[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 201 / SETTEMBRE 2024 (CCXXXII)


medievale

Carlo Magno VS Venezia
L'ALBA IX secolo momento chiave nella vita della città

di Ruggero Dittadi

 

Il periodo tra la fine del VIII e l’inizio del IX secolo è stato cruciale per il destino di quella che sarà la città di Venezia. In particolare, agli inizi del IX secolo, la vicenda veneziana si inquadra nell’ambito del contrasto anche militare fra franchi e bizantini (una sorta di “guerra a bassa intensità”, come si direbbe ora) svoltosi tra l’806 e l’810 in particolare nel nord Adriatico, dove raggiunse picchi di relativa durezza proprio nelle lagune.

 

Va premesso che dopo la caduta del regno Longobardo nel 774, il territorio italiano più a settentrione che non entra nei domini franchi è la “Venetia” bizantina. Venetia è il termine con cui fin dall’epoca romana veniva chiamato il territorio dal fiume Adda all’odierno Friuli, e che dopo la conquista longobarda si riferirà appunto ai residui territori intorno alla gronda lagunare rimasti sotto il controllo di Bisanzio.

 

L’arrivo dei Franchi rendeva la situazione delle Lagune più incerta. Sembra infatti che con i Longobardi si fosse addivenuti a una accettabile convivenza. Risalgono alla prima metà del VIII secolo, durante i regni prima di Liutprando e poi di Astolfo, due patti, forse siglati da due notabili rispettivamente longobardo e bizantino, sulla conterminazione di territori ai margini della laguna veneta. I Franchi erano invece una potenza vigorosa in fase di piena espansione. Inoltre, mentre i dissidi fra i Longobardi e il papato permettevano ai popoli della Venetia di potersi inserire in un gioco diplomatico tra i due contendenti, ora con la presenza dei Franchi la cosa non era più possibile, considerati i rapporti di collaborazione fra questi e la chiesa.

 

Teoricamente tale situazione avrebbe dovuto suggerire un ancora maggiore avvicinamento dei Venetici ai bizantini, potenza da sempre egemone nel luogo ma costretta, per lontananza e periodiche crisi interne, a concedere margini di autonomia ben difficilmente ottenibili dal regno Franco. Va ricordato che già intorno al 726, in corrispondenza con le rivolte in Italia contro l’iconoclastia dell’imperatore Leone III, venne nominato un duca, Orso, scelto localmente, sia pure col consenso imperiale ottenuto passata la crisi religiosa (Orso viene ora considerato come il primo vero duca relativamente autonomo della Venetia).

 

All’interno del ducato esistevano tuttavia diversi contrasti sull’orientamento da dare ai rapporti con le potenze egemoni. Se relazioni privilegiate con i bizantini erano particolarmente rilevanti per i gruppi dediti ai commerci per mare e comunque ad attività prettamente insulari, esistevano diversi membri del ceto dirigente con importanti attività e beni fondiari, i quali potevano guardare con più interesse a un più stretto legame col regno carolingio.

 

Nell’804 questa seconda fazione prende il sopravvento nominando il tribuno Obelerio duca e il fratello Beato coreggente, mentre Fortunato, sostenuto dallo stesso Carlo Magno, era già patriarca di Grado, diocesi nella cui giurisdizione gravitava anche il ducato venetico.

 

Nell’806 l’impero bizantino reagisce a questo spostamento delle lagune nell’orbita franca, inviando una flotta che, dopo aver ristabilito l’ordine in Dalmazia, arriva nella Laguna nella primavera dell’807. Si raggiunge un momentaneo compromesso, e mentre Fortunato fugge presso i Franchi, prima Obelerio e successivamente anche Beato vengono mantenuti al potere, ma costretti a giurare fedeltà a Bisanzio. Una squadra bizantina ritorna anche nel 808 a svernare in Laguna.

