LE RADICI DELLA PRIMA EUROPA
SULLA SCIA DI CARLO MAGNO
di Titti Brunori Zezza
Nel gennaio dell'anno 814, vale a
dire poco più di 1.200 anni fa,
moriva Carlo Magno. Aveva 71 anni.
Per quei tempi un'età ragguardevole
a cui egli poté arrivare
probabilmente grazie alla robusta
corporatura, ma anche allo stile di
vita che oggi diremmo salutista.
Teneva il fisico costantemente in
esercizio, ricorda Eginardo il suo
biografo, cavalcando e praticando il
nuoto, era moderato nel bere e nel
mangiare tranne un'unica eccezione,
gli arrosti a cui non sapeva
rinunciare.
Morì ad Acquisgrana, nel palazzo da
lui fatto erigere. Progetto
architettonico straordinario questo,
per imponenza, per armonia delle
forme, per la ricchezza degli
ambienti derivante dall'impiego di
marmi e mosaici che ricordavano lo
splendore degli edifici di Ravenna o
di Costantinopoli. Allora la città
di Acquisgrana fu definita “nuova
Roma”, ma tale appellativo, oltre
agli edifici fatti erigere da Carlo
Magno, si sarebbe potuto riferire
ancor più al grande processo di
rinascita in atto.
Dopo centinaia d'anni travagliati da
divisioni, povertà, arretratezza
culturale, si era tornati alla
grandezza di un ambizioso progetto
politico oltre che all'impiego della
pietra. Di quel complesso
architettonico regale oggi resta
solo quella che fu la sua Cappella e
una torre che si levava sopra le
mura a fianco dell'Aula Regia. Le
robuste pareti della torre entro cui
erano custoditi il tesoro imperiale
e gli archivi sono l'unica
testimonianza ancora visibile
dell'articolato corpo del palazzo di
Carlo Magno andato in seguito
completamente distrutto con le sue
abitazioni, gli uffici, le sale, le
gallerie, i cortili a seguito di
incendi e devastazioni.
In quella residenza si era avviata
l'organizzazione di un vero e
complesso apparato burocratico
centrale, fondamento indispensabile
per l'amministrazione di tutti quei
territori facenti parte di quello
che diverrà il Sacro Romano Impero.
Oggi sulle sue fondamenta si erge il
Rathaus, ovvero il Municipio di
Aachen (toponimo corrispettivo di
Aquisgrana in lingua tedesca come lo
è Aix la Chapelle in lingua
francese) sulla cui facciata
principale troneggia, sopra la porta
di ingresso, una scultura di Carlo
Magno con ai lati le statue di tutti
i sovrani tedeschi che qui vennero
successivamente incoronati.
All'interno la sala
dell'incoronazione vuole
riecheggiare l'Aula Regia
carolingia, quella destinata alle
cerimonie ufficiali a cui
l'imperatore assisteva seduto in
trono su alti gradini: imponenti
pilastri sostengono ampie volte a
costoloni, ma malgrado la maestosità
degli spazi, ai nostri occhi tutto
appare più modesto.
A poco più di cento metri dal
Rathaus si trova il Duomo della
città entro cui è stata inglobata la
Cappella Palatina. Una lunga
galleria coperta in legno che dava
sui cortili interni del Palazzo e
che evitava all'Imperatore di
affrontare i rigori del clima
invernale collegava la residenza
imperiale con questa Cappella
rimasta quasi intatta dopo mille e
più anni, tranne i due corpi
aggiunti nei secoli XIV e XV, ovvero
un nartece e un'abside in stile
gotico.
Elevata al rango di cattedrale in
epoca napoleonica, Santa Maria di
Aquisgrana oggi fa parte del
patrimonio mondiale dell'Unesco ed è
inclusa tra i primi dodici monumenti
storici mondiali. Al suo interno il
fulcro rimane la Cappella
carolingia, il celebre ottagono,
cosiddetto per la peculiarità della
sua pianta, dove l'imperatore si
recava quotidianamente per assistere
alla Messa e dove verrà sepolto.
Malgrado i lati dell'ottagono
risultino aperti per la presenza di
ampie arcate cieche a tutto sesto
che immettono in un corridoio
perimetrale che congiunge il nartece
con l'abside, l'ambiente invita al
raccoglimento. Esso è concepito su
due livelli, apparentemente tre, per
la presenza di arcate cieche
realizzate a scopo solo decorativo e
sovrastanti il secondo livello dove,
posto come allora di rimpetto
all'altare, si trova lo spoglio
trono in marmo bianco di Carlo
utilizzato dall'imperatore per
assistere alle celebrazioni
religiose più solenni. Le balaustre
sono in porfido, tutto attorno
dovizia di pietre ornamentali. Un
elegante gioco di grigi chiari e
scuri connota gli archi del piano
terra e i pilastri da cui quelli si
dipartono. Straordinaria la bellezza
della pavimentazione con tessere
marmoree policrome su cui si
assiepavano soldati, servi e il
popolo che assistevano alla
celebrazione della Messa insieme al
loro sovrano, In alto il gigantesco
mosaico del Cristo e la cerchia dei
ventiquattro vegliardi
dell'Apocalisse schierati sull'orlo
del grande incavo azzurro è sempre
là, fuori dal tempo.
Quando si esce all'aperto permeati
di rinnovata spiritualità ci vengono
incontro bei palazzetti dalle
strette facciate dipinte a tinte
acquerellate, con uno sviluppo in
altezza di due, tre piani,
espressione di una piccola società
benestante con il gusto della
decorazione garbata, quella medesima
che caratterizza l' arredo urbano in
cui il verde si integra con lievi
abbellimenti artistici.
