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N. 96 - Dicembre 2015 (CXXVII)

IL FANTASMA DELL’IMPERO
LA MONARCHIA UNIVERSALE DI CARLO V

di Marco Fossati

 

Il 24 febbraio 1530 per le strade di Bologna, un solenne corteo, avvia le cerimonie per l'incoronazione ad imperatore di Carlo V d'Asburgo. Un'entità politica come l'Impero, da oltre due secoli semi scomparsa, all'improvviso riprende forza concreta.

 

Formalmente l'Impero, o meglio il Sacro Romano Impero, nasce in pieno Medioevo, quando Papa Leone III incorona Carlo Magno nel Natale dell'800. L'idea imperiale, ovvero di un dominio unico su tutto il mondo conosciuto, era già diffusa nell'antichità e in gran parte realizzata dall'Impero romano. In Occidente, proprio il suo declino causa secoli d'instabilità politica e sociale con guerre, migrazioni, carestie. La Roma imperiale, quindi, iniziò ad essere ricordata e mitizzata come una perduta età dell'oro, dove si credeva regnassero ordine, pace e giustizia.

 

Nel corso del VIII secolo l'espansione del regno dei Franchi guidati da Carlo Magno, con la riunificazione di vasti territori europei, l'introduzione di una forma di governo (basato su un sistema di 'deleghe' per l'amministrazione del territorio a conti e marchesi) e un abbozzo di legislazione e di monetazione comuni, venne vissuta come il ritorno all'antico ordine (renovatio), portatore di pace e stabilità. Inoltre, nel Medioevo, il sentimento religioso condizionava ogni aspetto della società ed era sviluppata la concezione per cui ogni potere derivasse da Dio; l'incoronazione assumeva pertanto un ruolo sacrale con l'imperatore legittimato nella sua azione dalla massima autorità religiosa (il papa). Quest'ultimo, a sua volta, si presentava come l'unico intermediario di Dio sulla Terra. Le due istituzioni, così formate, faranno da sfondo al Medioevo europeo.

 

In realtà il Sacro Romano Impero durerà pochi decenni disgregandosi già nella seconda metà del IX secolo. L'imperatore, pur mantenendo una teorica supremazia sui territori nel quale si era scomposto il regno, aveva uno scarso potere pratico. I tentativi di  riaffermare la sovranità imperiale furono numerosi ma spesso effimeri (fatta eccezione per Federico II di Svevia tra il 1220 e il 1250). Il perenne conflitto con la Chiesa, anch'essa aspirante all'egemonia universale, l'emergere dei principati regionali, delle comunità cittadine e in ultimo, delle monarchie, portarono ad un progressivo esaurirsi della potenza e del prestigio imperiali. Nel corso del Trecento la figura dell'imperatore diviene una carica poco più che onorifica, limitata al mondo germanico, soprattutto senza più aspirazioni universali. D'altra parte con la riscoperta del pensiero aristotelico diventa prassi l'accettazione e la legittimazione dal 'basso', ovvero dal popolo, del potere (espressione dello sviluppo dei comuni e delle signorie cittadine tra XIII e XIV secolo).

 

