrà
mai
ripresa.
Tuttavia
si
tratta
di
una
nota
che
nel
giudizio
di
Salvemini
sul
fascismo
assumerà
sviluppi
assai
importanti,
sia
riaffacciandosi
in
qualche
modo
anche
nelle
sue
successive
opere
d’insieme
scritte
durante
il
periodo
d’esilio,
sia
soprattutto
quando
dopo
il
1945
egli
riprenderà
la
sua
riflessione
sul
fascismo
in
rapporto
alla
precedente
storia
d’Italia”
(Sestan,
p.
123)
Sin
dalle
prime
settimane,
dopo
la
Marcia
su
Roma,
appare
vivissimo
in
Salvemini
il
desiderio
di
documentarsi
su
come
si
fossero
svolti
i
fatti
tra
il
1919
e il
1922,
su
come
Mussolini
avesse
raggiunto
il
potere,
comprendendo
attraverso
una
visione
d’insieme
il
fenomeno.
Questi
schemi
interpretativi
saranno
ripresi
successivamente
nei
suoi
lavori
di
sintesi.
Le
impressioni
sul
fascismo
di
Salvemini,
sopra
citate,
si
ricollegano
principalmente
a
scritti
di
carattere
personale,
come
il
“Carteggio”
e il
“Diario”,
che
hanno
un
chiaro
carattere
di
provvisorietà.
Anche
alcuni
scritti
pubblicati
intorno
agli
anni
venti
evidenziano
le
linee
di
pensiero
dello
storico.
In
particolare
merita
una
certa
attenzione
Il
profilo
sull’Italia
politica
nel
XIX
secolo,
pubblicato
nel
1925
e
gli
Studi
sulla
politica
estera
italiana
dal
1870
al
1915.
In
questi
scritti
il
Salvemini
sembra
rivalutare
il
progresso
compiuto
dal
Paese
nel
cinquantennio
di
governi
liberali;
alcuni
studiosi
hanno
ritenuto
che
con
tali
scritti
Salvemini
negasse
ogni
legame
tra
la
storia
dell’Italia
unita
e il
Fascismo.
Nonostante
ciò
si
nota
come
la
rivalutazione
dell’Italia
liberale
vada
vista
in
chiave
critica,
cioè
in
contrapposizione
all’interpretazione
della
storia
d’Italia
della
propaganda
fascista,
che
vedeva
in
Benito
Mussolini
il
salvatore
dello
stato
dalla
decadenza
portata
dalla
classe
liberale.
Dagli
scritti
di
Gaetano
Salvemini
emerge
che
fino
a
San
Giuliano,
con
l’eccezione
di
Crispi,
il
giudizio
sulla
classe
politica
liberale
è
sostanzialmente
positivo,
proprio
gli
studi
sulla
politica
estera
dei
governi
liberali
e
quella
portata
avanti
da
Mussolini
potrebbero
aver
indotto
il
Salvemini
a
porre
una
precisa
distinzione
tra
fascisti
e
liberali.
Nel
1925
ci
fu
una
vera
e
propria
svolta
nella
vita
di
Salvemini,
se
prima
di
questa
data
non
aveva
combattuto
nella
pratica
il
Fascismo,
dopo
l’esilio
l’opposizione
al
movimento
fondato
da
Mussolini
divenne
un
perno
fondante
della
sua
vita.
L’esilio
volontario
non
significò
per
Salvemini
la
ripresa
dell’attività
politica
all’interno
di
un
gruppo
organizzato,
nonostante
avesse
partecipato
a
numerose
iniziative
pubbliche
contro
il
Fascismo,
la
sua
comunque
fu
sempre
una
partecipazione
esterna.
L’antifascismo
dello
storico,
quindi,
non
si
fonda
su
un
impegno
attivo
nei
movimenti
antifascisti
ma
sul
piano
intellettuale,
quello
della
critica
storica.
Fu
proprio
lui
ad
inaugurare
il
ciclo
di
letteratura
critica
sul
Fascismo,
il
suo
obiettivo
era
quello
di
confutare
l’idea
propagandistica
che
il
Fascismo
dava
di
se
alla
nazione,
di
sviscerarne
l’essenza
per
renderne
pubblici
i
mali.
Il
Salvemini
si
impegnò
in
un
forte
contraddittorio
con
articoli
di
giornale
e
conferenze,
dimostrando
una
lucida
conoscenza
dei
fatti
dovuta
ad
un
grande
lavoro
di
ricerca
per
la
realizzazione
delle
tre
opere
più
importanti
di
quel
periodo:
La
dittatura
fascista
in
Italia
(1927-1928),
Mussolini
Diplomatico
(1932)
e
Sotto
la
scure
del
fascismo
(1936).
