N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
DALLA FILOSOFIA DEL XIX SECOLO A PIRANDELLO E DALÌ - Parte I
di Giulia Elena Vigoni
“Se
io
avessi
un
mondo
come
piace
a
me,
là
tutto
sarebbe
assurdo:
niente
sarebbe
com’è,
perché
tutto
sarebbe
come
non
è, e
viceversa;
ciò
che
è
non
sarebbe
e
ciò
che
non
è
sarebbe,
chiaro?”
(Alice)
Le
avventure
di
Alice
nel
Paese
delle
Meraviglie
(spesso
contratto
in
Alice
nel
Paese
delle
Meraviglie,
titolo
originale
Alice's
Adventures
in
Wonderland)
è
un'opera
letteraria
pubblicata
per
la
prima
volta
nel
1865
scritta
dal
matematico
e
autore
inglese
Charles
Lutwidge
Dodgson,
sotto
il
ben
più
noto
pseudonimo
di
Lewis
Carroll.
Il
racconto
è
pieno
di
allusioni
a
personaggi,
poemetti,
proverbi
e
avvenimenti
propri
dell'epoca
in
cui
Dodgson
opera
e il
"Paese
delle
Meraviglie"
descritto
nel
racconto
gioca
con
regole
logiche,
linguistiche,
fisiche
e
matematiche.
Il
libro
ha
un
seguito
chiamato
“Attraverso
lo
specchio
e
quel
che
Alice
vi
trovò”
che
negli
adattamenti
teatrali
e
cinematografici
è
spesso
unito
al
ben
più
noto
primo
romanzo.
È
ormai
leggendaria
la
teoria
che
pone
l'origine
del
racconto
in
una
soleggiata
mattina
estiva
che
Carroll
traspone
in
versi
nel
suo
Meriggio
Dorato
(Proemio
di
Alice),
quando
Dodgson
ed
il
reverendo
Robinson
Duckworth
si
trovavano
in
una
barca
sul
Tamigi
con
le
tre
sorelline
Liddell,
(Lorina
di
tredici
anni,
Alice
di
dieci
e
Edith
di
soli
otto
anni).
Durante
il
viaggio
Carroll
inventò
e
raccontò
alle
tre
bambine
una
storia,
che
più
tardi
mise
per
iscritto
e
regalò
ad
Alice
Liddell
che
tanto
aveva
insistito
perché
lo
facesse.
Diventò
quindi
Alice's
Adventures
Underground
(le
avventure
di
Alice
sottoterra),
che
si
sviluppava
in
soli
quattro
capitoli
illustrati
da
Carroll
stesso.
Solo
più
tardi
Carroll
decise
di
pubblicare
la
sua
storia,
aggiunse
nuovi
personaggi
e
situazioni,
commissionò
le
illustrazioni
a
John
Tenniel
(ritenuto
ormai
l'illustratore
ufficiale)
e
gli
diede
il
titolo
e la
forma
che
conosciamo
ancora
oggi.
Ma
cosa
spinse
l’autore
a
scrivere
un
romanzo
cosi
fuori
dai
rigidi
schemi
imposti
dall’età
vittoriana?
Dickens
in
Oliver
Twist
si
era
impegnato
a
rendere
il
più
realisticamente
possibile
le
deplorevoli
condizioni
in
cui
i
bambini
erano
costretti
a
lavorare;
Emily
Bronte
con
Wuthering
Heights
si
era
cimentata
con
un
romanzo
tra
il
romantico
e il
vittoriano
senza
venir
meno
ai
dettami
imposti
dalla
propria
epoca;
Oscar
Wilde
aveva
criticato
la
superficialità
dell’aristocrazia
vittoriana,
i
valori
morali
ormai
decaduti
in
un’epoca
in
cui
tutto
ruotava
attorno
all’apparenza,
alla
bellezza,
alle
mode,
al
denaro…
perché
Carroll
andò
cosi
controcorrente?
A
ben
vedere
Alice
in
wonderland
proprio
come
Oliver
Twist,
non
è
solo
una
favola
per
bambini:
in
questo
romanzo
convergono
gran
parte
delle
ideologie
del
XIX
secolo
ma è
anche
precursore
di
alcune
teorie
del
secolo
scorso.
Sogno
e
realtà,
maschere
e
inconscio,
spazio
e
tempo,
tutto
confluisce
in
una
delle
favole
più
amate
dai
bambini
dal
1865
ad
oggi.
«
Siamo
tutti
matti
qui.
Io
sono
matto,
tu
sei
matta
»
ribatté
il
Gatto.