è il pensiero umanista del Rinascimento, poi, a stroncare definitivamente l'idea di monarchia mondiale. Per Leonardo Bruni la vera decadenza di Roma avviene con il passaggio dalla Repubblica all'Impero; nella Historia florentinae urbis del 1416, scrive: “Ma la declinazione dello imperio romano mi pare che principiasse, quando Roma, perduta la libertà, cominciò a servire agl'imperadore […]. Ma poi che la repubblica venne nella potenza e governo di uno solo, la virtù e la grandezza dell'animo cominciò a essere sospetta a chi signoreggiava”. Un altro grande umanista, Lorenzo Valla, nell'opera Elegantiarum latinae linguae libri sex del 1452, afferma che la vera forza dei romani è stata la lingua latina preferendola, come eredità, alla politica imperiale: “Eppure nessuno diffuse la propria lingua come i Romani […]. Opera questa splendida e molto più preziosa della propagazione dell'Impero. Quelli infatti che estendono il dominio sogliono essere molto onorati e vengono chiamati imperatori; ma coloro che hanno migliorato la condizione umana sono celebrati con lode degna non di uomini ma di dei”. L'antichità classica, pertanto, non è più vista come esempio di potenza militare e organizzazione politica ma come depositaria di virtù e cultura, funzionali alla nuova filosofia che vede l'uomo e le sue qualità, al centro dell'universo e misura di tutte le cose. Agli inizi del Cinquecento uno dei maggiori filosofi europei, Erasmo da Rotterdam, afferma che l'Impero romano non è mai stato universale, perché gli erano sconosciute le terre americane recentemente scoperte, mentre il Sacro Romano Impero medioevale era più un nome che un fatto reale. “Erasmo è realista, e si rende conto di come i moderni stati europei, con i loro moderni principi, rendano l'Impero nulla più che un'ombra o un fantasma, […] trasferisce al concerto dei principi cristiani la funzione imperiale di mantenere la pax e la iustitia universali” (Yates). Nella più famosa opera di teoria politica cinquecentesca, Il Principe di Niccolò Machiavelli del 1513, non si prende neppure in considerazione l'istituzione imperiale: “Tutti gli stati, tutti li domini che hanno avuto et hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati”. Machiavelli ha un'opinione molto negativa sulle idee universalistiche caratterizzanti il Medioevo. Il Sacro Romano Impero, “era per lui un'istituzione superata, obsoleta, un insolente alibi per giustificare l'intervento straniero nelle questioni italiane” (Yates).

 

Eppure proprio in quegli anni, paradossalmente, si sta concretizzando un dominio senza precedenti che sembra contraddire tutte le speculazioni filosofiche (e la pratica politica) avvenute negli ultimi due secoli.

 

Nel 1516, il sedicenne Carlo d'Asburgo, alla morte del nonno materno, Ferdinando II d'Aragona, eredita la corona di Spagna (la madre Giovanna giudicata mentalmente instabile venne esclusa dalla successione) con tutti i territori che ne dipendono, cioè il Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna e le colonie americane. Qualche anno dopo nel 1519, alla morte del nonno paterno (Massimiliano), essendo orfano di padre, acquisisce anche i territori degli Asburgo nell'Europa centrale  (Austria, Stiria, Paesi Bassi); inoltre, benché fosse una carica elettiva, da molti anni il titolo imperiale era monopolio della famiglia Asburgo e pertanto i principi tedeschi (in cambio anche di molto denaro) lo nominano imperatore, estendendo di fatto il suo dominio anche la Germania.

 

Se da una parte l'abile politica delle parentele e dei matrimoni combinati, iniziata dagli Asburgo nel secolo precedente, arriva ad un risultato al di là delle più rosee aspettative. Dall'altra ci si rende conto che la corona imperiale non può più essere limitata all'area tedesca ma deve tornare al suo significato originario di dominio universale e riprendono vigore le teorie dei secoli medievali: un unico principe che unisca il mondo cristiano e si opponga ad eretici (nel Cinquecento individuati in Martin Lutero e nei suoi seguaci) e infedeli (l'Impero Ottomano).

 

Infatti le continue guerre, la paura dell'espansione islamica ed una Chiesa divisa dalla Riforma luterana avevano creato un diffuso timore ed un bisogno psicologico d'ordine che la ricostituzione del Sacro Romano Impero si pensava avrebbe placato. Così scrive a Carlo V uno dei suoi principali consiglieri, Mercurino di Gattinara: “Sire ora che Dio vi ha fatto la prodigiosa grazia di elevarvi al di sopra di tutti i re e di tutti i principi della Cristianità, a un tale grado di potenza che sinora solo il vostro predecessore Carlo Magno aveva conosciuto, voi siete sulla via della monarchia universale, sul punto di unire la Cristianità sotto un solo pastore”. 