Salvemini
si
dedicò
a
confutare
le
idee
fasciste
più
comuni,
come
ad
esempio
che
il
Fascismo
avesse
salvato
l’Italia
da
una
rivoluzione
rossa
o
che
Mussolini
avesse
impedito
il
disastro
economico
del
paese.
Nel
demolire
la
propaganda
fascista
Salvemini
ci
riporta
anche
una
documentata
versione
dei
fatti
in
oggetto
per
una
comprensione
storica
degli
eventi.
Per
lui
la
crisi
liberale
era
una
crisi
di
carattere
politico,
nella
quale
Mussolini
non
ebbe
un
ruolo
salvifico,
ma
soltanto
la
furbizia
di
sfruttare
una
situazione
per
raggiungere
il
potere.
Anche
la
politica
estera,
uno
dei
cavalli
di
battaglia
del
Fascismo,
non
era
che
una
forte
ripresa
propagandistica
dei
valori
nazionalisti.
Nei
suoi
interventi,
lo
storico
mise
in
luce
la
forte
contraddittorietà
della
politica
di
Mussolini,
vedendolo
come
privo
delle
qualità
per
essere
un
uomo
di
stato.
Anche
sul
corporativismo
Salvemini
scrisse
che
si
trattava
di
una
grande
montatura,
per
nascondere
che
le
organizzazioni
dei
lavoratori
avevano
perso
ogni
libertà
mentre
le
organizzazioni
padronali
avevano
mantenuto
una
forte
autonomia
e
che
soprattutto
le
condizioni
di
vita
degli
italiani
erano
peggiorate
sensibilmente.
Inoltre
evidenziava
come
lo
Stato
Corporativo
avesse
ampliato
i
quadri
e le
funzioni
della
pubblica
amministrazione,
provocando
una
notevole
crescita
del
potere
della
burocrazia.
Anche
sul
rapporto
tra
Fascismo
e
popolo
italiano
e
sulle
condizioni
del
paese
nel
periodo
dei
governi
liberali
si
impegnò
per
rivalutare
l’onore
della
nazione
italiana;
volle
documentare
come
gli
italiani,
distinguendoli
dalla
classe
dirigente,
non
avessero
accettato
passivamente
l’avvento
del
Fascismo.
Il
popolo
si
era
dovuto
piegare
allo
squadrismo
fascista,
che
poté
operare
in
modo
criminale
finendo
per
essere
anche
tutelato
dalle
istituzioni.
Salvemini
esaltava
il
valore
civile
di
questa
battaglia
popolare
contro
il
movimento
fascista,
evidenziando
il
valore
dei
grandi
caduti
sotto
la
scure
del
fascismo
ma
anche
di
tutti
quelli
sconosciuti
che
avevano
subito
la
brutalità
fascista.
Per
Salvemini,
dopo
l’8
settembre
1943,
il
popolo
italiano
rivelò
il
suo
vero
volto,
mostrando
apertamente
la
propria
opposizione
ai
fascisti.
L’apparente
tranquillità
che
si
riscontrava
nel
Paese
sotto
il
governo
del
Duce,
si
era
ottenuta
grazie
al
terrore
che
un
forte
apparato
di
polizia
politica
esercitava
sullo
stato.
Salvemini
richiamava
nei
suoi
scritti
i
risultati
raggiunti
dall’Italia,
soprattutto
nella
partecipazione
politica,
prima
dell’avvento
del
Fascismo,
non
tanto
per
elogiare
l’Italia
liberale
ma
per
negare
le
tesi
propagandistiche
che
l’Italia
fosse
in
mano
agli
anarchici
quando
Mussolini
salì
al
potere.
Mussolini
prese
in
mano
un
paese
vitale
dal
punto
di
vista
economico
e
sociale,
l’avvento
dei
fascisti
per
Salvemini
dipese
sostanzialmente
da
una
forte
crisi
della
politica.
Gaetano
Salvemini
criticò
aspramente
anche
la
politica
estera
fascista.
Riteneva
che
il
Fascismo
sarebbe
caduto
a
causa
di
tale
politica,
vedendo
in
una
crisi
internazionale
l’occasione
per
l’Italia
di
riacquistare
la
libertà
perduta.
Ravvisava
nel
“Mussolini
diplomatico”
una
completa
estraneità
all’ordine
internazionale
e al
sistema
degli
stati
occidentali.
Per
Salvemini
le
nazioni
democratiche,
grazie
alla
loro
tradizione
politica
e
culturale,
erano
le
case
naturali
dell’antifascismo,
queste
teorie
sono
uno
dei
cardini
fondanti
del
pensiero
dello
storico.