 

Nel frattempo, si svolgono trattative fra Franchi e Bizantini, che sono però complesse e vengono probabilmente intralciate dallo stesso Obelerio che, evidentemente rimasto fedele al partito filofranco, non gradiva un accordo che avrebbe rischiato di lasciare definitivamente ai bizantini la Venetia. A questo probabilmente fanno riferimento gli Annali Franchi dell’epoca (gli Annales regni Francorum) quando attribuiscono ai duci venetici e alla loro “perfidia” (nel senso di “ambiguità” e “doppiezza”) la responsabilità dell’intervento armato franco. Infatti nell’810 Pipino, figlio di Carlo Magno e reggente d’Italia, evidentemente incoraggiato dall’atteggiamento a lui favorevole di Obelerio e Beato e approfittando del fatto che la flotta bizantina era rientrata, assale le lagune, facendo probabilmente occupare centri settentrionali come Grado ma in particolare attaccando da sud. Come si sia svolta realmente la contesa non lo sapremo mai, dato che le fonti sono in totale disaccordo.

 

Gli Annales regni Francorum affermano che Pipino invase le isole, le sottomise e si rivolse poi verso l’Istria, occupandola. La fonte è ovviamente di parte, ed è inoltre estremamente succinta nella relazione. Dall’altra parte il resoconto della “Historia veneticorum” (cronaca attribuita a Giovanni Diacono, cappellano del doge Pietro II Orseolo, stilata nei primissimi anni dell’XI secolo) parla della resistenza dei venetici che, facendo arenare le imbarcazioni dell’esercito di Pipino nelle basse acque lagunari, fanno strage dei franchi e li respingono.

 

Una ulteriore fonte risalente alla metà del X secolo (il “De Administrando Imperio”, attribuita all’imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito) fornisce una versione intermedia. I Franchi avrebbero occupato una parte delle lagune senza riuscire ad avere ragione della resistenza venetica e avrebbero quindi assediato le isole rimaste libere. Alla fine, constatato lo stallo, i contendenti si sarebbero accordati per una pace, previo il pagamento ai Franchi di un tributo (che, afferma il “De Administrando Imperio”, sarebbe rimasto nel tempo ma diminuito di anno in anno).

 

È incerto anche se i duchi siano stati catturati da Pipino, ma va comunque detto che loro sede era all’epoca Malamocco, la romana Metamaucus, che non sembra però corrispondere all’odierno paese sul litorale del Lido, che non presenta tracce archeologiche precedenti al XII secolo. È possibile invece che si trattasse di un insediamento ai margini occidentali della laguna sud, presso le foci del fiume Brenta (Medoacus). Sarebbe stato quindi un porto comunicante per via acquea con i lidi adriatici, ma a stretto contatto con le aree della pianura circostante.

 

A maggior ragione quindi la conquista di questa Metamaucus “capoluogo” del ducato non sarebbe stata necessariamente indice di una capitolazione del ducato venetico, le cui forze si sarebbero potute trincerare nelle isole interne, fra cui quelle al centro della laguna, denominate Rivoaltus (Rialto), dove si trova l’odierno centro storico di Venezia. Isole ben più difficili da espugnare da parte di una armata probabilmente non fornita di imbarcazioni adatte alla navigazione nelle basse acque lagunari. Bisogna anche ricordare che la vittoriosa spedizione per la liberazione di Ravenna che era stata temporaneamente occupata dai longobardi nel 732 era stata gestita dai Venetici, segno che fin da quell’epoca le migliori flottiglie in quella area geografica erano quelle dei centri lagunari del ducato.

 

In pratica quindi è possibile che, dopo una relativamente rapida avanzata grazie alle soverchianti forze terrestri, Pipino si fosse trovato effettivamente in qualche difficoltà nel procedere con la conquista di quelle infide aree lagunari. Senza la trionfale vittoria propagandata dalla successiva narrazione veneziana, è però verosimile che i due contendenti si siano trovati in una momentanea impasse.

Tale situazione verrà comunque risolta dall’ennesimo intervento della squadra navale bizantina, che, vista la situazione allarmante, ritorna nelle lagune e costringe Pipino a rientrare nella terraferma. Nel luglio dello stesso 810 il figlio di Carlo Magno muore per febbri contratte durante la campagna militare, e l’iniziativa franca si esaurisce.