« E
da
cosa
giudichi
che
io
sono
matta?
»
«
Devi
esserlo,
perché
altrimenti
non
saresti
qui
».
Il
viaggio
di
Alice
inizia
nella
tana
del
Bianconiglio:
qui
l’immaginazione
esercita
un
potere
assoluto,
influenzando
e
stravolgendo
le
percezioni
sensoriali,
in
una
dimensione
confusa
e
precaria
che
sfugge
ad
ogni
logica.
L’appartenenza
al
tempo
e
allo
spazio
va
via
via
sgretolandosi,
ed
ecco
che
si
ha
accesso
all’area
più
recondita
della
psiche:
l’inconscio.
Qui
niente
è
ciò
che
sembra,
ed è
inutile
sforzarsi
di
applicarvi
le
leggi
della
realtà
esterna.
Sarebbe
tuttavia
sbagliato
affermare
che
le
avventura
di
Alice,
per
quanto
paradossali,
non
siano
reali.
Alla
fine
del
racconto
scopriamo
che
le
peripezie
capitate
alla
protagonista
non
sono
altro
che
frutto
di
un
sogno
all’ombra
di
un
albero;
e il
sogno,
per
quanto
possa
apparire
slegato
dalla
coscienza
umana
e
dai
suoi
meccanismi,
è in
realtà
la
sua
manifestazione
più
pura.
Partendo
da
queste
considerazioni,
si
potrebbe
accostare
ciò
che
Freud
nella
sua
Interpretazione
dei
sogni
definisce
inconscio.
Egli
lo
considera
come
il
luogo
della
non
consapevolezza,
in
cui
vengono
“immagazzinati”
tutti
i
desideri
irrealizzabili
e i
traumi
che,
per
non
danneggiare
la
stabilità
psicologica
dell’individuo,
vengono
“bloccati”
in
un
substrato
della
coscienza.
Tuttavia
non
è
impossibile
accedervi:
proprio
il
sogno
è la
via
regia
all’inconscio,
che
permette
l’appagamento,
in
forme
allucinatorie
e
mascherate,
di
un
desiderio
rimosso.
Interpretare
un
sogno
significa
individuarne
il
significato,
cogliere
il
simbolismo
che
lo
caratterizza
e
sostituirlo
con
un
elemento
inseribile
nella
concatenazione
degli
atti
psichici.
Per
interpretare
i
sogni
ci
sono
due
metodi
fondamentali:
il
primo,
chiamato
simbolico,
è
basato
sul
contenuto
del
sogno,
visto
nel
suo
insieme,
nel
tentativo
di
sostituire
il
suo
valore
simbolico
con
un
altro
logicamente
comprensibile.
Il
secondo
metodo,
della
decifrazione,
è
molto
più
oggettivo;
prevede
l'analisi
del
sogno
come
una
sorta
di
scrittura
cifrata,
nella
quale
ogni
segno
viene
tradotto
in
un
altro
comprensibile.
Le
rappresentazioni
e i
desideri
inconsci
possono
affiorare
solo
se
resi
irriconoscibili
da
processi
di
condensazione,
spostamento
e
simbolizzazione.
Si
deve
considerare
che
il
sogno
non
ha
alcun
mezzo
per
raffigurare
le
relazioni
logiche
esistenti
tra
i
pensieri
onirici.
Perlopiù,
esso
ignora
queste
preposizioni
e si
occupa
solo
di
elaborare
il
contenuto
oggettivo
tra
essi.
All'interpretazione
del
sogno
spetta
di
ristabilire
il
collegamento
distrutto
dal
lavoro
onirico.
Accade
però
che
in
alcuni
sogni
hanno
luogo
complesse
operazioni
logiche,
che
raccolgono
atteggiamenti,
comportamenti
e
processi
psichici
molto
simili
a
quelli
della
vita
vigile;
non
bisogna
farsi
ingannare
dall'apparenza:
tutto
questo
materiale
è
onirico,
e
non
raffigurazione
di
un
lavoro
intellettuale
nel
sogno.
Nel
XX
secolo
le
teorie
freudiane
influenzarono
anche
molti
letterati
come
J.
Conrad
che
in
Heart
of
Darkness
individua
nei
due
personaggi
centrali
Kurtz
e
Marlow
rispettivamente
l’Es
(l’inconscio,
sede
irrazionale
delle
nostre
passioni
e
pulsioni)
e il
Superego
(la
parte
conscia,
razionale)
sottolineando,
contrariamente
a
Freud,
che
solo
il
Superego
è in
grado
di
sopravvivere
alle
tenebre,
mentre
l’Es
ci
conduce
alla
pazzia.