La città di Achen fa parte della
Repubblica federale tedesca, non è
dotata di aeroporto e per
raggiungerla dall'Italia è
necessario fare tappa a Liegi oppure
a Bruxelles o a Dusseldorf. Il cuore
dell'Europa che conta oggi batte
altrove, a Strasburgo e nella
capitale belga. Ce lo dicono i
numerosi uomini d'affari o politici
che si incontrano lungo la tratta
aerea, con le loro valigette nere e
il solito fascio di documenti da
studiare. Nel trasferimento con lo
shuttlebus dall'aeroporto ad Achen
si intravvede un tratto del corso
sinuoso del Reno sul quale scivolano
nelle due direzioni scure chiatte.
La città ci viene incontro distesa
su lievi ondulazioni collinari
racchiuse tra il Reno e la Mosa che
in lontananza la incorniciano.
Carlo Magno elesse questo luogo a
sua dimora imperiale forse perché
incantato da quella mobilità della
luce tipica dei luoghi percorsi da
vie d'acqua, ma molto più
probabilmente poiché aveva
apprezzato la sua posizione
strategica. Allora anche le sue
sorgenti di acque termali con le
loro emanazioni di vapori erano
assai apprezzate. Conosciute sin
dall'antichità più remota erano
state utilizzate sia dai Celti che
dai Romani. I legionari curavano i
loro acciacchi con le medicamentose
acque di Grano, una divinità
celtica, che avevano dato il nome
alla località.
Carlo Magno fece di Acquisgrana la
sua residenza preferita e alla fine
del secolo VIII nel giro di pochi
anni fece costruire quel suo
imponente e prezioso Palazzo
ispirandosi, si dice, a quella
lontana città imperiale affacciata
sul Bosforo fondata nel IV secolo da
Costantino. Carlo Magno era allora
in Occidente il sovrano di gran
lunga più potente. Il suo dominio si
estendeva dall'Ebro all'Elba,
dall'Oceano Atlantico all'alto
Danubio e a sud sino al Tevere.
Forse per questo egli riteneva di
poter raccogliere l'eredità di Roma
in Occidente.
Lo Stato creato da Carlo Magno
costituiva per quei tempi una
profonda novità storica e
geopolitica. Egli era riuscito a
concentrare nella sua persona un
potere quale in Europa non si
verificava più da secoli. La notte
di Natale dell'anno 800, a Roma, il
Papa Leone III lo investirà del
titolo imperiale, ma già a partire
dall'anno 790 nei documenti
carolingi era comparsa l'espressione
“imperium christianum” per connotare
quel suo dominio che non era più
l'antico Impero Romano, ma lo
eguagliava in dignità e costituiva
un baluardo per la cristianità.
Seguiranno anni di diatribe, anche
aspre, tra i due Imperi, ma alla
fine, pur avendo radici comuni
quelle due realtà politiche,
economiche, sociali e culturali
imboccheranno strade diverse.
L'ipotesi che il Sacro Romano Impero
di Carlo Magno possa essere
considerato o meno il precursore
dell'attuale unità europea è ancor
oggi oggetto di dibattito tra gli
storici. Certo è che i Franchi
frenarono di fatto il processo di
frammentazione originatosi alla
caduta dell'Impero romano nei
territori che corrispondono
all'Europa occidentale. Ed è anche
interessante notare la coincidenza
quasi perfetta di quell'area
geografica con quella corrispondente
ai primi sei Stati europei firmatari
del Trattato di Roma del 1957 che
darà vita alla Comunità economica
europea.
Passeranno molti secoli prima di
quest'ultimo evento e molte guerre
travaglieranno l'Europa occidentale
sino a quando, in un contesto quasi
fuori dal mondo, nell'isola di
Ventotene dei visionari italiani
come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi
ed Eugenio Colomi condannati al
confino dall'allora imperante regime
fascista, esprimeranno un loro sogno
politico, delineato in quella prima
stesura del 1941 intitolata “Per
un'Europa libera e unita. Progetto
di un manifesto”.
Quel sogno anni dopo comincerà a
realizzarsi concretamente. Dopo la
seconda guerra mondiale, spazzata
via l'ondata dei nazionalismi,
divenne progressivamente evidente
che la sola garanzia di pace e
democrazia interna per gli Stati
europei era riposta nella creazione
di un ordine internazionale basato
su comuni valori. E si ritornava a
guardare anche al nostro Giuseppe
Mazzini che già nel secolo
precedente aveva auspicato il
raggiungimento nel contesto europeo
di un equilibrio tra esigenze
geopolitiche e tradizioni storiche
dei vari Stati.
Non fu cosa facile. Dall'iniziale
convinta aspirazione di molti a uno
Stato federale d'Europa si passò
progressivamente tra i primi membri
della nascente Comunità Europea a un
primo accordo che prevedeva una
integrazione europea funzionale solo
a livello economico disattendendo
l'aspirazione di Spinelli a veder
nascere una federazione dei popoli
europei più articolata nelle sue
competenze.
Oggi quella prima Comunità Europea
ha ampliato di molto le sue
competenze, si è creata l'unione
monetaria e l'elezione diretta del
Parlamento europeo da parte dei suoi
Stati membri. Territorialmente si è
ampliata di molto e altri popoli
ancora, aspirando a farne parte,
hanno avviato attualmente il
procedimento di adesione.
Eppure c'è chi tra i suoi cittadini
la vede oggi dotata di un potere
soffocante che contesta. Il
risultato delle imminenti votazioni
(giugno 2024) ci dirà allora se
questa nostra Comunità Europea,
unico baluardo agli spiranti venti
di guerra, riacquisterà vigore sotto
la spinta di una visione politica di
vasto respiro o prevarranno i
singoli particolarismi nazionali.
Nel qual caso quell'Inno alla
gioia di beethoveniana memoria
che oggi la connota striderà alle
nostre orecchie.