Il periodo tra la fine del VIII e
l’inizio del IX secolo è stato
cruciale per il destino di quella
che sarà la città di Venezia. In
particolare, agli inizi del IX
secolo, la vicenda veneziana si
inquadra nell’ambito del contrasto
anche militare fra franchi e
bizantini (una sorta di “guerra a
bassa intensità”, come si direbbe
ora) svoltosi tra l’806 e l’810 in
particolare nel nord Adriatico, dove
raggiunse picchi di relativa durezza
proprio nelle lagune.
Va premesso che dopo la caduta del
regno Longobardo nel 774, il
territorio italiano più a
settentrione che non entra nei
domini franchi è la “Venetia”
bizantina. Venetia è il
termine con cui fin dall’epoca
romana veniva chiamato il territorio
dal fiume Adda all’odierno Friuli, e
che dopo la conquista longobarda si
riferirà appunto ai residui
territori intorno alla gronda
lagunare rimasti sotto il controllo
di Bisanzio.
L’arrivo dei Franchi rendeva la
situazione delle Lagune più incerta.
Sembra infatti che con i Longobardi
si fosse addivenuti a una
accettabile convivenza. Risalgono
alla prima metà del VIII secolo,
durante i regni prima di Liutprando
e poi di Astolfo, due patti, forse
siglati da due notabili
rispettivamente longobardo e
bizantino, sulla conterminazione di
territori ai margini della laguna
veneta. I Franchi erano invece una
potenza vigorosa in fase di piena
espansione. Inoltre, mentre i
dissidi fra i Longobardi e il papato
permettevano ai popoli della
Venetia di potersi inserire in
un gioco diplomatico tra i due
contendenti, ora con la presenza dei
Franchi la cosa non era più
possibile, considerati i rapporti di
collaborazione fra questi e la
chiesa.
Teoricamente tale situazione avrebbe
dovuto suggerire un ancora maggiore
avvicinamento dei Venetici ai
bizantini, potenza da sempre egemone
nel luogo ma costretta, per
lontananza e periodiche crisi
interne, a concedere margini di
autonomia ben difficilmente
ottenibili dal regno Franco. Va
ricordato che già intorno al 726, in
corrispondenza con le rivolte in
Italia contro l’iconoclastia
dell’imperatore Leone III, venne
nominato un duca, Orso, scelto
localmente, sia pure col consenso
imperiale ottenuto passata la crisi
religiosa (Orso viene ora
considerato come il primo vero duca
relativamente autonomo della Venetia).
All’interno del ducato esistevano
tuttavia diversi contrasti
sull’orientamento da dare ai
rapporti con le potenze egemoni. Se
relazioni privilegiate con i
bizantini erano particolarmente
rilevanti per i gruppi dediti ai
commerci per mare e comunque ad
attività prettamente insulari,
esistevano diversi membri del ceto
dirigente con importanti attività e
beni fondiari, i quali potevano
guardare con più interesse a un più
stretto legame col regno carolingio.
Nell’804 questa seconda fazione
prende il sopravvento nominando il
tribuno Obelerio duca e il fratello
Beato coreggente, mentre Fortunato,
sostenuto dallo stesso Carlo Magno,
era già patriarca di Grado, diocesi
nella cui giurisdizione gravitava
anche il ducato venetico.
Nell’806 l’impero bizantino reagisce
a questo spostamento delle lagune
nell’orbita franca, inviando una
flotta che, dopo aver ristabilito
l’ordine in Dalmazia, arriva nella
Laguna nella primavera dell’807. Si
raggiunge un momentaneo compromesso,
e mentre Fortunato fugge presso i
Franchi, prima Obelerio e
successivamente anche Beato vengono
mantenuti al potere, ma costretti a
giurare fedeltà a Bisanzio. Una
squadra bizantina ritorna anche nel
808 a svernare in Laguna.
