[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


contemporanea

SUL DRAMMA UMANO DEI DONAT-CATTIN

POLITICA E TERRORISMO

di Gaetano Cellura

 

Carlo era vicesegretario della Democrazia cristiana e leader di Forze Nuove, la corrente politico-sindacale del partito. Marco era, a Torino, il “Comandante Alberto” di Prima Linea, seconda sigla degli Anni di piombo (o di fango, per citare Montanelli e Cervi). Il politico e il rivoluzionario. L’uomo di governo e il terrorista rosso.

 

Carlo, il padre. Marco, il figlio. Il figlio che del padre aveva preso il carisma, come dirà don Antonio Mazzi dopo averlo accolto nella comunità Exodus ai servizi sociali. Si chiamavano Donat Cattin. E vissero una tragedia politica e familiare maturata negli anni settanta e deflagrata, in più forme, fino al fatale epilogo, nel decennio successivo.

 

Donat Cattin, cognome pesante nella politica italiana e, di riflesso, nella lotta armata. Lo stato democratico viveva il momento di maggior crisi. I suoi cittadini e la sua opinione pubblica quello di maggior sconforto, ancora scossi dalla fine tragica di Aldo Moro.

 

Con l’omicidio del leader democristiano, dell’uomo dei governi di Unità nazionale, il brigatismo rosso aveva toccato l’apice della propria parabola. Da quel momento non poteva che iniziarne la discesa. E cominciano infatti, con la stagione del pentitismo, i primi cedimenti del suo fortino di aderenti e fiancheggiatori.

 

Il nome di Marco Donat Cattin circola nei verbali di Patrizio Peci, il primo brigatista pentito. Il figlio del politico democristiano ispiratore del Preambolo – la formula di governo che esclude i comunisti dal governo – risulta coinvolto nell’omicidio del giudice Emilio Alessandrini.

 

Un altro pentito, Roberto Sandalo, rivela che il presidente del consiglio Francesco Cossiga aveva messo al corrente l’amico Donat Cattin dell’attività terroristica del figlio. Impedendone l’arresto e favorendone la fuga a Parigi. In realtà l’accusa a Cossiga – di rivelazione di segreto e di favoreggiamento – non fu mai provata.

 

Il Presidente del consiglio venne assolto sia dal Tribunale dei ministri che dal parlamento riunito in seduta comune. Ma in modo sofferto, nell’imbarazzo generale e tra dubbi e forti tensioni politiche. A Cossiga venne rinfacciato di non aver tenuto la stessa linea intransigente di due anni prima, durante il sequestro di Aldo Moro.

 

Da parte sua, Carlo Donat Cattin si dimise da vicesegretario della Democrazia cristiana. E per un lungo periodo rimase ai margini della scena politica. Sulla quale torna nell’agosto del 1986, ministro della sanità nel governo Craxi. Molte polemiche genera la sua affermazione: “L’Aids ce l’ha chi se la va a cercare”.

 

La sua carriera ministeriale si conclude nel 1991: e al Ministero del lavoro, dov’era cominciata nel 1969. Era stato anche ministro dell’industria, ma furono l’impegno per l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, i suoi cinque anni complessivi passati al Ministero del lavoro e l’essere stato un “falco” della Cisl torinese negli anni Cinquanta a farlo ricordare come il “ministro dei lavoratori”.

 

L’attività terroristica del figlio, il suo arresto a Parigi il 20 dicembre del 1980 eseguito dagli uomini del generale Dalla Chiesa piombano sulla sua famiglia e sulla sua notorietà politica come un macigno caduto da chissà quale Olimpo di dèi malvagi. Ma non è ancora una storia di dolore finita. Né per il padre né per il figlio.

 

Marco Donat Cattin usufruisce delle misure alternative al carcere previste dalla legge Gozzini (permessi, affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare) e inizia nella comunità Exodus un percorso di rieducazione. Don Antonio Mazzi lo descrive come un ragazzo sregolato ma che dava tutto per gli altri. Tutte le sue forze a disposizione degli altri.

 

Il che ne spiega la fine. Tragica e prematura. L’ultima parte del dramma umano di una ben nota famiglia italiana. Ѐ la notte del 20 giugno 1988. Marco Donat-Cattin, l’ex comandante Alberto del terrorismo rosso, rimane coinvolto in un incidente a catena sulla Serenissima. Nell’altra corsia vede una donna che chiede aiuto.

 

E lui non ci pensa due volte a soccorrerla. Ma la visibilità è scarsa. Una Thema sopraggiunge a forte velocità e li travolge. Il figlio del leader di Forze Nuove, dell’ex “falco” della Cisl, del “Ministro dei lavoratori” muore sul colpo. Oggi Marco avrebbe settant’anni.

 

Don Antonio Mazzi dice che del suo passato di terrorista non voleva parlare. Ne provava disgusto. Ciò che voleva, prima di scomparire, era un incontro con la vedova del giudice Ambrosini. Una richiesta di perdono a Dio e agli uomini. E alla famiglia della vera vittima soprattutto. Non vi fu il tempo di organizzarlo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]