 

Nel rivalutare le fonti, appare tutto sommato comprensibile la forte discrepanza dei racconti. La narrazione del “De Administrando Imperio” vede la vicenda da una visuale relativamente distaccata, e potrebbe rappresentare una ricostruzione più vicina alla realtà dei fatti. Giovanni Diacono racconta la storia dal punto di vista dei veneziani, e interpreta, forse con una buona dose di inventiva sciovinista, la resistenza dei lagunari sulle isole più difficilmente accessibili da Pipino come una grande vittoria contro l’invasore, guardando col senno di poi al risultato finale della lotta.

 

D’altro canto, dal punto di vista dei redattori degli Annales franchi, che devono dedicare poche righe per anno nel narrare le vicende di tutto il regno franco, non doveva poi fare molta differenza l’eventualità che, dopo la conquista di molti centri del ducato, alcune isole al centro della laguna di questo luogo lontano non fossero state fisicamente occupate dal loro esercito. Del resto il termine “Venetia” usato dai redattori franchi si riferiva, come già detto, complessivamente a una serie di località sulla gronda lagunare e, come già afferma il Temanza in una dissertazione del 1761, “Avendo dunque Pipino occupato Brondolo, le due Chioggie, Pellestrina ed Albiola, gli scrittori francesi potevano in qualche modo dire che il loro Re avesse occupata Venezia”.

 

Passata la fase acuta della crisi, mentre procedono le trattative di pace fra Franchi e Bizantini, nella laguna la situazione si andrà stabilizzando. I duchi filo-franchi Obelerio e Beato vengono definitivamente deposti, e al loro posto viene insediato Agnello Partecipazio, originario da una aristocrazia legata a Bisanzio. Questi porta definitivamente la sede dogale nelle isole di Rialto, fondando il palazzo sede del governo nel luogo dove tuttora si trova. La zona viene scelta per diversi motivi. Si trova al centro della laguna, in un luogo più protetto (e infatti probabilmente gli invasori non erano riusciti ad arrivarci). Era un luogo abitato, tanto che a Olivolo, ai margini orientali di quelle isole, si trovava un luogo fortificato con una sede vescovile, istituita già quasi 40 anni prima. E fra questi abitanti c’erano probabilmente molte famiglie autorevoli provenienti da Cittanova, la prima località sede di un ducato venetico e per tradizione custode delle tradizioni bizantine nel luogo.

 

La pace di Aquisgrana, nel 812, ratificherà fra l’altro il riconoscimento del titolo di imperatore a Carlo Magno, il quale rinuncerà però definitivamente alle pretese sulle lagune, che resteranno la propaggine nord-occidentale più estrema dei possedimenti bizantini.

 

Per Venezia (ora possiamo espressamente chiamarla così, dopo la formazione di un vero e proprio centro urbano nel luogo che conosciamo con questo nome) dopo anni di incertezza si apre una fase particolarmente favorevole. Infatti, essa esce definitivamente dall’orbita politica carolingia, nella quale, sia pure con alterne vicende, era in qualche modo entrata nei primi anni del IX secolo. E sfugge così al rischio di essere assorbita in una realtà feudale così distante dalla vocazione marinara e commerciale che stava già acquisendo.

 

I bizantini, normalizzata la situazione, manterranno un controllo sempre più blando su questo loro lontano dominio. Solo come esempio, l’intervento della loro flotta da guerra nel 810 resterà il loro ultimo intervento militare nelle lagune. D’ora in poi sarà proprio la flotta veneziana a dover mantenere un controllo nell’Alto Adriatico, non senza iniziali difficoltà.

 

Le influenze della terraferma veneta e dell’impero Franco più in generale non cessano, anzi. Molto recentemente sotto i mosaici della Cattedrale di Torcello sono stati trovati affreschi risalenti al IX secolo di chiara origine carolingia, segno del ruolo che tale cultura continuava a svolgere nelle lagune. Ancora, a Venezia si inizierà dopo l’814 a coniare una moneta carolingia, tanto erano importanti i commerci con la Pianura Padana e il resto dell’Europa.

