N. 88 - Aprile 2015
(CXIX)
Carlos Monzón
Violenza dentro e fuori dal ring
di Francesco Agostini
Sono gli anni settanta, internet è ancora lontano anni luce dall’eccezionale strumento che conosciamo noi oggi e praticamente nessuno sa chi sia il pugile argentino Carlos Monzón.
Nonostante
faccia
parte
dei
pesi
medi
il
suo
fisico
è
imponente
e
massiccio,
con
un’altezza
di
1,84
centimetri
e un
peso
di
72
kg
che
lo
rendono
particolarmente
pericoloso
e
difficile
da
battere.
Per
di
più,
Monzón
è un
magnifico
incassatore
(in
tutta
la
carriera
finirà
al
tappeto
appena
tre
volte)
e ha
un
pugno
potentissimo.
D’acciaio.
Dicevamo
degli
anni
settanta.
L’occasione
in
cui
tutti
hanno
modo
di
vedere
per
la
prima
volta
Monzón
in
azione
è
esattamente
il
sette
novembre
del
1970,
nell’incontro
valido
per
il
titolo
mondiale
contro
il
nostro
Nino
Benvenuti.
Attenzione,
però:
il
pugile
argentino
è
uno
sconosciuto
ai
più,
alla
massa,
ma
non
è
affatto
l’ultimo
arrivato.
Carlos
Monzón
arriva
a
disputare
questo
incontro
da
niente
meno
che
campione
del
Sud
America
e
sul
ring
questo
è
più
che
evidente.
Nino
Benvenuti
è sì
un
grande
campione,
stilisticamente
perfetto,
impeccabile
e
molto
elegante
ma
gli
manca
una
cosa
fondamentale
che
invece
Monzón
ha:
la
fame.
È in
quei
momenti
che
la
povertà
dell’argentino
torna
a
galla
prepotentemente
e
non
lascia
scampo
a
Benvenuti
che
cade
alla
dodicesima
ripresa.
Il
mondo
lo
ha
finalmente
scoperto;
ha
scoperto
questo
argentino
che
sembra
un
indios,
dalla
faccia
di
cuoio
dura
e
legnosa,
come
cotta
dal
sole.
Sei
mesi
dopo
ci
sarà
la
rivincita,
se
possibile
ancora
più
umiliante
per
il
nostro
Benvenuti,
che
si
dovrà
arrendere
al
terzo
round
per
la
decisione
del
suo
allenatore
di
gettare
la
spugna.
Da
lì
la
scalata
al
successo
sarà
sempre
più
esaltante
per
l’hombre
argentino.
Fuori
dalla
boxe,
però,
è
tutta
un’altra
storia.
Monzón
ha
un
carattere
duro,
è
cattivo,
violento:
insomma
è
uno
nato
e
cresciuto
nella
strada.
Oltre
a
questo,
però,
è
anche
un
grande
amatore
e
non
per
nulla
due
donne
bellissime
come
Ursula
Andress
e
Nathalie
Delon
(moglie
di
Alain)
cadranno
facilmente
nelle
sue
muscolose
braccia.
Oltre
alle
amanti,
comunque,
l’hombre
di
San
Javier
avrà
anche
una
predilezione
particolare
per
le
mogli
e
per
i
figli:
tre
mogli
e
quattro
figli,
di
cui
i
primi
tre
avuti
dal
primo
matrimonio.
Monzón,
dicevamo,
è un
latin
lover,
ma
passa
decisamente
il
segno.
La
prima
moglie,
Mercedes,
folle
di
gelosia,
arriverà
addirittura
a
sparargli
un
colpo
di
pistola
nella
schiena
(che,
incredibilmente,
non
lo
ucciderà)
a
causa
di
un
confessato
tradimento
del
marito
avvenuto
con
la
modella
Susana
Giménez.
La
vita
di
Carlos
Monzón,
nel
frattempo,
precipita
sempre
di
più
fra
donne,
violenza
e
improbabili
ruoli
cinematografici
che
i
registi
gli
affibbiano
per
quella
sua
faccia
da
duro,
alla
Charles
Bronson.
Nel
1988,
durante
la
notte
di
San
Valentino,
Monzón,
colto
da
un
incontrollato
raptus
di
rabbia,
strangola
e
uccide
l’ultima
compagna,
la
modella
uruguaiana
Alicia
Muniz.
Per
l’argentino
arriva
il
carcere
e
dopo
sette
anni
di
buona
condotta,
la
libertà
vigilata.
è
chiaro
dunque
che
la
sua
vita
ha
preso
oramai
una
piega
che
nemmeno
lui
avrebbe
mai
immaginato:
dalle
povere
baracche
di
San
Javier
alla
fama
mondiale,
alle
donne,
alla
prigione.
Ma
non
è
finita
qui.
Monzón,
veloce
come
arrivò
all’attenzione
del
mondo,
altrettanto
velocemente
uscì
di
scena.
L’otto
gennaio
del
1995,
mentre
sta
tornando
in
carcere
dopo
una
battuta
di
caccia,
esce
di
strada
con
la
macchina
a
140
chilometri
orari
e
muore.
Nel
modo
più
inaspettato
possibile,
come
era,
d’altronde,
tipico
della
sua
natura.