Perché,
in
sostanza,
bisogna
credere
che
il
contenuto
di
un
sogno
sia
da
considerare
“reale”?
Il
Paese
delle
Meraviglie
è il
luogo
dell’assurdo,
del
non-sense,
del
paradosso:
tutto
appare
slegato
dalla
realtà
e
dalle
sue
leggi.
La
chiave
di
lettura
va
allora
ricercata
non
in
quello
che
viene
detto,
ma
nel
modo
in
cui
ciò
accade.
Il
sogno
utilizza
un
vocabolario
fortemente
simbolico
che,
grazie
ad
un
gioco
di
rimandi
e di
libere
associazioni,
mette
in
scena
la
“rappresentazione
teatrale”
onirica:
il
contenuto
manifesto,
cioè
l’insieme
di
atti,
parole,
gesti
che
in
sé
appaiono
assolutamente
privi
di
logica.
Questa
modalità
di
rappresentazione
è
dovuta
alla
censura
onirica:
l’Io,
il
filtro
della
coscienza,
trasforma
i
contenuti
provenienti
dall’inconscio,
che
potrebbero
risultare
perturbanti
per
l’individuo,
in
una
forma
enigmatica
e
difficilmente
riconoscibile.
Ciò
che
questa
mediazione
vuole
“mascherare”
e
dissimulare
dietro
il
non-sense
è il
contenuto
latente,
il
vero
materiale
di
cui
si
compone
l’inconscio.
Se è
vero
che
l’inconscio
è il
“magazzino”
di
esperienze
vissute
o
desiderate
che
sono
state
archiviate
e
censurate,
il
sogno
non
può
che
essere
dunque
profondamente
reale,
la
più
sincera
espressione
dell’animo
umano,
pur
essendo
manifestata
in
forma
simbolica.
Da
qui
nel
racconto
di
Alice
nel
Paese
delle
Meraviglie
scaturisce
l’assoluta
importanza
del
significante
rispetto
al
significato.
«
Vuoi
un
po’
di
vino?
»
disse
allora
con
tono
quasi
incoraggiante
la
Lepre
Marzolina.
«
Non
vedo
vino
»
osservò
Alice.
Infatti
aveva
guardato
sulla
tavola
e
non
aveva
visto
altro
che
tè.
«
Non
ce
n’è,
infatti
»
disse
la
Lepre.
Ogni
proposizione
non
ha
una
reale
funzione
logica,
e
non
rimanda
apertamente
a
niente
di
concretamente
riconoscibile:
nel
contenuto
manifesto
tutto
si
esaurisce
nella
sua
significazione.
Non
a
caso
sono
frequenti
i
giochi
di
parole,
di
suono
e le
figure
etimologiche,
ma
maggiore
rilevanza
spetta
in
questo
senso
agli
indovinelli:
Le
sole
parole
che
il
Cappellaio
disse
furono:
«
Perché
un
corvo
assomiglia
a
uno
scrittoio?
»
Il
quesito
è in
realtà
irrisolto:
puro
non-sense.
Alice
non
vi
risponde,
non
trova
niente;
né
tantomeno
ne
sa
niente
il
Cappellaio
che,
da
parte
sua,
risponde
alla
bambina
di
non
averne
la
più
pallida
idea.
Il
sogno
si
manifesta
così
come
un
accostamento
di
idee,
suoni,
gesti:
il
tempo,
lo
spazio,
le
regole
logiche
che
vigono
nella
realtà
si
trovano
private
della
loro
valenza
e
del
loro
potere
di
“dettare
legge”:
nel
mondo
onirico
si
ha
un
ribaltamento
di
prospettiva
e
vengono
messe
in
discussione
persino
le
leggi
che
consideriamo
“naturali”,
come
il
principio
di
non
contraddizione
o il
nesso
causa-effetto.
Privando
di
ogni
valore
le
regole
che
stanno
alla
base
della
razionalità,
i
legami
con
la
realtà
vengono
spezzati.
Una
funzione
particolare
riveste
il
Tempo,
interpretato
nel
racconto
come
una
dimensione
da
sperimentare
soggettivamente,
piuttosto
che
come
“legge”
che
scandisce
la
vita.
Nel
XX
secolo
anche
Il
filosofo
francese
Bergson,
influenzato
dalle
scoperte
scientifiche
del
tempo
quali
la
teoria
della
relatività
di
Einstain,
che
mise
in
crisi
le
concezioni
apodittiche
formulate
da
Newton
riguardo
ai
concetti
assoluti
di
spazio
e
tempo
affermando
che
questi
erano
invece
valori
dipendenti
dal
sistema
di
riferimento
preso
in
considerazione,
sostenne
che
il
tempo
può
essere
considerato
oggettivo
e
lineare
oppure
soggettivo.