Nel frattempo, si svolgono
trattative fra Franchi e Bizantini,
che sono però complesse e vengono
probabilmente intralciate dallo
stesso Obelerio che, evidentemente
rimasto fedele al partito filofranco,
non gradiva un accordo che avrebbe
rischiato di lasciare
definitivamente ai bizantini la
Venetia. A questo probabilmente
fanno riferimento gli Annali Franchi
dell’epoca (gli
Annales regni Francorum)
quando attribuiscono ai duci
venetici e alla loro “perfidia” (nel
senso di “ambiguità” e “doppiezza”)
la responsabilità dell’intervento
armato franco. Infatti nell’810
Pipino, figlio di Carlo Magno e
reggente d’Italia, evidentemente
incoraggiato dall’atteggiamento a
lui favorevole di Obelerio e Beato e
approfittando del fatto che la
flotta bizantina era rientrata,
assale le lagune, facendo
probabilmente occupare centri
settentrionali come Grado ma in
particolare attaccando da sud. Come
si sia svolta realmente la contesa
non lo sapremo mai, dato che le
fonti sono in totale disaccordo.
Gli
Annales regni Francorum
affermano che Pipino invase le
isole, le sottomise e si rivolse poi
verso l’Istria, occupandola. La
fonte è ovviamente di parte, ed è
inoltre estremamente succinta nella
relazione. Dall’altra parte il
resoconto della “Historia
veneticorum” (cronaca attribuita a
Giovanni Diacono, cappellano del
doge Pietro II Orseolo, stilata nei
primissimi anni dell’XI secolo)
parla della resistenza dei venetici
che, facendo arenare le imbarcazioni
dell’esercito di Pipino nelle basse
acque lagunari, fanno strage dei
franchi e li respingono.
Una ulteriore fonte risalente alla
metà del X secolo (il “De
Administrando Imperio”, attribuita
all’imperatore bizantino Costantino
VII Porfirogenito) fornisce una
versione intermedia. I Franchi
avrebbero occupato una parte delle
lagune senza riuscire ad avere
ragione della resistenza venetica e
avrebbero quindi assediato le isole
rimaste libere. Alla fine,
constatato lo stallo, i contendenti
si sarebbero accordati per una pace,
previo il pagamento ai Franchi di un
tributo (che, afferma il “De
Administrando Imperio”, sarebbe
rimasto nel tempo ma diminuito di
anno in anno).
È incerto anche se i duchi siano
stati catturati da Pipino, ma va
comunque detto che loro sede era
all’epoca Malamocco, la romana
Metamaucus, che non sembra però
corrispondere all’odierno paese sul
litorale del Lido, che non presenta
tracce archeologiche precedenti al
XII secolo. È possibile invece che
si trattasse di un insediamento ai
margini occidentali della laguna
sud, presso le foci del fiume Brenta
(Medoacus). Sarebbe stato quindi un
porto comunicante per via acquea con
i lidi adriatici, ma a stretto
contatto con le aree della pianura
circostante.
A maggior ragione quindi la
conquista di questa Metamaucus
“capoluogo” del ducato non sarebbe
stata necessariamente indice di una
capitolazione del ducato venetico,
le cui forze si sarebbero potute
trincerare nelle isole interne, fra
cui quelle al centro della laguna,
denominate Rivoaltus (Rialto), dove
si trova l’odierno centro storico di
Venezia. Isole ben più difficili da
espugnare da parte di una armata
probabilmente non fornita di
imbarcazioni adatte alla navigazione
nelle basse acque lagunari. Bisogna
anche ricordare che la vittoriosa
spedizione per la liberazione di
Ravenna che era stata
temporaneamente occupata dai
longobardi nel 732 era stata gestita
dai Venetici, segno che fin da
quell’epoca le migliori flottiglie
in quella area geografica erano
quelle dei centri lagunari del
ducato.
In pratica quindi è possibile che,
dopo una relativamente rapida
avanzata grazie alle soverchianti
forze terrestri, Pipino si fosse
trovato effettivamente in qualche
difficoltà nel procedere con la
conquista di quelle infide aree
lagunari. Senza la trionfale
vittoria propagandata dalla
successiva narrazione veneziana, è
però verosimile che i due
contendenti si siano trovati in una
momentanea impasse.