Da
ciò
nasce
la
sua
idea
di
Europa,
identificata
con
quelle
concrete
esperienze
storiche
di
governi
democratici
(Francia
e
Inghilterra).
Nel
pensiero
di
Salvemini
il
contrasto
tra
Fascismo
e
antifascismo
equivale
al
contrasto
tra
Fascismo
e
democrazia,
quest’ultima
intesa
come
quella
incarnata
nelle
democrazie
occidentali.
Nonostante
questo
non
sottovalutava
la
responsabilità
dei
paesi
occidentali
nel
trionfo
di
Mussolini,
evidenziando
come
fosse
stata
importante
la
responsabilità
internazionale
nell’avvento
del
Fascismo.
Secondo
Salvemini
le
democrazie
internazionali
avrebbero
poi
pagato
la
miopia
dei
propri
governanti.
Da
qui
nacque
l’impegno
per
cercare
di
far
conoscere
all’opinione
pubblica
internazionale
la
vera
natura
del
Fascismo,
affinché
comprendesse
come
quest’ultimo
e la
democrazia
non
fossero
conciliabili.
S’impegnò
per
confutare
la
propaganda
fascista
in
Francia,
e in
Inghilterra,
a
dimostrazione
di
questo
i
suoi
più
importanti
scritti
di
quel
periodo
furono
pubblicati
in
francese
e in
inglese.
La
quarta
stagione
della
vita
di
Salvemini,
quella
del
“Fuoruscito”,
si
concluse
nel
1945.
Negli
anni
1942
–
1943,
compose
due
opere
“Lezioni
di
Harvard”
e “What
to
do
with
Italy”.
Il
suo
compito,
da
questo
momento,
non
è
più
quello
di
denunciare
le
nefandezze
del
Fascismo
ma
quello
di
spiegare
all’opinione
pubblica
americana
e
inglese
come
rilanciare
l’Italia.
Per
Salvemini
superare
il
Fascismo
significava
attuare
una
società
democratica
in
cui
la
democrazia
politica
non
poteva
più
esistere
disgiunta
da
quella
economica.
Potremmo
dire
che
il
ragionamento
di
Salvemini,
da
questo
momento,
analizza
nuovamente
il
fenomeno
della
democrazia
in
Italia.
Il
Fascismo
aveva
oscurato
la
democrazia,
si
doveva
indagare
su
quali
erano
state
le
cause
del
suo
successo,
al
fine
di
rimuovere
gli
ostacoli
che
avrebbero
impedito
la
rinascita
del
nostro
Paese.
Cercando
di
studiare
quali
furono
gli
elementi
che
condussero
i
fascisti
al
potere,
Gaetano
Salvemini
esclude
un’interpretazione
classista.
Nella
sua
analisi
i
principali
responsabili
furono
il
Re,
la
Chiesa,
l’esercito,
la
magistratura,
la
forza
pubblica,
la
classe
politica
e i
ceti
possidenti.
Mentre
nel
caso
del
Re e
della
Chiesa
si
criticano
effettivamente
sia
le
persone
fisiche
che
gli
istituti,
negli
altri
casi
si
lancia
una
forte
accusa
alle
sole
persone
fisiche.
Si
tratta
di
una
critica
alla
classe
dirigente
del
paese
(che
non
seppe
arginare
in
alcun
modo
Benito
Mussolini),
da
questo
declino
nascerà
la
supremazia
fascista.
Il
ruolo
della
classe
dirigente
di
fronte
al
Fascismo
è
evidenziato
in
una
lettera
del
1926
a
Ernesto
Rossi.
“Parlando
con
uno
dei
pezzi
più
grossi
dissi:
«Voi
siete
rimasti
sempre
alla
seconda
metà
del
1924;
anche
dopo
l’assassinio
di
Matteotti,
aspettaste
la
salvezza
del
Re,
e
per
non
spaventare
il
Re
rimaneste
senza
far
nulla.
Oggi
sperate
dalla
crisi
economica
quel
che
speraste
dalla
morte
di
Matteotti.
Aspettate
sempre
che
qualcuno
vi
mandi
a
chiamare.
Io
sono
convinto
che
farete
un
secondo
fiasco.
Ma
ritengo
necessario
che
questa
nuova
esperienza
avvenga,
e
che
noi
non
vi
creiamo
nessuna
difficoltà
[...]
Ma
se
anche
questa
nuova
prova
riesce
in
un
fiasco,
e se
anche
questa
occasione
la
lascerete
sfuggire
aspettando
di
essere
chiamati
da
qualcuno
cosa
farete
dopo?
Ricomincerete
ad
aspettare
di
essere
chiamati
da
qualcuno
in
una
terza
occasione?