Il
primo
è il
tempo
misurabile
con
gli
orologi,
quello
inseguito
dal
Bianconiglio
che
potrebbe
rappresentare
il
mondo
occidentale
troppo
frenetico
anche
secondo
il
punto
di
vista
di
Nietzsche
che
teorizzava
l’Eterno
Ritorno
e il
tempo
circolare;
il
secondo
è
invece
il
tempo
interno,
psicologico,
soggettivo
e
misurabile
solo
con
i
ricordi
e la
memoria:
è il
tempo
della
vita.
È
proprio
questo
il
tempo
che
caratterizza
il
Paese
delle
Meraviglie,
luogo
in
cui
ognuno
lo
percepisce
a
modo
suo;
è il
caso
del
Cappellaio
Matto
il
cui
orologio
segna
solamente
i
giorni
del
mese;
quando
Alice
gli
domanda
stupita
perché
non
segni
le
ore,
come
tutti
gli
orologi
“normali”,
quello
risponde
indispettito:
«
E
perché
dovrebbe
segnarle?
»
borbottò
il
Cappellaio.
« Il
tuo
orologio,
per
caso,
segna
gli
anni?
» «
Naturalmente
no!
»
rispose
pronta
Alice.
Nella
sua
apparente
assurdità,
la
domanda
è
perfettamente
lecita:
chi
ha
deciso
che
un
orologio
debba
per
forza
segnare
le
ore?
Nel
Paese
delle
Meraviglie
sono
sempre
le
sei
del
pomeriggio,
l’ora
del
tè:
la
tavola
è
grande,
ma
non
c’è
tempo
per
lavare
le
tazze;
bisogna
scalare
di
posto
per
averne
qualcuna
pulita.
Quella
che
potrebbe
sembrare
una
prigionia
è in
realtà
la
capacità
di
cogliere
il
Tempo
nella
sua
vera
essenza:
è
statico
ed è
sempre
uguale
a sé
stesso,
ma
sotto
la
spinta
della
fantasia
e
del
desiderio
personale
può
piegarsi
a
ciascun
bisogno
individuale.
«
Se
tu
conoscessi
il
Tempo
come
me,
non
parleresti
di
perderlo!
Scommetto
che
non
hai
mai
parlato
con
lui
» «
Non
mi
pare
»
rispose
Alice
prudentemente
« ma
so
che
quando
studio
musica
debbo
batterlo
» «
Adesso
capisco!
»
disse
il
Cappellaio.
« Ma
lo
sai,
almeno,
che
lui
non
sopporta
le
bastonate?
Se
tu
riuscissi
a
restare
in
buon
accordo
con
lui,
ti
farebbe
tutto
quello
che
desideri
tu
».
Il
Tempo
dunque,
nel
Paese
delle
Meraviglie,
esiste
solo
nella
forma
che
ogni
individuo
decide
di
dargli,
manifestandosi
così
nella
sua
essenza
originaria
come
l’ennesima
esplicazione
di
un
desiderio:
il
desiderio
che
arrivi
presto
l’ora
del
pranzo,
o
che
sia
sempre
l’ora
del
tè.
L’unico
personaggio
che
sembra
sfuggire
a
questa
totale
libertà
è il
Coniglio
Bianco.
Con
il
suo
orologio
nel
panciotto
si
trova
ad
essere
perennemente
in
ritardo:
vive
una
vita
frenetica,
sempre
costretto
a
correre
e a
soffrire
dell’assenza
di
regole
che
“governa”
il
Paese
delle
Meraviglie.
Nel
suo
caso
il
Tempo
si
trova
sempre
a
precederlo:
il
Coniglio
non
capisce
che
per
liberarsi
non
deve
continuare
a
inseguirlo,
ma
semplicemente
fermarsi.
Emerge
una
chiara
volontà
di
abbattere
tutti
i
limiti
imposti
dal
mondo
reale,
a
partire
da
un
ente
inventato
dall’uomo
di
cui
egli
stesso
è
diventato
schiavo:
il
Tempo.
Ancora
una
volta
il
sogno
è la
via
di
fuga
che
permette
di
dare
spazio
alla
creatività
e ai
bisogni
di
“libertà”
dell’inconscio:
nella
realtà
un
sogno
dura
pochi
secondi,
eppure
al
risveglio
sembra
sempre
che
sia
durato
diverse
ore.