Tale situazione verrà comunque
risolta dall’ennesimo intervento
della squadra navale bizantina, che,
vista la situazione allarmante,
ritorna nelle lagune e costringe
Pipino a rientrare nella terraferma.
Nel luglio dello stesso 810 il
figlio di Carlo Magno muore per
febbri contratte durante la campagna
militare, e l’iniziativa franca si
esaurisce.
Nel rivalutare le fonti, appare
tutto sommato comprensibile la forte
discrepanza dei racconti. La
narrazione del “De Administrando
Imperio” vede la vicenda da una
visuale relativamente distaccata, e
potrebbe rappresentare una
ricostruzione più vicina alla realtà
dei fatti. Giovanni Diacono racconta
la storia dal punto di vista dei
veneziani, e interpreta, forse con
una buona dose di inventiva
sciovinista, la resistenza dei
lagunari sulle isole più
difficilmente accessibili da Pipino
come una grande vittoria contro
l’invasore, guardando col senno di
poi al risultato finale della lotta.
D’altro canto, dal punto di vista
dei redattori degli Annales franchi,
che devono dedicare poche righe per
anno nel narrare le vicende di tutto
il regno franco, non doveva poi fare
molta differenza l’eventualità che,
dopo la conquista di molti centri
del ducato, alcune isole al centro
della laguna di questo luogo lontano
non fossero state fisicamente
occupate dal loro esercito. Del
resto il termine “Venetia” usato dai
redattori franchi si riferiva, come
già detto, complessivamente a una
serie di località sulla gronda
lagunare e, come già afferma il
Temanza in una dissertazione del
1761, “Avendo dunque Pipino
occupato Brondolo, le due Chioggie,
Pellestrina ed Albiola, gli
scrittori francesi potevano in
qualche modo dire che il loro Re
avesse occupata Venezia”.
Passata la fase acuta della crisi,
mentre procedono le trattative di
pace fra Franchi e Bizantini, nella
laguna la situazione si andrà
stabilizzando. I duchi filo-franchi
Obelerio e Beato vengono
definitivamente deposti, e al loro
posto viene insediato Agnello
Partecipazio, originario da una
aristocrazia legata a Bisanzio.
Questi porta definitivamente la sede
dogale nelle isole di Rialto,
fondando il palazzo sede del governo
nel luogo dove tuttora si trova. La
zona viene scelta per diversi
motivi. Si trova al centro della
laguna, in un luogo più protetto (e
infatti probabilmente gli invasori
non erano riusciti ad arrivarci).
Era un luogo abitato, tanto che a
Olivolo, ai margini orientali di
quelle isole, si trovava un luogo
fortificato con una sede vescovile,
istituita già quasi 40 anni prima. E
fra questi abitanti c’erano
probabilmente molte famiglie
autorevoli provenienti da Cittanova,
la prima località sede di un ducato
venetico e per tradizione custode
delle tradizioni bizantine nel
luogo.
La pace di Aquisgrana, nel 812,
ratificherà fra l’altro il
riconoscimento del titolo di
imperatore a Carlo Magno, il quale
rinuncerà però definitivamente alle
pretese sulle lagune, che resteranno
la propaggine nord-occidentale più
estrema dei possedimenti bizantini.
Per Venezia (ora possiamo
espressamente chiamarla così, dopo
la formazione di un vero e proprio
centro urbano nel luogo che
conosciamo con questo nome) dopo
anni di incertezza si apre una fase
particolarmente favorevole. Infatti,
essa esce definitivamente
dall’orbita politica carolingia,
nella quale, sia pure con alterne
vicende, era in qualche modo entrata
nei primi anni del IX secolo. E
sfugge così al rischio di essere
assorbita in una realtà feudale così
distante dalla vocazione marinara e
commerciale che stava già
acquisendo.