 

Ma l’essere completamente indipendente dai territori confinanti e restare nella sfera di influenza dell’ancora potente impero bizantino permette a Venezia nei secoli IX e X (il rapporto con Costantinopoli andrà gradualmente attenuandosi fino addirittura a capovolgersi) una “protezione”, sia pur teorica e poco invadente, e un rapporto privilegiato con un’area commerciale di grande potenzialità, così da porsi autorevolmente come punto di snodo delle merci fra oriente e occidente.

 

Anche senza avventurarsi in ipotesi controfattuali, possiamo dire che difficilmente si sarebbe potuto sviluppare, sotto il controllo carolingio, un corso degli eventi così originale come quello veneziano. Per questo le vicende dell’810 sono probabilmente uno dei punti di svolta più importanti della storia veneziana.

Va citato a questo punto, come definitivo segnale della fine di ogni dipendenza dalla terraferma, un altro evento dall’alto valore simbolico. Evento che si verifica negli anni immediatamente successivi e come indiretta conseguenza delle vicende narrate. Aquileia, a suo tempo fiorente città romana e ancora all’epoca sede patriarcale nella terraferma friulana, vedeva contesa dal vicino patriarcato di Grado, formatosi dalla divisione del Patriarcato di Aquileia due secoli prima, la giurisdizione sulla Venetia e l’Istria. Nel sinodo di Mantova dell’827 si vede di nuovo riconosciuta la supremazia su Grado.

 

Per evitare una rischiosa dipendenza ecclesiastica da una sede situata nel regno franco, Venezia reagisce in maniera rapida e se vogliamo originale. Va ricordato che per dimostrare la sua superiorità rispetto a Grado, Aquileia aveva anche sottolineato la (leggendaria) predicazione di San Marco nella città come origine del cristianesimo nella zona. Come risposta, il duca veneziano Giustiniano Patriciaco riesce a organizzare una spedizione per trafugare da Alessandria d’Egitto il corpo di San Marco, che nel 828 verrà traslato prima nel Palazzo Ducale e quindi nella Basilica eretta a suo nome. Con la presenza nel suo territorio di questa importante reliquia, Venezia conferisce alla sede episcopale cittadina una autorevolezza che la renderà in pratica autonoma da Aquileia, garantendosi, dopo quella politica, una indipendenza anche religiosa dal regno franco.

 

È probabile che tutti gli eventi di questi agitati primi decenni del IX secolo, che hanno determinato l’inizio della autonomia sia politica che religiosa della città, abbiano anche contribuito al progressivo sorgere del senso di identità e orgoglio nazionale. Di quel particolare “senso dello stato” così peculiare in Venezia, che ha favorito lo sviluppo di istituzioni stabili che caratterizzerà anche nel futuro la città. E che ha contribuito, qualche volta perfino a dispetto degli interessi economici, a preservarne l'autonomia politica per quasi un millennio.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Annales Regni Francorum, in Monumenta Germaniae Historica, SS. rerum Germanicarum, Hannover 1895.

C. Azzara, Venetiae. Determinazione di un’area regionale fra antichità e Alto Medioevo, ed. Canova, Treviso 1994.

D. Calaon, Prima di Venezia. Terre, acque e insediamenti. Università Ca’ Foscari. Venezia 2006.

A. Castagnetti, Insediamenti e “populi”, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, I (L’età ducale), a cura di L. Cracco Ruggini, M. Pavan, G. Cracco, G. Ortalli, Roma 1992, pp. 577-612.

G. Diacono, Cronaca veneziana, in Cronache veneziane antichissime, I, a cura di G. Monticolo, Roma 1890, pp. 57-171.

M. Mc Cormick, Origins of the European Economy. Communications and Commerce. AD 300-900, Cambridge 2001.

G. Ortalli, Il ducato e la “civitas Rivoalti”: tra carolingi, bizantini e sassoni, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, I (L’età ducale), a cura di L. Cracco Ruggini, M. Pavan, G. Cracco, G. Ortalli, Roma 1992, pp. 725-790.

G. Ravegnani, Venezia prima di Venezia. Mito e fondazione della città lagunare, ed. Salerno, Roma 2021.

T. Temanza, Dissertazione sopra l’antichissimo territorio di S. Ilario nella diocesi di Olivolo. Venezia 1761.

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