Alice
si
trova
dunque
in
una
situazione
a
lei
sconosciuta:
si
sente
spaesata
e a
volte
sente
l’irrefrenabile
impulso
di
piangere.
Ma
proprio
in
un
momento
di
disperazione,
all’inizio
del
racconto,
quando
sta
per
essere
sommersa
dalle
sue
stesse
lacrime,
rimprovera
a sé
stessa:
«
Ti
consiglio
di
smetterla
immediatamente!
»
aggiunse
con
tono
deciso.
Infatti
questa
strana
bambina
pretendeva
alle
volte
d’essere
due
persone.
« Ti
dovresti
vergognare
di
te
stessa,
una
bambina
grande
come
te!
».
Ricordando
i
consigli
dei
genitori
in
merito
al
fatto
che
per
una
brava
bambina
non
sia
conveniente
mettersi
a
strillare,
Alice
impartisce
a sé
stessa
l’obbligo
di
tacere
e di
mostrarsi
“adulta”,
interiorizzando
i
valori
e le
leggi
della
società
civile
e
sforzandosi
di
applicarvi
un
ordine.
Tuttavia
l’ordine
non
appartiene
al
Paese
delle
Meraviglie,
e
tutti
i
suoi
sforzi
sono
vani.
L’impossibilità
di
applicare
le
leggi
che
finora
avevano
regolato
e
scandito
la
sua
vita
la
fa
sentire
totalmente
estraniata
e
senza
punti
di
riferimento.
Il
Coniglio
Bianco
sempre
all’inseguimento
del
Tempo
può
essere
considerato
in
questa
prospettiva
come
una
proiezione
all’interno
del
sogno
di
una
reminiscenza
di
Alice
del
mondo
reale.
Questo
pretende
da
lei
controllo
ed
esige
che
indossi
una,
anzi
centomila
maschere,
tante
quante
sono
le
situazioni,
i
luoghi,
i
tempi
e i
personaggi
che
si
trova
di
fronte.
Alice
inizialmente
sente
di
aver
perso
“la
forma”
in
cui
aveva
vissuto
nella
vita
“reale”e
questo
le
provoca
una
sensazione
di
angoscia
e di
perdita
di
identità.
Nel
Paese
delle
Meraviglie
l’unica
regola
vigente
è
non
avere
alcuna
regola.
Alice
cade
dunque
in
continua
contraddizione
e
confusione;
indecisa
tra
quello
che
le
hanno
insegnato
e
tra
quello
che
lei
sa
che
è
vero,
è
come
se
tutte
le
trasformazioni
e
mutamenti
interiori
che
naturalmente
accadono
ad
ognuno
diventassero
tangibili,
esplicandosi
in
un
mondo
paradossale.
Tuttavia
Alice
non
esce
sconfitta
dal
confronto
con
il
“vero
fluire
della
vita”,
ma
anzi
nel
progredire
della
storia
afferma
ripetute
volte,
di
fronte
agli
avvenimenti
fantastici
più
disparati,
di
accettare
la
loro
straordinarietà
e
lasciarli
scorrere
nell’immenso
mare
delle
meraviglie,
senza
domandarsi
più
il
perché
delle
cose,
o
in
che
modo
queste
possano
essere
possibili.
Avviene
così
un
sovvertimento
di
tutte
le
certezze,
tutte
le
verità
date
fino
a
quel
momento
per
assolute
vengono
demistificate:
tutto
diventa
probabile.
Ecco
che
dunque
si
affaccia
la
possibilità
di
salvezza:
essere
coscienti
della
molteplicità
delle
maschere
che
ognuno
indossa,
sfuggire
alle
regole
imposte
non
da
un
ordine
naturale
prestabilito,
ma
dalla
semplice
convenzione
sociale.
Questa
è
proprio
Alice,
la
maschera
nuda
che
riesce
ad
esorcizzare
questo
meccanismo
e ad
essere
ciò
che
è
davvero,
identificandosi
di
volta
in
volta
con
ciò
che
vuole
e
credendo
a
tutto
ciò
a
cui
il
suo
vero
io
le
dice
di
credere:
le
favole.
Nel
sogno
Alice
si
permette
di
sfuggire
al
rigore
della
vita
“reale”,
deponendo
le
maschere
imposte
dalla
società,
per
poter
appagare
il
suo
desiderio
di
vivere
in
un
mondo
pronto
a
trasformarsi,
a
rinnovarsi
e a
non
cristallizzarsi
in
una
sterile
forma.