 

Nel giro di pochi anni tali auspici sembrano prendere forma. Francesco I il re di Francia, cerca di ostacolare l'ascesa di Carlo V, rivendicando diritti sulla corona imperiale. Ma subisce una durissima sconfitta nella battaglia di Pavia del 1525, dove viene addirittura fatto prigioniero e costretto a rinunciare al controllo del Ducato di Milano e della Borgogna. Tornato in libertà si mette a capo di una coalizione, la Lega di Cognac, di tutti gli stati preoccupati dalla crescente potenza asburgica (tra i quali Firenze e Venezia). L'appoggio del papa (inizialmente favorevole a Carlo) a Francesco I suscita l'ira dell'imperatore il quale, nel 1527, invade l'Italia e attacca lo Stato della Chiesa lasciando che le sue truppe saccheggino Roma. La Lega di Cognac si sfalda, il papa Clemente VII viene assediato per mesi nella fortezza di Castel Sant'Angelo finché accetta di legittimare Carlo V e la sua politica, incoronandolo solennemente nel 1530, come accennato.

 

Gli eventi del 1525 e soprattutto il 'sacco di Roma', ebbero un impatto notevole nell'immaginario dei contemporanei; “Sembrò che L'Europa del XVI secolo – nonostante le influenze del Rinascimento e della Riforma, nonostante gli sviluppi del sentimento nazionale e delle moderne scuole di pensiero storiografico e politico – fosse tornata alla semplicità dello schema medievale Papato e Impero, e questa volta l'Impero aveva fatto pesare a proprio favore il piatto di quella bilancia” (Yates).

 

Tra gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento la politica imperiale di Carlo V si consolida. Riaffermando la funzione sacra dell'Impero, si sente ormai il paladino della Chiesa di Roma e promotore dell'unità dei cristiani. Pertanto, se nel Mediterraneo continua a difendere le coste dagli attacchi dell'Impero islamico dei turchi Ottomani, in Germania si scontra con i principi tedeschi che, riuniti nella Lega di Smalcalda, hanno aderito alla Riforma luterana (l'imperatore aveva già dichiarato fuorilegge Lutero nel 1521), opponendosi al suo dominio; riportando una vittoria decisiva nella battaglia di Muhlberg (1547). Ed è sempre Carlo V a sollecitare il papa (nel 1534 viene eletto Paolo III, che diventa un importante alleato dell'imperatore) affinché convochi il concilio di Trento, per rispondere anche dal punto di vista dottrinale alla Riforma e possibilmente ricomporre la divisione religiosa.

 

è ovvio che in questo quadro il mito del sovrano assoluto (complice la propaganda) trovi terreno fertile in tutti gli ambiti della società. Molti iniziarono a credere che il bene dell'umanità fosse possibile solo sotto il governo di un unico re e che tale avvenimento si stesse realizzando. Ludovico Ariosto, nell'Orlando Furioso del 1532, interpreta le recenti scoperte e la successiva conquista delle terre americane, come segno divino; annuncio dell'avvento di una monarchia universale, “sotto il più saggio imperatore e giusto”. Si riferisce in modo esplicito a Carlo V, depositario di tutte le virtù cristiane: “e le virtù che cacciò il mondo [...]/ uscir per lui di bando/Per questi merti la Bontà suprema/ [...] e vuol che sotto a questo imperatore /solo un ovile sia solo un pastore”. Una citazione, quest'ultimo verso, del Vangelo di Giovanni che ribadisce ancora una volta l'aspetto messianico con il quale si guardava la politica imperiale.

 

Eppure che il Sacro Romano Impero fosse soltanto un residuo del passato medievale, ovvero un'istituzione non più adeguata alla complessa realtà moderna, lo si comprese alcuni anni dopo il trionfo di Muhlberg.

 

