filosofia & religione
RICORDANDO CARLO MICHELSTAEDTER
LA VERITÀ SULLA prematura MORTE
del FILOSOFO E POETA
goriziano
di Giovanna D’Arbitrio
Gorizia, 17 ottobre 1910: Carlo
Michelstaedter, un filosofo italiano
di 23 anni si suicida. Nel corso dei
decenni successivi il nome di questo
giovane geniale e poliedrico a poco a
poco diventa noto in Italia e
all’estero. E leggendo varie biografie
della sua vita, si notano ben poche
differenze sui punti essenziali, ma
tutte concordano nell’accettare la tesi
del suicidio predeterminato, ben diversa
è quella sostenuta nel libro 110.
Carlo Michelstaedter e il
tempo della Verità, a firma di
Chiara Pradella che si pone
l’obiettivo di dimostrare l’infinito
amore di Carlo per la vita attraverso
un’accurata indagine per far luce sulla
sua morte.
Prima di parlare del suddetto testo,
sembra opportuno riassumere in breve la
vita del filosofo: nato nel 1887 a
Gorizia, allora città dell’impero
austro-ungarico, da un’agiata famiglia
di origine ebraica, dopo la scuola
primaria, s’iscrisse allo
Staatsgymnasium e in quegli anni conobbe
Enrico Mreule e Nino
Paternolli, i suoi più cari
amici. Decise poi di iscriversi
all’Istituto di Studi Superiori a
Firenze dove conobbe Vincenzo Arangio
Ruiz e Gaetano Chiavacci,
suoi futuri editori e s’innamorò prima
della giovane russa, Nadia Baraden,
e in seguito di Argia Cassini
(che morirà poi in un lager).
Strinse molte amicizie, si imbevve della
cultura classica e studiò filosofi
antichi e moderni, mentre disegnava e
scriveva. Per le vacanze tornava sempre
a Gorizia e lì s’incontrava con i più
cari amici nella soffitta del Palazzo
Paternolli. Poi cominciarono i lutti:
prima il suicidio di suo fratello negli
USA, poi quello di Nadia. Tutto ciò lo
indurrà forse a riflettere sempre più
sui temi dell’esistenza e per la tesi di
laurea scelse il tema della
persuasione e della retorica
partendo da Socrate e da Platone, la
portò a termine ma, dopo un litigio con
la madre, si uccise con un colpo della
pistola sottratta all’amico amico Enrico
Mreule.
Tornando a libro di Chiara Pradella,
riportiamo la significativa citazione
iniziale: «Il canto solenne e dolce
mi parlava al cuore. Mi commuoveva e mi
diceva che non tutto è ipocrisia, che
c’è ancora innocenza e spontaneità e che
esiste una tregua per gli uomini,
travagliati dalle lotte, e che questa
tregua sarà nell’amore che ci circonda e
che ci fa dimenticare le amarezze della
vita (C. Michelstaedter)».
Seguono poi la Prefazione di Andrea
Comincini, filosofo e scrittore, e
l’introduzione della stessa autrice che
cercano di smantellare le precedenti
tesi del suicidio predeterminato di
Michelstaedter, in un’appassionata
ricerca della Verità.
Sulla quarta di copertina si legge
quanto segue: «Questo libro nasce per
celebrare il 110° anno dalla morte del
filosofo e poeta goriziano Carlo
Michelstaedter, avvenuta il 17 ottobre
1910. Da quella tragica data ne è
passata, di acqua sotto i ponti, così
come numerose sono state le versioni che
si sono succedute sulla sua morte: per
il senso comune, e fino a prova
contraria, avvenuta per suicidio, con
due colpi d’arma da fuoco che il
filosofo si è sparato alla tempia;
partiti proprio da quella rivoltella
sottratta all’amico ‘Rico Mreule prima
che salpasse per l’Argentina. Nei testi
di Michelstaedter non c’è traccia di
predeterminazione al gesto fatale, come
invece ha affermato Giovanni Papini
parlando di “suicidio metafisico”.
Quello che c’era sicuramente era la
malattia fisica, venerea: la sifilide,
che all’ultimo stadio porta alla pazzia,
in un tempo in cui le cure erano forse
più dannose della patologia stessa. E
Carlo lo sapeva bene, quello che gli
stava accadendo. In questo volume si
vuole riportare a galla una verità che è
stata messa a tacere per troppo tempo;
la mancanza della quale ha fatto sì che
il giovane Michelstaedter passasse alla
storia come “filosofo della morte” o
“esistenzialista depresso” e non per la
sua accettazione piena del dolore,
esperita ed espressa in un altruismo
cosmico e radicale. È bene rimettere
insieme i tasselli mancanti, dando il
quadro completo di un giovane uomo che
ha accettato il suo destino fino
all’ultimo: fino a che l’allucinazione,
la follia, non hanno preso il
sopravvento».
Rigettando la tesi del suicidio
“metafisico”, ma anche l’ipotesi di una
tara di famiglia o quella di un litigio
con sua madre, l’autrice ci fa rivivere
il percorso della sua indagine
attraverso documenti, foto, libri e
conoscenti ancora in vita, dimostrando
come non ci fosse in realtà intenzione
di suicidarsi, poiché Carlo amava la
vita pur nel dolore. La morte avvenne
quindi solo per un incidente causato
dalla sifilide (malattia allora
piuttosto diffusa) che ne aveva minato
la mente. Secondo Chiara Pradella
purtroppo la tesi del suicidio per anni
ha influenzato in modo fuorviante la
valutazione delle sue opere.
Davvero lodevole quindi l’indagine
dell’autrice che si è anche battuta per
salvare dall’incuria la soffitta del
palazzo Paternolli di Gorizia dove ai
primi del Novecento il giovane filosofo
studiava, pensava, scriveva, disegnava e
incontrava i suoi amici più cari, Nino e
Rico. Come risulta dall’Epistolario,
la breve vita del giovane goriziano
scorreva con ardente desiderio di vivere
sempre illuminata da una “fiamma” che lo
portava a esplorare diversi linguaggi e
mezzi espressivi, spaziando dalla
pittura alla poesia fino alle vette
della filosofia.
In La Persuasione e la Rettorica
per Carlo Persuasione significa giungere
al possesso di se stessi, in quanto “persuaso
è chi ha in sé la sua vita”, mentre
Rettorica è l’apparato di sovrastrutture
di vario genere che ostacola la
persuasione: un testo ormai è da molti
considerata uno dei capolavori della
filosofia moderna: quella tesi di laurea
diventa un grido di accusa verso la
società che ignora le più profonde
istanze dei giovani e le loro difficoltà
nel dare senso alla loro esistenza in
una società corrotta e ipocrita. E in
effetti pochi anni dopo la sua morte,
ecco arrivare due guerre mondiali,
nazismo, Shoa e tutto ciò che la storia
registra. Ad Auschwitz vennero
sterminati la madre di Carlo, una
sorella, due amiche e vari parenti.
L’accusa che Michelstaedter muove alla
società dei suoi tempi a quanto pare è
tuttora valida dopo più di un secolo.
Senza dubbio Chiara Pradella,
dottore in Scienze dell’Educazione e in
Filosofia, che si dedica da diversi anni
allo studio di Carlo Michelstaedter, ha
il merito di aver ridato luce al suo
messaggio positivo: “Lavora su te
stesso, fai quanto ti è più possibile
per riuscire ad andare avanti in
autonomia; però ricorda che la fiamma
che riuscirai a sprigionare con il tuo
essere non sarà solo utile a te, ma
anche a illuminare il cammino di tutti
quelli che ancora non sono stati capaci
di crearla, la scintilla”. |