SUL DRAMMA UMANO DEI DONAT-CATTIN
POLITICA E TERRORISMO
di Gaetano Cellura
Carlo
era vicesegretario della Democrazia
cristiana e leader di Forze Nuove,
la corrente politico-sindacale del
partito. Marco era, a Torino,
il “Comandante Alberto” di Prima
Linea, seconda sigla degli Anni di
piombo (o di fango, per citare
Montanelli e Cervi). Il politico e
il rivoluzionario. L’uomo di governo
e il terrorista rosso.
Carlo, il padre. Marco, il figlio.
Il figlio che del padre aveva preso
il carisma, come dirà don Antonio
Mazzi dopo averlo accolto nella
comunità Exodus ai servizi sociali.
Si chiamavano Donat Cattin. E
vissero una tragedia politica e
familiare maturata negli anni
settanta e deflagrata, in più forme,
fino al fatale epilogo, nel decennio
successivo.
Donat Cattin, cognome pesante nella
politica italiana e, di riflesso,
nella lotta armata. Lo stato
democratico viveva il momento di
maggior crisi. I suoi cittadini e la
sua opinione pubblica quello di
maggior sconforto, ancora scossi
dalla fine tragica di Aldo Moro.
Con l’omicidio del leader
democristiano, dell’uomo dei governi
di Unità nazionale, il brigatismo
rosso aveva toccato l’apice della
propria parabola. Da quel momento
non poteva che iniziarne la discesa.
E cominciano infatti, con la
stagione del pentitismo, i primi
cedimenti del suo fortino di
aderenti e fiancheggiatori.
Il nome di Marco Donat Cattin
circola nei verbali di Patrizio
Peci, il primo brigatista pentito.
Il figlio del politico democristiano
ispiratore del Preambolo – la
formula di governo che esclude i
comunisti dal governo – risulta
coinvolto nell’omicidio del giudice
Emilio Alessandrini.
Un altro pentito, Roberto Sandalo,
rivela che il presidente del
consiglio Francesco Cossiga aveva
messo al corrente l’amico Donat
Cattin dell’attività terroristica
del figlio. Impedendone l’arresto e
favorendone la fuga a Parigi. In
realtà l’accusa a Cossiga – di
rivelazione di segreto e di
favoreggiamento – non fu mai
provata.
Il Presidente del consiglio venne
assolto sia dal Tribunale dei
ministri che dal parlamento riunito
in seduta comune. Ma in modo
sofferto, nell’imbarazzo generale e
tra dubbi e forti tensioni
politiche. A Cossiga venne
rinfacciato di non aver tenuto la
stessa linea intransigente di due
anni prima, durante il sequestro di
Aldo Moro.
Da parte sua, Carlo Donat Cattin si
dimise da vicesegretario della
Democrazia cristiana. E per un lungo
periodo rimase ai margini della
scena politica. Sulla quale torna
nell’agosto del 1986, ministro della
sanità nel governo Craxi. Molte
polemiche genera la sua
affermazione: “L’Aids ce l’ha chi se
la va a cercare”.
La sua carriera ministeriale si
conclude nel 1991: e al Ministero
del lavoro, dov’era cominciata nel
1969. Era stato anche ministro
dell’industria, ma furono l’impegno
per l’approvazione dello Statuto dei
lavoratori, i suoi cinque anni
complessivi passati al Ministero del
lavoro e l’essere stato un “falco”
della Cisl torinese negli anni
Cinquanta a farlo ricordare come il
“ministro dei lavoratori”.
L’attività terroristica del figlio,
il suo arresto a Parigi il 20
dicembre del 1980 eseguito dagli
uomini del generale Dalla Chiesa
piombano sulla sua famiglia e sulla
sua notorietà politica come un
macigno caduto da chissà quale
Olimpo di dèi malvagi. Ma non è
ancora una storia di dolore finita.
Né per il padre né per il figlio.
Marco Donat Cattin usufruisce delle
misure alternative al carcere
previste dalla legge Gozzini
(permessi, affidamento ai servizi
sociali, detenzione domiciliare) e
inizia nella comunità Exodus un
percorso di rieducazione. Don
Antonio Mazzi lo descrive come un
ragazzo sregolato ma che dava
tutto per gli altri. Tutte le sue
forze a disposizione degli altri.
Il che ne spiega la fine. Tragica e
prematura. L’ultima parte del dramma
umano di una ben nota famiglia
italiana. Ѐ la notte del 20 giugno
1988. Marco Donat-Cattin, l’ex
comandante Alberto del terrorismo
rosso, rimane coinvolto in un
incidente a catena sulla
Serenissima. Nell’altra corsia vede
una donna che chiede aiuto.
E lui non ci pensa due volte a
soccorrerla. Ma la visibilità è
scarsa. Una Thema sopraggiunge a
forte velocità e li travolge. Il
figlio del leader di Forze Nuove,
dell’ex “falco” della Cisl, del
“Ministro dei lavoratori” muore sul
colpo. Oggi Marco avrebbe
settant’anni.
Don Antonio Mazzi dice che del suo
passato di terrorista non voleva
parlare. Ne provava disgusto. Ciò
che voleva, prima di scomparire, era
un incontro con la vedova del
giudice Ambrosini. Una richiesta di
perdono a Dio e agli uomini. E alla
famiglia della vera vittima
soprattutto. Non vi fu il tempo di
organizzarlo.