Erano già emersi numerosi i problemi di carattere pratico, come le comunicazioni: in un territorio così vasto e frazionato travagliarono non poco l'amministrazione imperiale. Per non parlare dei problemi finanziari; il governo imperiale gestiva malissimo l'ingente quantità di metalli preziosi proveniente dalle colonie americane ed era inadeguato ad affrontare le novità introdotte da un'economia moderna, come la cosiddetta rivoluzione dei prezzi (inflazione), con un apparato fiscale inefficiente e iniquo, troppo legato alla vecchia realtà feudale, fatta di privilegi e concessioni. Le enormi spese per la corte, la crescente burocrazia e le continue guerre causarono pertanto una costante mancanza di denaro che limitò molto la politica asburgica. Comunque i veri elementi che minarono alla base l'idea imperiale furono sostanzialmente due. In primo luogo, nel corso del Cinquecento si stavano consolidando realtà politiche basate sulle monarchie nazionali come Inghilterra e Francia. Sebbene più deboli sul piano militare, restavano incompatibili all'idea imperiale; un perenne elemento di opposizione a Carlo V. Lo dimostra proprio la Francia che con Enrico II, riprende nel 1552 la guerra all'Impero; alleatosi con alcuni principi luterani tedeschi riesce ad ottenere numerose vittorie che ridimensionano non poco il trionfo di Muhlberg. E qui emerge il secondo elemento del fallimento imperiale ovvero l'unità dei cristiani. La frattura all'interno della Chiesa non era più componibile. La Riforma si era ormai radicata nell'area germanica e nel Nord Europa. Carlo ne prese atto suo malgrado nel 1555 quando, per pacificare l'area, dovette seguire una politica realistica con gli accordi di Augusta, che prevedevano in pratica la divisione religiosa della Germania; le popolazioni dei vari principati furono costrette ad accettare la religione del nobile detentore del potere nel rispettivo territorio, oppure emigrare in un altro principato.

 

Ultimo, ma non meno importante aspetto: l'Impero era una realtà famigliare. “Gli Asburgo avvolsero per molto tempo l'imperatore in un fascio di devozione senza il quale l'Impero di Carlo V sarebbe stato pressoché impensabile. Ma sorse il problema dell'eredità e come nelle più comuni famiglie il fascio si sfasciò” (Braudel). Carlo avrebbe voluto trasmettere la corona imperiale al figlio Filippo (mantenendo l'unità e soprattutto una continuità politica) ma si scontrò con la forte ostilità del ramo della famiglia legato al fratello Ferdinando, che governava i territori degli Asburgo nell'Europa centrale ed aveva un atteggiamento moderato verso i principi luterani tedeschi. E questi non avrebbero mai accettato di essere governati da un fervente cattolico come Filippo, oltretutto spagnolo e senza il carisma del padre.

 

Sebbene limitata all'aspetto diplomatico la disputa all'interno della famiglia Asburgo fu fonte di grande amarezza per Carlo. Si rese conto non solo della fine della propria politica imperiale ma anche della propria sconfitta personale. Di conseguenza, nel 1556, con una mossa sorprendente, che suscitò sia sconcerto che ammirazione, decise di ritirarsi a vita privata nel monastero di  Yuste (Estremadura) dopo aver abdicato e diviso l'Impero: Spagna, Italia e Paesi Bassi, con le colonie americane, andavano a Filippo, mentre l'area germanica finiva sotto il controllo del fratello, insieme alla corona imperiale che ritornò, ancora una volta, a essere limitata ai territori dell'Europa centro-orientale e quindi un'istituzione di importanza locale. L'Impero così come era apparso scomparve di colpo. Un po' come  aveva fatto per tutto il Medioevo somigliando appunto ad un fantasma, da molti evocato e da altrettanti temuto. Un fantasma che qui pare alla sua ultima apparizione. 

 

Tuttavia la domanda di un ordine politico era ancora forte e verrà lentamente affrontata dal rafforzarsi delle monarchie nazionali. L'aspetto religioso (sia cattolico che protestante) se da una parte farà da catalizzatore a tale processo, comporterà anche una eccessiva radicalizzazione. Prologo del lungo periodo delle guerre di religione, culminanti nella Guerra dei Trent'anni e nella successiva Pace di Vestfalia (1648), dove verrà finalmente definito un nuovo ordine europeo. Il Sacro Romano Impero, ridotto alla regioni tedesche senza più aspirazioni universali, cesserà formalmente di esistere nel 1806. La politica imperiale ritornerà con Napoleone ma avrà caratteristiche differenti; l'idea di un Impero cristiano, retaggio dell'Occidente medievale, era ormai morta con Carlo V (1558).

 

 

Riferimenti Bibliografici

 

Yates, Frances A.,  Astrea. L'idea di Impero nel Cinquecento,  Torino, Einaudi, 1978.

Braudel, Fernand, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1953.



 

 

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