Oppure
riconoscerete
che
la
vostra
tattica
è
sbagliata
e
che
occorre
adottare
un’altra
tattica:
quella
di
non
aver
paura
di
spaventare
il
Re,
il
Papa,
i
generali,
gli
industriali,
i
fascisti,
e
raccogliere
intorno
a
noi
alcune
migliaia
di
persone
pronte
ad
approfittare
di
qualunque
occasione
per
dare
addosso
ai
fascisti
e
fare
piazza
pulita»?
A
questa
domanda
non
rispose.
Cioè
a
dire,
in
fondo
al
suo
spirito,
c’era
il
sentimento
che
bisognerà
ricominciare
sempre
ad
aspettare
di
essere
chiamati
evitando
di
spaventare
i
possibili
chiamatori.”
(406.
Salvemini
a
Ernesto
Rossi
–
s.l.n.,
14
settembre
1926,
Tagliacozzo,
p.
541)
Secondo
Gaetano
Salvemini
il
Fascismo
sarebbe
potuto
cadere
per
la
concomitanza
di
due
eventi:
una
grande
inquietudine
in
vasti
strati
della
popolazione;
un
grande
evento
nazionale
che
riesca
a
scuotere
profondamente
le
persone.
La
prima
condizione
si
sarebbe
potuta
verificare
grazie
alla
cattiva
amministrazione
fascista,
le
folle,
però,
si
sarebbero
sollevate
solo
per
un
evento
di
grandissima
rilevanza.
Questo
fantomatico
evento
scaturente
doveva
venire
dall’esterno
in
quanto,
se
fosse
sorto
all’interno
del
Paese,
non
avrebbe
avuto
successo
poiché
c’erano
troppi
legami
tra
il
Fascismo
e la
Nazione.
La
crisi
doveva
nascere
dall’esterno,
essendo
la
politica
estera
l’anello
debole
di
Mussolini;
per
Salvemini
il
Duce
introdusse
nella
diplomazia
i
metodi
di
discussione
che
aveva
visto
usare
da
ragazzo
nell’osteria
di
suo
padre
in
Romagna.
Lo
storico
sperava
che
le
grandi
potenze
risolvessero
il
“problema
fascista”,
per
questo
ritenne
fondamentali
due
cose
per
il
raggiungimento
dello
scopo:
la
propaganda
presso
gli
stranieri;
una
svalutazione
del
regime
in
Italia
dovuta
alla
crisi
internazionale.
Questo
fenomeno
di
rivolta
verso
il
Fascismo
non
dovrà
essere
creato
dalla
volontà
di
qualcuno
ma
dovrà
essere
un
impegno
civico
che
nasce
nell’animo
di
tutti
e
che,
grazie
a un
moto
proprio,
riuscirà
a
debellare
il
Fascismo
dall’Italia.
Lo
storico
di
Molfetta,
negli
anni
dopo
l’esilio,
riprende
in
parte
le
sue
teorie
del
1922,
in
cui
vedeva
il
periodo
fascista
come
disastro
morale,
soltanto
che
il
Fascismo
viene
riletto
attraverso
il
rapporto
che
ebbe
con
la
storia
d’Italia.
Il
Salvemini
affronta
anche
temi
come
l’Italia
prefascista,
Giolitti,
l’interventismo
e
altre
tematiche
cercando
di
spiegarle
anche
attraverso
una
critica
delle
sue
idee
precedenti.
In
particolare
negli
anni
di
ascesa
del
Fascismo
al
potere
possiamo
dire
che
la
critica
verso
il
movimento
di
Mussolini
deve
essere
vista
come
un
aspetto
della
battaglia
del
Salvemini
per
raggiungere
la
democrazia.
Riferimenti
bibliografici:
G.
De
Caro,
Gaetano
Salvemini,
la
vita
sociale
della
nuova
Italia
–
volume
sedicesimo,
Unione
tipografico-Editrice
Torinese,
Torino,
1970
F.
Chabod,
L’Italia
Contemporanea
(1918-1948),
Einaudi,
Milano,
1994.
T.
Detti-G.Gozzini,
Storia
Contemporanea
I.
L’Ottocento,
Bruno
Mondadori,
Milano,
2000
T.
Detti-G.Gozzini,
Storia
Contemporanea
II.
Il
Novecento,
Bruno
Mondadori,
Milano,
2000
E.
Tagliacozzo
(a
cura
di),
Gaetano
Salvemini
–
Carteggio
19212-1926,
Laterza
Bari,
Bari,
1985.
E.
Sestan
(a
cura
di),
Atti
del
Convegno
su
Gaetano
Salvemini
–
Firenze
8-10
Novembre
1975,
il
Saggiatore,
Milano
1975.