I bizantini, normalizzata la
situazione, manterranno un controllo
sempre più blando su questo loro
lontano dominio. Solo come esempio,
l’intervento della loro flotta da
guerra nel 810 resterà il loro
ultimo intervento militare nelle
lagune. D’ora in poi sarà proprio la
flotta veneziana a dover mantenere
un controllo nell’Alto Adriatico,
non senza iniziali difficoltà.
Le influenze della terraferma veneta
e dell’impero Franco più in generale
non cessano, anzi. Molto
recentemente sotto i mosaici della
Cattedrale di Torcello sono stati
trovati affreschi risalenti al IX
secolo di chiara origine carolingia,
segno del ruolo che tale cultura
continuava a svolgere nelle lagune.
Ancora, a Venezia si inizierà dopo
l’814 a coniare una moneta
carolingia, tanto erano importanti i
commerci con la Pianura Padana e il
resto dell’Europa.
Ma l’essere completamente
indipendente dai territori
confinanti e restare nella sfera di
influenza dell’ancora potente impero
bizantino permette a Venezia nei
secoli IX e X (il rapporto con
Costantinopoli andrà gradualmente
attenuandosi fino addirittura a
capovolgersi) una “protezione”, sia
pur teorica e poco invadente, e un
rapporto privilegiato con un’area
commerciale di grande potenzialità,
così da porsi autorevolmente come
punto di snodo delle merci fra
oriente e occidente.
Anche senza avventurarsi in ipotesi
controfattuali, possiamo dire che
difficilmente si sarebbe potuto
sviluppare, sotto il controllo
carolingio, un corso degli eventi
così originale come quello
veneziano. Per questo le vicende
dell’810 sono probabilmente uno dei
punti di svolta più importanti della
storia veneziana.
Va citato a questo punto, come
definitivo segnale della fine di
ogni dipendenza dalla terraferma, un
altro evento dall’alto valore
simbolico. Evento che si verifica
negli anni immediatamente successivi
e come indiretta conseguenza delle
vicende narrate. Aquileia, a suo
tempo fiorente città romana e ancora
all’epoca sede patriarcale nella
terraferma friulana, vedeva contesa
dal vicino patriarcato di Grado,
formatosi dalla divisione del
Patriarcato di Aquileia due secoli
prima, la giurisdizione sulla
Venetia e l’Istria. Nel sinodo di
Mantova dell’827 si vede di nuovo
riconosciuta la supremazia su Grado.
Per evitare una rischiosa dipendenza
ecclesiastica da una sede situata
nel regno franco, Venezia reagisce
in maniera rapida e se vogliamo
originale. Va ricordato che per
dimostrare la sua superiorità
rispetto a Grado, Aquileia aveva
anche sottolineato la (leggendaria)
predicazione di San Marco nella
città come origine del cristianesimo
nella zona. Come risposta, il duca
veneziano Giustiniano Patriciaco
riesce a organizzare una spedizione
per trafugare da Alessandria
d’Egitto il corpo di San Marco, che
nel 828 verrà traslato prima nel
Palazzo Ducale e quindi nella
Basilica eretta a suo nome. Con la
presenza nel suo territorio di
questa importante reliquia, Venezia
conferisce alla sede episcopale
cittadina una autorevolezza che la
renderà in pratica autonoma da
Aquileia, garantendosi, dopo quella
politica, una indipendenza anche
religiosa dal regno franco.
È probabile che tutti gli eventi di
questi agitati primi decenni del IX
secolo, che hanno determinato
l’inizio della autonomia sia
politica che religiosa della città,
abbiano anche contribuito al
progressivo sorgere del
senso di identità e orgoglio
nazionale. Di quel particolare
“senso dello stato” così peculiare
in Venezia, che
ha favorito lo sviluppo di
istituzioni stabili che
caratterizzerà anche nel futuro la
città. E
che ha contribuito, qualche volta
perfino a dispetto degli interessi
economici, a preservarne l'autonomia
politica per quasi un millennio.
Riferimenti bibliografici: